Eduardo Ambrosio


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Storia de LA GRANDE TRASFOR. II

STORIA > I TEMI DEL '900 > LA GRANDE TRASFORMAZIONE SOCIALE



Storia della GRANDE TRASFORMAZIONE II

LA SECONDA GUERRA MONDIALE
L'esito della prima guerra mondiale aveva scontentato, per motivi diversi, tre potenze: la Germania, principale nazione sconfitta, per le perdite territoriali e per le altre pesanti condizioni imposte dal trattato di Versailles; l'Italia e il Giappone, che ritenevano insufficiente quanto ottenuto a seguito della vittoria conseguita.
Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna avevano raggiunto i loro principali obiettivi: Washington la riduzione del potere militare della Germania; Parigi e Londra un ordine mondiale funzionale ai propri interessi coloniali ed europei. Ma proprio il mantenimento del nuovo quadro risultò subito problematico, dopo che gli Stati Uniti, per volere del presidente Wilson, avevano rifiutato di entrare nella Società delle Nazioni per ritirarsi in un nuovo isolazionismo.
La guerra iniziò nel 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista. In risposta all'aggressione Francia e Inghilterra dichiararono guerra ai tedeschi e il conflitto si estese fino a interessare molti paesi e aree geografiche del pianeta. Più che in qualsiasi altra guerra precedente, il coinvolgimento delle nazioni partecipanti fu totale e l'evento bellico interessò in modo drammaticamente massiccio anche le popolazioni civili. La sua conclusione nel 1945 segnò l'avvento di un nuovo ordine mondiale incentrato sulle due superpotenze vincitrici, gli Stati Uniti d'America (USA) e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).


EFFETTI DELLA GUERRA
Secondo le statistiche, la seconda guerra mondiale fu la guerra più devastante quanto a perdite umane e distruzione materiale. Il conflitto, che coinvolse 61 nazioni, provocò la morte di circa 55 milioni di persone, tra militari e civili: l'Unione Sovietica ebbe circa 20 milioni di morti; la Cina 13,5 milioni; la Germania 7,3 milioni; la Polonia 5,5 milioni; il Giappone 2 milioni; la Iugoslavia 1,6 milioni; la Romania 665.000; la Francia 610.000; l'impero britannico 510.000; l'Italia 410.000; l'Ungheria 400.000; la Cecoslovacchia 340.000; gli Stati Uniti 300.000. Gli sviluppi tecnologici e scientifici fecero della guerra un conflitto di una ferocia senza pari: la popolazione civile fu coinvolta direttamente nei combattimenti e nelle rappresaglie e fu colpita soprattutto a causa dei bombardamenti aerei. L'evento più terribile fu tuttavia la deportazione e lo sterminio di oltre sei milioni di ebrei nei campi di concentramento nazisti, la cosiddetta "soluzione finale" del "problema" ebraico (L'OLOCAUSTO).

DISTRUZIONE E RICOSTRUZIONE
In Europa le distruzioni operate dalla guerra apparivano in tutta la loro drammatica dimensione. L'Europa orientale e Balcanica, nella quale l'invasione tedesca aveva lasciato i segni di inaudite crudeltà, era devastata nelle sue strutture demografiche e materiali. In tutti i paesi in guerra il sistema industriale e le infrastrutture avevano subito danni incalcolabili, più macroscopici nelle grandi città e nei principali porti, sui quali si erano concentrati i bombardamenti aerei.
La produzione complessiva del carbone risultava dimezzata rispetto ai livelli prebellici. Finiti i combattimenti, in Germania e nell'Europa orientale si registrarono tremende carestie, ma anche nelle realtà meno colpite dalla guerra si faceva sentire la penuria alimentare.
Milioni di uomini si trovarono allo sbando, senza casa, lontani dal loro paese, sospinti da una parte all'altra del continente dagli ultimi eventi della guerra e dalla generale confusione del dopoguerra. Erano prigionieri liberati, ebrei sfuggiti o liberati dai campi di sterminio, dirigenti nazisti in fuga dai paesi dell'Est nel timore delle vendette dei vincitori, e in più un numero altissimo di profughi che scappavano dai paesi occupati dall'Armata Rossa: era il caso delle decine di migliaia di tedeschi che dal 1939 si erano trasferiti all'Est sulla scia dell'espansione della Germania e che ora cercavano di rientrare nelle regioni occidentali per sfuggire ai sovietici.

ASSETTO POLITICO DOPO IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE
Alla fine della guerra la situazione mondiale era mutata radicalmente: l'Europa usciva dal conflitto in posizione di dipendenza rispetto alle due potenze vincitrici, Stati Uniti e Unione Sovietica, attorno alle quali si configurò un nuovo equilibrio politico mondiale.
L'alleanza tra USA e URSS, che era stata determinante ai fini della vittoria contro Hitler, si trasformò, negli anni successivi al conflitto, in un'aspra rivalità che si manifestò nella cosiddetta Guerra Fredda. La rivalità scaturì da una forte competizione sul piano ideologico, economico, politico, tecnologico, scientifico per il controllo totale del mondo. Due opposti sistemi si confrontarono tra fasi alterne, ora di distensione ora di tensione, anche acuta.
Le premesse della Guerra Fredda erano insite nella conduzione e nella conclusione della seconda guerra mondiale. Infatti, sin dal 1943, l'Unione Sovietica, forte dell'apporto militare determinante ai fini della sconfitta del nazismo, non aveva nascosto il progetto di estendere il suo controllo all'Europa centro orientale.
La liberazione da parte dell'Armata Rossa di quell'area europea fu la condizione per attuare un progetto di egemonia comunista. Da questo punto di vista appare chiaro che lo sforzo militare contro la Germania nazista non rispondeva soltanto alla difesa dell'integrità nazionale dello stato sovietico, ma nutriva lo scopo di condurre una guerra al tempo stesso ideologica e di conquista, attraverso la quale il sistema comunista avrebbe potuto estendersi su vaste aree europee e asiatiche.
Dopo il 1945, l'URSS vide confermata la grande espansione conseguita a partire dal 1940, con il possesso sia dei territori annessi in virtù del patto di non aggressione firmato con la Germania (le tre Repubbliche baltiche, Lettonia, Estonia, Lituania) sia delle regioni conquistate nella guerra contro Hitler, e cioè la Bessarabia e la Bucovina settentrionale ottenute dalla Romania nel 1944, ampie regioni polacche situate nella Bielorussia e nella Galizia, nonché una zona della Prussia orientale tolta alla Germania. Il confine tra Polonia e Germania, tracciato lungo la linea Oder-Neisse, ricompensava la Polonia con le regioni tedesche della Pomerania e della Slesia.
Poteva dirsi realizzato il disegno di Stalin di togliere l'Unione Sovietica dall'isolamento internazionale in cui era stata posta dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917, di ricostruire un grande stato russo che non solo recuperasse i territori perduti nella prima guerra mondiale ma ampliasse i vecchi confini, e di presentarsi nelle relazioni internazionali come una grande potenza in grado di stare alla pari con gli Stati Uniti. Infine l'Unione Sovietica poteva usufruire del sostegno dell'opinione pubblica di parte democratica e antifascista, che le riconosceva il merito di avere impedito la nazistizzazione totale dell'Europa. Il ricordo della battaglia di Stalingrado confermava tale giudizio.

L'IMPERO COMUNISTA
Il successo sovietico nel dopoguerra si misurò tuttavia principalmente sulla diffusione dei regimi comunisti in Europa e in Asia. In tutta la parte orientale dell'Europa, occupata tra il 1944 e il 1945 dall'Armata Rossa, si insediarono, o attraverso elezioni o con atti di forza, governi comunisti fedeli a Mosca; in Cecoslovacchia, il Partito comunista con un colpo di stato portò il paese nell'orbita sovietica nel 1948.
Non altrettanto l'URSS riuscì a fare in Iugoslavia, paese nel quale la sconfitta del regime filonazista e la cacciata dei tedeschi erano state conseguite con l'azione decisiva degli eserciti di partigiani. La Iugoslavia riuscì a non venire completamente assorbita nell'orbita sovietica, adottando un regime socialista dai connotati antistalinisti sotto la guida del prestigioso capo partigiano Tito(i non allineati).
Nel dopoguerra, la divisione dell'Europa in due blocchi, l'uno orientale filosovietico, l'altro occidentale filoamericano, fu il risultato della conduzione politica e diplomatica della guerra. Sulla Germania la spartizione si esercitò compiutamente, con la sua divisione nel 1945 in quattro zone d'occupazione militare affidate a Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica, e con la creazione nel 1949 di due stati: la Germania occidentale, o Repubblica federale tedesca, appartenente al blocco capitalistico, e la Germania orientale, o Repubblica democratica tedesca, che divenne parte del blocco sovietico. La spartizione fu completata con la divisione dell'ex capitale Berlino in due settori, orientale e occidentale.
La guerra lasciò fissata nella storia europea quella che Churchill con una felice definizione chiamò la "cortina di ferro", ossia una frattura profonda all'interno dello stesso fronte dei vincitori. Tale frattura rendeva evidente ciò che per tutta la durata del conflitto era rimasto implicito, ossia la convinzione che sulle rovine del nazismo stesse rinascendo la grande rivalità mondiale tra capitalismo e comunismo.

ECONOMIE SOCIALISTE
Storicamente, la centralizzazione dell'economia, caratterizzata da una pianificazione e da una regolamentazione rigidamente centralizzate da parte dello stato è stata attuata nei paesi governati da regimi comunisti, ed è diffusa la tendenza a ravvisare nel crollo del sistema politico nell'Europa orientale (1989) e nell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (1991) una prova dell'impossibilità di attuare con successo la pianificazione centralizzata dell'economia; un giudizio più equilibrato, che tenga conto delle peculiarità economiche e politiche di quei paesi non può tuttavia accettare generalizzazioni e forzature. Non si può infatti dare una valutazione negativa della pianificazione centralizzata basandosi esclusivamente su un analisi di tipo economico.
Dopo la Rivoluzione russa del 1917, in Unione Sovietica il sistema decisionale centralizzato fu introdotto con la risoluzione del conflitto interno al partito in favore di Stalin, verso la metà degli anni Venti. Fino ad allora, si riteneva infatti che il successo della rivoluzione sarebbe dipeso dagli aiuti economici provenienti dai regimi rivoluzionari che a loro volta avrebbero dovuto svilupparsi in alcuni paesi dell'Europa occidentale e centrale nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale. Poiché l'ondata rivoluzionaria si placò senza aver prodotto gli effetti sperati, il governo bolscevico adottò politiche economiche che trasformarono radicalmente la società sovietica.
Intendendo ricostruire l'economia nel più breve tempo possibile, il governo sovietico inizialmente si pose come obiettivo di medio termine la realizzazione di uno sviluppo graduale dell'economia attraverso la crescita equilibrata di tutti i settori produttivi; la vittoria di Stalin su Lev Trotzkij, tuttavia, portò a una politica di industrializzazione forzata. Tre erano i progetti politici ed economici, peraltro strettamente interrelati: la collettivizzazione del settore agricolo (a partire dal 1931), il controllo centralizzato dell'economia attraverso piani quinquennali (a partire dal 1929) e la neutralizzazione dell'opposizione mediante modifiche dei meccanismi politici (a partire dal 1926).
La collettivizzazione dell'agricoltura mirava a eliminare la dipendenza del settore industriale da quello agricolo e a determinare un sovrappiù di produzione agricola. La soppressione del mercato e la centralizzazione delle decisioni dovevano massimizzare le risorse destinate al processo di industrializzazione. L'egemonia del Partito comunista sulla vita politica, la messa al bando dell'opposizione interna al partito e la trasformazione del soviet, il consiglio degli operai, dei soldati e dei contadini, da organismo elettivo formalmente indipendente in organismo burocratico-amministrativo nominato dal partito, favorirono poi tali politiche di accentramento del potere.
Queste riforme produssero effetti eccezionali, trasformando l'intera struttura dell'economia in un periodo molto breve. L'efficienza produttiva, misurata dal prodotto pro capite, salì dal 50% della media europea nel 1929 al 75% nel 1950 e poi al 90% nel 1970. La rapida industrializzazione consentì all'Unione Sovietica di svolgere un ruolo determinante nella sconfitta del nazionalsocialismo nel corso della seconda guerra mondiale e, in seguito, di sostenere l'enorme peso della difesa dal dopoguerra agli anni Ottanta.
Con l'eliminazione, però, di tutti i processi democratici, né i sindacati né i soviet furono in grado di arginare la proliferazione degli interessi settoriali attivati dalla gestione centralizzata dell'economia sulla base dei piani quinquennali. Paradossalmente, fu proprio la gestione centralizzata a determinare lo sviluppo di logiche settoriali che erano incompatibili con una pianificazione efficiente.
Operando in condizione di monopolio, i produttori non avevano incentivi a soddisfare i mutamenti delle esigenze dei consumatori o a migliorare la qualità dei propri prodotti; la conseguenza fu la sovrapproduzione di alcuni beni e la mancanza di altri. A questi squilibri a livello microeconomico si aggiunsero quelli registrati a livello macroeconomico. La centralizzazione delle decisioni politiche ed economiche riuscì effettivamente a superare alcune delle inadeguatezze delle economie di mercato (tra le quali la disoccupazione di massa, la sottoutilizzazione delle risorse, la profonda sperequazione dei redditi e le ampie fluttuazioni nei cicli economici), ma lo fece in assenza di consenso popolare e di democrazia.
Dopo il 1945, il modello politico-economico sovietico fu esportato nell'Europa orientale, dove fu favorita la formazione di governi dominati dai partiti comunisti. L'interesse di Mosca era però strategico piuttosto che economico: mantenere un cordone sanitario contro un possibile attacco da parte del blocco occidentale.
Il modello sovietico fu seguito dalla Cina in seguito alla vittoria dei comunisti nel 1949, così come dai regimi comunisti insediati nelle ex colonie del Terzo Mondo.
Il Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon), l'organizzazione dei paesi comunisti nata nel 1949 come risposta al piano Marshall e soppressa nel 1992, fu istituito proprio per sviluppare le economie nazionali e la cooperazione internazionale tra i paesi membri, nel tentativo di trasferire a livello transnazionale un modello di economia centralizzata. Inizialmente, il Comecon comprendeva la Repubblica democratica tedesca, la Cecoslovacchia, la Polonia, la Romania, la Bulgaria, l'Ungheria e l'URSS; vi aderirono in seguito Cuba e il Vietnam del Nord. Pur presentando notevoli differenze riguardo alla struttura economica, al livello di sviluppo e alle conoscenze tecnologiche, queste economie trassero vantaggi sostanziali dal commercio multilaterale e dagli aiuti reciproci. Mancava tuttavia un meccanismo per la determinazione dei vantaggi e per la distribuzione dei benefici derivanti dal commercio multilaterale, un fatto che, sommandosi all'assenza di un mezzo di pagamento perfettamente convertibile, rese difficili, se non impossibili, le transazioni commerciali. Lo sviluppo economico, dunque, ebbe luogo senza tenere conto delle opportunità di specializzazione.
In altri contesti, il modello sovietico produsse effetti disastrosi: la collettivizzazione dell'agricoltura in Etiopia fu indirettamente responsabile delle drammatiche carestie che colpirono il paese negli anni Ottanta. La Iugoslavia sviluppò il proprio modello di socialismo caratterizzandolo invece con una parziale presenza del mercato e con la gestione autonoma dei lavoratori nell'ambito di imprese in concorrenza.
In Cina, alla morte di Mao Zedong nel 1976, fu invece perseguita una forte liberalizzazione dell'economia che reintrodusse un'attività agricola gestita da agricoltori privati e incoraggiò l'imprenditorialità privata in un'economia sempre più orientata alle esportazioni.
Le riforme cinesi finirono col determinare straordinari tassi di crescita economica.
Nell'ambito del Comecon la riforma più incisiva venne però realizzata in Ungheria in seguito all'invasione sovietica e alla repressione violenta della rivoluzione del 1956. Il nuovo meccanismo economico introdusse alcuni elementi innovativi: quadri dirigenziali con un certo grado di libertà d'azione, imprese con finalità di profitto, determinazione dei prezzi dei beni attraverso il mercato e una parziale apertura dell'economia al commercio internazionale.
Questa operazione provocò alcune conseguenze negative: gli squilibri generati dalle forze di mercato in alcuni settori finirono col destabilizzare anche quelli ancora regolamentati; le direzioni aziendali sfruttarono le opportunità del mercato per arricchirsi, determinando una più iniqua distribuzione del reddito; si sviluppò un'estesa "economia sommersa".

CROLLO DEL REGIME COMUNISTA
In alcuni casi i regimi temevano che la riforma economica potesse alimentare le pressioni per ottenere la libertà politica e creare, come in Cecoslovacchia nel 1968 e in Polonia nel 1980, una minaccia al sistema stesso; i conservatori e i membri della nomenklatura temevano infatti che le riforme avrebbero messo in discussione i loro privilegi, soprattutto se non si fosse preventivamente schiacciata l'opposizione.
Questi timori associati al programma di riforma portarono, in parte, alla disfatta di Nikita Kruscev in Unione Sovietica e all'inizio degli "anni della stagnazione" (tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta), con Leonid Breznev. Anni che coincisero con un generale rallentamento della crescita economica come conseguenza, in parte, della mancanza di dinamismo del sistema e in parte del raggiungimento dello stadio di maturazione dell'economia. L'URSS non era tuttavia nelle condizioni di gestire questo cambiamento; il considerevole peso delle spese destinate alla difesa aggravava inoltre i danni provocati dal rallentamento dell'economia.
L'insostenibile situazione che si generò fu alla base della politica di ristrutturazione economica nota con il nome di perestrojka, introdotta da Michail Gorbaciov e accompagnata in politica dalla glasnost ("trasparenza"), con cui Gorbaciov cercò di allentare i vincoli imposti dalla censura. In breve tempo, tuttavia, questa strategia sfuggì al controllo di Gorbaciov, producendo dapprima una rinascita dei movimenti nazionalisti a lungo repressi e poi provocando una rivolta da parte dei minatori e dei trasportatori. Nel 1991 il tentativo di attuare un colpo di stato da parte dei conservatori preannunciò il declino dell'URSS; nel frattempo le rivoluzioni del 1989 avevano fatto crollare i regimi comunisti dell'Europa orientale.

VITTORIA E CRISI DEL CAPITALISMO
Alla seconda guerra mondiale seguì un trentennio di crescita economica e di tendenziale piena occupazione dei paesi capitalistici, ma anche di grossi conflitti sociali e di un'estesa critica al modo di produzione e alla "civiltà capitalistica".
Negli anni Settanta e Ottanta, al riaffacciarsi di una grave e generale crisi economica, i governi conservatori di Stati Uniti e Gran Bretagna lanciarono un forte attacco alle politiche economiche keynesiane adottate fino ad allora, nell'intento di dare vita a un sistema economico radicalmente alternativo, di ridare slancio all'iniziativa privata (per esempio riducendo il carico fiscale delle imprese) e di ridurre il ruolo dello stato (privatizzazioni, taglio generalizzato della spesa dello stato in favore della sanità, della scuola, dell'occupazione ecc.).
La terapia liberista, benché di breve durata, provocò un'autentica rivoluzione, non solo economica, ma nei costumi e nella cultura della gran parte dei paesi industriali, e se da un lato favorì la ripresa economica e in alcuni casi l'occupazione (sebbene in molti casi precaria e priva di tutele), provocò anche il netto peggioramento delle condizioni di vita delle classi sociali deboli e marginali. Agli inizi degli anni Novanta, nello stesso momento in cui il sistema democratico e capitalista occidentale vinceva la sua lunga e aspra battaglia contro il blocco comunista, i governi artefici della "rivoluzione liberista" venivano sconfitti.
Il dibattito sul capitalismo è destinato a continuare, anche perché il sistema capitalistico si è negli ultimi anni profondamente trasformato e continua a trasformare il panorama mondiale nel quale agisce.



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