Eduardo Ambrosio


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POLITICA ECONOMIA E SOCIETA'

STORIA > III MILLENNIO



POLITICA, ECONOMIA E SOCIETA’

Una immediata visone del panorama politico mondiale del nostro tempo.


La svolta di questi anni è senza dubbio la fine della Terza guerra mondiale o Guerra Fredda o meglio crollo del muro di Berlino del 1989, fine avvenuta con armi pacifiche e conclusasi, diversamente dalla Seconda, con la vittoria di un solo Stato, gli USA.

Da quel momento l’amministrazione americana aveva di fronte due strade: poteva creare un ordine multipolare in cui il suo ruolo di prima potenza poteva esprimersi tutelando un ordine pacifico su scala internazionale, o poteva creare un ordine egemonico, frutto di imposizione; con profonda cecità, gli USA hanno scelto la seconda strada, che nell'ultimo decennio (il primo del Terzo Millennio) è sempre più incerta per l'affermarsi di un Atlante Globalizzato.

Quasi sempre le grandi potenze (USA) subiscono la tentazione di fare da sole, salvo poi disporsi a guidare coalizioni formate a difesa dei propri interessi (unilateralismo puro o mascherato), mentre i più deboli (Italia e gli altri alleati europei) oscillano tra lisolamento e la partecipazione ad alleanze che non possono dominare, ma solo condizionare (multilaterlismo) la prassi più che unopposizione di principio e prima che ideologia è unilaterale quando si può, multilaterale quando si deve. Trattasi, ovviamente, di idealtipi molto astratti: qualsiasi potenza deve in ogni caso tenere conto dellambiente in cui opera, dunque non può mai darsi unilateralismo (solipsismo) assoluto. Molti hanno visto nellinternazionalismo americano, promosso da Roosevelt e Wilson che abbandonarono lisolazionismo della dottrina America-First e sancito nella Conferenza di San Francisco del 26 giugno 1945 (ONU), il tentativo egemonico di ampliare lordinamento giuridico nazionale in un ordinamento globale, sostituire al diritto internazionale quello nazionale.

Dagli Anni Novanta del Novecento (dopo l’implosione e il suicidio dell’URSS) e ancor più dall’11 settembre 2001, però, la costellazione occidentale – gli USA al centro (economia stellare) e i satelliti europei ad orbitargli intorno a distanze prestabilite (la pratica del rapporto privilegiato) - mostra sintomi di collasso. Dopo aver dominato mezzo mondo (l’Occidente), gli americani hanno pensato di poter ordinare secondo i propri interessi e principi anche l’altra metà del pianeta, quella che fino al 1989 obbediva agli ordini di Mosca o ne era fortemente influenzata compreso il Terzo Mondo: di questo senso di missione si nutre l’ideologia e la prassi neoconservatrice (neocons) ancora influente, nonostante le dure repliche della storia, nella politica statunitense. Si parla del “momento unipolare” (Krauthammer) in cui gli USA sono in grado di plasmare il resto dell’umanità a propria immagine e somiglianza, il mondo è visto come un’America in potenza che attende di essere fecondato dai suoi valori e stili di vita (anche se è evidente il paradosso tutto americano: l’impero implica un governo esteso ma l’amministrazione repubblicana detesta i governi estesi), ma non è così, e se lo è stato, non lo è più.

1966, il generale De Gaulle ritira la Francia dal comando integrato della Nato, ma non dal Patto Atlantico ed espelle le basi americane 1964-75, ostilità di molti governi verso la politica USA in Vietnam, fine del sistemo monetario di Bretton Woods 1992-95, il fallimento in Somalia e il massacro dei musulmani bosniaci di Sbrebrenica mettono in crisi il ruolo dell ONU -2003, gli USA entrano in guerra in Iraq (qui si manifestano chiaramente i limiti di una egemonia benevola degli USA e delle istituzioni internazionali) senza lautorizzazione dellONU 2006, per la crisi libanese, la risoluzione 1701 dellONU riporta in campo la concertazione internazionale e, sullimpegno multilateralista, manda in crisi lunilateralismo statunitense (che dovrebbe concentrarsi sullo sforzo di raggiungere un risultato giusto per la seconda guerra del Golfo).
Gli alleati europei, avamposti della “cortina di ferro”, non sono più decisivi per gli interessi americani (svuotamento dell’Alleanza atlantica, bandiera degli europei occidentali, Francia compresa), per cui vengono catalogati in base alla loro utilità marginale: il gruppo dei “buoni”, cioè degli asserviti, viene denominato “Nuova Europa” gli altri, quelli inutili o recalcitranti, relegati nel girone dei veteroeuropei.
Gli anni 2003/6, però, con la incerta “guerra al terrorismo”, stanno mostrando che non tutto il mondo aspira a diventare un satellite USA, i quali corrono ai ripari con la socializzazione della perdite o multilateralismo coatto attraverso un rastrellamento di risorse economiche esterne.
In questo clima gli “antiamericani” (Cina, Russia, India, Iran, Venezuela, Corea del Nord) cercano di conquistare posizioni nella gerarchia globale.
Pensatori asiatici, riconoscendo una qualche analogia con loggi in termini di relazioni internazionali instabili, disordine globale, multilateralismo imperfetto, alleanze a geometrie variabili, trovano lispirazione per definire la legittimità o lillegittimità degli interventi militari, letica delle relazioni internazionali, e i precetti per far evolvere il mondo attuale verso un equilibrio più stabile nel filosofo laico del quinto secolo a.C, nellepoca degli Stati guerrieri che si contendevano la supremazia in Cina, Confucio (e nel suo discepolo Mencio), vero fondatore della scienza politica cinese, giapponese e vietnamita.
Il
Giappone, ad onta della sua Costituzione pacifista, si è allineato alla politica estera americana, avallandone anche la deriva unilateralista.
L
India al contrario si divincola dallabbraccio con cui gli USA tentano di coinvolgerla in un sistema di alleanze anti-cinese; riesce a farsi accettare nel club delle potenze nucleari pur senza sottostare alle sue regole; afferma la propria identità di grande potenza autonoma: la sua diplomazia sta profondendo grandi sforzi per conquistare un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dellONU, in omaggio ad una visione multilateralista delle relazioni internazionali.
La
Cina, vista dagli Stati Uniti come unica nazione potenzialmente in grado di sfidare la loro leadership, dalla fondazione della Repubblica popolare si è distinta come uno dei maggiori promotori di una visione multilaterale delle relazioni internazionali, al punto da farne un robusto elemento di propaganda e perfino di proselitismo ideologico, nella realtà ha spesso calpestato i principi che difendeva, inoltre tende ad eludere una discussione esplicita del suo interesse nazionale in quanto coincidente con quello generale dellumanità. Mao fu tra i fondatori del movimento dei non-allineati (conferenza di Bandung , 1955) che rifiutava la spartizione delle zone di influenza (sovranità limitata allinterno della due zone) tra USA e URSS, in favore di una visione policentrica e multilaterale degli equilibri strategici. Anche se tale orientamento non ha impedito a Pechino di attaccare lIndia, suo partner e co-fondatore del movimento, nel 1962, né di invadere il Vietnam nel 1979 per una unilaterale spedizione punitiva.
L
ascesa della potenza cinese, onde escludere diplomaticamente attriti con altri interessi nazionali, viene descritta come una pacifica ascesa, o ancora con il termine confuciano società armoniosa che si estende alla comunità delle nazioni.; priorità sono: evitare conflitti militari, evitare qualsiasi scontro con lAmerica, costruire un sistema collettivo di sicurezza multilaterale e cooperativa, garantire la stabilità nelle regioni limitrofe, mantenere un dispositivo nucleare e prevenire la proliferazione nucleare, dotarsi di un esercito forte e agile.
L
adesione incondizionata al multilaterlismo punta a diluire la supremazia americana, ancora molto forte, ingabbiandola in una rete di istituzioni dove la Cina può entrare in coalizione con altri soggetti (di volta in volta lEuropa, lIndia, la Russia) onde controbilanciare gli USA e paralizzarne lazione; addirittura nel 2001 è nata la Shanghai Cooperation Organization (SCO) tra Cina, Russia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Uzbekistan, poi allargata nel 2004 a India Pakistan, Iran e Mongolia come osservatori, unica organizzazione internazionale interamente asiatica che, oltre ad azzerare linfluenza americana, provvede a contrastare le cosiddette rivoluzioni arancioni, permettendo a Cina e Russia di offrire conforto a regimi che non desiderano seguire gli inviti americani alla democratizzazione. Unico terreno su cui la Cina persegue esplicitamente un interesse nazionale è la sicurezza energetica, per cui, data la formidabile crescita, ha messo in moto una corsa forsennata allaccaparramento di ogni forma di energia; facendo leva sul suo potere di veto nel Consiglio di sicurezza, impedisce sanzioni verso i regimi sgraditi agli Stati Uniti, accumulando così crediti politici in Iran o in Sudan, da convertire in contratti di lungo termine per la fornitura di energia.

Il
“lato” Europa, lacerato tra eurogollismo e euroatlantismo, invece di unirsi per pesare di più, in un contesto sempre più accentuatamente “multilaterale”, nel rapporto con gli USA e sulla scena del mondo, rinazionalizza la politica dei singoli paesi (Francia, Germania, Gran Bretagna si muovono per ragioni interne in ordine sparso: ad esempio la missione in Libano dell’estate 2006, ha visto la Francia in extremis sul terreno – quasi costretta dal protagonismo italiano – la Germania al Largo e la Gran Bretagna a casa; nel contempo questi tre paesi, senza gli altri ventidue, marciano compatti nel negoziato con l’Iran): se ha svuotato alcuni Stati membri di prerogative fondamentali, come il battere moneta, non ha costruito in parallelo una casa comune europea, anzi i nuovi ingressi, essendo perlopiù appena costituiti, non sono per nulla inclini a sciogliere le sovranità in un’entità sovraordinata. Tale stato risulta essere il miglior risultato possibile per gli americani in quanto l’Europa, sufficientemente stabile, non preoccupa militarmente, ma essendo abbastanza divisa consente loro di coltivare venticinque rapporti bilaterali in posizione dominante e non uno transatlantico su basi paritarie: l’Europa purtroppo non si rende conto che il mondo ha già tanti lati da poter sopravvivere senza il lato europeo.
Con la sincera vocazione multilaterale, rivelata anche cambiando spesso lato nelle guerre mondiali, e l’assenza di sogni di grandezza nazionale (anche perché nel recente passato sono finiti in incubo), l’Italia cerca disperatamente di aggrapparsi all’Europa in cui spesso già vede, a forza di evocarla senza però definirla, un soggetto geopolitico.
Gli eventi, e non solo, dell’11 settembre 2001 (attacco al World Trade Center - l’Olocausto di questi anni, proposto in diretta a fianco della soap – quella caduta verticale è senz’altro un topos, la più significativa immagine dell’enorme business mediatico: fa vendere di più, alla stessa stregua di culi, tette e vip) sono il frutto di questa scelta in uno alla spietata strumentalizzazione con cui alcune componenti della società islamica hanno cercato di imporre la propria egemonia mettendo in crisi i regimi filodemocratici del mondo arabo. Perché il terrorismo non nasce, come sostengono alcune anime belle, dall’ingiustizia e dalla povertà, ma da una precisa strategia di alcune élites politiche. In questa occasione, l’Occidente ha scoperto una situazione nuova, asimmetrica, con logiche tutte sue: una minaccia “militare” globale, non riconducibile a uno Stato o a un regime, come era storicamente abituato; è stata messa a nudo la sua vulnerabilità, la inadeguatezza dei suoi strumenti di governo tipicamente “statali” come lo sono gli eserciti, le diplomazie, le organizzazioni intergovernative per far fronte, ad esempio, ad un uso dei media cinico e spregiudicato ma anche “innovativo” e contundente.
Per combattere il terrorismo, il nemico più subdolo mai esistito finora, non serve una guerra tradizionale, ma serve una strategia politica unita all’anti-guerriglia. La strada che avrebbe dovuto compiere l’Occidente sarebbe stata quella di prosciugare la aree di cultura fondamentalista e accattivarsi le simpatie del presunto nemico, rafforzando le correnti democratiche dei paesi islamici; alle armi di distruzione di massa si deve rispondere con la divulgazione di strumenti di “attrazione di massa”: libertà, democrazia, Stato di diritto, diritti individuali. Un esempio, nonostante la evidente forzatura geografica, potrebbe essere l’adesione di Israele (che deve usare la Shoah come valore universale e non nazionale, brandendola come una clava) all’Unione europea – l’imput arriva con il lancio nell’estate del 2006 del primo satyagraha (protesta non violenta) mondiale della pace - per segnare un orizzonte diverso da quello che risolve ogni crisi ricorrendo, eternamente, alle armi.
Nulla di tutto questo è stato fatto, anzi l’11 settembre (una sorta di grande mestruazione della teen-ager a cui giunge impreparata perché la mamma non le ha raccontato niente, non ha fatto altro che far deflagrare le problematiche già esistenti: il terrorismo del resto c’era già, come anche gli economisti pagati per rendere più poveri i poveri e arricchire i ricchi) ha dato la stura alla guerra preventiva, alla visione armata e crociata del mondo, permettendo all’amministrazione Bush (la cui ideologia va a toccare anche territori emozionali: la stessa messa in atto anni fa in Sud America) di diventare il regolatore unico dei processi democratici. All’illusione dopo il muro di Berlino, è ritornata la logica perversa dell’Impero del Bene contro quello del Male, o con me o contro di me, escludendo qualsiasi alternativa, qualsiasi contrapposizione dialettica, qualsiasi critica, che viene subito bollata come atteggiamento antiamericano (i pacifisti sono trattati come pazzi furiosi, la pace è considerata un valore estremo); l’accentuazione del fondamentalismo islamico e la logica della guerra preventiva sono complementari. L’ultimo errore, con questo dire “abbiamo ragione noi”, è stato l’Iraq, che ha fatto scoppiare metastasi terroristiche in tutto il mondo islamico. Adesso, con le conseguenze disastrose del Libano (aumento dell’odio per il mondo islamico, per l’estraneo, per il diverso e il rafforzamento di Hezbollah), l’Europa, unico referente credibile, sta battendo un colpo e ha capito che deve lavorare insieme agli USA, senza le passate sterili incomprensioni, per la pace.
Il crollo, infine, ha fatto comprendere che il terrorismo vuole dettare la propria agenda alla comunità internazionale e che necessitano urgentemente da parte del mondo libero scelte importanti e improcrastinabili in nome della libertà e della democrazia.

Il primato nel mondo non è solo questione di forza economica e militare, ma anche questione di valori, di responsabilità, di capacità di far pesare il proprio senso morale: terreno questo che denota un vistoso fallimento dell
America, che sa vincere le guerre convenzionali, ma non è altrettanto brava ad occupare e governare altre società, che, pur se più deboli militarmente ed economicamente, hanno molti mezzi per opporsi al potere americano: guerriglia, richiamo alle proprie radici etniche e religiose.
Il tramonto della lunga egemonia soprattutto per l
incapacità della politica unilaterale americana di capire le situazioni locali, secondo il professore conservatore realista di Relazione Internazionali di Harvard Stephen Walt, dipende da fattori culturali, psicologici, etici: i neocons amano parlare di libertà e moralità, ma la loro azione non ha nulla di morale, essi, confondendo lopposizione a politiche specifiche del governo americano con ostilità ai valori americani che al contrario sono molto condivisi, hanno rovinato limmagine degli USA (la disumanità di Guantanamo e Abu Ghraid).
La supremazia globale è qualcosa di diverso dalla pura volontà di potenza fondata su politiche unilaterale con la autocelebrata vocazione tutta americana a
fare da soli, essa è anche riconoscimento della leadership politica e morale. Quando non vengono rispettati i diritti umani, ci si rende responsabili di violazioni, la cosa appare tanto più ipocrita agli occhi degli altri paesi, proprio perché lAmerica si propone come potenza benevola: il risultato è un più vasto risentimento e rende gli altri paesi meno disponibili ad accogliere volontà e politiche del governo americano.
Nella politica globale, nonostante gli USA restano il solo paese che può agire militarmente su larga scala e influenzare enormemente l
economia internazionale, il cambiamento è veloce e molto difficile da controllare: gli eventi di una parte del mondo possono avere effetti inaspettati in unaltra, ciò determina, per il governo americano, più responsabilità di controllo ma meno capacità di azione.
Una forzata (pena il mancato appoggio dell
Europa, della Cina e della Russia) inversione di tendenza da unilateralismo a multilateralismo è sembrato intravedere nella vicenda del nucleare iraniano, anche se lamministrazione Bush pretende che lIran prima rinunci ai suoi programmi: è evidente che questo non è un negoziato, ma è semplicemente dire allaltra parte cosa fare.
Probabilmente, una residua occasione di egemonia americana nel mondo passa solo attraverso una strategia più sofisticata ed una politica estera
umile (più volte promessa anche da Bush), in questo modo sarà relativamente semplice ricostruire limmagine internazionale del Stati Uniti.

La nostra epoca è (senza soluzione di continuità con la fine ‘900) storicamente caratterizzata da una percezione dei fatti soprattutto attraverso i Media, a loro volta, ora più che mai, fortemente strumentalizzati dalla politica.
Con la concretizzazione della paura – gli attacchi terroristici - si è ricorso subito alla difesa, censurando il pensiero: aumento dell’ideologia evangelica americana, dibattiti sulla salvezza dell’Essere privi di apertura laica, sentire la tecnologia come insidia; il rimedio è stato il controllo totale sulla comunicazione, con la sospensione dell’argomentazione.
Caratterizzante è la DOPPIA TARA con cui si diffonde la notizia: si insiste su fatti violenti di limitata o meno importanza (strategia della tensione) per poi esprimere la necessità di ORDINE (desiderio della mentalità generale). La cosa ricorda, soprattutto per l’Italia, il clima del 1922 dove si paventava l'ordine (fascista) contro il caos e la violenza operaia (comunista).
Ancora, proprio con il crollo delle Torri di New York (Twin Towers), la comunicazione rimodellandosi si è improntata al catastrofico, tanto che oggi anche quando si parla di traffico si ricorre alla cifra catastrofica. Siamo in overdose, uno stato in cui è difficile ragionare, e la comunicazione è diventata infatti
sragionante con la conseguenza di creare stati di panico, sovreccitazione, di anestesia totale o di fuga. Paul Valery diceva: tutto ciò che luomo pensa e immagina diventa realtà.



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