Eduardo Ambrosio


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SINTESI '900

STORIA > NOVECENTO


EVOLUZIONE GENERALE DEL N0VECENTO (sintesi)

Il '900 esordisce con le grandi scoperte di Freud che apre alla psicanalisi, mentre in Italia il secolo inizia con la morte di Umberto I, un'inaugurazione nel segno del sangue quasi come premonitrice degli anni sanguinosi che inesorabilmente sarebbero arrivati.

Il periodo compreso tra
il 1901 e il 1913 fu dominato dalla figura dello statista Giovanni Giolitti: la modernizzazione dello stato liberale, insieme alle prime riforme di carattere sociale, nate in un clima di positivo rapporto tra governo e settori moderati del socialismo, ne fu il tratto caratterizzante. Importanti furono le posizioni riformistiche prevalse tra le fila del Partito Socia-lista, che posero in minoranza l'ala massimalista, fautrice di uno scontro sociale e politico senza mediazioni. La svolta nel Partito Socialista trovò giustificazione nella linea politica tenuta da Giolitti, che si caratterizzò per un nuovo atteggiamento di neutralità governativa nei conflitti di lavoro, lasciando che fossero risolti dalle parti in causa: industriali e operai. Ai governi presieduti da Giolitti risalgono le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, imperniate sul principio del credito agevolato alle imprese e riguardanti la Basilicata, la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e Napoli: in quest'ultimo caso fu possibile ultimare rapidamente il centro siderurgico di Bagnoli.
L'età giolittiana fu contrassegnata da una forte crescita economica che fece registrare notevoli tassi di sviluppo nel settore industriale, con conseguente aumento del reddito di molti italiani. Tuttavia, gli indici altrettanto elevati dell'emigrazione all'estero (circa 8 milioni di italiani lasciarono il paese in dieci anni) confermavano i radicati squilibri tra Nord e Sud, e tra città e cam-pagna.

In Europa
tra il 1905 e il 1913 diverse crisi e guerre locali portarono la situazione al limite del conflitto generale. Due di queste (crisi marocchine) furono il risultato del tentativo tedesco di sostenere l'indipendenza del Marocco nei confronti dell'occupazione francese, questione poi risolta pacificamente dalla conferenza di Algeciras. Un'altra crisi ebbe luogo nei Balcani nel 1908 a seguito dell'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria; in questo caso la guerra fu evitata solo perché la Serbia, che coltivava mire espansionistiche sulla regione, non poteva agire senza il sostegno della Russia, che a quell'epoca non si riteneva ancora pronta per il conflitto. Approfittando del fatto che l'attenzione delle potenze maggiori era rivolta alla questione marocchina, l'Italia dichiarò guerra alla Turchia nel 1911 per annettersi la regione di Tripoli (guerra di Libia), mentre le guerre balcaniche del 1912-13 ebbero il risultato di rafforzare le tendenze aggressive del regno di Serbia nella regione, peggiorando ulteriormente i suoi rapporti con Vienna, e di suscitare desideri di vendetta e di riscatto nella Bulgaria e nella Tur-chia.

La
Prima guerra mondiale combattuta tra il 1914 e il 1918 da ventotto nazioni, raggruppate negli schieramenti opposti delle potenze alleate (comprendenti tra le altre Gran Bretagna, Francia, Russia, Italia e Stati Uniti) e degli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria). Causa immediata della guerra fu l'assassinio il 28 giugno 1914 a Sarajevo dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austroungarico, da parte del nazionalista serbo Gavrilo Princip; le cause fondamentali del conflitto vanno tuttavia ricercate nelle contra-stanti mire imperialistiche delle potenze europee, cresciute in un clima di esasperato nazionali-smo. Soprattutto a partire dal 1898, i contrapposti interessi di Francia, Gran Bretagna e Ger-mania (e in misura minore di Austria, Russia e Giappone) alimentarono uno stato continuo di tensione internazionale che spinse i governi a mantenere permanentemente in stato di all'erta eserciti sempre più armati, e ad accrescere la potenza delle proprie marine militari. I tentativi di fermare questa corsa al riarmo ebbero scarso effetto, e non riuscirono a impedire lo struttu-rarsi dell'Europa attorno a due coalizioni ostili: la Triplice Alleanza tra Germania, Austria-Ungheria e Italia, e la Triplice Intesa tra Gran Bretagna, Francia e Russia.
La guerra durò 4 anni, 3 mesi e 14 giorni di combattimenti. Le vittime nelle forze di terra furo-no più di 37 milioni; in aggiunta, la guerra produsse indirettamente quasi 10 milioni di morti (tra la popolazione civile). Nonostante la speranza che gli accordi raggiunti alla fine della guer-ra potessero ristabilire una pace duratura, la prima guerra mondiale pose al contrario le pre-messe di un conflitto ancor più devastante.
La soluzione diplomatica che prevalse al termine della guerra disegnò un quadro politico dell'Europa completamente differente da quello del 1914. La scomparsa di tre imperi (russo, tedesco, austro-ungarico) fu colmata dalla creazione di nuove unità statali, entro le quali l'identità nazionale era tutt'altro che omogenea. Per di più lo spirito punitivo con cui vennero decise, da parte della Francia e della Gran Bretagna, le sanzioni contro la Germania portò ad assumere provvedimenti oltremodo pesanti. I tedeschi li percepirono come umilianti tanto più che il loro esercito non aveva mai subito una reale sconfitta nel corso della guerra. Ancor più grave fu il dissesto finanziario i cui effetti negativi si aggiunsero ai problemi derivanti dalla ri-conversione delle industrie dalla produzione militare a quella civile. Inoltre la guerra aveva in-nescato profondi e ampi sommovimenti in tutte le società coinvolte: la Rivoluzione Russa aveva indicato una meta possibile per i ceti operai e contadini, maggiormente colpiti dai costi sociali della guerra. Ma la crisi del dopoguerra travolse anche i ceti medi, predisponendoli a favorire soluzioni autoritarie con le quali liquidare i conflitti ideologici e gli squilibri sociali. La prima guerra mondiale segnò la fine dell'eurocentrismo con lo spostamento dei poteri economico-politici-mondiali negli Stati Uniti.

In
Russia le timide riforme introdotte dallo zar Alessandro II avevano alimentato l'attesa e la richiesta di ulteriori interventi innovativi sul piano istituzionale e legislativo: in particolare gli organi rappresentativi di governo locale erano visti da più parti come l'embrione di un governo parlamentare nazionale, mentre la soppressione della servitù della gleba sembrò preannunciare una riforma agraria di ampio respiro. L'apertura di licei e università ai figli delle classi non nobili, inoltre, creò in breve tempo una numerosa comunità di giovani intellettuali di tendenze rivoluzionarie. Nel 1917 le tensioni russe sfociarono in una radicale rivoluzione che si compì in due fasi. La prima (rivoluzione di febbraio) portò al rovescio del regime autocratico dello zar e all'instaurazione di un regime liberale. La seconda (rivoluzione bolscevica d'ottobre), organizzata dal partito bolscevico diede vita ad uno stato comunista e successivamente all'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. La guida del nuovo stato fu affidata a Lenin che cercò di adattare il modello marxista all'URSS.

In Italia esauritosi il
biennio rosso (1919-21) delle lotte operaie e contadine, la reazione dei ceti medi, degli agrari e degli industriali si indirizzò verso il movimento fascista. Mussolini riuscì a catalizzare sia le frustrazioni della piccola borghesia, disposta all'uso della violenza, sia lo spirito di rivalsa diffuso tra i grandi detentori di ricchezze, gli agrari in primo luogo. Iniziò allora il biennio nero (1921-22) segnato da continue violenze esercitate da squadre di volontari fascisti, le camicie nere, contro le sedi e gli uomini del movimento operaio e socialista. Nelle elezioni politiche del 1921 il Partito Nazionale Fascista, fondato in quell'anno, ottenne 35 deputati alla Camera, un numero ancora inferiore a quello dei socialisti ma sufficiente a segnare la sconfitta dei partiti democratici, tra loro profondamente divisi.

Nell'
ottobre del 1922 Mussolini chiamò a raccolta i suoi uomini e li organizzò in formazioni di carattere militare, a capo delle quali mise un quadrunvirato composto da Italo Balbo, Cesare De Vecchi, Emilio De Bono e Michele Bianchi. Il 27 ottobre del 1922 le camicie nere si raccolsero in diverse parti d'Italia per dirigersi su Roma (marcia su Roma del 28 ottobre) e chiedere le dimissioni del governo presieduto da Luigi Facta. Questi si rivolse al re perché proclamasse lo stato d'assedio e sciogliesse la manifestazione. Ma Vittorio Emanuele III si oppose e affidò a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo. In questo modo, attraverso una sorta di colpo di stato effettuato con il sostegno degli apparati statali, Mussolini andò al governo a capo di una coalizione di liberali e popolari, che simpatizzavano per lui e di cui per altro si liberò poco dopo.
Il passaggio dallo stato parlamentare al regime totalitario avvenne nei quattro anni suc-cessivi. Diverse furono le tappe in questa direzione: nel 1922 la formazione del Gran Consiglio del fascismo, un organismo che raccoglieva i capi del partito e che doveva rappresentare il le-game tra questo e il governo; nel 1923 le leggi che limitavano la libertà di stampa, per mettere a tacere le opposizioni e utilizzare i giornali come strumenti di propaganda; nello stesso anno fu presentata la modifica del sistema elettorale per garantire alla lista governativa la maggioranza dei deputati.
L'ultima prova di forza si compì
con l'assassinio di Giacomo Matteotti, deputato socialista che aveva osato denunciare in un discorso al Parlamento le violenze e i brogli commessi dai fascisti nelle elezioni politiche del 1924. Pochi giorni dopo Matteotti veniva rapito e ucciso da alcuni fa-scisti. Nel paese si levò la richiesta delle dimissioni di Mussolini, mentre la maggioranza dei de-putati antifascisti abbandonò per protesta i lavori del Parlamento (Aventino). Mussolini salì alla tribuna della Camera (3 gennaio 1925) e si assunse la piena responsabilità delle illegalità fa-sciste, dimostrando così di non temere la sfida dell'antifascismo. Contemporaneamente esautorò il Parlamento e proclamò la transizione dallo stato liberale a quello fascista.
I passi successivi comportarono l'allontanamento dal governo prima dei cattolici, poi dei liberali. Con la legislazione antiliberale del 1925-26 fu realizzato lo stato totalitario: furono sciolte le opposizioni, espulsi dalla Camera i deputati antifascisti, vietato lo sciopero, messi al bando i sindacati; fu approvata una nuova legge elettorale che prevedeva una lista unica, governativa; fu introdotta la pena di morte e istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato, incaricato di reprimere ogni forma di dissenso.
Un importante successo fu conseguito dal fascismo nel 1929 con la firma dei Patti latera-nensi, che chiudevano il conflitto tra stato italiano e Chiesa cattolica sorto nel 1870 con la conquista delle terre vaticane, lo stato italiano riconosceva il Vaticano come stato indipendente e la Chiesa otteneva che il cattolicesimo fosse dichiarato religione ufficiale.
La crisi economica, successiva al 1929, indusse il governo a contrapporre misure di difesa della produzione nazionale, all'insegna dell'autarchia. Fu varato un piano di opere pubbliche e di risanamento dell'agricoltura. Nel settore industriale si sperimentarono nuove forme di intervento statale con la fondazione dell'IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), un ente finanziato dallo stato allo scopo di salvare le banche e le industrie che erano sull'orlo del fallimento. Le relazioni sindacali e industriali furono regolate dalle Corporazioni, create nel 1933, alle quali erano obbligatoriamente associate le diverse figure della produzione. La politica sociale del fa-scismo ebbe in quegli anni sviluppi importanti, con le pensioni per gli operai, la settimana di quaranta ore, il sabato festivo, le ferie obbligatorie, il dopolavoro per i dipendenti, l'assistenza alla maternità e all'infanzia.
La politica culturale tentò di orientare gli italiani secondo i valori ritenuti consoni alle tra-dizioni nazionali e fasciste. I giovani venivano addestrati alla disciplina, all'esercizio della forza fisica e al senso dell'obbedienza, attraverso manifestazioni sportive e sfilate simili alle parate militari. Stampa, cinema e radio furono soggetti non solo alla censura passiva, con cui si vietava la circolazione di notizie che potessero danneggiare l'immagine del fascismo, ma anche a un'azione attiva condotta da un apposito organismo burocratico, il Ministero della cultura popo-lare. In politica estera per oltre un decennio Mussolini rispettò gli accordi di pace firmati nel 1919. Nel 1935 si verificò la svolta, con la guerra d'Etiopia, che si concluse nel maggio del 1936, e in seguito alla quale Mussolini proclamò la nascita dell'Impero dell'Africa Orientale Italiana, la cui corona fu assunta da Vittorio Emanuele III. Dopo l'impresa africana il regime fascista si trovò avversato, seppure in forme blande, dalla Società delle Nazioni e contemporaneamente fu attratto nell'orbita tedesca: con Hitler Mussolini firmò un'intesa (l'asse Roma-Berlino) che portò il governo fascista a intervenire nella guerra civile spagnola a fianco dei tedeschi.

L'avvicinamento alla Germania nazista divenne totale nel 1938, anno in cui furono emanate le leggi "per la difesa della razza": gli ebrei italiani si videro messi al bando dalla pubblica am-ministrazione, dalla scuola, dall'esercito. Nello stesso anno fu avviata una campagna di milita-rizzazione, che portò all'invasione dell'Albania.

In
Germania avevamo avuto una veloce ascesa del movimento nazionalsocialista, guidato da Hitler, che trasse forte impulso dallo scontento che si diffuse fra i tedeschi alla fine della prima guerra mondiale; ritenuta la principale responsabile del conflitto, la Germania dovette infatti accettare le vessatorie condizioni del trattato di Versailles, ed entrò in un cupo periodo di de-pressione economica, segnato da un'inarrestabile inflazione e da una vasta disoccupazione. Su questo Hitler costruì la strada che lo portò velocemente a capo della potente nazione tedesca.
L'esito della prima guerra mondiale aveva scontentato, per motivi diversi, tre grandi potenze: la Germania, principale nazione sconfitta, per le perdite territoriali e le altre pesanti condizioni imposte dal trattato di Versailles, l'Italia e il Giappone, che ritenevano insufficiente quanto ot-tenuto a seguito della vittoria conseguita. La seconda guerra mondiale inizia nel 1939 con l'in-vasione della Polonia da parte della Germania nazista. In risposta all'aggressione Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra ai tedeschi e il conflitto si estese presto fino a interessare molti paesi e aree geografiche del pianeta. Più che in qualsiasi altra guerra precedente, il coin-volgimento delle nazioni partecipanti fu totale e l'evento bellico interessò in modo drammati-camenta massiccio anche le popolazioni civili.

Allo scoppio della
seconda guerra mondiale, Mussolini proclamò inizialmente lo stato di non-belligeranza, ma di fronte ai successi di Hitler decise l'intervento a fianco della Germania (10 giugno 1940) nella speranza di conseguirne vantaggi internazionali. Le prime operazioni militari si svolsero in aree marginali del conflitto, ma l'esercito apparve del tutto impreparato a sostenere uno scontro nel quale ovunque contavano i grandi mezzi aeronavali e le dimensioni strategiche intercontinentali. Diverse sconfitte, sia sui fronti balcanico e africano sia in mare, e la disastrosa partecipazione alla campagna di Russia portarono al tracollo militare.
Nel luglio del 1943, gli angloamericani sbarcarono in Sicilia:
il 25 luglio 1943 il re licenziò Mussolini, messo in minoranza nell'ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo, e lo fece ar-restare. L'evento segnò il crollo del fascismo, che però avrebbe fatto un'effimera riapparizione con la Repubblica Sociale Italiana (Repubblica di Salò): fu instaurata per iniziativa dei tedeschi, i quali, liberato Mussolini, lo posero a capo di quel governo le cui sorti seguirono strettamente quelle del Reich tedesco. Gli Alleati, intanto, risalivano la penisola scontrandosi in duri combat-timenti con le forze tedesche; al Nord, gli uomini della Resistenza si battevano contro i fascisti "repubblichini" e i tedeschi. La morte di Mussolini, giustiziato il 28 aprile 1945 dai partigiani, segnò la definitiva scomparsa del fascismo come regime di governo.
La sua conclusione nel 1945 segna l'avvento di un nuovo ordine mondiale incentrato sulle due superpotenze vincitrici, gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica
La seconda guerra mondiale fu la guerra più devastante in quanto a perdite umane e distruzione materiale. Il conflitto, che coinvolse 61 nazioni, provocò la morte di circa 55 mi-lioni di persone, tra militari e civili: l'Unione Sovietica ebbe circa 20 milioni di morti; la Cina 13,5 milioni; la Germania 7,3 milioni; la Polonia 5,5 milioni; il Giappone 2 milioni; la Jugolsavia 1,6 milioni; la Romania 665.000; la Francia 610.000; l'impero britannico 510.000; l'Italia 410.000; l'Ungheria 400.000; la Cecoslovacchia 340.000; gli Stati Uniti 300.000. Gli sviluppi tecnologici e scientifici fecero della guerra un conflitto di una ferocia senza paragoni; la popolazione civile fu coinvolta direttamente nei combattimenti e nelle rappresaglie e fu colpita soprattutto a causa dei bombardamenti aerei. L'evento più grave fu tuttavia la deportazione e lo sterminio di oltre cinque milioni di ebrei nei campi di concentramento nazisti, la cosiddetta "soluzione finale" del "problema" ebraico. Inoltre Hiroshima rappresentava l'inizio di un nuovo incubo, l'incubo nucleare: delle armi che in pochi secondi senza alcuna possibilità di difesa potevano distruggere interi città e uccidere milioni di persone.

Alla
fine della guerra, la situazione mondiale era mutata radicalmente: l'Europa usciva dal conflitto in posizione di dipendenza rispetto alle due potenze vincitrici, Stati Uniti e Unione Sovietica, attorno alle quali nacque un nuovo equilibrio politico mondiale. L'alleanza tra USA e URSS si trasformò nei decenni seguenti in rivalità tra le due potenze, rivalità che si manifestò nella cosiddetta Guerra Fredda.
Questa infatti è un conflitto che dalla seconda metà del 1945 ha visto protagonisti gli Stati Uni-ti d'America e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, usciti dalla seconda guerra mondiale come le due sole superpotenze. Senza sfociare in uno scontro combattuto con le ar-mi, grazie al potere deterrente legato al possesso di un vastissimo arsenale nucleare da parte delle due nazioni contrapposte, il conflitto si è concretizzato in uno stato di continua tensione economica e diplomatica tra gli stati che costituivano i blocchi formatisi attorno a USA e URSS, nonché in una serie di guerre locali combattute soprattutto nel Terzo mondo. La durezza del confronto ha avuto radice nell'inconciliabilità delle ideologie poste alla base dei due sistemi po-litico-economici (capitalista l'uno, comunista l'altro), che ispiravano quindi interessi geopolitici opposti; questo carattere bipolare ha peraltro semplificato il quadro internazionale, congelando molte delle dinamiche di scontro che avevano caratterizzato il precedente sistema, dominato da più potenze, con l'esito paradossale di garantire il più lungo periodo di pace nella storia dell'Europa contemporanea. In questi anni abbiamo una notevole diffusione della radio e del telefono che aprono rispettivamente allo sviluppo dell'informazione e delle comunicazioni.

In I
talia alla fine della seconda guerra mondiale la democrazia fu ripristinata grazie alla vittoria militare degli Alleati e all'impegno dei partiti antifascisti durante la Resistenza. Si ritornò ad un sistema democratico attraverso libere elezioni: il 2 giugno 1946 fu indetto un referendum sulla forma dello stato (monarchia o repubblica). A esso fu associata l'elezione dei rappresentanti all'Assemblea costituente, incaricata di redigere la nuova Costituzione. Le votazioni a suffragio universale (per la prima volta in Italia votavano anche le donne), videro la vittoria della repubblica con il 54% dei voti. Per le rappresentanze all'Assemblea costituente i voti si orientarono verso tre partiti maggiori, le cui origini risalivano al periodo precedente il fasci-smo: la Democrazia cristiana (DC), erede del Partito Popolare di don Sturzo, capeggiata da Al-cide De Gasperi; il Partito Socialista Italiano (PSI) di Unità Proletaria, divenuto in seguito Partito Socialista, guidato da Pietro Nenni; il Partito Comunista Italiano (PCI), espressione della corrente marxista, con segretario Palmiro Togliatti. Questi e altri partiti minori collaborarono alla stesura della Costituzione, che fissò i lineamenti istituzionali dello stato. Intanto i confini nazionali furono ritoccati dalla conferenza di pace per decisione delle quattro potenze vincitrici della guerra: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica. L'Italia perse l'Istria, Fiume, Zara, le isole della Dalmazia e alcuni territori alla frontiera con la Francia, mentre la città di Trieste fu sottoposta a un'amministrazione internazionale.

Per un lungo tratto della sua storia, dal 1
947 al 1994, il sistema politico italiano fu caratteriz-zato da una forte continuità del quadro generale, dovuta al fatto che la DC mantenne una posi-zione centrale partecipando a tutti i governi che via via si succedettero, affiancata da partiti minori suoi alleati: Partito Socialdemocratico (PSDI), sorto per iniziativa di Giuseppe Saragat da una scissione tra le fila socialiste; il Partito Repubblicano (PRI), il cui leader fu Ugo La Malfa; il Partito liberale (PLI), guidato per molti anni da Antonio Malagodi. Dall'esecutivo restarono esclusi i restanti gruppi parlamentari, tanto della destra, costituita dal Partito monarchico (fino al 1972) e dal Movimento Sociale italiano (MSI), partito che si richiamava al fascismo, quanto della sinistra, costituita dai partiti marxisti, il PCI e il PSI, quest'ultimo fino agli Anni Sessanta.

Dal 1948 fino ai primi anni Sessanta, la DC associò al governo i partiti laici minori (PSLI, PSDI, PLI, PRI). Questa formula di governo, detta comunemente centrismo oppure quadriparti-to, fu inaugurata da Alcide De Gasperi, leader democristiano. Sotto i suoi governi l'Italia impostò la ripresa economica favorita dagli aiuti concessi dagli Stati Uniti nell'ambito del Piano Marshall: l'afflusso di capitali e di merci dagli Stati Uniti creò le condizioni per la ricostruzione dell'economia nazionale, avvenuta nell'ambito di un inserimento dell'Italia nel sistema delle re-lazioni internazionali, nello schieramento filoamericano: nel 1949 ci fu l'ingresso nell'Organiz-zazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), nel 1952 l'adesione alla Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA), primo organismo della futura unione economica dell'Europa oc-cidentale, nel 1954 la ratifica dell'accordo italo-iugoslavo che regolava la questione di Trieste, nel 1955 l'ammissione alle Nazioni Unite.
L'equilibrio politico basato sui governi centristi si rivelò difficile da mantenere a causa soprattutto della debolezza dei partiti alleati. Lo si vide con il fallimento della legge elettorale del 1953, una legge maggioritaria definita dall'opposizione "legge truffa", che garantiva un premio di maggioranza alla coalizione che avesse superato il 50% dei voti. Alle elezioni di quell'anno la maggioranza di governo non varcò quella soglia, così che De Gasperi diede le dimissioni. Lo schieramento centrista entrò in una lenta crisi; con il passare del tempo anche all'interno della DC affiorarono posizioni che proponevano un'apertura verso sinistra, al fine di intraprendere una serie di riforme sociali ed economiche e garantire l'esistenza di esecutivi stabili e autorevoli.
L'alleato della DC in questo nuovo assetto politico fu il Partito Socialista, che da qualche tempo aveva accentuato la sua autonomia dal PCI, soprattutto dopo i fatti di Ungheria del 1956 (Rivoluzione ungherese), e che aveva accettato l'ingresso nella NATO. Per queste scelte veniva ormai considerato una forza leale al sistema democratico. L'apertura a sinistra si realizzò a partire dai primi anni Sessanta, per iniziativa dei democristiani Amintore Fanfani e Aldo Moro: dapprima i socialisti entrarono nella maggioranza parlamentare, poi, a partire dal 1963, parteciparono direttamente al governo. Si aprì così la fase del centro-sinistra, termine con il quale si indica una coalizione di governo formata da quattro partiti, DC, PSI, PSDI, PRI, che, con fasi alterne e con qualche intervallo, sarebbe durata oltre un decennio. Essa rappresentò la risposta politica, in termini di riforme e di allargamento del consenso, alle grandi trasformazioni che l'Italia viveva in quegli anni.

Negli anni Cinquanta e Sessanta l'Italia si trasformò da paese agricolo a paese industriale: l'industria fece registrare un rapido sviluppo raggiungendo posizioni d'avanguardia in alcuni settori, quali la siderurgia, la chimica, la produzione di autoveicoli. L'espansione produttiva che venne incentivata dalla crescita dell'industria fu così intensa da far parlare di miracolo econo-mico. Il reddito procapite fu quasi triplicato, mentre la disoccupazione scese a un livello molto basso, intorno al 3% della popolazione. I traguardi raggiunti consentirono all'Italia di inserirsi nel gruppo delle prime dieci potenze industriali del mondo. I cambiamenti economici ebbero immediati riflessi sulle abitudini degli italiani, i cui valori tradizionali, tipici di una società contadi-na, furono sostituiti, soprattutto nelle nuove generazioni, da stili di vita più individualisti, aperti ai consumi e al conseguimento del benessere. Si accentuarono anche alcune debolezze storiche, prima fra tutte il divario tra Nord e Sud. La concentrazione delle grandi fabbriche nelle regioni settentrionali mise in moto un flusso migratorio dal Sud agricolo al Nord industrializzato, che impoverì le regioni meridionali delle risorse umane, senza per altro annullare l'emigrazione verso l'estero.
Del programma politico del centrosinistra furono realizzati solo alcuni punti, quali la riforma della scuola media (unificazione e obbligo fino a 14 anni), la nazionalizzazione dell'energia elet-trica, il sostegno all'economia meridionale con il finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno e con iniziative di industrializzazione, come l'industria automobilistica a Pomigliano e quella pe-trolchimica a Gela.

Riguardo alla Guerra Fredda vediamo che la sua estensione e portata crebbero nel 1949 a seguito dell'esplosione della prima bomba atomica sovietica (che, ponendo fine al monopolio atomico statunitense, diede il via a una continua corsa al riarmo) e del successo in Cina della rivoluzione comunista guidata da Mao; l'immediata alleanza di quest'ultimo con Stalin fece ri-entrare anche l'Estremo Oriente nella scena dello scontro bipolare. Proprio in Estremo Oriente ebbe luogo la crisi più pericolosa del conflitto, quando il regime comunista della Corea del Nord invase la Corea del Sud nell'estate del 1950, dando inizio alla guerra di Corea. Sotto gli auspici delle Nazioni Unite, ma dietro l'effettiva leadership statunitense, una forza d'intervento inter-nazionale frenò l'avanzata nordcoreana ristabilendo il precedente status quo nella penisola a prezzo di un sanguinoso conflitto protrattosi per tre anni.

Alla morte di Stalin nel 1953 seguì un periodo di rallentamento della tensione, durante il quale il quadro generale sembrò stabilizzarsi; nel 1955, mentre la Germania federale entrava a far parte della NATO e le nazioni dell'Europa orientale opponevano a quest'ultima il Patto di Varsa-via, si formava un terzo blocco, quello delle nazioni non-allineate (per la maggior parte appartenenti al cosiddetto Terzo mondo), deciso a non accettare che lo scontro tra USA e URSS condizionasse la realtà di tutto il pianeta.
Una nuova fase di tensione riprese sul finire degli Anni Cinquanta a causa della produzione, da parte di entrambi gli schieramenti, di missili balistici atomici intercontinentali: il muro di Berlino, eretto nel 1961, divenne il simbolo della Guerra Fredda. Nel 1962 sembrò essere im-minente una guerra nucleare, quando l'URSS tentò di schierare alcuni missili a Cuba, sua alleata, in grado di raggiungere il territorio statunitense; di fronte alla minaccia di una rappresaglia ato-mica degli Stati Uniti, Mosca smantellò i missili.
L'esito della crisi cubana dimostrò la possibilità di passare da uno scontro frontale, teso all'e-liminazione dell'avversario, a una "coesistenza competitiva" tra le due superpotenze, le quali d'altra parte stavano assistendo a un progressivo ridimensionamento della rispettiva egemonia: Mosca dovette subìre la rottura dell'alleanza con la Cina di Mao e affrontare la rivolta della Cecoslovacchia, chiaro segno del malessere presente oltrecortina; dal canto loro gli Stati Uniti conobbero nella guerra del Vietnam l'esperienza della sconfitta militare.

Con gli Anni Settanta veniva inaugurata la politica della distensione, con i colloqui SALT (Ne-goziati sulla limitazione delle armi strategiche) intesi sia a rallentare l'ormai costosissima corsa al riarmo, introducendo forme di controllo degli armamenti, sia ad arginare il pericolo di guerre nel Terzo mondo.
Ma questi sono anche gli anni dell'ascesa politica di J.F.Kennedy, della conquista dello spazio, del primo trapianto di cuore e gli anni dei grandi miti. Infatti alla fine degli anni '60 verranno uccisi personaggi come lo stesso Kennedy, Martin Luterking e Che Guevara, persone che ancora oggi sono sinonimi di pace, libertà e uguaglianza. Ma sono anche gli anni dei Beatles che con le loro note accompagnavano le ideologie e le manifestazioni degli
studenti sessantottini.

In Italia tra il 1967 e il 1970 nelle fabbriche del Nord si mise in moto una grande mobili-tazione degli operai, che richiedevano salari più elevati, al passo con la media europea, migliori condizioni di lavoro in fabbrica e di vita nelle città. Nel 1968 esplose la contestazione degli stu-denti, in sintonia con i movimenti pacifisti e le rivolte scoppiate nelle università degli Stati Uniti (dove i giovani avevano protestato duramente contro la guerra nel Vietnam), francesi e tede-sche. Le rivolte studentesche di questi anni sono tra le più cruente, ma ottennero importanti riforme sia scolastiche che sociali. Gli operai, organizzati nei sindacati, riuscirono ad ottenere sia incrementi di reddito sia il riconoscimento dei diritti in fabbrica, sanciti dall'approvazione dello Statuto dei lavoratori (1970), importante strumento per la difesa della dignità e della libertà del lavoratore dipendente. In una situazione di profondo mutamento della società, i governi di cen-tro-sinistra persero vigore, indeboliti sia dalla crescente ostilità manifestata anche in forme antidemocratiche da diverse forze economiche e sociali, sia dai conflitti interni agli stessi partiti della coalizione. Intanto la crescita economica cominciò a rallentare, subendo gli effetti della crisi internazionale: nel 1971 il presidente americano Richard Nixon decretò la fine del sistema monetario mondiale (convertibilità del dollaro); nel 1973 scattò la crisi petrolifera con l'aumento dei prezzi del greggio, che generò nuovi squilibri nella bilancia commerciale di un paese, come l'Italia, in questo settore totalmente dipendente dall'estero. Svalutazione della lira, inflazione a livelli record per l'Europa, con punte sopra il 20% annuo, e caduta della produttività furono i fenomeni con cui dovettero misurarsi le forze politiche e sociali in quel difficile decennio.
A scuotere la convivenza civile intervenne una lunga sequenza di attentati terroristici, com-piuti anonimamente, con esplosioni di ordigni in luoghi pubblici, che furono causa di centinaia di morti. Il primo atto terroristico avvenne a Milano nel 1969 (bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura); seguirono poi gli attentati di Brescia (1974), durante una manifestazione sin-dacale, e della stazione di Bologna (1980), con 92 vittime, sul treno Milano-Napoli (1984), solo per ricordare gli attentati di maggiore violenza. Le effettive responsabilità di chi mise le bombe e di chi ordinò di metterle non sono state completamente chiarite dalla magistratura. Secondo quanto le indagini riuscirono ad accertare e secondo alcune sentenze definitive, si capì che gli attentati erano opera di gruppi di estrema destra, con connivenze nei servizi di sicurezza deviati e con riferimenti in associazioni segrete, uniti dall'obiettivo di destabilizzare il paese e di in-nescare una svolta autoritaria.

Dalla metà degli anni Settanta il terrorismo praticato in Italia non fu solo quello di destra; si formarono gruppi clandestini di terroristi di sinistra (le Brigate Rosse e altre formazioni ana-loghe), che inizialmente effettuarono sequestri di persona e ben presto passarono ad attentati veri e propri, con ferimenti e omicidi di magistrati, uomini politici, poliziotti, giornalisti, professori universitari e sindacalisti. Loro scopo era di mettere in crisi lo stato democratico per provocare una rivoluzione anticapitalista.
Il rallentamento dello sviluppo economico, l'emergere di oscure trame reazionarie e soprattutto l'avanzata, nelle elezioni politiche del 1976, del maggiore partito di opposizione, il PCI, de-terminarono la crisi del centro-sinistra. Si aprì allora una nuova fase nella storia dell'Italia re-pubblicana, caratterizzata dal cosiddetto Compromesso Storico, in base al quale la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, due forze che avevano un retroterra ideologico contrapposto, collaborarono tra loro per garantire stabilità di governo e coesione nazionale in un momento delicato. Sul piano concreto, il compromesso storico si tradusse in un accordo parlamentare tra la maggioranza e l'opposizione per la formazione di due governi a guida democristiana (presi-dente del Consiglio fu Giulio Andreotti), definiti di Solidarietà Nazionale, che si ressero il primo, nel 1976, sull'astensione dei comunisti e dei socialisti, il secondo, nel 1978 sull'appoggio esterno (senza ministri) del PCI e di altri partiti. Il democristiano Aldo Moro fu il sostenitore di questa svolta, voluta altresì dal segretario comunista Enrico Berlinguer.
Nel 1978 le Brigate Rosse organizzarono il rapimento e l'assassinio di Moro. L'episodio segnò l'inizio della crisi del terrorismo, favorita da una più efficace azione repressiva svolta da polizia e carabinieri che, servendosi anche delle confessioni di terroristi pentiti, riuscirono a smantellare le organizzazioni clandestine armate. Ma la vicenda del sequestro di Moro segnò anche la fine della solidarietà nazionale: ritornò al governo una coalizione di centro-sinistra che, dopo il 1981, si allargò anche al PLI. Il centro-sinistra, nella nuova versione di pentapartito, rimase al potere per oltre un decennio, ma propose allo stesso tempo un'ipotesi di superamento dell'egemonia democristiana. Per la prima volta nella storia della repubblica la presidenza del governo fu assunta da esponenti politici non appartenenti alla DC. Capo del governo diventò, nel 1981, il repubblicano Giovanni Spadolini; seguirono, tra il 1983 e il 1987, due governi diretti da Bettino Craxi, segretario del Partito Socialista, nel corso dei quali si registrò una breve ripresa econo-mica dopo un decennio di difficoltà. A livello mondiale possiamo registrare le ultime fasi della guerra fredda infatti la situazione peggiorò con l'invasione sovietica dell'Afghanistan nel 1980 e l'imposizione della legge marziale in Polonia nel 1981 per stroncare i moti di protesta guidati dal movimento democratico di Solidarnosc; il governo USA decise dapprima di non ratificare il trattato SALT II, quindi, sotto la presidenza di Ronald Reagan, di rilanciare drasticamente la competizione nucleare, dando seguito al costosissimo progetto dello Scudo di Difesa Spaziale, nonché di incrementare il sostegno ai movimenti di resistenza ai regimi comunisti in America latina, Asia e Africa.

Nel 1985 Michail Gorbaciov, esponente di una nuova generazione di leader politici, giunse al potere in Unione Sovietica; lanciando le parole d'ordine glasnost (apertura e trasparenza) e perestroika (ristrutturazione), Gorbaciov si accinse a riformare radicalmente il sistema sovietico, per porre fine alla lunga contesa con l'Occidente, i cui costi erano divenuti per Mosca ormai insostenibili. Conseguenza diretta di ciò fu il crollo delle tensioni tra Est e Ovest (sottoscrizione di nuovi accordi sul disarmo nucleare e convenzionale), e, nel blocco orientale, il ridimensionamento dell'egemonia sovietica.
La caduta del muro di Berlino nel novembre del 1989 e il successivo sfaldarsi dell'intero blocco comunista, la riunificazione della Germania nel 1990, il collasso e la scomparsa dell'URSS nel 1991 furono le principali tappe che posero fine alla Guerra Fredda. Sembrarono maturati i tempi per l'instaurarsi di un nuovo "ordine mondiale", ma questa prospettiva venne immediatamente smentita dal consumarsi di crisi quali la guerra del Golfo o il conflitto nella ex Iugoslavia, che hanno allungato molte ombre sulla futura fisionomia della realtà internazionale. La di-visione fisica del "muro", agli inizi del Terzo Millennio, viene sostituita delle divisioni nord/sud (si è sempre a sud di qualcuno), religiose nei vari fondamentalismi, economiche globali/locali o new, ecc.

I
n Italia intanto, nel corso degli anni Ottanta, una delle novità più importanti fu l'affermazione nelle consultazioni elettorali di nuovi gruppi estranei ai partiti tradizionali: il Partito radicale, gli ambientalisti (i Verdi) e le leghe regionali, attive in Lombardia e in altre regioni del Nord. Nella coscienza degli italiani cresceva intanto il rifiuto per le forme di involuzione che stavano coinvolgendo i partiti tradizionali e che si manifestavano in modi diversi: dalla concessione di privilegi di varia natura in cambio di voti (clientelismo) all'intreccio politica-affari, che aveva assunto nel tempo proporzioni sempre più ampie, e al dilagare dell'illegalità.

A
gli inizi degli anni Novanta il quadro politico italiano, rimasto pressoché immobile per quasi cinquant'anni, subì una serie di profondi sconvolgimenti che parvero segnare il tramonto della prima repubblica. La crisi del comunismo sovietico alla fine degli anni Ottanta e il conseguente crollo dei regimi comunisti nell'Europa dell'Est ebbero una ripercussione immediata in Italia. Il PCI, che già da qualche tempo aveva avviato un processo di revisione ideologica, si sciolse dando vita a una nuova formazione politica di orientamento socialdemocratico, mutando il nome in Partito Democratico della Sinistra (PDS), ma subendo la scissione di una minoranza, che si chiamò Partito della Rifondazione Comunista.


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