Eduardo Ambrosio


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IL PENSIERO FILOSOFICO

FILOSOFIA

IL PENSIERO FILOSOFICO
Nascita, evoluzione, pratica (allenamento) ed utilità (insegnamento).


Hegel riteneva il pensiero nomadico che, nato nelle remote distese asiatiche, approdava dopo millenni in Europa, e in particolare nella Germania del XIX secolo:<<La storia del mondo va da Oriente ad Occidente, l'Europa infatti è la fine della storia del mondo, così come l'Asia ne è il principio... Qui nasce il sole esteriore, fisico, che tramonta a Occidente; ma qui nasce anche il sole interiore dell'autocoscienza>>.
Correggendo in qualche modo Hegel,
Max Weber affermò che non c'è nulla che non sia stato pensato, sotto qualche forma, in Asia. Qui, nella parte meridionale, si sviluppò intorno al V secolo a. C. un pensiero filosofico senza l'ausilio della scrittura: si trattava per lo più di versi della dottrina Yoga che contenevano riflessioni astratte e complesse, facilmente memorizzabili. Soltanto in seguito i sutrani (il nome che presero questi componimenti orali) furono messi per iscritto. Ma è in Africa, secondo Holenstein, che il pensiero filosofico, sotto forma di letteratura sapienziale, sarebbe nato. In alcune zone del Kemet (l'odierno Egitto), più di tremila anni fa, vennero elaborate le prime massime etiche fondate non tanto su un ordine etico o religioso quanto filosofico.
Si mette così in discussione l'idea che la filosofia sia nata in Grecia come passaggio dal Mito al Logos. I Presocratici, Platone, Aristotele avrebbero dunque degli antecedenti (o dei contemporanei) in altre parti del globo. Ma perché alla fine è il modello ellenico a prendere il sopravvento? La risposta è tutta iscritta nel destino che l'Europa svolgerà nel millennio successivo. Certo anche la cultura filosofica non sarà estranea alle contaminazioni. Già con le conquiste di Alessandro il pensiero ellenico si apre al contributo asiatico (sciamanico e religioso) e in seguito tutta la tradizione greca troverà un appoggio fondamentale in quegli scrittori arabi (soprattutto medici e matematici) che si faranno carico di tradurre e conservare le opere filosofiche più importanti: uno dei pilastri della cultura occidentale (Aristotele) è stato salvato e arricchito da quel pensiero islamico che vide nei nomi di Al Farabi, Al Ghazali, Avicenna, Averroè i protagonisti di una storia che seppe illuminare i secoli bui dell'Europa.
La filosofia ha viaggiato nel mondo, spostandosi a volte da un continente all'altro. Come i venti e le correnti, così il pensiero non conosce veri confini.
Cercando di sciogliere i ghiacci della metafisica occidentale per diluirli nei mari dei valori interculturali, ci si augura un sano confrondo culturale in quanto si può giungere ad uno stesso grado di consapevolezza della verità seguendo metodi differenti: è giusto affermare che niente è così centrico e autoreferenziale da pretendere di escludere ciò che nel resto del mondo è stato pensato.
Il mondo descritto da Tolomeo su un piano orizzontale determinò - molto prima che pensiero occidentale tra Cinque e Seicento (la rivoluzione scientifica e Cartesio) si appropria di ciò che fino a quel momento era stato di dominio divino, cioè il mondo, e ne fa una rappresentazione sia scientifica che filosofica: l'astratto prevale sul concreto, l'universale prevale sul dettaglio - il sistema delle coordinate (latitudine e longitudine) e lo spazio moderno e, nonostante Copernico e Keplero, noi continuiamo ad avere una percezione tolemaica del mondo. La Terra anche se scientificamente non è più al centro del nostro Universo continua ad esserlo di fatto (filosoficamente). E per secoli l'Europa ne rappresentò idealmente il cardine. Almeno fino a quando Nietzsche vide nel vecchio continente un malato incurabile.

La
filosofia è l'allenamento (pratica) per migliorare lo stratificato essere umano (Freud raffigura l'anima come un regione su tre piani: nel solaio, al primo piano, abita il super-io; nel pianoterra c'è l'io; nello scantinato c'è l'es) volto ad una tensione verticale: l'uomo sente una tensione verso l'alto, una competizione a essere migliore rispetto ai propri simili e a sé stesso. I primi a incarnare questo modello, in Occidente, sono stati gli atleti, poi si è generalizzato ed è diventato un'ambizione di vita che ha formato il nucleo della concezione filosofica della paideia, l'educazione: una sorta di democratizzazione delle pretese atletiche (Platone conia philo-sofia sul modello più antico di philo-timia, che designava la virtù degli atleti a lottare per amore della gloria). Nel cristianesimo, i primi monaci orientali erano denominati gli atleti di Cristo, e vivevano nell'asketeria, cioè luogo di allenamento, poi monastero: i primi cristiani si allenavano a imitare Cristo, l'essere umano che ha raggiunto la cima della autoperfezione divenendo il figlio di Dio, sviluppando la facoltà di vincere la morte e realizzare così l'ascensione verso il cielo. In questo senso la verticalità è l'idea più radicale della nostra storia: imitare il Cristo è partecipare ad un gigantesco esercizio di antigravitazione (arte di cui erano discepoli i primi cristiani) umana. Insomma una naturalizzazione del concetto di religione, quale primo sistema immunitario dei gruppi umani, in funzione della salvezza, a sua volta frutto di un'attività permanente, uno sforzo continuo di solidarizzazione collettiva; solo così, con l'allenamento, ci si può immunizzare contro la paura della morte e della dannazione eterna.
Il
potenziale umano (frutto di pratiche ed esercizi) rappresenta la antropotecnica, che nasce nella sfera politica durante la rivoluzione russa, dove Trotsky voleva creare un'umanità con un livello medio più alto: l'idea del superuomo asservita all'ideologia rivoluzionaria. L'ideologia cattolica, invece, predicando la modestia - l'uomo è così com'è; anzi, meglio che vi rimanga più a lungo possibile - prospetta un atletismo piatto, uno sport di massa senza vere ambizioni, annullando, così, antigravitazione e tensione verticale dell'età classica.

Si possiede veramente una conoscenza solo quando si è in grado di trasmetterla ad altri, non come un postino, ma spiegandola. Hermes, il messaggero degli dèi, non era un sapiente, perché si limitava a consegnare agli uomini i messaggi degli divini, senza capirli.
La differenza tra il sapere (umanistico o scientifico) e la magia consiste nel fatto che il primo può essere divulgato, la seconda no. Sia perché non avrebbe senso spiegare in parole povere cosa vuol dire "abracadabra", sia perché per i maghi è necessaria la non chiarezza.
Le condizioni di sopravvivenza di una scienza necessitano della divulgazione del sapere, ancora più profondamente dalle lotta contro l'esoterismo, per cui il sapere ha bisogno di essere scritto per poter creare quel processo di accumulo, e di progresso, senza il quale non si ha la scienza. Ma, soprattutto, deve essere compreso, e compreso da un numero sufficiente di persone, altrimenti sulla scienza graverebbe sempre il rischio di scomparsa, o della mistificazione, o della perdita di senso.
Il sapere, dunque, deve essere, almeno idealmente, per tutti.
Fra tutti i saperi ce ne è uno, la filosofia, che, con il manifesto caratteristico istinto enciclopedico, si qualifica come una sorta di "sapere di tutto". Da qui il nuovo genere "dizionario filosofico" che, partendo da un caso, aiuta a trovare il concetto nascosto, forse ancora inespresso: un gioco molto serio e creativo [in filosofia come nelle scienze si può giocare con i concetti senza banalizzarli], che, per Umberto Eco, è la divulgazione creativa (un'arte da Platone in poi).


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