Eduardo Ambrosio


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CONCILIO, ENCICLICHE

CULTURE E RELIGIONI

LA POSIZIONE DELLA CHIESA

CONCILIO, ENCICLICHE

Gli ultimi anni del papato di Pio IX, dopo la pubblicazione del Sillabo, avevano creato fra la Chiesa e il mondo moderno (italiano) una grave frattura. Molti fedeli non trovavano più nelle parole della Chiesa una risposta ai loro problemi di uomini vivi nel loro tempo: per di più il controllo tradizionale che le gerarchie ecclesiastiche esercitavano sulle masse popolari, specie contadine, stava subendo la preoccupante concorrenza della propaganda socialista.
In questa situazione il nuovo papa
Leone XIII (1878-1903) concentrò la sua azione verso un programma di riconquista dell'intera società al cattolicesimo. In un simile prospettiva la Santa Sede non poteva sottrarsi al compito di definire il proprio atteggiamento di fronte alla questione sociale, che è infatti il tema della famosa enciclica :

Rerum Novarum (1891)
La posizione di questo documento è diametralmente opposta a quella del Sillabo, come appare dai passi che riportiamo, in cui è contenuto il nucleo del pensiero papale. Secondo Leone XIII lo sviluppo della società moderna crea contrasti sociali che debbono essere risolti tramite un'armonica e pacifica trattativa fra le classi, consapevoli dei diritti e dei doveri reciproci. I lavoratori debbono rispettare la proprietà privata, che è un <<diritto di natura>>; i proprietari devono garantire ad essi un salario non inferiore <<al sostentamento dell'operaio>>. Un salario minore imposto all'operaio è una violenza <<contro la quale la giustizia protesta>>. Poiché situazioni di tal genere sono diffuse, è bene che gli operai uniscano le loro forze, formino cioè delle associazioni, <<per sottrarsi... da sì ingiusta e intollerabile oppressione>>.
In tal modo il documento pontificio, che raccomandava la formazione di associazioni operaie e contadine <<di spirito cristiano>>, incoraggiò e promosse lo sviluppo di leghe (le cosiddette leghe bianche) e di cooperative cattoliche che, in Italia e in altri pesi europei, ebbero un certo peso nella lotta del proletariato per l'innalzamento del suo livello di vita. In Italia, benché Leone XIII riconfermasse il non expedit, cioè la proibizione ai cattolici di partecipare alla vita politica, queste associazioni operaie e contadine solleveranno ben presto il problema della formazione di un partito politico dei cattolici.
Rispetto alle forze ideologiche dominanti in quel periodo in Europa, il liberalismo e il socialismo, la Rerum Novarum assunse una posizione autonoma, riconoscendo il diritto naturale alla proprietà privata e condannando le idee socialiste come contrarie <<allo spirito cristiano e al bene pubblico>>. Il documento pontificio sembra dare una giustificazione religiosa alle basi della società capitalista. D'altra parte, di fronte alla concezione liberale secondo cui non si deve limitare in nessun modo la proprietà privata, il papa rammenta che ogni istituzione ha un limite nel <<bene comune e negli altrui diritti>>. Inoltre, di fronte al principio della economia liberale che fa dipendere l'ammontare del salario dal <<libero consenso delle parti>>, e cioè dalla legge della domanda e dell'offerta (secondo la quale, se la quantità di lavoro offerto sul mercato è più alta della richiesta, i salari diminuiscono e viceversa), il papa afferma che si deve assicurare al lavoratore un <<giusto salario>>.
Infine, mentre i liberali sostengono che lo stato non deve intervenire nella vita economica, Leone XIII ritiene che tale intervento sia legittimo <<a tutela di tutti>> e quindi anche dei proletari, anzi <<con speciale riguardo ai deboli>>.
La Rerum Novarum rimarrà il testo fondamentale del pensiero sociale della Chiesa fino ai giorni nostri.

Quadrigesimo anno (1931).
Con questa enciclica Pio XI celebra il 40° anniversario della Rerum novarum e riprende la questione sociale per precisarne i termini attuali ed aggiungere qualche aggiornamento. Per quanto riguarda la proprietà, bisogna guardarsi dai due estremismi, l'"individualismo" e il "collettivismo", e riconoscere il "suo duplice carattere, individuale e sociale>>. Lo Stato non può sopprimere "il diritto naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei propri beni ", "ma semplicemente temperarne l'uso e armonizzarlo col bene comune".
Sui rapporti tra capitale e lavoro, Pio XI ribadisce l'affermazione del suo predecessore ("Non può sussistere capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale") e dichiara "affatto ingiusto che l'uno arroghi a se quel che si fa, negando l'efficacia dell'altro". La ripartizione dei frutti deve essere fatta in modo che "si serbi integro il bene comune dell'intera società. Per questa legge di giustizia sociale < non può una classe escludere l'altra dalla partecipazione degli utili>. Ne discende l'opportunità di temperare il contratto di lavoro col contratto di società. "Così gli operai diventano cointeressati o nella proprietà o nell'amministrazione, e compartecipi in certa misura dei lucri percepiti". La donna, il cui primo dovere è la cura dei figli, non deve essere costretta, per la scarsità del salario del marito, a lavorare fuori di casa. Perciò il pontefice auspica dalle riforme salariali "quelle mutazioni che assicurino a ogni operaio adulto" salari sufficienti (1, 73).
È necessaria comunque una "restaurazione dell'ordine sociale", che si può ottenere in primo luogo mettendo fine alle competizioni delle due classi opposte e facendo ricorso equilibratamente alle corporazioni. È necessario comprendere che "il retto ordine dell'economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze", sostiene ancora il pontefice, in polemica con i principi del liberismo e invocando dall'autorità pubblica dei correttivi all'eccessivo accumulo di potere economico in poche mani. Nel chiedere un rinnovamento dei costumi, deplora che sia nata una scienza economica separata dalla legge morale", e invoca una " cristianizzazione della vita economica".

Mater et magistra (1961).
Questa enciclica venne emanata da Giovanni XXIII nel 70° anniversario della Rerum novarum, a segnare la continuità degli sviluppi della dottrina sociale, ma si distingue per uno stile più semplice e diretto e per una più vasta comunicabilità, in sintonia con la portata mondiale dei problemi che vengono presi in esame.
Il pontefice, allontanandosi dalla tradizionale ispirazione autoritaria dei precedenti concili, andò incontro alle aspirazioni e ai fermenti innovatori presenti in una parte del cattolicesimo e fino ad allora osteggiati dalla Curia romana indicendo nel 1959 il


Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-65).

Il Concilio, orientato personalmente da Givanni XXIII, diede inizio ad una positiva fase di rinnovamento della Chiesa cattolica, aprendosi a molti valori essenziali del mondo moderno; sigificativa a tal proposito appare la dichiarazione a favore della libertà religiosa di tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro fede politica (dialogo con tutti i cristiani e con tutti i credenti).
Il Concilio, lascia una traccia profonda nella vita della Chiesa, riprende la questione sociale ribadendo un concetto che troverà spazio anche nella riflessione di alcuni economisti che non è lecito pensare e praticare l'economia al di fuori di ogni criterio morale, perché il prezzo di tale spregiudicatezza è altissimo: la dignità umana.
L'imposizione della l
egge del più forte sconvolge la vita economica, offende giustizia ed equità minaccia la famiglia, impedisce l'affermarsi di quella solidarietà umana all'interno degli stati e fra le nazioni, che sola può consentire l'edificazione' di un mondo più giusto e pacifico Al contrario, sostiene il pontefice, "ci si deve adoperare per dar vita ad un ordinamento giuridico interno e internazionale […] ispirato alla giustizia sociale, a cui l'economia si conformi", come già Pio XI chiedeva (I,27).
Queste aperture della Chiesa porteranno alla cosiddetta "teologia della liberazione", dove alcuni teologi, sostenendo che le rivoluzioni possono essere pacifiche se le oligarchie dei ricchi non impiegano la violenza, attaccano il sistema capitalistico e guardano con simpatia ai movimenti rivoluzionari.
L'enciclica riprende poi con accenti enfatici il problema del salario (II, 55) e invita a maturare "Una concezione umana dell'impresa deve senza dubbio salvaguardare l'autorità e la necessaria efficienza della unità di direzione; ma non può ridurre i suoi collaboratori di ogni giorno al rango di semplici, silenziosi esecutori, senza alcuna possibilità di far valere la loro esperienza, interamente passivi nei riguardi di decisioni che dirigono la loro attività" (II, 79). Ma è anche opportuno "che la voce dei lavoratori abbia possibilità di farsi sentire ed ascoltare oltre l'ambito dei singoli organismi produttivi e a tutti i livelli" (II, 84).
Il pontefice indica il problema più grave dell'epoca moderna nei rapporti tra i paesi sviluppati e quelli sottosviluppati, ripropone parole già pronunciate ("
Noi siamo tutti solidalmente responsabili delle popolazioni sottoalimentate") e mette peraltro in .guardia contro la "tentazione" che i primi, col pretesto di fornire aiuti economici ai secondi, cerchino di "attuare piani di predominio", "in tal caso si tratta di una nuova forma di colonialismo" (III, 159).
Nella IV parte il pontefice, rilevando c
he la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita, chiede che essa sia diffusa capillarmente attraverso i seminari e le scuole cattoliche e che i fedeli siano educati a non fermarsi all'enunciazione di essa, bensì a tradurla "in termini concreti nella realtà" (IV, 209).
Infine, richiamandosi al radiomessaggio natalizio del 1953 di Pio XII, segnala "un grave pericolo": "il pontefice Pio XII a ragione afferma che
la nostra epoca si contraddistingue per un netto contrasto fra l'immenso progresso scientifico - tecnico ed un pauroso regresso umano, consistendo "il suo mostruoso capolavoro nel trasformare l'uomo in un gigante del mondo fisico a spese del suo 'spirito ridotto a pigmeo nel mondo soprannaturale ed eterno" (IV 224).

Pacem in terris (l963)
Con la Pacem in terris Giovanni XXIII caratterizza ancor più decisamente il proprio pontificato, spingendo i fedeli ad andare oltre le vecchie formule e le nozioni conformistiche e a riflettere sulla portata e la gravità dei problemi che concernono oggi l'esistenza dei singoli e la vita dei popoli nella loro interdipendenza. Perciò egli richiama distintamente i diritti umani sottolinea il nesso indissolubile che in ogni essere umano li stringe ai doveri e ribadisce il concetto "che tutti gli uomini sono uguali per dignità naturale" al dl là di ogni differenza di razza.
Per quanto riguarda i poteri pubblici, sostiene che è loro dovere contribuire "alla creazione di un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso possibile e facilitato l'effettivo esercizio degli accennati diritti, come pure l'adempimento dei rispettivi doveri" (II,38) I poteri pubblici devono inoltre adoperarsi "perché allo sviluppo economico si adegui il progresso sociale", perché siano sviluppati i servizi, compresi l'assistenza sanitaria, l'istruzione e sistemi assicurativi, in modo che anche nelle congiunture difficili "ad ogni essere umano non vengano meno i mezzi necessari ad un tenore di vita dignitoso" (II, 39).
Nella parte III, dedicata ai rapporti fra le comunità politiche, il pontefice pone l'accento sulla necessità che vengano applicati a tutti i livelli, le regole dettami della morale, della giustizia, della solidarietà:
1) anche i rapporti politici, non diversamente da quelli fra gli individui, sono regolati dalla legge morale e di conseguenza gli uomini preposti al governo "della cosa pubblica" non possono usare l'autorità contro l'ordine morale ("l'autorità è un'esigenza dell'ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere tale");
2) i rapporti politici vanno liberati da ogni traccia di razzismo, debbono muoversi sul piano della giustizia (non è lecito alle comunità "sviluppare se stesse comprimendo od opprimendo le altre"( III, 51), non debbono calpestare i diritti delle minoranze, e debbono piuttosto essere "vivificati dall'operante solidarietà attraverso le mille forme di collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria, sportiva: forme possibili e feconde nella presente epoca storica" (III, 54);
3) ai profughi politici vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla persona; 4) i pericoli di una nuova guerra impongono non solo che venga arrestata la corsa agli armamenti, ma che si proceda ad un "disarmo integrale": il che comporta "che al criterio della pace che si regge sull'equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia" (III, 61).
La parte IV dell'enciclica è dedicata ai "rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale". Il pontefice, rilevando l'"insufficienza dell'attuale organizzazione dell'autorità pubblica nei confronti del bene comune universale" cioè del bene comune "dell'intera famiglia umana" (giacché questo viene assumendo contenuti nuovi "nell'evolversi storico della convivenza"), auspica che vengano istituiti poteri pubblici "che siano in grado di operare in modo efficiente sul piano mondiale" e si propongano "come obiettivo fondamentale il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona". Viene a questo punto ricordata la costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e viene esaltato il valore ideale della "Dichiarazione .universale dei diritti dell'uomo" nell'auspicio che l'ONU "si adegui sempre più alla vastità e nobiltà dei suoi compiti"
Di particolare rilievo è la parte V dell'enciclica "Richiami pastorali ", dedicata all'impegno dei fedeli nella vita pubblica, alla necessità di una costante vigilanza su se stessi per "non adagiarsi soddisfatti in obiettivi già raggiunti " e operare perché tutte le istituzioni e gli organismi produttivi si adeguino alle prospettive dell'era atomica e delle conquiste spaziali. È a questo punto che il pontefice affronta il problema delicato della liceità della collaborazione in campo economico -sociale - politico fra cattolici e non cattolici. In primo luogo, sottolinea una distinzione fondamentale nei riguardi di coloro che. seguono dottrine .ritenute erronee dalla Chiesa, affermando che non si deve mai <<confondere l'errore con l'errante, anche quando si tratta di errore e di conoscenza inadeguata della verità' in campo. morale è religioso. L'errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità>> In secondo luogo, sostiene che bisogna distinguere fra le "false dottrine filosofiche" e i movimenti originati da quelle dottrine, i quali si modificano sensibilmente in relazione alle situazioni storiche. "Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?"; Infine, di conseguenza apre la via alla collaborazione dei cattolici con i non cattolici: "Pertanto, può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo oggi invece lo sia o lo possa divenire domani".

Populorum progressio (1967).
Questa è l'enciclica che esprime nel modo più drammatico la coscienza della gravità del problema fondamentale del nostro tempo a livello mondiale, il problema dello "sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame". Si tratta di un problema di cui purtroppo neppure oggi, a più di trent'anni da questa enciclica, il mondo economicamente sviluppato - proprio a causa del benessere di cui gode riesce a cogliere la dimensione planetaria; un problema che riguarda già oggi non solo le popolazioni che hanno dinanzi lo spettro della morte per fame o peggio di una vita strozzata dalle malattie, dall'ignoranza, dallo sfruttamento, ma anche i paesi del benessere, sia per i gravi rischi di guerra che esso genera, sia per la pressione sempre più forte che le popolazioni del sottosviluppo dovranno pure esercitare sul mondo sviluppato. Non a caso Paolo VI conclude l'enciclica con accenti accorati: " Perché se lo sviluppo è il nuovo nome della pace chi non vorrebbe cooperarvi con tutte le forze? Noi vi invitiamo a rispondere al nostro grido di angoscia, nel nome del Signore".
L'appello di Paolo VI - ispirato alla drammatica condizione dei popoli della fame, della quale ha avuto anche una visione diretta nel corso dei viaggi in America Latina (1960) e in Africa (1962); che ha portato dinanzi all'Assemblea generale delle Nazioni Unite facendosi "l'avvocato dei Popoli poveri"; e che gli ha consigliato di creare una apposita Commissione pontificia, "Giustizia e Pace" - è rivolto ai cattolici, ai fratelli cristiani e agli uomini di buona volontà, perché tutti 'si impegnino <per lo sviluppo integrale dell'uomo e lo sviluppo solidale dell'umanità >>.
Il pontefice fa rilevare:
1) che aumenta lo squilibrio fra i popoli ricchi e quelli poveri;
2) che l'impatto tra la civiltà industriale e le vecchie strutture del Terzo Mondo si risolve per lo più nella rottura di queste ultime con conseguente disarticolazione delle comunità;
3) che il vero sviluppo, per tutti e per ciascuno, consiste in una crescita autonoma, nel passaggio da condizioni meno umane, (nel significato integrale dell'aggettivo) a condizioni più umane.
Di conseguenza, l'enciclica:
1) sottolinea i limiti del diritto di proprietà (I, .23), riconoscendo la necessità, dell'espropriazione quando la proprietà è "di ostacolo alla prosperità collettiva";
2) respinge l'ideologia che fa del profitto il motivo essenziale del progresso economico e che ha portato (secondo l'espressione della Quadragesimo anno) all' "imperialismo internazionale del denaro>>, e ricorda ancora una volta che l'economia è al servizio dell'uomo" (I, 26);
3) mette in guardia dai rischio che l'organizzazione scientifica del lavoro disumanizzi il suo esecutore;
4) riconosce l'esistenza di situazioni "la cui ingiustizia grida verso il cielo", per cui "grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana" (I, 30);
5) scartando l'ipotesi rivoluzionaria, che sarebbe "fonte di nuove ingiustizie", sostiene l'urgente necessità di riforme ,("la situazione presente deve essere affrontata coraggiosamente e le ingiustizie che essa comporta, combattute e vinte. Lo sviluppo esige delle trasformazioni audaci, profondamente innovatrici. Riforme urgenti devono essere intraprese senza indugio");
6) avverte però che .,"non basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare.
Coloro che sono sulla via dello sviluppo devono imparare dagli errori di coloro che hanno sperimentato prima tale strada quali sono i pericoli da evitare in questo campo. Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all'uomo ch'esse devono servire" (I,34); 7) riconosce che "troppo spesso una crescita demografica accelerata aggiunge nuove difficoltà ai problemi dello sviluppo" (I, 37); La parte II pone al centro il concetto di solidarietà attiva e di collaborazione a livello mondiale come unica efficace garanzia per uno sviluppo equilibrato di tutti e per il mantenimento della pace fra i popoli.

Laborem exercens (1981).
Questa enciclica, emanata da Giovanni Paolo II nel 90° anniversario della Rerum novarum è dedicata al posto che occupa il lavoro nella vita umana.

Centesimus annus (1°maggio 1991).
Con questa enciclica Giovanni Paolo II ha voluto celebrare solennemente, i cento anni trascorsi dopo la Rerum novarum; e. sviluppare ulteriormente la dottrina sociale della Chiesa, alla luce delle esperienze storiche di portata mondiale vissute dall'umanità in questo periodo. In essa si trova una puntuale rilettura e valorizzazione della Rerum novarum vista nella sua novità e tempestività nei confronti della realtà politica e sociale cui si riferiva, e una analisi accurata dei problemi più gravi dinanzi a cui si trovano a livello planetario gli uomini del nostro tempo.
Per quanto riguarda l'enciclica di Leone XIII, il nuovo pontefice ne esalta il valore, sia per essere intervenuta in merito al "conflitto tra capitale e lavoro", ponendosi come prima enciclica sociale, sia per aver sottolineato il valore insostituibile della giustizia ("la pace si edifica sul fondamento della giustizia >> sia per aver difeso la dignità inalienabile della persona ( La chiave di lettura del testo leoniano è la dignità del lavoratore"), sia per aver dato importanti indicazioni sulle cure che lo Stato deve ai cittadini, con particolare riguardo ai più deboli e bisognosi di aiuto, sia infine per essere stata la prima enciclica sui poveri: "L'Enciclica sulla "questione operaia", dunque, è un'Enciclica sui poveri e sulla terribile condizione, alla quale il nuovo e non di rado violento processo di industrializzazione aveva ridotto grandi moltitudini, Anche oggi, in gran pane del mondo, simili processi di trasformazione economica, sociale e politica producono i medesimi mali>>(I,11).
Una lungimiranza particolarmente significativa la nuova enciclica ravvisa nel giudizio espresso da Leone XIII nei confronti dell'ordinamento della società proposto dal socialismo, i cui errori sono poi emersi in tutta la loro drammaticità nel 1989, con il crollo dei i regimi del "socialismo reale". Tali errori - sostiene papa Woytila - consistono essenzialmente nell'aver ridotto l'uomo "ad una serie di relazioni sociali", nel non aver riconosciuto la dignità e responsabilità dell'individuo "come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l'ordine sociale", e nell'avere scelto. come strumento d'azione la <<lotta di classe>>, che il pontefice accosta alla dottrina della guerra totale in campo internazionale e all'adozione del <<principio della forza su quello della ragione e del diritto". Naturalmente alla base di questi errori per il pontefice sta la scelta dell'ateismo da parte dei i marxisti, lì crollo dei regimi dell'Est comporta necessariamente dei riflessi che vanno ben al di là dei paesi direttamente interessati e riguardano sia la Chiesa, che in questa occasione ha attuato un pieno incontro con il movimento operaio in precedenza egemonizzato dalla tendenza socialista (l'allusione è al movimento di Solidarnosc in Polonia), sia i paesi sviluppati dell'Occidente, che dovranno sostenere concretamente nell'interesse comune le trasformazioni economiche e politiche dei paesi ex-comunisti, sia il Terzo Mondo, dove il modello ora abbandonato era stato variamente adattato a diverse situazioni locali.
L'enciclica poi, rifacendosi anche a precedenti documenti del medesimo pontefice (in particolare alla Laborem exercens dei 1981), si diffonde ampiamente sulle <<cose nuove>> che impegnano la responsabilità degli uomini Le questioni essenziali sollevate dal pontefice si possono cosi sintetizzare:
1) <<La folle corsa agli armamenti>> e la scienza e la tecnica messe al servizio della guerra impediscono l'organizzazione di un ordinato sviluppo dei popoli;
2) la società dei consumi, da una parte <mostra il fallimento del marxismo nel costruire una società nuova e migliore, dall'altra, se nega autonoma esistenza e valore alla morale, al diritto, alla cultura e alla religione, converge con esso nel ridurre totalmente l'uomo alla sfera dell'economico e del soddisfacimento dei bisogni ma-teriali" (11,19);
3) "i gravi squilibri tra le diverse aree geografiche del mondo, in un certo senso, hanno trasferito il centro della questione sociale dall'ambito nazionale al livello internazionale >>;
4) è necessario più che mai promuovere la difesa dei diritti dell'uomo a tutti livelli e in tutti gli ambienti e perseguire la giustizia con mezzi non violenti (<Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne, come alla guerra in quelle internazionali": III, 23);
5) lo sviluppo "non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano". Perciò vengono ribaditi sia il carattere non assoluto del diritto alla proprietà privata (la quale ha anche una funzione sociale> sia la legge della destinazione dei beni a tutto il genere umano (III, 29). Si aggiunga peraltro che nel nostro tempo esiste un'altra forma di proprietà che <<riveste un'importanza non inferiore a quella della terra: è la proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere. Su questo tipo di proprietà si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali" (IV, 32);
6) il lavoro occupa un posto centrale per la formazione e l'elevazione spirituale degli uomini e d'altra parte nella moderna economia d'impresa il fattore decisivo (a differenza che nel passato, quando 'era rappresentato dalla terra e poi dal capitale) è l'uomo stesso; di qui la necessità non solo di eliminare <<le carenze, umane del capitalismo, col conseguente dominio delle cose sugli uomini>>, ma anche di denunciare che oggi molti uomini, "forse la maggioranza, non dispongono di strumenti che consentano di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base, che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità ." (IV, 33>;
7) se è vero che il libero mercato delle società occidentali sembra "lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondete efficacemente ai bisogni", tuttavia è necessario ricordare che esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato", per la difesa dei quali tocca ai sindacati e alle altre organizzazioni dei lavoratori sviluppare il loro impegno e la loro lotta <<In questo senso si può giustamente parlare di lotta contro il sistema economico, inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell'uomo" (IV, 34-35);
8) nella società occidentale è stato superato lo sfruttamento, almeno nelle forme analizzate e descritte da Carlo Marx. Non è stata superata, invece, l'alienazione nelle varie forme di sfruttamento, quando gli, uomini si strumentalizzano vicendevolmente...;
9) dopo il fallimento del comunismo si può forse proporre il capitalismo come modello per i Paesi del Terzo Mondo? "Se con "capitalismo" si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva .Ma se con "capitalismo" si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non, è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa>> (IV, 42).



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