Eduardo Ambrosio


Vai ai contenuti

Menu principale:


ESISTENZ.: HEIDEGGER E SARTRE

FILOSOFIA > NOVECENTO

L'ESISTENZIALISMO: HEIDEGGER e SARTRE


SOMMARIO:
L'esistenzialismo - MARTIN HEIDEGGER - JEAN PAUL SARTRE - SINTESI DELL'ESISTENZIALISMO

L'esistenzialismo

L'esistenzialismo è stato uno dei più significativi movimenti del pensiero del Novecento. Il suo rilievo è connesso anche al fatto che si è espresso e sviluppato anche in altri ambiti intellettuali:
psichiatria, religione, arte e letteratura.
Si sono sviluppate
narrativa e drammaturgia con Sartre: problematicità radicale dell'uomo sottolineando le vicende più tristi, peccaminose e dolorose; e con Camus: l'eroe mitologico come assurdità dell'esistenza umana sbilanciata tra le infinità delle aspirazioni e la finitezza delle possibilità vanificando tutti i suoi sforzi.
In
letteratura, con Dostoevskij, l'uomo, consapevole del crollo delle ipocrisie che avevano mascherato l'inconsistenza dei valori e della morale (nichilismo, dato che per gli uomini esiste soltanto la cupidigia, il desiderio di trasgressione, niente regole e limiti, insomma il niente), continuamente sceglie, tra tante, la possibilità della sua vita e con Kafka l'esistenza umana appare minacciata dall'insignificanza e dal nulla che termina con la morte, poi la banalità quotidiana toglie all'uomo persino il suo carattere umano (metamorfosi).

La massima popolarità dell'esistenzialismo si è avuta nel secondo dopoguerra, riflettendo a fondo sulla
profonda crisi dell'uomo e della cultura occidentale nel XX secolo, ha insistito sui temi della sofferenza e della follia, della speranza e della disperazione, dell'angoscia e della morte, dello "scacco" e del "naufragio".

L'esistenzialismo, dopo aver criticato l'ottimismo romantico - idealistico (fondato sul riconoscimento di un principio infinito: ragione, assoluto, spirito, idea) garante di valori fondamentali, propone la filosofia dell'angoscia, della crisi o in crisi, esso è più che altro un documento della nostra epoca dove l'uomo è ente finito e "gettato nel mondo" abbandonato al determinismo. Protesta contro le filosofie del passato, ridotte al comune denominatore, dell'essenzialismo, e si rifà a Kierkegaard e a Nietzsche.
Questi ultimi sono il simbolo di due estremi opposti , il
fideismo e il nichilismo filosofico, che il sapere filosofico deve superare. Viene messo in risalto lo scacco della ragione nelle situazioni limite (morte, follia, sofferenza), la sua possibilità di ritrovarsi proprio nella coscienza dei suoi limiti e di giungere attraverso la scienza e la filosofia a risultati apprezzabili.
L'
essere (un pezzo dell'esistenza) che la filosofia ricerca non è oggettivabile e l'io che lo ricerca non può valicare i limiti della situazione, in cui si trova coinvolto. La filosofia si rivolge ad ogni pensabile per farne scaturire l'esistenza autentica; per superare l'esserci del mondo, si slancia verso l'essere che è di là dalla scissione tra soggetto e oggetto, che è anche l'essere del mondo e di noi stessi. Quindi il punto di partenza dell'esistenzialismo è la distinzione tra esserci e esistenza, il primo inteso come finitezza e il secondo inteso come un superamento di questa esistenza; l'esserci è l'oggetto in sé, l'esistere è il "venir fuori", l'oltrepassare "l'esserci".
Il tema centrale è l'esistenza che viene intesa dagli esistenzialisti come un modo essere proprio dell'uomo: un modo specifico diverso da quello di tutti gli altri enti del mondo, perché segnato da talune caratteristiche peculiari. Tale modo di essere specifico viene descritto innanzitutto come un rapporto (o un insieme di rapporti) con l'essere e cioè con l'io, gli altri, il mondo, le cose, Dio; questo rapporto esistenziale richiede all'uomo delle scelte o dei progetti aperti al rischio. Gli esistenzialisti ritengono che l'uomo non sia una realtà sostanziale e già data, ma ente che si trova di fronte a determinate possibilità di realizzazione, che impegnano la sua libertà e che si collocano ai due estremi dell'autenticità e dell'inautenticità. Fare delle scelte e vivere una vita autentica implicano che l'uomo deve vivere come singolo, ossia come ente individuato, concreto, irripetibile, che risulta chiamato in causa come tale (nessuno può decidere per un altro come nessuno può morire per un altro).
Per tali motivi l'esistenzialismo ha esordito con la "
categoria del singolo" (rivendicazione del singolo contro l'assorbimento anonimo della massa) di Kierkegaard che, contrapposta allo "spirito assoluto" che assorbe e annulla in sé i singoli individui considerati modi dell'unica ragione, conduce al principio della "interiorità individuale" e della "verità soggettiva": chi cerca la verità universale si perde in concetti generici ed astratti che livellano e distruggono la personalità individuale, chi, invece, si raccoglie in sé e vive il dramma della propria vita, ritrova se stesso, il proprio mondo interiore e diventa consapevole della propria esistenza. Non più il male superato dal bene ma il salto della fede (simile alla "energia della volontà" di Nietzsche).
Il senso tragico della storia e l'angoscia spingono così verso un nuovo umanesimo come esperienza vissuta da parte del singolo e non come svolgimento dell'idea.



MARTIN HEIDEGGER
(1889-1976)

HEIDEGGER dichiara di voler ricondurre la
filosofia (il vero pensiero pone domande, così avviene da Socrate in poi: la domanda contiene la questione, la questione postula un valore; a quel punto la risposta serve soltanto a suscitare una domanda successiva) nelle sua natura originaria, cioè a quella della ricerca sull'essere e, partendo dall'ente (tutto ciò intorno a cui parliamo o ci rapportiamo), si orienta verso lo svelamento dell'essere dei vari enti e specificamente dell'ente esemplare, l'unico che può svelare il suo segreto: l'ente - uomo (ontologia dell'ente, in che modo l'ente rappresenta l'essere; l'essere è eterno, l'ente e l'attimo). Il primato dell'ente-uomo sta nel fatto che esso è un essere che "esiste" "qui ed ora", cioè è un "esserci" che ha la possibilità di interrogare se stesso e di scoprire da sé il senso del proprio esserci, della propria esistenza (è il tentativo di recuperare la metafisica attraverso il concetto dell'essere che sta, di cui l'ente è la proiezione dinamica in uno spazio finito, collocato in un tempo infinito - la separatezza e l'autonomia di ciascun ente è superata dalla presenza dell'essere - che io, nelle mie lezioni di docente liceale, ho sempre chiamato "umano" - in ciascuno di essi). La filosofia sarà una "analitica esistenziale" del DAISEN, cioè nell'esame dei modi di esistenza dell'uomo, perché la prima caratteristica dell'esistenza è la possibilità di comprendere l'essere, ovvero di mettersi in relazione, di rapportarsi al proprio e all'essere in generale, e la seconda è essenzialmente "possibilità di essere" (l'uomo non ha una propria esistenza per natura, la sua essenza dipende dalla sua scelta, dalla sua decisione, dal suo tipo d'impegno - esistere = ex - sistere, uscir fuori da sé per aprirsi all'essere).

Per Socrate è caratterizzato dal daimon (demonio) per cui tende alla autodeterminazione.
Per Heidegger , invece, l'uomo dipende dall'ambiente
(qui ed ora).

HEIDEGGER, nel ricercare lo sviluppo del metodo fenomenologico, afferma che l'esistenza si rivela come trascendenza che tende all'essere, ma rimane limitata dalla sua finitezza (in ciò si differenzia dal maestro Husserl). L'esserci dell'uomo si concreta nell'aver cura del mondo, degli altri; ma questa cura realizza un'esistenza inautentica, convenzionale: la "banale" vita quotidiana non è che angoscia come esperienza del nulla; mentre la vita AUTENTICA vuol dire estraniarsi dal mondo, alla quale si giunge solo attraverso l'esperienza dell'angoscia che provoca una sensazione di calma e di distacco dal mondo. L'uomo scopre l'originaria verità di essere nient'altro che un "essere-per-la-morte", dove riassume l'esistenza autentica.
HEIDEGGER progetta di
arrivare a cogliere la vita stessa nei suoi caratteri e strutture più proprie ed originarie evitando il tradizionale malinteso del privilegiare il solo atteggiamento "neutrale" della "teoria", comune a gran parte della tradizione e particolarmente esaltato nell'ambito del neokantismo.
Il suo è il programma di una "
ermeneutica (interpretazione) della fatticità", in cui cerca di operare una nuova lettura FENOMENOLOGICA.
Il filo conduttore è infatti desunto da un
ente privilegiato che si distingue da ogni altro ente per la capacità di sviluppare quella peculiare "ricerca delle cose stesse" che è la filosofia; per cui l'essere dell'esistenza umana è assunto come filo conduttore privilegiato non nella dimensione unilaterale del solo atteggiamento conoscitivo, bensì nell'insieme dei suoi possibili atteggiamenti fondamentali derivanti dal radicamento affettivo nel mondo-ambiente non ancora "oggettivato".
Secondo HEIDEGGER, la tradizione della
metafisica occidentale ha mancato di riflettere sul problema dell'essere non perché in essa tale termine non compaia ma perché quando compare, esso non viene pensato nel suo rapporto col tempo nella sua piena articolazione di passato - presente - futuro; l'essere viene ridotto a ente e viene tematizzato in relazione alla sola dimensione della presenza.

HEIDEGGER cercherà di dimostrare che tale presupposto vale anche per tutto il pensiero metafisico che dipende dalle decisioni filosofiche fondamentali accadute con i Greci (il primo inizio della filosofia),
una tradizione di pensiero il cui destino si realizza compiutamente nell'ESSENZA DELLA TECNICA moderna. La "metafisica della presenza" nella quale l'essere è essenzialmente ridotto all'ente presente, è l'orizzonte nel quale può attecchire il progetto di dominio conoscitivo ed operativo dell'intera realtà, progetto che segna il "destino dell'Occidente" (espressione di una dimenticanza del senso della "verità" culminante nelle Tecnica).
Essendo la
presenza, il presente, solo una delle dimensioni del tempo, si tratta per HEIDEGGER di ritornare a pensare l'essere in relazione alla totalità delle articolazioni temporali, in modo che esso non venga più inteso unicamente come presenza e non venga più catturato in una dimensione in cui, proprio per il suo carattere di presenza stabile, non può sfuggire al controllo e al dominio del soggetto. In questa prospettiva diviene centrale la categoria della TEMPORALITA' cui si risale partendo da una analitica della condizione umana riassunta nel termine "Esserci", il cui modo d'essere è l'Esistenza cioè "aver-da-essere" nel senso che l'esserci deve sempre e comunque rapportarsi al proprio essere, deve deciderne possibilità e realizzazioni, anche quando tale rapportarsi è attuato nella "modalità" del sottrarsi alla scelta, all'"aver-da-essere": ciò che è il gioco dell'Esserci è sempre quell'esistente "che noi sempre siamo"; l'essere di cui decido è sempre il mio essere.
Tale analitica parte dunque dalla condizione inaggirabile del "mio esser-nel-mondo" e dalle sue diverse modalità, l'atteggiamento tradizionalmente privilegiato della constatazione e della osservazione "disinteressata", ossia della "theoria", viene da HEIDEGGER considerato come un modo derivato del "prendersi cura del proprio mondo-ambiente", come un atteggiamento secondario che scaturisce da una modificazione di quello primario di tipo pratico (nel senso più ampio della parola).
Tale analitica pone in rilievo i cosiddetti
esistenziali: gli esistenziali sono le determinazioni essenziali dell'esistenza, che HEIDEGGER distingue dalle "categorie". I due esistenziali fondamentali sono il "sentirsi situato" e il "comprendere", che indicano rispettivamente, l'uno la passività e la ricettività, l'altro la produttività e la spontaneità dell'Esserci, e che sono cooriginariamente determinati secondo quell'articolazione che HEIDEGGER chiama "Discorso" .
Gli
esistenziali accuratamente esaminati nelle diverse modalità che essi possono assumere rimandano ad una struttura dell'Esserci ancora più profonda che viene indicata come Cura facendo riferimento a quel carattere proprio dell'esistere che è "l'ESSERE-PER-LA-MORTE", cioè l'essenziale anticipazione dell'estrema possibilità dell'Esserci, attraverso la quale quest'ultimo è in grado di riferirsi IN MODO AUTENTICO al proprio POTER-ESSERE come totalità di futuro, passato e presente, comprendendosi come TEMPORALITA' ORIGINARIA.
Questo "
poter-essere" si può esplicare in due modalità fondamentali:
nell'
AUTENTICITA', quando l'Esserci, ascoltando la chiamata della coscienza che lo rimanda a se stesso e alla responsabilità del proprio essere anticipa nell'essere-per-la-morte la propria possibilità estrema e ritorna, con questa anticipazione, al proprio passato "orientandolo" sul futuro;
oppure nell'
INAUTENTICITA', allorquando l'Esserci si perde nell'impersonalità del "SI" (l'anonimato del "si dice così", "si fa così", ecc.) che lo solleva dalla responsabilità e lo lascia "perduto presso l'ente" in cui di volta in volta è "affaccendato".

In conclusione HEIDEGGER concepisce l
'esistenza umana nella luce dell'essere; alla teologia ed alla metafisica rimprovera di aver dimenticato l'essere per l'ente, di aver ucciso Dio, nel tentativo di concepirlo come supremo Ente e Causa prima ed individua nella temporalità l'elemento caratterizzante dell'esserci, il quale nel presente attua l'unità estatica di passato e futuro; l'esserci cioè si temporalizza: nel presente si ex-tende dal passato al futuro: e cioè, in senso proprio ex-sistere, esistenza.
L'
atteggiamento dell'uomo verso la storicità può essere inautentico, smarrimento del senso del passato, delle tradizioni e in un restringimento al mero presente, o autentico, l'esistenza è un coesistere con gli altri uomini fra le cose del mondo, per cui l'esistenza conferisce all'uomo la possibilità di rimanere fedele al destino della comunità e del popolo a cui appartiene: in altri termini, la storicità non è altro che l'assunzione dell'eredità del passato: l'uomo "si tramanda in una possibilità ereditata e tuttavia scelta".


JEAN PAUL SARTRE (1905-1980)

L'artista e l'intellettuale devono sapersi impegnare nei conflitti della società in cui vivono e per questo impegno (engagement) Sartre interverrà nelle principali vicende del dopoguerra quali: il problema degli ebrei, le guerre d'Indocina, di Corea, del Vietnam, il maggio '68 e la contestazione giovanile.
La filosofia di Sartre si riallaccia alla fenomenologia di Husserl e all'esistenzialismo di Heidegger, ma si trasforma in esistenzialismo ateo (umanistico), nega che l'io sia nelle coscienza, mentre è fuori ed è un "ente del mondo": l'esistenza è nullificazione dell'essere, per cui l'uomo è assolutamente libero.
In altri termini l'essere è affetto da una scissione insanabile tra l'essere in sé, come totalità brutta e opaca fuori dalla coscienza, e l'essere per sé, che è l'essere della coscienza stessa. L'essere non riesce mai ad afferrare se stesso. L'essere ha in sé la tara del nulla. L'uomo stesso inizialmente non è definibile perché non è nulla, si proietta verso l'avvenire in un conato di libertà; l'uomo inventa l'uomo, la sua morale, i suoi valori.
L'analisi esistenziale è l'analisi della coscienza, come coscienza di qualche cosa che è "l'essere in sé", realtà brutta, ingiustificabile razionalmente, di fronte alla quale la coscienza o "essere per sé" tesse una trama di rapporti che, anziché raggiungere l'essere in sé in una sintesi costitutiva dell'essere in sé - per sé, è allontanamento dall'in sé. Questa fuga è nullificazione della coscienza , la quale "non è un essere, è l'essere dell'uomo, cioè il suo niente d'essere"; in altre termini la coscienza è il nulla in quanto si determina necessariamente a non essere l'in sé. Qui è la nullificazione del mondo: le cose sono quelle che sono in sé ma non hanno coscienza; quindi il loro per sé è quello che viene ad esse prestato dall'uomo; e se il per sé dell'uomo è nulla, anche quello delle cose è il nulla. Le cose, non hanno un senso, come non ha senso la coscienza umana; sono una realtà di fronte alla quale l'unico atteggiamento possibile della nostra coscienza non può che essere la "nausea".
Ne la NAUSEA, il professore di storia Roquentin scopre la gratuità e la mancanza di senso dell'esistenza, che gli si rivela mediante un nauseabondo sentirsi troppo rispetto al mondo e agli altri. Il protagonista vive diverse esperienze ma non supera mai una sensazione di profonda estraneità e solitudine rispetto alle cose che lo circondano che gli appaiono enigmatiche e prive di significati, una mancanza che coinvolge anche il soggetto" eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati di noi stessi, non avevamo la minima ragione di essere lì, né gli uni, né gli altri; ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto, si sentiva di troppo rispetto agli altri". La Nausea è il modo d'essere di chi si sente privo di un terreno consistente sotto i piedi, di chi si sente immerso in uno spazio e in un tempo privi di qualsiasi orientamento, di chi scopre l'angosciante gratuità del mondo: "tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare … ecco la NAUSEA" .
Nel dopoguerra Sartre si è avvicinato alle dottrine marxiste.


SINTESI DELL'ESISTENZIALISMO


Kierkegaard: L'uomo (SINGOLO) creato da dio con infinite possibilità, si limita in quanto si conosce: conoscendosi si contrappone a Dio e quindi pecca.
L'uomo si riconosce dilaniato da inconciliabili alternative: la vita etica, estetica, religiosa. Da queste alternative nascono l'angoscia e la disperazione.
Unico rifugio di fronte a tale angoscia e disperazione è Dio che viene raggiunto con la preghiera.
Heidegger: La coscienza non è assoluta, ma si chiede "perché ci sono?", nel chiedersi questo passa dall'esistenza banale a quella autentica.
Nell'esistenza banale l'individuo si trova schiacciato dal mondo esterno, perde la sua personalità e teme la morte; nell'esistenza autentica invece ricomincia dal nulla e, pertanto - di fronte a questo nulla - prova un senso di angoscia.
Recidendo i ponti con il mondo banale l'esistente si proietta nel futuro: ma questo futuro non è più qualche cosa di ignoto, ma è accettato in modo tale a implicare coscientemente anche la morte.
Esistere significa, pertanto, liberarsi dalla vita banale per puntare verso la morte.
Sartre: L'essere in sé e la coscienza (l'essere per sé) si nullificano reciprocamente.
Di qui l'assoluta e assurda libertà della vita umana: l'unico rimedio è quello di fare una scelta, qualunque essa sia.



Torna ai contenuti | Torna al menu