Eduardo Ambrosio


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7- Satuto Albertino 1848

UNIVERSITA' > LEZIONI SVOLTE IN ANNI PRECEDENTI > LE COSTITUZIONI

Statuto Albertino del 1848


Lo Statuto del Regno o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia (Statuto Albertino, un primo esempio di costituzione breve) fu la costituzione adottata dal Regno sardo-piemontese il 4 marzo 1848.
Nel preambolo autografo dello stesso Carlo Alberto viene definito come "Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia sabauda".
Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino al biennio 1944-1946 quando, con successivi decreti legislativi, fu adottato un regime costituzionale transitorio, valido fino all'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana, il 1º gennaio 1948.
In seguito ai moti promossi dalle classi borghesi, cui talora partecipò anche l'aristocrazia, nelle principali città del Regno di Sardegna,Carlo Alberto prese una serie di provvedimenti di stampo liberale: nel 1837 emanò un codice civile, di cui seguì un codice penale nel 1839; nel 1847 riformò la disciplina della censura (imposta da Vittorio Emanuele), permettendo la pubblicazione di giornali politici; creò, poi, una Corte di Revisione (ossia di Cassazione) per assicurare una certa uniformità della giurisdizione nello Stato, riducendo le competenze dei vecchi senati e pubblicando il codice di procedura penale basato sulla pubblicità del dibattimento. Su ispirazione austriaca, aggiornò anche la composizione del Consiglio di Stato, creato nel 1831, che sarebbe stato formato da due rappresentanti per ogni Divisione territoriale fra i Consiglieri delle Province componenti la Divisione, consiglieri provinciali che a loro volta erano scelti fra quelli comunali.
Gli avvenimenti dei primi mesi del 1848 sembravano comunque ancora confermare la resistenza ad ipotesi costituzionali, Carlo Alberto rifiutò in maniera netta l'idea di concedere una Costituzione.
Il 30 gennaio 1848 il Corpo Decurionale di Torino, riunitosi per discutere l'istituzione della Guardia Nazionale, apprendeva la notizia della concessione a Napoli, il giorno prima, della Costituzione da parte di Ferdinando II delle Due Sicilie. Il Corpo decise seduta stante di richiedere al Re una Costituzione anche per il Regno di Sardegna: Carlo Alberto in fretta e furia fece redigere una dichiarazione di principi che saranno alla base dello Statuto e che vennero proclamati al popolo l'8 febbraio 1848, tre giorni prima che il Granduca di Toscana prendesse la stessa decisione ed un mese prima di Pio IX. Tali basi, indicate in quattordici punti, vennero formalmente concesse per la benevola generosità del sovrano.
Il Consiglio di Conferenza, incaricato di redigere lo Statuto, ebbe come principale obiettivo quello di individuare, tra i modelli costituzionali europei, quello maggiormente congeniale al Regno di Sardegna, e che producesse il minor cambiamento possibile all'interno degli assetti istituzionali. Questo modello venne individuato nella Costituzione orleanista del 1830 e in quella belga del 1831. Pochi giorni dopo, tra il 23 e il 24 febbraio la Rivoluzione spazzava via da Parigi sia la monarchia sia la Costituzione. La sommossa parigina, che portò poi al potere Luigi Bonaparte, eccitò gli animi anche in Italia e fece balenare nella mente dei liberali più accesi e rivoluzionari l'idea di una Repubblica tale che quindi la promessa delle "basi" di Carlo Alberto sembrava ormai troppo limitata. Tuttavia ciò non mutò le posizioni del Re che il 4 marzo promulgò lo Statuto.
Nel 1861, con la nascita del Regno d'Italia, lo Statuto venne applicato in tutto il Regno. La natura flessibile dello Statuto garantì, sino agli anni Venti del '900,un'evoluzione parlamentare del sistema politico senza rendere necessarie modifiche effettive al testo originale: gradualmente i Governi cessarono di dipendere dalla fiducia del Re, mentre divenne necessaria quella del Parlamento. Anche il Senato perse importanza di fronte alla Camera dei Deputati, il Re tuttavia mantenne una particolare influenza sulla politica estera e su quella militare..
L'evoluzione parlamentarista dello Statuto cessò completamente con l'avvento della dittatura fascista. Nel corso degli anni lo Statuto venne gradualmente messo da parte attraverso leggi ordinarie contrarie allo spirito dello Statuto stesso: si pensi alla fine della libertà d'espressione, l'istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato o alleleggi razziali.
Essendo lo Statuto albertino una carta ottriata, riveste una particolare importanza il suo preambolo. L'assolutismo illuminato, ultima evoluzione dello Stato di polizia, è estremamente evidente: "con lealtà di Re e con affetto di padre Noi veniamo a compiere quanto avevamo annunziato ai nostri amatissimi Sudditi", così come è evidente la riserva mentale con cui lo Statuto viene concesso, laddove - celando le forti motivazioni sociali che hanno indotto Carlo Alberto ad emanare questo atto - si afferma "di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue".
Lo statuto corrisponde a ciò che si definisce una costituzione breve: si limita ad enunciare i diritti (che sono per lo più libertà dallo Stato) e ad individuare la forma di governo, ma non si pone il fine di raggiungere obiettivi di convivenza, né di prefigurare i rapporti dei consociati (Stato-comunità) tra di loro e tra questi e lo Stato-apparato. Riconosce il principio di eguaglianza (art. 24: "tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge. [...] Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi"), ma si limita ad affermare un'eguaglianza formale. Riconosce formalmente la libertà individuale (art. 26), l'inviolabilità del domicilio (art. 27), la libertà di stampa (art. 28), la libertà di riunione (art. 32), ma le riserve di legge ivi previste si risolvono nel ben più blando e meno garantista principio di legalità, mentre è sconosciuto l'istituto della riserva di giurisdizione: in definitiva, il vero cardine del sistema dei diritti statutari è costituito dal diritto di proprietà (art. 29). Per quanto riguardava la libertà religiosa il Regno di Sardegna era (art.1) uno Stato confessionale. La religione, si scrisse, "è quella Cattolica, Apostolica e Romana" e gli altri culti esistenti erano unicamente tollerati. Tale prospettiva muta ben presto e verrà l'emancipazione prima dei Valdesi (17 febbraio- Lettere Patenti) e poi degli Ebrei (29 marzo) con il riconoscimento dei loro diritti civili e politici, infine con l'abolizione dei "privilegi" ecclesiastici a partire dal 2 marzo successivo con un decreto regio che cacciava i Gesuiti dallo Stato. Una legge di poco posteriore ("Legge Sineo" del giugno del 1848) aggiungeva che la differenza di culto non formava eccezione al godimento dei diritti civili e politici e all'ammissibilità alle cariche civili e militari.
La monarchia era costituzionale ed ereditaria secondo la legge salica; il Re era e restava capo supremo dello Stato e la sua persona rimaneva sacra ed inviolabile, anche se questo non significava che non dovesse rispettare le leggi (come previsto dal suo giuramento all'articolo 22), ma solo che non poteva essere oggetto di sanzioni penali. Il Re manteneva una certa preminenza ed esercitava il potere esecutivo attraverso i ministri; convocava e scioglieva le Camere e aveva il potere di sanzione delle leggi, istituto diverso dalla promulgazione presidenziale, attualmente prevista dalla Costituzione italiana del 1948, perché con essa il Re valutava il merito dell'atto e poteva rifiutarlo se riteneva la legge non rispondente all'indirizzo politico perseguito dalla Corona. La sovranità non apparteneva alla Nazione (benché all'articolo 41 si faccia espresso riferimento ai deputati come "rappresentanti della Nazione") ma al Re, il quale, tuttavia, da sovrano assoluto, si trasformava in principe costituzionale per sua esplicita volontà e concessione. Si usciva così dal regime assoluto e si entrava nell'epoca in cui il Re vedeva i suoi poteri limitati dalla Costituzione.
Il Parlamento era composto di due Camere. Quella di nomina regia (Senato), vitalizia, non poteva sciogliersi e quella elettiva, la Camera dei deputati, eletta su base censitaria e maschile, a collegio uninominale ed a doppio turno di elezione. Il bicameralismo, previsto perfetto, si sviluppò in realtà come "zoppo", con prevalenza politica della Camera bassa.
Il re fu considerato più quale rappresentante dell'unità statale che come capo dell'esecutivo. Inizialmente, però, i Ministri erano considerati come singoli collaboratori del Re, senza riconoscimenti ufficiali di loro riunioni in organi collegiali. Non era nemmeno prevista la figura del Presidente del Consiglio dei ministri. I ministri (che potevano essere parlamentari e non) rispondevano per gli atti regi, essendo la persona del re sacra ed inviolabile, non politicamente verso le

Il potere giudiziario
Per quanto riguardava la Giustizia, essa "emana dal Re", che nominava i giudici (senza il rispetto della distinzione montesquieuiana) ed aveva il potere di grazia. A garanzia del cittadino stava il rispetto del giudice naturale e il divieto del tribunale straordinario, la pubblicità delle udienze e dei dibattimenti. Prima dello Statuto il Re aveva il potere discrezionale di nominare, promuovere, spostare e sospendere i suoi giudici. Ora veniva introdotta qualche garanzia in più per i cittadini e per i giudici, che dopo tre anni di esercizio, avevano garantita l'inamovibilità. L'articolo 73 esclude poi la possibilità di prendere in considerazione il precedente giurisprudenziale per le decisioni nei supremi tribunali statali. L'interpretazione del giudice con rilievo direttamente normativo cadde così definitivamente e ad esso si sostituì il potere legislativo statale. L'indipendenza formale del potere giudiziario veniva ad essere, nei fatti, condizionata dal governo il quale aveva alle sue dipendenze l'organo requirente. La magistratura rappresentava quindi non un potere, ma un ordine direttamente soggetto al Ministero della Giustizia.






Costituzione Federale degli Stati Uniti Messicani del 1857
La Costituzione Federale degli Stati Uniti Messicani del 1857 fu una Costituzione liberale scritta in Messico durante la presidenza di Ignacio Comonfort. Fu promulgata il 5 febbraio del 1857 e istituì una politica liberale:
" garantì la libertà di espressione;
" garantì la libertà di coscienza;
" garantì la libertà di assemblea;
" garantì la libertà di scelta sulla leva militare;
" garantì libertà sociali di base ai messicani;
" riaffermò l'abolizione della schiavitù;
" separò l'educazione dalla religione e ridimensionò i poteri terreni della Chiesa cattolica;
" eliminò tutte le forme di violenza corporale incluso la pena di morte;
" eliminò tutte le Alcabala (imposte particolari che venivano riscosse in favore dei reggenti spagnoli);
" proibì l'uso dei titoli nobiliari, gli onori ereditari e i monopòli.
Inoltre stabilì che qualsiasi schiavo mettesse piede all'interno del territorio messicano divenisse immediatamente considerato libero. Questo fece sì che il Messico divenisse meta ambita dagli afroamericani che scappavano dalla schiavitù negli Stati Uniti.
Questa Costituzione insieme al Plan de Ayatla ed altre riforme liberali polarizzarono la società messicana e portarono alla Guerra della Riforma.
Il 5 febbraio del 1903 nella protesta contro il regime di Porfirio Díaz, un gruppo di liberali collocò sul balcone degli uffici del giornale Elhijo de ElAhuizote un grande drappo nero in segno di lutto con la scritta La Costituzione è morta, facendo riferimento a quella del 1857. Questo evento fu un precursore della Rivoluzione Armata del 1910, che rovesciò il governo Díaz e terminò con la promulgazione della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani nel 1917 durante il governo di VenustianoCarranza.
La Costituzione del 1857 era composta da 8 titoli e 128 articoli. Dopo la vittoria del Partito Liberale durante la guerra di Riforma del 1858-1860, Benito Juarez, che era a capo della presidenza, e il suo gabinetto aggiunsero a tale Costituzione le 9 leggi di riforma che furono enunciate a Veracruz.


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