Eduardo Ambrosio


Vai ai contenuti

Menu principale:


RICERCA SCIENTIFICA

STORIA > NOVECENTO > ITALIA, LA REPUBBLICA

LA RICERCA SCIENTIFICA IN ITALIA


La crisi economica e sociale in cui periodicamente versa l'Italia ripropone in tutta la sua urgenza e gravità il problema della ricerca scientifica.
Il nostro paese, infatti, scarsamente dotato di risorse naturali, deve fare affidamento, per il superamento congiunturale e per il suo sviluppo, sulle forme produttive sia tecniche che intellettuali. È sistematico il fatto che, in momenti difficili per l'economia, debba incidere sempre più pesantemente, sulla bilancia dei pagamenti, l'importazione di costosi brevetti stranieri, mentre l'emorragia di cervelli è continua verso altri paesi per la maggiore possibilità di ricerca. In Italia, infatti, la ricerca scientifica è fortemente condizionata sia nei vari enti di ricerca sia nella scuola superiore e nell'università, che dovrebbero essere i luoghi privilegiati della ricerca scientifica.
L'educazione superiore rappresenta, in Italia, un problema quanto mai sentito perché esso, pur dando la possibilità a molti giovani di continuare gli studi secondari, non risponde neppure alle necessità più elementari. La ricerca è ancora in uno stato di sviluppo embrionale; essa non dà ai giovani laureati la possibilità di impiego secondo le aspettative e il livello di qualificazione e, di conseguenza, non incrementa la produttività nazionale.
La ricerca scientifica universitaria è scarsissima; i fondi sono dati dal Governo al Centro Nazionale di Ricerca (CNR), che li distribuisce ai vari istituti universitari. Nonostante il supporto al CNR della Commissione Nazionale per la Fisica Nucleare (CNFN) e di Ministeri come quello per la Difesa e per l'Agricoltura, purtroppo, è opinione comune che la ricerca in Italia sia destinata ad esaurirsi perché la capacità di ricerca diminuisce negli incaricati sempre più impegnati nell'insegnamento.

È da rilevare, inoltre, che le tradizioni, le strutture, i finanziamenti non sono idonei a formare il "ricercatore" e né danno garanzia per una carriera futura. Il ricercatore è sempre subordinato al docente ordinario; riceve uno stipendio da fame; ha delle attrezzature obsolete e quasi mai idonee al lavoro che va svolgendo. È necessario, pertanto, una politica che dia priorità alla ricerca, che dia un ruolo ben definito al ricercatore e che indirizzi la ricerca secondo lo sviluppo del paese.

Oggi, l'Università è per tutti; tuttavia c'è da notare che la classe politica non ha fatto nulla per provvedere sia alla docenza che alle strutture.
Oggi la richiesta è di una maggiore possibilità di ricerca scientifica, di una preparazione di "massa" più economica per lo Stato, più rapida, più pratica, più direttamente connessa alla necessità ed alla sicurezza d'impiego.
L'orientamento più diffuso ritiene deleterio, nel periodo di maturazione (tra i 18 ed i 25 anni), il non essere a contatto con il mondo del lavoro perché è proprio sul campo che si comprendono le esigenze, per cui, poter fare esperimenti, sarebbe necessario che ogni Università, e addirittura ogni facoltà, avesse ampia autonomia, fosse in grado, cioè, di provvedere ai suoi bisogni e alle sue esigenze (locali, materiale scientifico e didattico, personale insegnante, ecc.). Invece in Italia, finora, ogni Università si è dovuta adeguare ad un programma unico e nazionale, di origine ministeriale, tendente alla perpetuità.
È sicuramente in atto un profondo miglioramento ed è, perciò, doveroso da parte di tutti contribuire a fornire ai politici tutte le informazioni e le analisi più accurate per realizzare riforme meno affrettate, non dettate dagli umori del momento e rigorosamente ancorate alle "unità di tempo e di luogo", ma capaci di superare il meccanismo per il processo volto ad eliminare la scissione tra educazione ed esperienza e, quindi, opportunamente diversificate nel tempo e nel luogo, più idonee alle esigenze del Terzo Millennio, onde colmare i colpevoli ritardi nella ricerca e nella formazione.

L'iscrizione di massa all'università, in seguito al Sessantotto, ha fatto si che:
- il patrimonio culturale e professionale è così povero da non essere utilizzabile per un primo impiego;
- si acuisse nei giovani laureati la tendenza a lavorare nelle attività terziarie perché esse prevedono meno specializzazione;
- si riducesse la capacità e la possibilità di operare ricerche scientifiche.

Le cause del progressivo deterioramento della ricerca scientifica e del crescente distacco fra innovazione tecnologica e applicazione produttiva sono, quindi, nel sistema economico- sociale basato sullo sfruttamento dell'uomo e sulla degradazione della natura. La scienza, usata come strumento di dominio culturale ed asservimento economico, anziché avvicinare popoli e culture, aggrava gli ulteriormente gli squilibri.
Nel periodo fascista il "progresso della scienza" costituiva il fine delle Università, sebbene la nomina dei rettori e dei presidi avvenisse su designazione governativa e richiedesse il giuramento di fedeltà da parte dei docenti.

I
l CNR, istituito nel 1923 come organo di collegamento fra lo Stato Italiano, la Società delle Nazioni e la scienza internazionale, alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione, aveva il compito di "coor-dinare ed eccitare l'attività nazionale nei diversi rami della scienza e delle sue applicazioni".
Nel 1927 passò alle dipendenze della Presidenza del Consiglio (Mussolini) e divenne strumento per con-dizionare completamente le autonomie scientifiche delle Università; difatti, nel 1937 fu orientato verso l'autarchia e la produzione bellica in funzione dell'isolamento e del conflitto con le nazioni scientificamente più progredite.
In epoca repubblicana, per porre rimedio alla persistente disfunzione del CNR, vengono creati nuovi organismi (come, fra i più positivi, l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare - INFN e il Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare - CNEN) lasciando immutato quanto già esisteva.

Solo negli anni Sessanta si prospetta un efficace riordinamento e rilancio della ricerca con:
- la legge 8 marzo 1963 n.283, "Organizzazione e sviluppo della ricerca scientifica in Italia";
- la riforma universitaria attraverso il "piano decennale per la scuola";
- la programmazione economica.
Tali tentativi, però, non hanno portato sostanziali mutamenti tranne che per l'Istituto Superiore di Sanità, che rischia di rimanere il braccio e la mente di un corpo inesistente e di un organismo frantumato in assenza di un articolato "Servizio Sanitario Nazionale". In tutti gli altri campi si possono solo registrare oscuri ed incontrollati incentivi alle industrie con tentativi di ridistribuzione in maniera complicatissima le stazioni e le sottostazioni sperimentali nelle varie regioni.

Gravi progetti di legge rischiano di pregiudicare per lungo tempo la ricerca in Italia: la partecipazione ai programmi spaziali internazionali, se da un lato si incrementa la ricerca nel campo, dall'altro la stessa viene associata a finalità militari.
Un secondo progetto tende ad accomunare i maggiori enti di ricerca ed altre istituzioni parastatali che non hanno alcuna competenza nel campo della ricerca (come ENEL, Mutue, Protezione Animali, ecc.):il risultato è il soffocamento di ogni autonomia della ricerca riducendola a mera funzione impiegatizia.
Fino a qualche anno fa ci si limitava a criticare l'insufficienza degli stanziamenti (845 miliardi nel 1963), poi, quando nel '73 toccarono i 715 miliardi (pari all'1% del reddito nazionale) si prende coscienza della consistenza di tali fondi, per la mancanza di adeguati risultati, si mette sotto accusa il quadro organizzativo.
Nella fase della ricostruzione e del miracolo economico, gran parte dell'industria italiana scelse di svilupparsi sulla base dell'imitazione innovativa e dei bassi salari puntando su quei settori in cui agli investimenti corrispondono alti profitti ma anche bassi livelli di ricerca e di innovazione tecnologica, nonché una minore e meno qualificata forza- lavoro.


Lo squilibrio del rapporto scienza/economia risulta evidente nei settori (agricoltura) e zone (Sud) produttivi più deboli ed, inoltre, è ostacolato dall'assenza di una programmazione complessiva o è, comun-que, viziato dal grave fenomeno del restringimento della base produttiva e riduzione dell'occupazione industriale ed agricola.
L'Italia ha svolto più il ruolo di finanziatore e di esportatore di cervelli (specie col fascismo che con la campagna razziale costrinse all'emigrazione alcuni fisici di maggior rilievo) verso l'Europa occidentale, anziché di beneficiario e importatore di conoscenze tecnologiche.
Anche dopo il fascismo, il tentativo di F. Ippolito di creare con il CNEN una base per le applicazioni dell'e-nergia nucleare fu stroncata dal Governo perché gli USA erano disposti solo a consentire e utilizzare le ricerche fondamentali svolte in Europa, ma non a ammettere concorrenza nella costruzione di reattori, per i quali hanno stabilito un solido monopolio.
Più recentemente anche l'ENEL era stata dissuasa, dall'Unione Petrolifera, dal realizzare centrali nucleo- elettriche in sostituzione di quelle termo- elettriche

Gli ultimi orientamenti di politica economica tentano di invertire la tendenza degli ultimi settant'anni, caratterizzati dalle scelte prima autarchiche e poi di sudditanza scientifico- tecnologica verso gli Stati Uniti delle classi dominanti italiane, cercando di ridurre la dipendenza dalle scelte di altri paesi, principalmente appunto USA con le potentissime multinazionali; anche se, con la globalizzazione in atto tra fine del Secondo e l'inizio del Terzo millennio, la cosiddetta "New economy" non lascia molto spazio autonomo, anzi impone una rincorsa sempre più imitativa e competitiva.

È necessario scegliere in modo chiaro il modello di sviluppo e decidere se accettare la sfida della tumultuosa, veloce, spersonalizzante e massificante globalizzazione o seguire uno sviluppo autonomo più ca-denzato ma rivolto all'uomo.

Partendo dal campo in cui l'Italia primeggia, quello della promozione della scienza dove, pur nella precarietà dei dati spesso manipolati per prestigio politico, dagli stanziamenti globali risulta che il settore principale è quello pubblico (con l'Università, CNR, CNEN e INFN che ne assorbono da soli i 3/4 lasciando molto poco a Sanità e Agricoltura) seguito da quello privato e dalle Partecipazioni Statali (PPSS).

È opportuno notare che nel periodo 1965-73 le PPSS hanno avuto il più rapido sviluppo negli stanziamenti, passando dai 21 miliardi del '65 ai 110 del '73. Altre cause che sono alla base delle disfunzioni della ricerca in Italia: prima fra tutte la "lottizzazione" politica delle cariche degli enti di ricerca (anche se non siamo al tempo del fascismo, quando le nomine avvenivano con la clausola "per chiara fama", i metodi non erano, e non sono spesso ancora oggi, molto diversi per cui le più alte cariche venivano asse-gnate secondo le correnti politiche anziché secondo i meriti e le competenze personali).

A questa integrazione fra scienza e potere, che avveniva come operazione di vertice e linea di sottogoverno, corrispondeva la struttura frantumata e dispersa delle istituzioni scientifiche, la loro separazione dal corpo della Nazione, il loro coinvolgimento in affari e speculazioni, la loro insufficienza e improduttività.
Nelle università si registrava una crescente divaricazione (sproporzione fra numero studenti, numero docenti e attrezzature) tra insegnamento e ricerca, con il risultato che la didattica invecchiava rapidamente e la scienza veniva a mancare dell'apporto vitale dei giovani. La disponibilità dei mezzi finanziari, condizione indispensabile per una ricerca autonoma, restava un privilegio solo del professore ordinario, gli altri non avevano e, in parte non hanno ancora, alcuna garanzia e riconoscimento né economico, né di carriera.
La legge dell'ottobre 1973, "Provvedimenti urgenti", si preoccupava dell'immissione in ruolo di nuovi do-centi, ma respingeva il tempo pieno per i nuovi docenti, i quali, guardando il proprio futuro più in termini professionali che scientifici, si rivolgevano alle industrie anziché all'Università come luogo privilegiato di ricerca, accettandone spesso i condizionamenti. CNR, CNEN e INFN erano ridotti a mera funzione sup-pletiva; l'Istituto Centrale di Statistica (ISTAT), l'Istituto di Studi per la Programmazione Economica (I-SPE) e l'Istituto si Studi per la Congiuntura (ISCO) operanti nello studio dei fenomeni economico- sociali e nel supporto tecnico- scientifico mancavano di un coordinamento efficace. L'Istituto Superiore di Sanità, soggetto ad una sostanziosa riorganizzazione, faceva intravedere pericolose tendenze a stipulare contratti con altri enti e quindi a perdere capacità di controllo e autonomia.
Alla tendenza dell'Italia verso il sottosviluppo scientifico, dovuto alla incapacità di inserire giovani nella ricerca, si veniva contrapponendo la coscienza che ogni progresso è legato ad un progresso dinamico della scienza con un maggiore interessamento di forze sociali, sindacati e partiti, ed il conseguente monopolio politico.
Ad esempio, l'accordo sindacale siglato il 12 marzo 1974 nella vertenza del Gruppo Montedison conteneva, quale espressione di un diverso rapporto scienza/società, un importante paragrafo con cui "l'azienda si impegnava con i lavoratori a portare l'organico per le ricerche chimiche da 6000 a 7000 unità, con una spesa quinquennale di 400 miliardi; a finalizzare alle esigenze sociali, oltre che ai programmi del Gruppo, l'attività di ricerca; a collegarsi per questi scopi con CNR, CNEN e Università; ad impiantare un centro ricerche nel Sud".
Nel 1971, alla I^ Conferenza Nazionale della Ricerca Scientifica, il sindacato confederale presentava un ampio documento nel quale suggeriva "una politica della ricerca collegata con il soddisfacimento dei con-sumi sociali, con i nuovi indirizzi della produzione, con una modifica dell'organizzazione del lavoro, e con la difesa delle risorse naturali del Paese; delineava, poi, un assetto istituzionale della ricerca aperto alla partecipazione democratica".
Altre più specifiche e documentate formulazioni del sindacato sulla politica scientifica sono venute suc-cessivamente insieme a precise richieste prospettate al Governo (per lo sviluppo di ricerca nelle università) e alle industrie (per gli investimenti) dalle organizzazioni di categoria (metalmeccanici, edili, elettrici, chimici, ecc.); a vertenze aziendali e di gruppo (Zoppas, Fiat, Montedison, ecc.), che possono fare del sindacato una forza tendente allo sviluppo scientifico del Paese.
Dopo varie resistenze corporative da parte dei ricercatori, la gran parte di essi confluirono nei sindacati confederali della ricerca dando luogo ad una nuova coscienza nel campo della ricerca. I punti salienti d'accordo programmatico erano:
-
ottenere forme di partecipazione democratica e di compresenza negli istituti di ricerca;
- garantire l'efficienza e la qualificazione dei ricercatori;
- promuovere la finalizzazione della ricerca alla crescita intellettuale ed economica di tutta la popolazione.

Iniziative sono sorte da parte di alcune società scientifiche come la Società di Fisica che ha promosso lo studio sul rapporto ricerca/insegnamento e come la Società di Medicina del Lavoro che ha svolto ricerche, in collaborazione con il sindacato, sulla tutela della salute nelle fabbriche.
Anche tra i gruppi dirigenti della ricerca si nota un discorso nuovo, critico nei riguardi del passato, aperto ad una programmazione scientifica e a collegamenti con le forze sociali e produttive.
I partiti politici, particolarmente quelli di opposizione, si sono sempre più interessati alla ricerca.
L
a DC con un convegno promosso negli anni Settanta; il PRI con un convegno del '68 imperniato sulla necessità di costituire un ministero per la ricerca;
il PSDI pur gestendo incarichi ministeriali non ha inciso affatto; il PSI propone una nuova struttura degli enti di ricerca; il PCI, infine, nel 1974 puntualizzava, in una proposta di legge organica, le sue posizioni sul problema della ricerca; i punti più significativi erano:
-
esigenza di una posizione più decisa per la scienza e per il suo sviluppo, ai fini conoscitivi, produttivi, ambientali, internazionalisti;
- libertà della scienza e rapporto tra fini e strumenti della ricerca;
- rapporti internazionali, da svilupparsi in senso multilaterale per sottrarre l'Italia alla soggezione verso gli USA e per contribuire ad una reale uguaglianza fra le nazioni;
- sedi in cui deve svolgersi la ricerca;
- definizione dei soggetti della politica della ricerca.


Al Parlamento spettano le scelte fondamentali nel quadro della programmazione economica; al CNR va sottratto l'appesantimento dell'erogazione di finanziamenti; nel Ministero per la Ricerca concentrare tutte le competenze specifiche, sparse fra Presidenza del consiglio e altri ministeri; alle Regioni affidare le specificità del territorio in collaborazione con il CNR; per l'Università realizzare un'adeguata riforma, la diretta amministrazione e corresponsione (con criteri oggettivi) dei fondi, l'interscambio con gli altri enti di ricerca.
Quanto al rapporto fra ricerca, innovazione e attività produttiva, l'obiettivo è quello di collegare l'aumento della produzione con un vantaggio generale della collettività in termini di occupazione, equilibrio del territorio, salute e sicurezza del lavoro, protezione dell'ambiente, e con aumento del peso politico di lavoratori.

Nel 1989 operavano 35 ricercatori per ogni 100 000 abitanti nel Mezzogiorno e 243 nel Centro-Nord con un rapporto da 1 a 7, negli anni successivi la situazione è peggiorata. Infatti, le fauci degli speculatori si sono spalancate di fronte alla creazione dei FAS, il Fondo per le Aree Sottosviluppate, istituito con legge finanziaria n. 289 del 2003 e nel quale convergono centinaia di miliardi, sia di fondi nazionali sia di fondi europei, per la politica di coesione. Tale fondo, che era stato pensato esclusivamente <<con finalità di riequilibrio economico e sociale>> tra le regioni, dunque al fine di risanare il tessuto sociale, culturale e scientifico delle aree svantaggiate come il Mezzogiorno e per porre fine a questa situazione di profonda ineguaglianza, è stato utilizzato invece <<come provvista finanziaria per i più disparati scopi>>, generalmente per sostituire la spesa ordinaria nel Mezzogiorno e per le cosiddette "grandi opere", appaltate ad imprese industriali residenti al Nord, come il ponte sullo Stretto di Messina, il Mose di Venezia, la Tav, ma anche per le cosiddette "emergenze" e per la crisi economica. In questo modo i fondi per il Mezzogiorno non solo sono stati restituiti ai redditi delle regioni più ricche, ma sono stati letteralmente depredati.
Tutto ciò nonostante l'appello nel 1988 a Ginevra de
l CERN, dell'Accademia dei Lincei e dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, agli scienziati per ripristinare l'unità fra le scienze della natura e lo spirito dell'umanesimo.
Partì da Napoli, dai saloni di
Palazzo Serra di Cassano (sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), una ciclopica impresa di formazione nelle scienze mediche, matematiche, fisiche e naturali, un intensissimo lavoro di ricerca e di diffusione di cultura scientifica ad opera di studiosi di fama mondiale e premi Nobel che nell'Istituto vennero a discutere i risultati dei loro più recenti studi.
In questo fervido laboratorio di scienziati germinarono momenti di altissimo confronto, come ad esempio il convegno dedicato alle
<<Nuove prospettive nelle teorie dei quanti e della relatività generale>> e tanti altri che incoraggiarono l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici a creare una collana scientifica in cui figurano testi di clinica medica, di biologia, di fisica quantistica, di astronomia, e di numerose scuole di Alta Formazione, in particolare, le Scuole Internazionali di Biofisica e Biocibernetica.



Torna ai contenuti | Torna al menu