Eduardo Ambrosio


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Proprietà: acqua e sapere

SAGGISTICA E POLITICA

La proprietà
Libera elaborazione di una riflessione di Stefano Rodotà ("la Repubblica" del 12.4.13)
Acqua e sapere
quali patrimonio dell'umanità, sono beni di tutti
ciascuno deve essere messo nella condizione di difenderli, anche agendo in giudizio a tutela di un bene lontano dal luogo in cui si vive.


I beni comuni appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantarne pretese esclusive; incorporano, inoltre, la dimensione del futuro, e quindi devono essere governati anche nell'interesse delle generazioni che verranno, per cui per la loro "titolarità diffusa" devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà.

Principio realizzato da Adriano Olivetti (figlio di padre ebreo e di madre valdese) che, coniugando efficienza ed etica, credeva nel lavoro come mezzo di elevazione: gli alti profitti, anziché trasformarli in lauti dividenti per gli azionisti o in compensi ai massimi dirigenti, venivano riutilizzati per dare a chi vi aveva contribuito vantaggi come mense, asili nido, biblioteche, vacanze. La visione quasi mistica del lavoro fa affermare ad Olivetti: <<Il lavoro è perciò spirituale ed il lavoratore si sente anch'egli nel lavoro e sul lavoro vicino a Dio, come suo collaboratore e servitore>>. O anche <<il cristianesimo riscattando la schiavitù dell'uomo ed elevando la dignità della persona umana, fu principio di autentica rivoluzione>>. L'organizzazione della fabbrica omonima fu concepita, in contrasto anche con l'allora PCI, come modello possibile di un nuovo, creativo ed umano d'intendere il complicato rapporto capitale-lavoro. Il soffocante capitalismo di oggi, non di rado irresponsabile, aumenta il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
A tal proposito il famoso biologo evoluzionista Edward O. Wilson - convinto che siamo di fronte ad cambiamento di paradigma e ad una trasformazione del nostro modo di vedere l'evoluzione classica darwiniana - sostiene che nelle specie sociali, come esseri umani - quali chimere genetiche, dipendenti da come ci si è evoluti nel corso di milioni di anni - e formiche, sopravvivono si gli individui più egoisti, ma anche e soprattutto i gruppi con maggior numero di membri solidali tra loro. Queste due specie hanno due cose in comune: la tendenza a compiere atti di altruismo nell'ambito del proprio gruppo e il fatto di avere colonizzato il Pianeta. A spiegare il successo delle specie <<sociali evolute>> sarebbe una selezione naturale non di parentela ma di <<multilivello>>: da un lato la darwiniana selezione del successo dei singoli individui nel sopravvivere tanto da trasmettere i propri geni alla prole; dall'altro, la selezione tra i gruppi, che premia le organizzazioni più solidali. Oggi è fondamentale sapere che la competizione dell'individuo per accaparrarsi risorse eper accoppiarsi è importante quanto verso il proprio gruppo, al cui interno spesso gli individui egoisti hanno la meglio. Ma in una competizione tra gruppi (umani o insetti), le organizzazioni basate sulla cooperazione prevalgono sulle collettività composte da individui egoisti. Internet con la sua immensa mole di notizie accessibili a tutti è altruismo allo puro.

Karl Wittfogel descrive il dispotismo orientale anche attraverso la costruzione di una "società idraulica", che consentiva un controllo autoritario dell'economia delle persone. Poteri pubblici e privati - essendo aperta una essenziale partita sulla distribuzione del potere - si contendono ancora oggi il governo di una risorsa scarsa e preziosa come l'acqua e, con la stessa determinazione, di una risorsa abbondante e altrettanto preziosa come la conoscenza. Di fronte ai nuovi dispotismi si leva la logica non proprietaria dei beni comuni, dunque ancora una volta "l'opposto della proprietà".
Già a Roma la gestione dell'acqua, con la costruzione delle infrastrutture necessarie - e le vestigia degli acquedotti ovunque ci tramandano quello spirito - era concepita come strumento per mantenere la coesione sociale, tanto che fino all'età imperiale era proibito ai privati di avere l'acqua nelle loro abitazioni.
Tra utilizzazione del bene e produzione di profitto; tra disponibilità di un bene e sua "recinzione" che impedisca utilizzazione da parte di altri; tra diritti di proprietà e creatività intellettuali; tra beni materiali e beni comuni virtuali; tra valore economico e riduzione a merce; tra sguardo locale e proiezione globale: molte sono le divaricazioni da considerare nella loro storicità, sfuggendo così alle trappole ideologiche di cui è disseminata la riflessione sui beni comuni.
Un punto chiave della discussione è rappresentato della conoscenza, bene comune "globale", per il quale si continua a ripetere che non può essere oggetto di "chiusure" proprietarie, ripetendo nel tempo nostro la vicenda che, tra Seicento e Settecento, in Inghilterra portò a recintare le terre coltivabili, sottraendole al godimento comune e affidandole a singoli proprietari.
Per giustificare quella vicenda lontana si è usato l'argomento della accresciuta produttività della terra. Ma oggi il nuovo, sterminato territorio comune, rappresentato dalla conoscenza raggiungibile attraverso Internet, non può divenire l'oggetto di uno smisurato desiderio che vuole trasformarlo da risorsa illimitata in risorsa scarsa, con chiusure progressive, consentendo l' accesso solo a chi è disposto ed è in condizione di pagare. La conoscenza da bene comune a merce globale?
Così i beni comuni ci parlano dell'irriducibilità del mondo alla logica del mercato, indicano un limite, illuminano un aspetto nuovo della sostenibilità: che non è solo quella imposta dai rischi del consumo scriteriato dei beni naturali (aria, acqua, ambiente), ma pure quella legata alla necessità di contrastare la sottrazione alle persone delle opportunità offerte dall'innovazione scientifica e tecnologica. Si avvererebbe altrimenti la profezia secondo la quale <<la tecnologia apre le porte, il capitale le chiude>>. E, se tutto deve rispondere esclusivamente alla razionalità economica, l'effetto ben può essere quello di <<un'erosione - scrive Carlo Danolo - delle basi morali della società>>,
In questo orizzonte più largo compaiono parole scomparse o neglette. Il bene comune, di cui si erano perdute le tracce nella furia dei particolarismi e nell'estrema individualizzazione degli interessi, s'incarna nella pluralità dei beni comuni. Poiché questi beni si sottraggono alla logica dell'uso esclusivo e, al contrario, rendono evidente che la loro caratteristica è quella della condivisione, si manifesta con nuova forza il legame sociale, la possibilità di iniziative collettive di cui Internet fornisce continue testimonianza.
Il futuro, cancellato dallo sguardo corto del breve periodo, ci è imposto dalla necessità di garantire ai beni comuni la permanenza nel tempo. Ritorna, in forme che lo rendono ineludibile, il tema dell'eguaglianza, perché i beni comuni non tollerano le discriminazioni nell'accesso se non a prezzo di una drammatica caduta in divisioni che disegnano davvero una società castale, dove ritorna la cittadinanza censita, visto che i beni fondamentali per la vita, come la stessa salute, stanno divenendo , o rimangono, più o meno accessibili a seconda delle disponibilità finanziarie di ciascuno. Intorno ai beni comuni si propone così la questione della democrazia e della dotazione di diritti di ogni persona.
Proprio nella dimensione globale queste considerazioni assumono particolare rilevanza. La possibilità di affidarsi ad una logica diversa è legata anche alla consapevolezza, in una visione per forza di cose planetaria, che devono essere garantiti i beni comuni ormai irriducibili alla misura del mercato e che sempre più spesso non possono essere richiusi nei confini nazionali.



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