Eduardo Ambrosio


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DEMOCRAZIA CRISTIANA

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DEMOCRAZIA CRISTIANA


L
a Democrazia Cristiana, il partito che ha mantenuto la maggioranza relativa dei voti nel dopoguerra fino al 1992, nasce nell'autunno del 1942 per iniziativa di alcuni dirigenti del Partito Popolare Italiano: in una riunione a Milano, in casa dell'industriale Falck, tra De Gasperi, Iacini, Grandi, Gronchi, Malavasi, Malvestiti, Meda, Migliori e lo stesso Falck si stilò il programma che fu pubblicato il 25 luglio 1943.

Il programma prevedeva: il ripristino della Camera dei deputati, eletta a suffragio universale col sistema proporzionale; l'autonomia delle regioni e dei comuni; l'indipendenza e la sovranità della Chiesa e dello Stato nell'ambito dei rispettivi fini, il riconoscimento del diritto di proprietà, la difesa e l'incremento della piccola proprietà contadina, la libertà d'insegnamento.
Un altro testo programmatico, contenente una serie di riforme nell'industria (come la partecipazione dei lavoratori alla gestione della impresa) e nella agricola (come la graduale trasformazione dei braccianti in mezzadri e proprietari), fu elaborato da Alcide De Gasperi e diffuso clandestinamente nella II metà del 1943, con il titolo di "idee ricostruttive della DC".

Sotto la tutela di DE Gasperi la DC si presenta all'elettorato come un partito di massa in aperta contrapposizione con i partiti di massa della sinistra, con un programma di riforme strutturali che rispondeva alle aspirazioni di lavoratori cattolici e non era molto diverso - in teoria - da quello dei comunisti e socialisti.
La DC, infatti, chiedeva "pane, lavoro, ma anche accesso alla proprietà" per tutti, e "la modifica di quelle leggi che avevano, fino ad allora, favorito la concentrazione dei mezzi di produzione e della ricchezza i poche mani".
Gli obiettivi del partito di don Sturzo nel Mezzogiorno apparivano, nel complesso, abbastanza progressisti tanto che nel '46, al I^ Congresso DC, De Gasperi poteva dichiarare: "E' tempo che i grandi proprietari facciano dei sacrifici, perché non è più possibile mantenere i privilegi esistenti sia nel campo della proprietà agraria sia in campo industriale. Dobbiamo muoverci verso un nuovo equilibrio, verso un altro sistema di proprietà della terra che si fondi sulla giustizia sociale".


LA STORIA
Dopo la caduta del regime fascista il partito si organizzò sotto la guida di una commissione direttiva centrale (presieduta da De Gasperi eletto segretario del partito nel luglio 1944) e aderì ai CLN insieme con gli altri partiti antifascisti. Dall'aprile '44 gli esponenti ella DC entrarono dapprima nel secondo ministero Badoglio, poi, nei successivi governi Bonomi e Parri, e, nel dicembre '45, il partito ottenne la presidenza del consiglio con De Gasperi.
Affermatosi come grande partito di massa (con il 35% dei suffragi) nelle elezione del 2 giugno 1946 per l'Assemblea Costituente, contemporanee al referendum per la scelta tra monarchia e repubblica, la DC si impegno nei lavori preparatori della Carta Costituzionale, per l'affermazione del principio dell'indissolubilità del matrimonio e della libertà dell'insegnamento privato. Come partito compì le sue scelte decisive nel corso del 1947, quando De Gasperi, ottenuto il pieno appoggio americano con un viaggio negli USA, ridimensionò la presenza dei partiti di sinistra nel suo governo giungendo alla loro esclusione dopo il rifiuto dei socialisti di rompere il Patto di Unità di Azione con i comunisti.
Le date più significative del primo periodo della storia della DC sono due: la prima è il 10 settembre 1945, giorno un cui De Gasperi formò il suo primo governo; la seconda è il 18 aprile 1948, giorno di ec-cezionale successo riportato nelle prime elezioni generali che diedero all DC il 48,5% dei voti alla Camera dei deputati facendole ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. La DC tentò così di avviare una politica di ammodernamento delle strutture economiche e civili con una serie di provvedi-menti, quali la riforma agraria, tributaria, e della pubblica amministrazione, della scuola e per l'edilizia popolare, legate in parte alle esigenze più elementari di ricostruzione materiale del paese. Ma le resisten-ze conservatrici furono tali da ridurre la portata innovatrice di questi provvedimenti, tanto che la riforma della pubblica amministrazione e della scuola non giunsero a compimento; quella tributaria sui ridusse ad un legge stralcio e quella agraria si rivelò anacronistica sul piano economico per l'eccessiva frammentazione delle quote di terra assegnate.
Decisive furono le scelte di politica estera (adesione al Patto Atlantico nel 1949 e alla CECA nel 1952). Politica estera atlantica a favore dell'unità europea e progressivo intervento pubblico al partito dell'economia costituirono i cardini fondamentali per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta.
Sulla mancata o parziale attuazione delle riforme continuarono a confrontarsi le correnti interne del partito, contro la leadership degasperiana si rafforzò la Sinistra guidata da Rossetti, che venne eletto come vive segretario. I progressi delle opposizioni di sinistra e di destra, conseguenza delle riforme mancate o tentate, indussero De Gasperi a garantire la stabilità interna e l'egemonia della DC con una legge elettorale maggioritaria (che assegnava quasi i due terzi dei seggi in Parlamento al blocco dei partiti che avessero ottenuto il 50% pi uno dei voti). Ma nelle elezioni del 7giugno 1953 nessun blocco di partiti ottenne il quorum necessario e la legge maggioritaria non scattò: la DC ottenne il 40% dei suffragi, cifra intorno alla quale si stabilizzerà per un ventennio e che le è permetterà di guidare ininterrottamente la politica italiana pur nel mutare delle situazione socio- economiche.

IL DOPO DE GASPERI
Avendo la DC ottenuto minor voti nel '53, morto De Gasperi nel '54, avvertita la necessità di una politica di riforma in un paese in forte crescita economica e civile, la nuova leadership Amintore Fanfani, esponente della corrente "Iniziativa Democratica", sosteneva la tesi che lo sviluppo economico dovesse essere guidato dal potere politico. In effetti si poté assistere ad una progressiva estensione del potere pubblico in economia con la creazione numerosi enti di stato e la costituzione, nel '56, del Ministero delle Partecipazioni Statali, cui fu affidato il compito di supervisione e coordinamento delle imprese pubbliche.
Durante la segreteria di Fanfani il partito si consolidò sotto l'aspetto organizzativo, la campagna di tesseramento portò gli iscritti da 1.146.000 del '53 a 1.610.000 nel '59. A caratterizzare il periodo fu il fatto che l'intervento pubblico avvenne mediante l'inserimento di personale politico democristiano al vertice degli enti di stato, in controllo di decisivi centri di potere, la creazione di una vera e propria borghesia di stato. La presenza negli enti pubblici ha consentito alla DC il controllo e la distribuzione di posti di lavoro, di potere e di prestigio. L'intervento pubblico ha sortito il rafforzamento delle correnti più che del partito. Il "Correntismo" è stato un fenomeno che nella DC tutti dichiaravano di osteggiare, ma che risorgere continuamente; esso è stato l'espressione delle divergenze sul problema delle alleanze, anche se ha finito spesso per funzionare come regolatore nella distribuzione interna del potere.
La corrente per antonomasia è quella dei Dorotei (per la riunione di oppositori a Fanfani nel convento di Santa Dorotea nel marzo '59) che, occupando il centro del partito e quindi rappresentano il simbolo del moderatismo, intendevano reagire ai metodi accentratori e personalistici di Fanfani proponendo una politica non solo come potere, ma anche capacità di mediazione, disponibilità a contrarre nuove alleanze per evitare contraddizioni e strappi, dopo fasi alterne si stabilizzarono nel XVIII Congresso con l'espressione della maggiorana e la segreteria di Arnaldo Forlani con il Governo di Giulio Andreotti.
Il disagio interno della DC si accentuò di fronte alle svolte politiche e sociali provocate nel paese dalla contestazione studentesca e giovanile del 1968, dalle agitazioni sindacali della "autunno caldo" del 1969. I governi diretti dalla DC si succedettero gli uni agli altri con scarsa capacità operativa: il partito, dopo il settennato di Saragat (1964-71), riconquistò con Giovanni Leone la Presidenza della repubblica; le elezioni del maggio '72 non modificarono l'atteggiamento della DC che, nella nuova legislatura, diresse 5 governi in 3 anni, mentre alla difficile situazione economica si accompagnava una crescente tensione sociale e politica, resa più acuta da una serie di sanguinosi attentati terroristici. D'altra parte la dura sconfitta subita nel referendum sul divorzio il 12 maggio 1974 segnò una battuta d'arresto nel tentativo di ricomporre la propria unità e di riaffermare la propria egemonia attorno alla segreteria Fanfani. Le successive elezioni amministrative del 15 giugno 1975 (si votava per la prima volta per le regioni), conclusesi con una diminuzione dei suffragi alla DC e avanzata del PCI, determinarono l'esclusione di Fanfani dalla segreteria e l'avvio sotto la direzione di Benigno Zaccagnini (luglio '75) di un processo di "rifondazione" dell'organizzazione interna e degli indirizzi politici del partito.

ALDO MORO
Uno degli esponenti più importanti della DC fu ALDO MORO che, lanciato dai dorotei sostituendo Fanfani alla segreteria nel '59, è statala figura politica più capace di coltivare ampie strategie. La sua personalità apparve in almeno due momenti della storia del partito e del paese: il periodo del centrosinistra organico ('63-'68) e gli anni dei governi di solidarietà nazionale ('76-'79).
Sebbene Fanfani avesse lanciato il problema di un'apertura a sinistra, l'alleanza con il PSI partì solo nei primi anni '60 (era il tempo del pontificato di Giovanni XXIII). Il paese era prepotentemente cresciuto, si avvertiva l'esigenza di una politica di riforme (sanità, giustizia, casa, scuola, urbanistica e fisco) e di programmazione che garantissero uno sviluppo equilibrato. Fu proprio Moro a presiedere i tre governi di centrosinistra organico, definito tale per la diretta partecipazione dei socialisti. Il centrosinistra mantenne solo in parte le sue promesse; non attuò nessuna programmazione e molti progetti di riforma vennero rinviati (in effetti le riforme più significative del periodo, nazionalizzazione dell'energia elettrica e istituzione della scuola media unica, erano già state approvate nel '62 da un governo di centrosinistra non organico).
L'azione riformatrice fu frenata dalle preoccupazioni moderate dei dorotei, dall'essere il paese entrato in una fase di recessione, dalle debole e del PSI. Moro riprese così la guida in un periodo di grave sbandamento del partito: nel '68-'69 la contestazione studentesca e l'autunno caldo, il paese era entrato in una fase di grande tensione, cresceva con fora la domanda di partecipazione ed il desiderio di cambiamenti radicali. Una crisi economica ed il rincaro delle materie prime su scala internazionale e un'inflazione galoppante impedivano ulteriori aumenti della spesa pubblica e restringevano gli spazi di manovra politica. Si era aperto un periodo di grande instabilità: la DC venne sconvolta da una serie di scandali e subì due pesanti sconfitte (divorzio e amministrative '75). Nelle elezioni politiche del '76 mantenne il suo elettorato, ma assistette ad una crescita imponente del suo diretto avversario il PCI, che salì dal 27,2 al 34,4%. Fu questo un momento di svolta, anche perché i risultati delle elezioni consentivano solo maggioranze dal centro alla sinistra.
A questo punto Moro teorizzò una "terza fase" del partito: si trattò della strategia dell'attenzione al PCI.
Per molti Moro è stato il politico cosciente dell'anomalia italiana, lo stratega che a compreso che, per dare al paese una democrazia compiuta, non si poteva più rimandare l'inserimento del PCI nel gioco dell'alternativa. Da parete democristiana si è sostenuto che con Moro la DC si è assunta un'altra volta la responsabilità di garantire la stabilità del paese e gli equilibri politici attraverso l'elaborazione di formule sempre nuove di governo. Probabilmente proprio a causa di queste sue aperture, Moro morì il 9 maggio 1978 , assassinato dalle Brigate Rosse (BR).

IL SETTENNATO DEMITIANO
Morto Moro la DC ricadde in un periodo di sbandamento e subì tre sconfitte: nel 1981 perse la battaglia contro l'aborto; nelle elezioni politiche del 1983 toccò il minimo storico; nelle elezioni europee del 1984 fu sorpassata dal PCI. Gli alleati di governo - PSI, PRI, PSDI, PLI - consapevoli del loro potere accresciuto lo fecero valere. Così la DC cedette la Presidenza del Consiglio, che venne prima affidata al repubblicano Giovanni Spadolini ('81-'82), poi al socialista Bettino Craxi ('83-'87). In questo periodo si affermò la segreteria di Ciriaco De Mita, il cui progetto era di rilanciare il partito come laico e non confessionale, capace di guidare il risanamento dello stato sociale e di esercitare il controllo ella spesa pubblica, ma l'obiettivo non fu raggiunto. I rapporti con il PSI di Craxi furono molto tesi, competitivi e talora conflittuali, anche perché De Mita legittimò pienamente il PCI ed auspicò un bipolarismo politico DC - PCI, che teoricamente avrebbe finito con lo schiacciare i socialisti. In effetti, per la caduta di De Mita il PSI di Craxi non pianse.

IL CROLLO
Nel corso del 1989 De Mita fu costretto ad abbandonare la segreteria del partito, che passò ad Arnaldo Forlani, e la Presidenza del Consiglio (era succeduto a Craxi nel 1987), che fu assunta da Giulio Andreotti, il quale, grazie ad un alleanza di ferro con il PSI di Craxi, governò fino alle elezioni del marzo '92. Furono questi anni di "assoluto immobilismo" nella vita politica italiana. Il deficit pubblico continuò a crescere; la criminalità mafiosa divenne sempre più arrogante, continuando a macchiarsi di assassini e stragi, riuscendo persino ad uccidere, nel 1992, i due magistrati - simbolo della lotta alla mafia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; l'economia presentava segni evidenti di recessione; si continuava a parlare di riforme istituzionali, che non sono state a tutt'oggi mai attuate. Nelle elezioni europee dell'estate del 1989 la DC continuò a perdere terreno sul piano elettorale; l'impressione di una perdita di consenso si consolidava. All'interno della DC un piccolo gruppo di deputati, guidati da Mario Segni, convinto che solo un sistema maggioritario potesse consentire il rinnovamento della politica, puntò decisamente sulla carta del referendum. contro tutte le previsioni, il referendum del 9 giugno 1991 sulla preferenza unica passò con una larga maggiorana; l'esito venne da tutti interpretato come la volontà dell'elettorato di voltare pagina e di farla finita con i vecchi metodi di potere: l'elezione del 5 aprile 1992 confermò tale impressione segnando una grave sconfitta dei partiti di governo tra cui DC e PSI in particolar modo.
L'inchiesta "mani pulite" partita il 17 febbraio 1992 con l'arresto del socialista Mario Chiesa, toccò diri-genti di primo piano di DC e PSI: fu eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Presidente del Consiglio Giuliano Amato. In seguito i due partiti sono stati vorticosamente travolti da:
- crescita della Lega Nord, che nelle elezioni politiche del 6 giugno '93 ottenne il 40,9% a Milano e il 26,7% in Friuli;
- allargamento a macchia d'olio dell'inchiesta mani pulite, condotta dalla Procura di Milano (primo avviso di garanzia al tesoriere della DC Severino Citaristi del maggio '92) dove, con le inchieste del sostituto procuratore Antonio Di Pietro, venne alla luce un'incredibile realtà fatta di intrecci tra affari e politica, di tangenti multimiliardarie, di reati di corruzione e di concussione, di finanziamenti illeciti ai partiti (tangentopoli), vennero inquisiti politici illustri,
- la magistratura si mosse anche in altre città; nel Sud le inchieste cominciarono a far luce sulla collusione tra mafia, camorra e politici (specie democristiani); il senatore Andreotti venne inquisito dalla Procura della Repubblica di Palermo;
- il 18 aprile '93 passarono 8 referendum con un'adesione plebiscitaria.
La DC fu gravemente scossa; elesse il suo nuovo segretario nel dicembre del 1992: Mino Martinazzoli e lo impiegò in un difficile lavoro di pulizia interna e di rilancio del partito; comunque nelle elezioni parziali del 6 giugno 1993 subì un crollo verticale con la sconfitta quasi ovunque dei candidati democristiani.
Anche in campo internazionale si registrano motivazioni all'indebolimento come il crollo del Muro di Berlino ed il conseguente crollo del comunismo internazionale. Infatti la tesi della "centralità democratica" (centralità intesa come insostituibilità) ha funzionato per decenni perché la DC è sempre apparsa agli occhi dell'elettorato conservatore come la forza politica che più di ogni altra garantiva dal pericolo comunista. Caduto il comunismo, la DC non ha potuto godere della copiscua rendita dell'anticomunismo. Il partito ha così continuato il suo lento declino segnato da litigi, smembramenti, divisioni,.
Il primo ad abbandonare la DC fu Mario Segni che, nel marzo del 1993, portò fuori dal partito una componente riformista, inizialmente battezzata "popolari per la riforma, poi Patto per l'Italia, per l'elezione del 1994 dove si presentò come "Lista Segni" alleato con i Popolari, poi come "Patto Segni", confluito in buona parte, prima delle elezioni del 1996, in Rinnovamento Italiano, guidato da Lamberto Dini (Ulivo).
Breve scheda cronologica della evoluzione della DC
Il 18 gennaio 1994, la Democrazia Cristiana si spacca e cambia nome cessando di esistere ufficialmente: nascono il Partito Popolare Italiano (PPI - segretario Martinazzoli) e il Centro Cristiani Democratici (CCD - coordinatori Mastella e Casini)).
Nel 1995 si spacca anche il PPI. Il nuovo segretario Rocco Bottiglione annuncia liste con il Polo alle amministrative ma il Consiglio Nazionale respinge il patto ed elegge segretario Gerardo Bianco. Si passa alle vie legali. La vertenza finisce con la spartizione della sede di Piazza del Gesù w dei finanziamenti. Bottiglione fonda il CDU (Cristiani Democratici Uniti) e conserva il simbolo dello scudocrociato. A Bianco il nome PPI.
Nel 1996, il PPI contribuisce a creare la Lista per Prodi.
Nel 1997, i "nostalgici", gli ex dirigenti del partito che vogliono rifondare la DC, guidati da Flaminio Piccoli, danno vita ad un piccolo raggruppamento che prende il nome: Partito della democrazia cristiana.
Nel 1998, Francesco Cossiga fonda l' UDR (Unione democratica per la Repubblica) a cui aderisce Clemente Mastella che lascia il CCD.
Nel 1999 Mastella rompe con l'UDR e fonda l'UDEUR (Unione Democratica Europea).
Nel 2000, l'ex sindacalista Sergio D'Antoni fonda Democrazia europea.
Nel 2002, CCD, CDU e DE si ritrovano sotto lo Scudo Crociato per dare vita all'UDC (Unione Democratici Cristiani).
Nel 2003, Mastella e Martinazzoli lanciano Alleanza Popolare - UDEUR.
Nella primavera del 2004, alla vigilia delle Europee, D'Antoni uscirà dall'UDC: DE si alleerà con il centrosinistra. Alleanza Popolare-UDeur otterrà un europarlamentare: Paolo Cirino Pomicino con l'1,3 per cento.
Il tutto ha rinvigorito la voglia di DC sostenuta fortemente dall'attuale segretario dell'UDC Follini per un Centro che governa.




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