Eduardo Ambrosio


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LA RICERCA

STORIA > STORIA DELLA DONNA > ONOREVOLE DONNA

... LA RICERCA ...

Da qualche anno, in occasione dell'otto marzo, ho introdotto nel Liceo Scientifico di Terzigno, dove insegno, un dibattito sulla donna volto a sfatare i tanti luoghi comuni e a leggere criticamente l'evento: la cosa ha sempre suscitato vivace interesse tra colleghi ed alunni.
Quest'anno, oltre al consueto dibattito, data la forte spinta alle riforme costituzionali che giunge dal Parlamento, ho proposto per una ricerca più approfondita la seguente traccia: "
In Italia, nonostante l'estensione del voto alle donne già dal lontano 1946, registriamo una presenza femminile nel Parlamento inferiore al 10%; eppure le elettrici sono oltre il 50% dell'elettorato. Non ritieni necessario un intervento legislativo volto a favorire una giusta rappresentanza delle donne, tale da rispettare le proporzioni dell'elettorato? Esprimi le tue considerazioni, utilizza anche pareri delle persone a te vicine e di materiale bibliografico attinente, tenendo presente l'effetto che il punto di vista della donna, nella formulazione delle leggi, potrebbe avere nella civiltà, legalità e moralità, espressioni sempre più sbiadite nella nostra società svuotata di valori e priva di punti di riferimento". La risposta è stata copiosa ed i lavori sono stati svolti, a favore e contro, in perfetta collaborazione fra i due sessi. Ovviamente non sempre è stato rispettato rigorosamente il riferimento bibliografico sia per l'inesperienza dei giovani sia per la particolarità dell'argomento trattato.

Di seguito, dopo un minimo intervento di coordinamento, sono riportati i lavori più esaustivi che riflettono i vari aspetti e posizioni. Così titolati:
- Rivendicazione e dimensione europea
- MITO, FILOSOFIA, IDENTITÀ
- STORIA E PSICOLOGIA
- IL VOTO ALLE DONNE

- Maschile e Femminile
- RUOLO STORICO E LETTERATURA
- CULTURA DEL VOTO, LEGISLAZIONE
- L'IMPOSSIBILITÀ DI ESSERE UGUALI
- ELEMENTI DI LEGISLAZIONE SULLA CONDIZIONE FEMMINILE IN ITALIA

- La posizione critica
- VALUTAZIONE RIASSUNTIVA E CONCLUSIVA


Rivendicazione e dimensione europea

In tutta la storia della razza umana, escluse pochissime civiltà di stampo matriarcale, la donna ha sempre occupato una posizione subordinata rispetto all'uomo, il quale, dapprima avvantaggiato dalla maggiore forza fisica che nelle civiltà primitive rappresentava un valore indispensabile, non ha mai cercato di fare, fino a questo periodo, nessun passo avanti che permettesse una vera e propria parità di diritti tra le due componenti della popolazione.

Negli ultimi anni, la donna ha ottenuto sempre più una maggiore importanza a livello sociale, ma non esiste ancora un paese in cui le differenze e le discriminazioni siano state completamente bandite. Nei paesi socialisti le differenze tra gli appartenenti alla popolazione maschile e femminile sono state spesso meno marcate, proprio a causa delle numerose riforme radicali che hanno cambiato interamente la legislazione di quei paesi. In Italia, dagli anni Settanta, la donna è stata considerata a tutti gli effetti membro della famiglia con gli stessi diritti dell'uomo (eredità, affidamento dei figli, residenza), ed anche nel mondo del lavoro sembra avere guadagnato quella parità tanto sperata, eppure ci sono tante cifre che confermano la falsità di queste affermazioni, a partire dai dati sull'occupazione, che ancora registrano una massiccia presenza maschile a fronte di un'esigua minoranza femminile.
Recentemente poi, sono stati proposti numerosi cambiamenti che porterebbero finalmente ad una vera uguaglianza in tutti i campi.
In un congresso svoltosi a Roma tra il 16 e il 18 maggio del 1996 ("Le donne per il rinnovamento della politica e della società") le donne Ministre dei Paesi Membri dell'Unione Europea hanno sottoscritto un documento, la "Carta di Roma", in cui esprimono le loro considerazioni sulla disuguaglianza, nei Parlamenti Europei e non, di percentuale tra uomini e donne.
Il documento cita:
"[...] In campo politico, negli stati membri la presenza media delle donne nei parlamenti nazionali è del 15%, e del 16% nei governi. Il 28% dei parlamentari europei in carica e il 25% dei membri nella Commissione Europea sono donne.
In altre sfere della società civile in cui si assumono decisioni che hanno un impatto indiscutibile sulla vita dei cittadini e delle cittadine, la rappresentanza femminile ai livelli decisionali può essere ancora più bassa.
Di conseguenza non possiamo fare a meno di affrontare il fatto che la vita politica e più in generale i processi decisionali sono tuttora dominati dagli uomini. Ciò limita gravemente la qualità dei processi decisionali e della democrazia. La democrazia acquisterà un significato reale e dinamico quando donne e uomini insieme definiranno i valori che vogliono affermare nella vita politica, economica, sociale e culturale, e insieme prenderanno le decisioni che contano. [...]"
"[...] La partecipazione egualitaria di donne e uomini ai processi decisionali è un obiettivo prioritario a livello europeo.
Ciò è necessario per rivitalizzare la democrazia e i suoi meccanismi; una condivisione equilibrata del potere e delle responsabilità fra donne e uomini che migliorerà la qualità della vita di tutta la popolazione; la rappresentanza di tutte le componenti della società è indispensabile se si vogliono affrontare i problemi della società europea. E' prioritaria l'attuazione efficace delle politiche per ottenere una partecipazione e partnership egualitaria fra uomini e donne. [...]"
"[...] La partecipazione egualitaria delle donne a tutti i livelli delle strutture decisionali in campo economico, sociale e culturale è necessaria anche per garantire che si tenga conto delle esigenze delle donne e degli uomini in tutte le politiche, i programmi e le azioni. [...]"
Segue a queste parole un appello, rivolto a uomini e donne, per il sostenimento di questo impegno, perché, si possa raggiungere la parità di diritti anche in campo politico e amministrativo.
Una bassa partecipazione di donne nel governo di un paese, in cui la percentuale della popolazione di sesso femminile si aggira intorno al 50% o poco più, non può che portare seri squilibri per le proposte di nuove leggi e per la loro approvazione. Col termine Parlamento, infatti, si designa l'istituto più importante e caratteristico della democrazia rappresentativa in quanto organo titolare del potere legislativo, nonché, di un'ampia funzione politica di controllo dell'operato del governo, che verso di esso è responsabile. Il Parlamento Italiano provvede all'elezione del Presidente della Repubblica, di un terzo dei componenti della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura. È composto da 945 membri (315 nel Senato, con età minima di 40 anni e 630 nella Camera del Deputati, con età minima di 25 anni) e l'elezione di questi membri avviene su base regionale. Di questi 945 membri solamente il 10% sono donne, e questo causa un ovvio squilibrio tra la percentuale delle donne votanti e di quelle elette.
La partecipazione di Deputati e Senatori al Parlamento è giustificata dalla loro funzione rappresentativa che svolgono, in quanto questi hanno la funzione di rappresentare gli elettori durante le scelte politiche e legislative del Paese. Una partecipazione che non rispecchi equamente la popolazione rischia, seppure non profondamente come nel passato, quando la rappresentanza di poche classi sociali finiva per favorire gli interessi solo di quelle, di non riuscire ad accontentare, in fasi decisionali anche estremamente delicate, il popolo votante.
Osservando con attenzione i dati riguardo la presenza femminile nel Parlamento Italiano, si possono formulare alcune considerazioni:
La presenza femminile nella Camera dei Deputati è limitata a 71 membri, che costituiscono appena l'11% dell'intera Camera.
Analizzando invece i dati relativi al Senato, si evince una presenza di donne, sebbene di poco, ancora meno marcata: le Senatrici sono infatti 27, e rappresentano il 9% dei Senatori
L'età minima richiesta per poter essere nominato Senatore della Repubblica è stata fissata a 40 anni, mentre gli elettori devono essere persone di almeno 25 anni. Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, invece, è sufficiente un'età di 25 anni per potervi accedere, e di soli 18 anni per votarne un rappresentante.
Si capisce quindi che, seppure in maniera marginale, la rappresentanza giovanile delle donne in Parlamento trova sempre maggiore spazio nella politica Italiana di oggi. Tuttavia questo incremento non costituisce in alcun modo un passo avanti verso la perfetta parità.
In merito alla questione e al fine di presentare la propria opinione è stato proposto ed attuato, nella nostra classe come nel nostro gruppo di lavoro, un dibattito, a tratti polemicamente acceso, mirato alla formulazione di proposte, o comunque di proprie opinioni, che possano migliorare la condizione di uguaglianza nel nostro Paese. Non è stato però facile trovare un punto d'incontro che potesse raccogliere in s, tutte le idee ed i pareri, che spesso erano fortemente discordanti.
In effetti è difficile pensare ad un Parlamento Italiano che debba essere arbitrariamente composto da una percentuale fissa di uomini o di donne, perché, il cambiamento, al giorno d'oggi, sarebbe troppo radicale per non apportare delle conseguenze negative. Crediamo infatti che la donna di oggi, seppure emancipata e desiderosa di farsi avanti nel difficile mondo, che nei decenni prima era riservato ai soli uomini, non sia, in qualche maniera, completamente pronta per questo grande passo. Intendiamoci, questa affermazione si deve comunque leggere con cautela: non crediamo che tutte le donne siano impreparate per questo, ma che prima di attuare una riforma che preveda una giusta suddivisione del Parlamento, si dovrebbe cominciare a sensibilizzare tutta la popolazione ed a far capire così che una equa ripartizione è in fondo una soluzione che metterebbe tutti d'accordo. Ci sono a questo proposito numerose opinioni divergenti, ed ancora troppa gente pensa che la donna, intesa come tutta la popolazione femminile, non sia in grado di sopportare l'onere della politica, come quello di molti altri campi. Eppure, guardando in faccia alla realtà, si capisce anche troppo facilmente che queste parole sono completamente prive di fondamento.
È quindi un pizzico di informazione, secondo noi, quello che deve essere distribuito, prima di poter cambiare la situazione attuale, e quello a cui si deve puntare è la coscienza di poter finalmente raggiungere un Governo funzionante che rispetti gli interessi di tutti.
È altresì ovvio che, con la formazione di un'Europa finalmente unita, il problema della presenza femminile nelle alte schiere governative sarà ancora più grave, e che quindi si dovrebbe riuscire a trovare una soluzione prima che la situazione raggiunga gli stessi livelli. Il Parlamento Europeo infatti, sarà, una volta ottenuto il pieno potere, il più alto organo decisionale dell'Europa Unita. Si è molto parlato dell'Europa; ma fatalmente l'attenzione è stata quasi sempre concentrata sugli aspetti relativi alla creazione di un'unica moneta e sulle innumerevoli norme commerciali, industriali, economiche necessarie per realizzare il Mercato Comune.
Poco si è parlato di cosa cambierà e di cosa già è cambiato nella vita delle donne che abitano la Comunità, in poche parole di cosa possono aspettarsi le donne nel bene e nel male dal fatto di diventare cittadine europee.
Ma chi sono le donne europee? Come vivono? Hanno problemi e aspettative comuni?
Sono più del 50% della popolazione europea (167 milioni contro i 161 milioni di uomini), studiano sempre di più rispetto ai maschi, lavorano in numero sempre maggiore soprattutto nei servizi, anche se spesso con orari ridotti e per periodi discontinui. Le differenze tra paese e paese sono notevoli e se nella regione di Parigi le donne che lavorano sono più del 50% in alcune regioni spagnole come l'Estremadura solo 25 su 100 riescono a trovare un'occupazione.
La Comunità Europea ha in questi anni definito alcuni diritti comuni che tutti i paesi europei devono rispettare per far sì che le donne possano cogliere le opportunità di lavoro e professionali sviluppate dall'unificazione europea ed evitare discriminazioni ed emarginazioni:
" Diritto alla parità nel lavoro: la parità tra uomini e donne nella retribuzione per lavori uguali o di eguale valore, nell'accesso al lavoro e nello sviluppo di carriera, nelle opportunità formative, è un diritto definito per tutte le donne europee indipendentemente dal paese in cui lavorano.
" Molestie sessuali: le donne che lavorano devono essere tutelate da comportamenti sessuali indesiderati e ricattatori e attraverso un codice di condotta, sono previste azioni preventive per migliorare i rapporti tra le persone nel lavoro.
Certamente questi diritti non sono sufficienti per definirsi a pieno titolo cittadine europee perché, molte sono le leggi nazionali diverse tra loro. Ad esempio per il trattamento fiscale del reddito delle donne rispetto a quelle del coniuge, per l'aborto, per la tutela della maternità, per l'organizzazione dei servizi, per l'infanzia.
In questi anni la Comunità, anche su pressione delle donne del Parlamento Europeo, ha definito diversi programmi ed azioni soprattutto nel campo della formazione e del lavoro.
Resta tuttavia il dubbio sulle conseguenze, positive e negative, che provocherebbe la forzatura all'elezione di un numero fisso di donne in Parlamento, e sui problemi che sorgerebbero se si volesse continuare per questa strada, ovvero senza imporre nessuna restrizione alla scelta dei partecipanti al Parlamento.
Si sente spesso parlare infatti di problemi, relativi esclusivamente alla popolazione di sesso femminile, che in questi giorni più che mai stanno tornando alla ribalta, e che con un'opportuna legislazione potrebbero essere, se non proprio debellati, almeno ridotti per quanto riguarda l'intensità con la quale si ripetono: si tratta di abusi sessuali, di violenze, di problemi relativi all'aborto. Tutte queste problematiche, da sempre affrontate con una certa marginalità, vengono spesso portate all'ordine del giorno, ma sempre con risultati pessimi, ed anzi spesso si tende troppo a dimenticare tutti gli episodi che ci vengono presentati ogni giorno.
Esiste infatti una continua richiesta, da parte delle donne, di una maggiore severità nel giudizio di quelle persone che, con i loro comportamenti o con i loro reati, ledono profondamente l'animo e il corpo delle donne, ma, ogni volta che una legge di questo genere passa per il Parlamento, c'è il rischio che, essendo questo composto quasi esclusivamente da uomini, una decisione, presa in effetti solo da metà della popolazione, possa essere profondamente ingiusta e invisa a buona parte del Paese. Questi infatti sono i maggiori pericoli connessi con una mancata decisione di suddividere il Governo, poiché,, se in una situazione normale, in cui le decisioni siano nel globale, uniformi, non è necessario anche un apporto femminile, lo stesso non si può dire quando queste scelte riguardano solamente una particolare schiera della popolazione, quando quindi questa deve essere giustamente rappresentata in Parlamento.
Il problema inverso, però, si potrebbe presentare solamente nel caso in cui le donne, chiamate in modo così massiccio a prendere le redini dello Stato, non fossero completamente in grado di soddisfare le aspettative dei mandanti, cioè del popolo italiano. Pensiamo quindi che sarebbe più giusto, oltre che a fornire una buona informazione, che possa quindi servire a non far giungere impreparati a questa decisione, anche aspettare, magari, che lo stesso popolo prenda la strada dell'uguaglianza, e che quindi decida di votare, senza costrizioni di sorta, un numero maggiore di donne al Governo. I dati di questo, purtroppo, non sono per nulla confortanti, in quanto nel 1987, le Deputate erano già ben 73, quindi addirittura in numero maggiore rispetto ad oggi, mentre le Senatrici erano 17, dieci in meno di oggi.
Al contrario, la presenza femminile negli altri campi lavorativi sta continuamente crescendo, e la donna sta recentemente puntando a ruoli sempre più alti nelle schiere sociali, anche se resta fondamentalmente esclusa da alcuni incarichi, che prima le erano completamente proibiti. Ne è un esempio, infatti, la carriera militare, in cui ultimamente la donna si sta cimentando, che ha suscitato grandi polemiche nella società odierna.
Non possiamo, quindi, sapere cosa succederà negli anni a venire: probabilmente quest'ipotesi diverrà realtà, forse non ci sarà bisogno di imporre quel 50% in Parlamento, forse si rimarrà esattamente come oggi. In ogni caso, ovviamente, si spera di poter raggiungere una condizione migliore di vita, che rispetti le scelte di tutta la popolazione, nessuno escluso, e che tuteli completamente la vita di milioni di cittadini italiani.
La nostra speranza, come abbiamo già scritto, è quella di raggiungere un'uguaglianza dopo una buona opera di sensibilizzazione, sia un'uguaglianza forzata che una parità raggiunta, da parte delle donne, con i loro meriti, e con la fiducia che è stata loro accordata. È certamente questa la speranza maggiore, che cioè non si debba imporre niente a nessuno, e che noi stessi possiamo capire l'importanza di un Governo, che sia esso Italiano, Europeo o Mondiale, che possa equamente rispondere ai bisogni ed alle aspettative di tutta la collettività.

MITO, FILOSOFIA, IDENTITÀ

Con questo breve lavoro ci proponiamo, in quanto alunne, ma in particolare in quanto donne, di comprendere perché, la storia delle donne è spesso l'ombra di una storia della quale l'uomo è sempre stato il protagonista indiscusso. Sicuramente non siamo le prime a volerci porre questa domanda e soprattutto a cercare una risposta, ma già nelle epoche passate, attraverso i miti e la filosofia, si è cercato di spiegare e forse giustificare questa discriminazione. Il poeta greco Esiodo, ad esempio, ci tramanda il mito di Pandora, la prima donna creata da Efesto ed inviata da Zeus tra gli uomini con un vaso colmo di mali e dolori fino ad allora sconosciuti agli esseri umani; e che dire del racconto, nella Bibbia, della prima donna Eva, creata da Dio a partire da una costola maschile, di Adamo, la quale induce l'uomo a mangiare la mela del peccato ed è quindi l'unica responsabile della cacciata dei due dall'Eden e del peccato che dovranno scontare i loro discendenti.
Tra i filosofi possiamo ricordare il greco Aristotele, il quale afferma che l'uomo è per natura superiore e deve comandare, la donna invece è debole e deve essere comandata; ed è necessario che sia così. Egli, inoltre, descrive il corpo femminile come freddo ed umido in contrasto con quello maschile caldo e secco, la donna è anche meno muscolosa e sviluppata, le sue carni meno compatte ed a questa debolezza fisica corrisponde anche il suo ruolo passivo nel procreare.
Possiamo quindi affermare, con una certa disinvoltura, e ce ne dispiace, che il confronto forza, grandezza dell'universo maschile e fragilità e debolezza dell'universo femminile, è sempre stato un luogo comune. Tuttavia non sarebbe lecito celare le storie di donne, soprattutto nel mondo romano, che sono state protagoniste per le loro virtù ed il loro coraggio. Permetteteci di dire quindi, che in questo caso qualche pagina di storia l'abbiamo scritta anche noi, donne! Vorremmo citare, per iniziare la storia di Lucrezia, patrizia romana, che fu giudicata la più saggia tra le mogli degli invitati alla cena del re Tarquinio il Superbo. Sesto Tarquinio, parente del re, le usò violenza e la donna si uccise per il disonore così, narra la leggenda, il popolo si ribellò e chiuse la porta della città a Tarquinio e fu la fine del dominio etrusco.
Ricordiamo ancora la vicenda di Veturia, madre di Coriolano, che l'unica a farlo desistere dal suo intento di eliminare il tribunato della plebe. È quindi il simbolo di una donna che sa anteporre all'affetto l'interesse della patria. Non dimentichiamo poi Cornelia, moglie di Tiberio Gracco, la quale, rimasta vedova giovanissima, rifiutò la mano del re d'Egitto Tolomeo per dedicarsi all'educazione dei figli; essendo una donna molto colta, dopo la morte del figlio Tiberio, si ritirò nella sua villa di Miseno dove organizzò un cenacolo che riuniva letterati e filosofi.
Ripercorrendo queste tappe storiche, un elemento di particolare interesse, nel mondo comunale italiano, è dato dall'immagine della donna che si viene lentamente elaborando. Nello slancio economico, nel nuovo fervore di iniziative, l'elemento femminile diventa una figura accettata nella dimensione pubblica. Purtroppo, questa accettazione è possibile solo se le donne si propongono in attività comunque connesse alla struttura familiare, di conseguenza non è un utopia affermare che non esiste un autentico riconoscimento del ruolo femminile, ma esclusivamente il passaggio del suo ruolo dal privato al pubblico. In effetti se pure si ci avvicina piano piano alla presa di coscienza di una inesistente differenza, resta indiscussa la condanna della donna per ogni forma di trasgressione alla mentalità e alla moralità correnti.
Il Rinascimento, che celebrò l'uomo che affermava con orgoglio i propri valori in ogni campo e che segnò tumultuosi mutamenti nelle attività umane, non fu altrettanto generoso nei confronti del mondo femminile. M. L. King sostiene che la donna rinascimentale, nella varietà delle sue condizioni, madre, moglie, lavoratrice o monaca, strega o ancora cortigiana, non riesce a recuperare un'identità compiuta. Difatti i ruoli che la definiscono non le permettono che una subordinazione totale all'uomo o il pagamento a prezzi altissimi di ogni protesta contro quest'ordine. Si tratta allora di un mondo femminile privo di ogni possibilità di rinascita, anche perché, regime di castità, decoro, obbedienza e silenzio, sono criteri privilegiati nell'impartire l'educazione al mondo femminile.
La questione femminile nasce nella seconda metà del'700 in Europa, ma viene formulata come questione sociale e costituisce un movimento di massa solo verso la seconda metà dell'800. Anche se, come abbiamo già ampiamente dimostrato, la subordinazione delle donne agli uomini in molte, se non in tutte le sfere della vita, la loro posizione subalterna nella società e d i vincoli posti al loro accesso alle risorse socialmente rilevanti, è un luogo comune dagli albori della vita dell'uomo.
Nel mondo occidentale le donne erano considerate soggetti di secondo rango nel campo del potere istituzionale. In particolare, con la Rivoluzione Francese prima, poi con l'introduzione del Codice Napoleonico, esse vennero escluse dal diritto di voto e vennero subordinate ai mariti per quanto concerneva l'amministrazione ed il controllo della proprietà. Analogamente la Rivoluzione Americana e la nuova repubblica statunitense segnarono un regresso a livello di posizione pubblica per le donne. E perciò le prime voci delle donne a rivendicare uguaglianza come cittadine, si avvertono proprio in coincidenza con questi passaggi ad opera di donne intellettuali ed attivamente partecipi ai movimenti culturali che contrastano le teorizzazioni di Rousseau, il quale afferma che il cittadino non può che essere maschio, possidente, capofamiglia.
Ricordiamo nomi come Margaret Fuller o Olimpia de Gouges che pagò con la vita l'aver chiesto ai rivoluzionari, in Francia, di rompere non solo i limiti di censo, ma quelli di sesso nel garantire il diritto di parola e di voto.
Tuttavia negli anni a cavallo tra i due secoli, la questione femminile era ancora in larga misura una questione intellettuale che mobilitava, anche in modo radicale e fin nelle scelte più personali, solo una minoranza, intellettuale appunto, che non poteva costituirsi in gruppo, né, tanto meno in movimento, poiché, non vi erano ancora le risorse di mobilitazione, visibilità, ma soprattutto un'identificazione collettiva che le permettesse di diventare un movimento politico e di massa. Tali condizioni emergono appunto nella seconda metà dell'800 riguardano due gruppi sociali, proletariato urbano ed il ceto medio urbano, profondamente coinvolti nelle trasformazioni messe in atto dalla nascita e dallo sviluppo del capitalismo, dall'espansione dei mercati ed anche dalle nuove forme di organizzazione politica e dello stato.
Fanno parte di queste trasformazioni anche le differenze di condizioni, risorse, esperienze tra i sessi e le donne cominciano a rivendicare parità salariali, diritto al lavoro, leggi di protezione, diritto al voto, uguaglianza giuridica. L'affermazione, poi, del sistema di fabbrica spostò la produzione fuori dalla famiglia, provocando una serie di conseguenze che investirono sia i rapporti di generazione che quelli di sesso. La Chiesa però, vedeva nel lavoro della donna al di fuori della famiglia, una causa di immoralità e di disgregazione familiare, anche se vi era chi vedeva in questo lavoro l'elemento fondamentale dell'emancipazione femminile e l'acquisizione di un'autonomia individuale più ampia.
Anche se, il sistema di fabbrica da un lato trasformò l'economia familiare in economia familiare salariata, dall'altro lentamente escluse le donne sposate e con figli dal lavoro di fabbrica, a favore degli uomini e delle donne nubili. Purtroppo c'era uno basso status lavorativo delle donne vuoi come operai di fabbrica sottopagate e poco qualificate, esposte spesso anche a ricatti di tipo sessuale, vuoi come lavoratrici occasionali o a domicilio.
I temi che hanno costituito la questione della donna nell'800 e nel primo 900, si ritrovano anche negli anni '70 del Novecento, allorché, essa riesplode in tutto l'Occidente, dove i modi dello sviluppo ridefiniscono l'esperienza femminile, dando luogo anche ad una vera mobilitazione di massa a livello internazionale, al punto che sia i governi nazionali che i grandi organismi internazionali devono in qualche modo assumere la questione femminile come problema politicamente rilevante. Gli anni tra le due guerre e soprattutto quelli dal dopoguerra fino agli anni'70, hanno segnato profonde trasformazioni a livello della vita quotidiana in generale, e dell'esperienza femminile in particolare.
Gli elementi più importanti di queste trasformazioni, tra loro variamente intrecciati, sono stati tre: la riduzione delle nascite, l'espansione dei consumi ed il crescente intervento dello Stato nelle condizioni della riproduzione. Le donne sono coinvolte da questi fenomeni, e dal complesso intreccio di questi elementi diversi scaturiscono sia nuove condizioni per identificazioni collettive delle donne in quanto tali, sia nuove differenze tra loro. La riduzione delle nascite, fenomeno di inizio Novecento, comportò per le donne una riduzione del tempo e delle energie dedicate alla procreazione che quindi non coincide più con la totalità della vita adulta femminile. Anche se in questi periodi, con le leggi sull'istruzione e sul lavoro minorile, le madri non erano più semplici ed abili massaie, ma anche educatrici efficaci e responsabili. Quindi, se pure le donne si recavano a lavorare solo dopo l'allevamento dei figli, fino ad una determinata età, la maternità non è più l'identità totalizzante della donna.
Questo fenomeno, come dicevamo, si intreccia e si appoggia a quello dell'espansione dei consumi prodotta, da un lato, dagli sviluppi dell'industria, dall'aumento dei salari e, dall'altro dall'introduzione della giornata lavorativa di otto ore. Lo standard di vita si modifica e si innalza e le donne diventano protagoniste silenziose di questo processo, come compratrici e trasformatrici dei beni di consumo per la famiglia, come garanti dell'adeguatezza delle condizioni domestiche tramite un lavoro che viene sempre più professionalizzato dai requisiti di efficienza, igiene, massima produttività, come interlocutrici delle nascenti scienze domestiche.
Le donne sono coinvolte nella così detta rivoluzione dei consumi anche come lavoratrici; si viene, appunto, creando la figura, del tutto contemporanea, della donna come lavoratrice dentro e fuori la famiglia: sia come moglie-madre, che come lavoratrice remunerata.
È in questo quadro di trasformazione dell'esperienza femminile, che nei primi anni '70 si sviluppa, in Occidente, la protesta delle donne. Non si tratta più di donne escluse dai diritti politici, dall'istruzione o dal lavoro, ma alla testa della protesta sono anzitutto le giovani protagoniste della prima grande esperienza di accesso di massa all'istruzione, donne che si aspettano di lavorare, senza perciò rinunciare ad una vita affettiva piena, donne per le quali la maternità è una scelta non un destino. Quindi ci troviamo finalmente di fronte, e come ragazze siamo orgogliose di dirlo, a donne che si rendono artefici del proprio destino e prendono coscienza della loro condizione di esseri umani ed in quanto tali aliene ad ogni forma di discriminazione.
A questo proposito ci sembra opportuno citare un passo di Columella, antico scrittore vissuto a Roma nel I secolo d. C., che ha colpito moltissimo la nostra sensibilità e speriamo possa spingere anche i lettori di queste pagine a qualche riflessione in più: "Dio, dunque, diede all'uomo la capacità di sopportare il caldo e il freddo e i viaggi e le fatiche della pace e della guerra, cioè del lavoro campestre e della vita militare; alla donna, invece, creata inadatta per tutte queste cose, affidò la cura delle faccende domestiche, e appunto perché, aveva dato a questo sesso il compito della custodia e della diligenza, lo rese più timido dell'uomo; la naturale timidezza conferisce molto alla prudenza e alla cautela nel custodire. Viceversa fece l'uomo più audace della donna. Ma una volta acquistati i beni, per amministrarli ci vuole parimenti memoria e diligenza: così diede all'uomo e alla donna queste due qualità in misura uguale. Finalmente, siccome la natura di ciascuno da solo non era capace di abbracciare tutte le qualità necessarie alla vita, volle che l'uno avesse bisogno dell'altra, in modo che, in generale, quello che all'uno manca, l'altro lo possiede perfettamente!".
Cercheremo ora di riassumere alcune tappe della trasformazione giuridica della condizione della donna. Con l'unità d'Italia venne accolto l'istituto dell'autorizzazione maritale, così tutte le donne si videro improvvisamente ricondotte all'autorità del marito. Nel 1877 fu abolita l'incapacità giuridica delle donne di testimoniare negli atti pubblici e privati. Soltanto nel1919 fu abolita l'autorizzazione maritale e fu ampliata la capacità giuridica della donna di esercitare la funzione tutelare; le donne furono inoltre ammesse ad un numero maggiore di professioni. Sempre nel luglio 1919 venne approvata alla Camera l'estensione alle donne del diritto di partecipare all'elettorato attivo, la possibilità di essere elette, e passivo, possibilità di eleggere. Questa legge non fu approvata dal Senato. Nel 1925, con il regime fascista, si tese ad espellere le donne dal mercato del lavoro e dall'istruzione riconoscendo ad esse solo il ruolo di madri.
Finalmente nel 1945, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, una legge estese il diritto di voto alle donne. Le cittadine italiane votarono per la prima volta il 2 Giugno 1946, per il Referendum Istituzionale e per l'elezione dell'Assemblea Costituente. Nella Costituzione italiana, entrata in vigore l'1 gennaio1948, l'art. 3 sancisce l'uguaglianza formale e sostanziale dei due sessi. L'art. 29 sancisce l'uguaglianza formale all'interno dalla famiglia, pur con importanti limitazioni: dichiara infatti che, anche se il matrimonio si deve ritenere ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, la legge può stabilire limiti a questa uguaglianza per salvaguardare l'integrità famigliare. L'art. 37 sancisce la parità salariale e la tutela per le lavoratrici madri. L'art 48 ribadisce il suffragio universale, cioè la possibilità di partecipare all'elettorato attivo e passivo senza limitazioni di sesso, di censo, di razza, di religione. L'art. 51 permette alle donne l'accesso a tutte le carriere.
Nel 1956 fu concesso l'ingresso alle donne nella Magistratura limitatamente alle Corti d'Assise e al Tribunale per i minorenni. Nel 1960 ci fu la prima ristrutturazione dei salari in funzione della parità retributiva. Nel 1963 fu sancito il divieto della "clausola di nubilato" nei contratti di lavoro, clausola che permetteva ai datori di lavoro di licenziare le donne in caso di matrimonio. Nel 1971 vennero emanate le nuove norme per la tutela della maternità. Infine, nel 1975 venne emanato il NUOVO DIRITTO DI FAMIGLIA, concepito in termini sostanzialmente paritari; infatti entrambi i coniugi sono titolari della patria potestà, stabiliscono di comune accordo la loro residenza, decidono in modo paritario il tipo di educazione che desiderano impartire ai loro figli. Venne tuttavia ribadita la trasmissione del cognome per via maschile.
Abbiamo ricordato solo alcune delle norme giuridiche che hanno portato all'uguaglianza delle donne, spesso, però, queste norme non sono effettivamente verificabili; ora la domanda che ci poniamo è la seguente: È forse perché, non ancora tutte le donne hanno preso coscienza dell'evolversi della loro disagiata condizione verso un'uguaglianza a tutti gli effetti? Questo, senza alcun dubbio, è uno dei maggiori freni all'ingresso della donna in politica, ed è sicuramente una pecca anzitutto il fatto che, nella formulazione delle leggi, che devono regolare la vita dei cittadini ai fini di una convivenza pacifica, manchi l'elemento, quindi il punto di vista femminile. Noi siamo fermamente convinte che un intervento legislativo sia molto utile, ma non basta se prima le donne stesse non si convincano che questa mancanza sia un male per tutti, poiché, su questo pianeta vivono, oltre a tutti gli altri esseri viventi, sia uomini che donne.
Forse un maggiore interesse da parte delle donne, potrebbe anche contribuire ad un rinnovamento del modo di fare politica in Italia che a noi sembra così statico e spesso inconcludente.

STORIA E PSICOLOGIA

La donna è come un'adolescente, è contraddittoria:
un po' bambina e un po' adulta,
un po' autonoma e un po' dipendente,
piena di speranze, di aspettative,
di slanci non ancora ben indirizzati e incanalati.
Come un'adolescente è alla scoperta di sé,
non sa ancora che donna vorrà essere e
si prova in diversi ruoli,
tenta varie strade cerca di capire cosa desidera...



La donna, un tempo considerata un cittadino di secondo ordine, dopo un lungo cammino disseminato di ostacoli e di lotte per superarli, ha oggi raggiunto la piena dignità di "parte" di una comunità sociale che si da proprie norme per regolare la vita degli individui che la costituiscono. Troppo a lungo la donna e stata emarginata sottoposta alla potestà maschile perché, qualcosa non sia rimasto, sia nelle strutture sociali sia, e forse soprattutto, negli individui stessi, che devono estirpare pregiudizi a lungo coltivati e ormai profondamente radicati per poter infine mutare veramente e coscientemente i propri atteggiamenti. E il discorso vale per i due sessi, anche se si articola in modo differente: per gli uomini si tratta di accettare la donna come essere sì differente in alcuni aspetti (soprattutto per la sua possibilità di essere madre), ma non per questo inferiore, non per questo da emarginare, non per questo da tenere lontano dalle responsabilità e dalle scelte civili.
Per la donna, di contro, si tratta di prendere sempre più coscienza di sé, della propria dignità, del proprio ruolo e della propria capacità di essere autonoma, di non dover dipendere materialmente e psicologicamente dall'uomo. Prendere coscienza di s, vuol dire sia accettarsi come essere completo a s, stante, sia anche conoscere i propri diritti e i propri doveri, così da esercitare con consapevolezza le responsabilità che competono a tutte le donne.

Oggi i diritti e i doveri della donna si stanno avvicinando sempre più a quelli dell'uomo e se i dettati costituzionali non sono ancora pienamente attuati è perché, sono una conquista troppo recente: il diritto di essere una persona a s, stante, il diritto donna.
Una rapida carrellata attraverso i secoli ci permetterà di avere un'idea di quanto sia stata lunga e tortuosa la strada che la donna ha percorso per arrivare all'attuale traguardo.
Traguardo che non è ancora quello finale perché, per giungere alla parità sociale ed effettiva tra gli individui di sessi differenti restano ancora dei passi da fare. Non basta inoltre che la parità sia voluta dalla legge: per realizzarsi deve essere accettata e vissuta spontaneamente da tutti.

La posizione della donna nella società presenta valutazioni molto varie. Le legislazioni Sumerica e Babilonese riconoscevano alla donna una notevole indipendenza giuridica sia nella trattazione degli affari sia nella disponibilità della dote; ella inoltre condivideva con il marito l'esercizio della patria potestas, amministrava il suo appannaggio, era libera di testare la sua proprietà al figlio prediletto, poteva stare in giudizio e condivideva con il marito il possesso dei beni acquistati dopo il matrimonio.
Inferiore appare invece l'agibilità giuridica della d. nell'antico Egitto e tuttavia ella aveva la possibilità di assurgere anche alle massime cariche e di regnare. Presso gli Ebrei la d. era in condizione nettamente inferiore all'uomo, ma era venerata soprattutto come madre e godeva di larga influenza intellettuale e spirituale: Sara, Debora, Betsabea, Ester, Giuditta alla dignità muliebre unirono un'incisiva influenza politica sul loro popolo.
Sullo stesso piano si trovava la d. araba nel mondo preislamico e lo conferma l'alta posizione raggiunta da Zenobia, regina di Palmira. L'Islam tolse alla d. molta parte della sua capacità giuridica. Non molto diversa fu la condizione della d. in India e in Persia. In Cina il rispetto circondava la d., ma l'isolamento dalla vita ne mortificava l'attività. Nella Grecia omerica la d. godeva di alta considerazione e il matrimonio prendeva alimento da un forte vincolo coniugale, anche se esso si basava su un contratto a metà strada fra la compera e la dote; minore fu invece la libertà della d. nell'Attica, dove era relegata in casa. Il periodo ellenistico mise la d. al centro di una vita mondana e galante. Presso gli Etruschi la d. fu largamente partecipe della vita sociale del marito; nella Roma regia e repubblicana godeva, nella famiglia, di ampia libertà e possedeva una cultura talora notevole; inferiore a quella dell'uomo era invece la sua capacità giuridica. L'impatto con la cultura ellenistica portò alla decadenza dei suoi costumi ma ne raffinò il livello culturale.
A dare nuova dignità alla d. venne il Cristianesimo, facendola compagna unica e inseparabile dell'uomo, collocandola nella casa come madre ed educatrice, rivelandole nuove grandezze nella vita religiosa: sull'esempio della Vergine Maria, madre di Dio, vergini e martiri sorrette dalla fede rivelarono alte doti nella guida spirituale e materiale delle loro comunità religiose. Tra esse: Teodolinda mitigò i costumi violenti del suo popolo con la legge cristiana; Scolastica, che accanto a San Benedetto fu la fondatrice dell'Ordine Benedettino; Chiara, che sorresse San Francesco con la sua spiritualità forte e soave; Caterina da Siena, che riuscì a riportare a Roma il papa dalla cattività di Avignone.
Nettamente inferiore invece fu la posizione della d. nei confronti dell'uomo in quanto soggetto di diritto: poteva succedere nei beni familiari, ma non nel feudo; in ogni momento della sua vita, la d. era sottoposta al "mundualdo" (padre, fratello, marito, zio, ecc. che esercitava su di lei il potere); nella famiglia era "domina", ma senza potere effettivo e, in caso di morte del marito, cadeva sotto il "mundio" del figlio atto alle armi.
Nella ricca vita culturale del Rinascimento la d. perse talora di vista gli ideali della virtù e della religione e si mondanizzò, ma nella letteratura e nell'arte occupò sovente posti di rilievo e sempre ne rimase l'ispiratrice.

Prodromi di un vero movimento femminista furono le due "dichiarazioni dei diritti", emanate negli Stati Uniti (1776) e in Francia (1789). Era solo una premessa e si dovette arrivare alla Rivoluzione Industriale con lo sconvolgimento del vecchio assetto familiare e l'immissione della d. nella produzione perché, si enucleasse e prendesse corpo una linea di emancipazione femminile: necessario punto di riferimento rimaneva sempre la Rivoluzione Francese, che aveva operato la distruzione degli istituti giuridici della società corporativa e aristocratica e per la prima volta aveva visto una partecipazione diretta e massiccia delle d. agli avvenimenti della vita pubblica.
A fornire nuovi argomenti alla lotta per l'emancipazione femminile è stato il Razionalismo, che proclamava l'eguaglianza per natura dell'uomo e della d. e riduceva ogni discriminazione nei riguardi della d. a puro pregiudizio. Il movimento operaio trasse poi tutte le conseguenze del movimento femminista sostituendo alla figura femminile astratta della "cittadina" quella della "d. lavoratrice". Inserita nella vita produttiva, la d. diveniva una componente essenziale del movimento proletario. Nel campo produttivo oggi la d. figura con percentuali notevoli nei servizi sociali, nell'attività medica e ospedaliera, nell'insegnamento, negli uffici pubblici e privati e nelle fabbriche. È opportuno ricordare le tappe fondamentali che hanno portato a questi risultati: nel sec. XVII sorgeva in Francia il collegio femminile di Saint-Cyr e Fenelon pubblicava l'"Educazione delle fanciulle"; nel secolo successivo si avevano le prime laureate e nel 1763 Poulain de la Barre pubblicava uno scritto sull'eguaglianza dei due sessi; nel 1787 Mercy Otis Warren e Abigail Adams gettavano il primo germe del movimento per il suffragio femminile; durante la Rivoluzione Francese si formarono a Parigi club femminili per ispirazione di Etta Palma, Madame Keralio (che presentò alla Costituente il "Cahier des doleances des femmes" ) e Olimpia de Gouges (che nel 1789 pubblicò il romanzo " Le prince philosophe sui diritti della d.), mentre Condorcet rivendicava all'Assemblea Costituente il pieno godimento dei diritti civili per le d. e la stessa de Gouges un anno dopo pubblicava la "Declaration des droits de la femme et de la citoyenne" e la presentava alla Costituente, ove Mirabeau e Robespierre la respinsero. Contemporaneamente in Inghilterra nascevano i primi circoli femminili e Mary Godwin Wollstonecraft pubblicava nel 1792 un "Vindication of the Rights of Women". Il Codice Napoleonico veniva poi a riconoscere alla d. alcuni diritti civili, ma la teneva in subordine all'uomo; Ch. Fourier, nel 1808, subordinava il progresso sociale all'emancipazione della d.; pochi decenni dopo in Gran Bretagna l'abrogazione del diritto elettorale alle d. per l'elezione delle amministrazioni locali e comunali provocava il movimento delle "suffragette" (1835); negli Stati Uniti, Lucretia Mott ed Elizabeth Cady Stanton preparavano le prime "convenzioni" (1844-50), in cui rivendicavano per le d. diritti uguali nelle università, nel commercio e nelle libere professioni, diritto di voto, accesso a tutte le cariche politiche, uguaglianza completa nel matrimonio, libertà personale, libera disponibilità della proprietà e del salario; nel 1863 Cernysevskij nel suo scritto "Che fare" affrontava le questioni del lavoro, dell'emancipazione e della vita sentimentale della d. in una prospettiva socialista; nel 1865 a Lipsia e a Berlino le associazioni femminili chiedevano l'ingresso delle d. nella scuola e nella professione, il miglioramento della loro condizione economica, il diritto al lavoro e la libertà di scelta della carriera; nel 1867 i circoli femministi di Londra, Manchester ed Edimburgo formavano l'"Unione Nazionale delle Società per il suffragio femminile" e ottenevano il diritto al voto delle d. capifamiglia nelle elezioni comunali; nel 1889 si formava la prima Lega Internazionale delle D., con sede a Londra, mentre a Parigi venivano organizzati ben due congressi internazionali: "per i diritti delle d. e per le opere e le istituzioni femminili"; al congresso costitutivo della II Internazionale, Clara Zetkin ed Emma Iherer riuscivano a fare accogliere il principio del diritto della d. al lavoro e alla retribuzione pari a quella degli uomini. Nel 1891 la socialdemocrazia tedesca faceva inserire nel Programma di Erfurt il suffragio universale senza distinzione di sesso, l'emancipazione della d., l'uguaglianza completa fra d. e uomini. Nel 1893 il diritto di voto alle d. fu riconosciuto dalla Nuova Zelanda, l'anno dopo dall'Australia merid., nel 1899 dall'Australia occid. e nel 1901 da tutta la Federazione australiana.
Nel 1903 riprese nuovo slancio in Inghilterra il movimento delle "suffragette", che in agitazioni politico-sociali molto movimentate s'imposero all'attenzione internazionale con la "Women's Social and Political Union" fondata da Emmelina Pankhurst; nel 1907 conquistavano il diritto al voto le d. finlandesi; nel 1908 a Roma e a Milano si svolgevano due congressi femminili: il primo sotto la direzione di Grazia Deledda e di Maria Montessori, il secondo promosso dall'Unione Femminile Nazionale; nel 1909 "Critica Sociale" pubblicava un dibattito fra Anna Kuliscioff e Filippo Turati sul suffragio femminile e nel 1912 sorgeva l'Unione Nazionale delle D. Socialiste.
Nel 1910 la Conferenza Internazionale dei Movimenti Femminili, riunita a Copenaghen, in ricordo di un gruppo di operaie vittime di un infortunio sul lavoro, aveva lanciato la "Giornata mondiale della d.", fissandola per l'8 marzo di ogni anno. Nel 1917 la Rivoluzione d'Ottobre in Russia riconosceva l'assoluta parità di diritti fra l'uomo e la d.; l'anno dopo il Parlamento Inglese sanciva il diritto di voto a circa otto milioni di d. e il suo esempio era seguito nel 1920 dal Congresso degli Stati Uniti. Nel 1925 la Turchia di Kemal Ataturk abrogava a favore delle d. la mortificante legge religiosa musulmana; nel periodo 1945-46 il diritto di voto alle d. si estendeva alla Polonia, all'Ungheria, all'Italia, alla Iugoslavia, alla Germania, alla Francia e al Giappone; nel 1948 l'O.N.U. sanciva la condanna a ogni discriminazione fondata sulla differenza di sesso e alcuni anni dopo istituiva "Ufficio Internazionale del Lavoro per la parità di salario, per la tutela della maternità e contro ogni discriminazione nell'educazione". Nel 1950 la nuova Rep. Pop. Cinese aboliva la poligamia, vietava il concubinaggio, abrogava il divieto di nuovo matrimonio alle vedove, metteva la d. sullo stesso piano dei diritti dell'uomo.
Dal 1950 al 1960 un impetuoso movimento femminile, intrecciandosi con la lotta anticolonialista, liberava milioni di d. nei nuovi Stati indipendenti dell'Asia e dell'Africa. Nel 1963 papa Giovanni XXIII nella sua enciclica "Pacem in terris" indicava nell'avanzata della d. un "segno dei tempi" e le riconosceva solennemente il diritto al lavoro come parte essenziale della sua personalità.

BIBLIOGRAFIA
G. Cesareo, La condizione femminile, Milano, 1963;
E. Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile, Torino, 1963;
E. Servadio, La rivoluzione femminile, Torino, 1972; Autori Vari, Crisi dell'antifemminismo, Milano, 1973;
C. Ravera, Breve storia del movimento femminile in Italia, Roma, 1978;
G. Agostinucci, G. Campanini, La questione femminile, Casale Monferrato, 1989.


IL VOTO ALLE DONNE

La donna prima ancora di essere figlia, moglie, madre è un essere umano. Almeno su questo fatto sembra non vi siano dubbi. E come tale anzitutto è una persona. "La donna se ha il diritto di salire al patibolo, deve avere anche quello di salire la tribuna parlamentare". Così si esprimeva, negli anni della Rivoluzione Francese, Olympe de Gouges. E il diritto di salire al patibolo lei stessa lo esercitò quando, qualche anno più tardi, finì ghigliottinata. Per esercitare il diritto di salire alla tribuna parlamentare, il diritto cioè di partecipare alle decisioni e alle scelte riguardanti la vita del proprio paese, le donne dovevano però aspettare ben più di un secolo.
Solo agli inizi del Novecento in tutta Europa inizia a diffondersi la consapevolezza di questo diritto e le donne cominciano a battersi per ottenerlo.
Uscendo di casa per studiare e lavorare si rendono conto di come sistematicamente sono state tenute lontane dalla vita pubblica, di come, nella famiglia e nella società, siano sottomesse alle decisioni e alle volontà dell'uomo. Prendendo coscienza di ciò, prendono coscienza di s, stesse come esseri pensanti capaci di scelte e decisioni. E sembra loro legittimo chiedere di partecipare alle scelte politiche del paese, paese al cui sviluppo e progresso economico ormai contribuiscono direttamente.
Alle donne sembra legittimo, agli uomini sembra una follia, una richiesta da "isteriche deliranti" e come tali verranno trattate in Inghilterra le "suffragette".
Anche in Italia è una lotta, e dura, che va ad infrangersi contro il muro compatto della contraria opinione maschile, timorosa di perdere i privilegi del potere politico.
Quali argomenti porta l'uomo per sostenere la sua tesi contraria all'estensione dei diritti politici alla donna?
Non sa trovare nulla di meglio dei soliti luoghi comuni: la donna non è adatta a fare politica perché, meno intelligente dell'uomo, troppo influenzabile, incapace inoltre di riconoscere i problemi sociali e di affrontarli. E poi ancora e sempre: il suo luogo "naturale" è la casa, la sua forza "non è nei comizi, ma nell'impero del cuore e del sentimento", la sua grazia, la bellezza, la "squisita semplicità" si perderebbero "fra le gagliarde lotte della politica", come ebbero a dire alcuni parlamentari. Voci siffatte soffocavano e prevalevano su altre voci diverse, ma molto rare, come quella ad esempio di Gaetano Salvemini che in un intervento alla Camera, nel 1920, ebbe il coraggio di dichiararsi favorevole al voto alle donne:
"[…] perché, ho fiducia che le donne utilizzeranno la loro influenza elettorale per imporre ai pubblici poteri una più viva e più attiva preoccupazione di quei problemi sociali e morali, che la donna sente più immediatamente e più acutamente dell'uomo: la tutela dell'infanzia, la lotta contro l'alcoolismo, la prevenzione contro il diffondersi delle malattie sessuali, la lotta contro la tratta delle bianche, la diffusione dei giardini d'infanzia, la riforma degli istituti di assistenza, di beneficenza ecc. […]"
Se con queste parole Salvemini va contro corrente rispetto ai colleghi parlamentari, va pure contro corrente rispetto ai suoi colleghi uomini riconoscendo alla donna
"[…] Un senso della realtà una versatilità, un intuito psicologico, uno spirito di sacrificio, di gran lunga superiori a quelli della media degli uomini. E sono, queste, le qualità che contribuiscono in prima linea a formare ciò che chiamiamo il senso politico e il senso civile […] ".



Maschile e Femminile

Si parla di psicologia femminile, di carattere femminile, di doti femminili ed anche d'intelligenza femminile. Ma non si tratta di valori assoluti, naturali, genetici. Studi e indagini comparate hanno dimostrato che il concetto di "femminile" è strettamente in funzione di un determinato ambiente culturale e di un periodo storico.
Nella nostra cultura, al momento della divisione dei compiti tra uomo e donna, si è tenuto conto dei fattori fisici che distinguono i due sessi. All'una quindi tutti i compiti che derivano dalla maternità, compiti che richiedono pazienza e disponibilità, ma anche la capacità di sedurre l'uomo. Dai compiti attribuiti alla donna si sono man mani fatti derivare - come suoi caratteri peculiari - la generosità, la pazienza, lo spirito di sacrificio e così via, ma anche la civetteria, la superficialità, la vanità. Abbiamo quindi visto come da una "divisione del lavoro" basata sui motivi di tipo concreto sia poi derivata una definizione stereotipa anche di quelle qualità psicologiche dell'uomo e della donna che, seppure utili per meglio svolgere i loro compiti, non erano tuttavia realmente legate alla loro natura fisica.
Di contro, l'uomo che era contraddistinto da una maggiore forza fisica, si trovò destinato alle attività che la richiedevano: la caccia, la guerra. Ma per svolgere questi compiti non doveva avere paura, doveva essere combattivo e desiderare di imporsi e allora ne derivò che necessariamente l'uomo doveva essere aggressivo e dominante.
Così, nel tempo, a uomini e donne fin dalla prima infanzia è stato chiesto di identificarsi con un modello preciso e predeterminato che tiene conto delle attitudini proprie di ogni singolo individuo ma solo dell'appartenenza ad un certo sesso.
Oggi la psicologia ci dice che stessi dati di carattere e stesse attitudini si riscontrano nei due sessi in proporzioni che variano da individuo a individuo. È nel loro esplicarsi che queste attitudini si differenziano tra uomo e donna, perché, in ciò incide appunto il sistema dei valori sociali. Così la donna è spinta a valorizzare alcuni aspetti, ritenuti più "femminili" e a inibire o a modificare altri che in lei, in quanto donna, sarebbero socialmente poco apprezzati. E in questo modo si determinano le differenze fra i due sessi.

Le attitudini "femminili"
Studi psicologici condotti sulla donna nella nostra cultura hanno permesso di cogliere alcune caratteristiche attitudinali che in lei sono andate sviluppandosi e quindi si presentano con una certa frequenza, in genere, la donna ha una notevole destrezza nelle mani e una precisione di movimenti, una sviluppata percezione visiva con una buona visione dei colori e un'ottima osservazione delle forme oltre alla rapidità nel vedere e distinguere i più piccoli particolari.
Da ciò deriva una buona memoria. Eccelle inoltre nell'uso del linguaggio sia per il ricco vocabolario sia per la facilità di parola. In queste attitudini prevale sull'uomo che però è superiore a lei sia quando è richiesto uno sforzo muscolare sia quando è necessario utilizzare attrezzature meccaniche. E infine ha più propensione per il ragionamento astratto le differenze con l'uomo però diventano rilevanti non tanto nel campo delle attitudini quanto nel campo degli atteggiamenti: su questi ultimi infatti incide ancora di più l'influenza dell'ambiente. Dal suo atavico ruolo di emarginata, la donna ha infatti ereditato molti atteggiamenti che ritiene facciano "naturalmente" parte di lei. Atteggiamenti che nel mondo del lavoro la portano a non aspirare a posizioni di supremazia e ad accettare tranquillamente un ruolo di sottomissione. Per questo motivo ricerca con una certa frequenza lavori da svolgersi senza imprevisti, statici, che non richiedano rapidi adattamenti a situazioni ambientali in mutamento. Ne deriva che spesso le sue scelte professionali si orientano verso occupazioni di tipo impiegatizio, in lavori di routine caratterizzati da stabilità e da uniformità.
Ma il suo vero carattere anche se imbrigliato, non sempre accetta il giogo senza ribellarsi. Queste ribellioni nella maggior parte dei casi non trovano uno sbocco esterno ma rimangono nascoste dentro di lei provocando però tempeste interiori non sempre facili da dominare. Tempeste interne che la rendono ipersensibile e un po' instabile emotivamente, presa da s, stessa e nello stesso tempo incapace di conoscersi. Finisce così col sentirsi insicura e scarsamente autosufficiente e a ricercare negli altri la protezione e il sostegno.
Se la donna italiana fosse ricercata dalla polizia e la polizia dovesse disegnare un identikit che le permettesse di identificarla si troverebbe in un bel guaio. Perché, oggi la donna italiana non ha un unico volto ma mille, centomila facce diverse. Cosa hanno in comune la bracciante pugliese e la sua coetanea settentrionale sostenitrice della pianificazione familiare impiegata in un lindo ufficio? Tutto il loro modo di esistere è diverso e ben diversi saranno pure i loro bisogni, i loro desideri, le loro aspettative. Se per la prima un lavoro duraturo e al chiuso può essere già una conquista, per la seconda tutto ciò è già superato le sue richieste saranno di un ordine tale che alla prime non possono neppure venire in mente. E ancora una volta diverse saranno le aspirazioni di una casalinga in crisi, così com'è in crisi il suo ruolo.
Ma bisogni, desideri, aspirazioni di queste disparate figure femminili spesso non sono prodotti di una consapevole coscienza del proprio stato, delle proprie necessità, dei bisogni veri della propria personalità. Per lo più sono indotti da forze di pressioni esterne che inculcano modelli prefabbricati in cui la donna crede di ravvisare i mezzi e le mete che vuole raggiungere. Ancora una volta è mossa dalla pressione di spinte che vengono dall'esterno, ancora una volta è schiava di chi ha più forza.
Qui è il punto in cui si può ravvisare l'uguaglianza tra questi disparati visi femminili: la mancanza di libertà nelle proprie scelte. La conquista delle libertà, la conquista dell'azione consapevole, la conquista della possibilità effettiva di giungere ovunque la propria personalità e le proprie attitudini respingano, ecco cosa sembra possa accomunare queste "femmine dell'uomo". La libertà di essere in fine "individuo" prima di tutto per se stesse. Poi, proprio perché, realizzate come tali, per collaborare e con l'uomo e con le altre donne, affinché, questa nostra società travagliata in crisi di crescenza, insicura e nella necessità di nuove scelte riesca lei stessa ad evolversi.

L'idea di aprire una discussione, divenuta ormai essenziale, su uno stato di cose che vede la donna tagliata fuori dalle competenze politiche o perlomeno lasciata in sordina tra le voci in capitolo che concernono la suddetta sfera, e scaturita da un acceso dibattito tenutosi in classe a seguito dello spunto suggeritoci dal nostro professore di storia. Tale dibattito e stato, dunque, il preambolo su cui poi si e innestata la nostra iniziativa. Per cui questo lavoro è nato, si è evoluto ed infine è stato stilato con l'unico intento di sensibilizzare il tanto discusso mondo delle donne a prendere coscienza della dimensione politica e sociale nella quale viviamo.
A tal proposito abbiamo ritenuto opportuno risalire alla condizione della donna nel corso dei secoli, in modo da avere un quadro chiaro della sua evoluzione nel campo politico-sociale che ci consentisse di creare un raffronto con quella che è la realtà attuale. Di conseguenza abbiamo preso atto di uno stato di fatto ormai evidente: la donna, in questo contesto, gioca il ruolo di attrice non protagonista; è opportuno che la donna assuma la posizione che le è dovuta in quanto essere umano con gli stessi diritti dell'uomo. Per raggiungere questa condizione le saranno necessarie delle componenti essenziali: fondamentale è una forte personalità, accompagnata da una decisa autostima; ciò basterà alla donna a superare sia quei limiti che lei stessa si e posta, sia quelli che la storia, come abbiamo visto, le ha imposto. In conclusione, speriamo dunque che, la società riesca a rendersi conscia di una realtà non più trascurabile perché, imbrigliata in schemi e preconcetti statici che impediscano il naturale corso degli eventi nel quale si veda la donna finalmente protagonista.

BIBLIOGRAFIA:
NUOVA PROFESSIONE DONNA (Fabbri Editore)




RUOLO STORICO E LETTERATURA

"La donna è l'avvenire dell'uomo" (Aragon). Ma quale donna? La dama, la vergine-madre, la baccante (Haggard), la nutrice (Faulkner), la donna bambina, la schiava padrona, l'Eva futura (Stendhal, Dickens, V. De L'Isle-Adam).
L'avvento del suo regno non dovrebbe essere lontano, ma intanto la donna crolla sotto le immagini contraddittorie. Non vi sono che tre o quattro maniere di dimostrare che si è uomo. Una donna non si libera mai della sua femminilità. Definito come l'essere a cui manca qualcosa, creatura della mancanza e della apparenza, è oggetto in cui si intravede la speranza delusa e risorgente di una fusione e di un'intensità che passa attraverso di lei, ma di cui essa è solo un'eccedenza. La donna incarna il mondo e la presenza nel mondo: un mondo di uomini.
Il desiderio inconscio delle donne sembra essere l'usurpazione della virilità. Infatti la donna, fin dall'epoca più remota, ha assunto un ruolo di subordinazione rispetto all'uomo. Questa quasi "schiavitù" ha origine con la creazione del mondo; Dio dopo aver creato gli angeli e la Terra pensò bene di creare l'uomo a sua immagine e somiglianza, gli impresse il soffio della vita e così divenne un essere vivente, la donna invece ebbe vita da una costola di Adamo, chiaro segno di subordinazione. Eva simboleggia il male, il peccato, ma soprattutto corruzione e infedeltà, perché non ha rispettato le leggi di Dio e cadendo nel peccato, ha portato l'uomo alla dannazione.
La donna quindi ha sempre avuto un'immagine negativa anche nei miti e nelle storie pagane. Lei, infatti, è l'unica colpevole dei mali e delle sofferenze dell'umanità. Il mito di Pandora ne è un esempio. Secondo la mitologia greca, la terra produceva spontaneamente frutti e grano, la vita era un idillio, l'essere umano era ignaro di sofferenze e passioni, ma con la seconda generazione, all'età felice dell'oro, subentrò la triste età dell'argento, durante la quale gli uomini conobbero il male. Giove adirato, decise di punire gli uomini inviando tra loro la donna, causa di ogni sorta di male: Pandora. Plasmata da Vulcano era bellissima e Giove insieme agli altri dèi le fece un dono, le diede un'urna chiusa e la incaricò di offrirla a Prometeo che rifiutò il regalo, ma il fratello Epimeteo l'aprì e ne uscì fuori ogni specie di male che invase la Terra. Ripercorrendo la storia si possono notare varie civiltà e dunque differenti condizioni sociali per la donna, quasi sempre esclusa dalla vita pubblica, e spesso priva di potere, ma soprattutto subordinata all'uomo, il quale assume un ruolo di padrone e capo di tutto. A partire dal Neolitico, ma soprattutto con l'affermarsi dell'età dei metalli la donna si dedicava alla cura della casa e all'educazione dei figli, si occupava della filatura e della tessitura, riducendo così i rapporti con l'esterno.
Anche la donna egizia era esclusa da ogni "gioco di potere" e dalla vita pubblica. La donna cretese, al contrario, era libera di svolgere qualsiasi attività, proprio come l'uomo; inoltre viveva in ricchezza e si abbelliva con vestiti e trucco, si adornava di gioielli e pietre preziose, assumeva atteggiamenti molto libertini perché priva di pudore, infatti portava il seno scoperto. Erano libere di partecipare agli spettacoli e ai giochi eseguendo gare di corsa e incontri di lotta. Con la donna greca si ritornò al patriarcato. Esse erano escluse dai giochi, dalle varie educazioni e non potevano acquisire conoscenze scientifiche e letterarie come gli altri cittadini della polis. Il loro compito era di dedicarsi alla cura della casa e della prole.
In seguito si ebbe un tipo di donna, leggermente più libera che non aveva potere quanto l'uomo, ma poteva godersi la vita partecipando o assistendo a giochi, feste e danze e curando la sua persona: codesta era la donna etrusca, che assunse una posizione importante all'interno della famiglia che era il fulcro dell'organizzazione sociale. Infine abbiamo la donna romana, sottomessa, padrona di casa, dedita all'educazione dei figli; si può dire che la donna era esclusa dalla vita pubblica, lavorava ai campi con i vecchi e i bambini, perché i più deboli e quindi più facilmente influenzabili. L'uomo romano aveva un immenso potere all'interno della famiglia, tanto che la donna passava dalla potestà del padre a quella del suocero, perché l'autorità del capofamiglia era completa. Però le donne romane, godevano di grande rispetto in famiglia e di libertà sociale, infatti si potevano scambiare visite, erano ammesse ai banchetti e soprattutto potevano partecipare agli spettacoli. L'unica cosa che la rendeva pari all'uomo era l'abbigliamento molto semplice. Soltanto che sul capo base, che era la tunica, indossavano un mantello con un lembo per coprirsi il capo quando uscivano, in segno di sottomissione.
In seguito troviamo la donna cortese appartenente a quella élite limitata che respingeva tutti coloro che non erano all'altezza. In questa concezione la donna acquista un posto di rilievo, che nelle rudi idealità militaresche della cavalleria originaria, non trovava posto, se non come oggetto di coraggio. Nella società cortese diviene simbolo di cortesia e di gentilezza, ed era ritenuta addirittura la fonte da cui tutte le virtù si originavano, perché ingentiliva chiunque era in contatto con lei. La donna cortese pur essendo priva del potere reale che restava in mano all'uomo diventò il centro ideale della vita associata delle élite, specie quando il signore era assente per lunghi periodi. Il culto della donna si traduce in una particolare concezione dell'amore, ossia l'amore cortese; la concezione dell'amore si fonda sulla parità dell'uomo e della donna nel rapporto amoroso, sulla reciprocità della passione e sulla realizzazione del desiderio. Elementi caratteristici dell'amore cortese sono il culto della donna visto dall'amante come essere sublime, come essere divino che produceva effetti miracolosi, ma soprattutto era degna di essere venerata.
Per contro, troviamo l'uomo in una situazione di inferiorità, in quanto si presentava come umile servitore, perché la sua sottomissione e l'obbedienza erano totali.
In seguito, si ebbe la corrente letteraria del "Il dolce stil novo", in cui si può notare la figura di una donna angelica ed alla concezione della donna cortese si sostituisce una visione più spiritualizzata della donna esaltata come un angelo. Il Guinizzelli con "Al cor gentile rempaira sempre amor", mise in evidenza gli elementi fondamentali che caratterizzavano l'immagine della donna. Si può notare che con gli Stilnovisti il rapporto uomo-donna era equiparato a quello fra angeli e Dio, dunque la donna era trasformata in un essere soprannaturale, miracoloso; faceva da tramite tra Dio e uomo e soprattutto innalzava l'uomo alla contemplazione del cielo. Simbolo di donna divina e miracolosa è Beatrice, che con la sua beatitudine condusse il Poeta lontano dal peccato e dalla dannazione eterna permettendogli di tendere a Dio e alla sua magnificenza.
Nei secoli successivi, fino al '700, la condizione femminile non variò di molto, solo durante il periodo illuminista si ebbero notevoli cambiamenti. Infatti l'Illuminismo è stato un movimento culturale e filosofico di grande importanza, che si diffuse in tutta Europa e caratterizzò la vita intellettuale europea della metà del XVII secolo. I caratteri fondamentali di questo movimento furono innanzitutto la grande fede nella ragione che fu considerata elemento che accomunava e rendeva uguale tutti gli uomini: la rinnovata fede nelle scienze e un nuovo modo di intendere la religione. Un aspetto molto importante del periodo illuminista è la nuova condizione in cui viene a trovarsi la donna. Ella infatti si trova ad occupare un ruolo molto importante nella diffusione della cultura scientifica e tecnica e, per la prima volta, anche le donne ebbero la possibilità di intraprendere carriere scientifiche e intellettuali in genere: divennero giornaliste, scienziate, scrittrici e sebbene non si può ancora parlare di parità con l'uomo quei grossi progressi indicavano che la supremazia maschile era ormai in crisi.
Non bisogna però confondere con il femminismo la battaglia delle donne del '700: queste ultime lottarono per ottenere l'uguaglianza sotto il profilo giuridico e per il riconoscimento dei diritti universali anche per la donna. Una figura importante della cultura francese del periodo compreso tra il '600 e il '700 è Madame Lambert. Ella organizzò un salotto culturale dove si apprezzavano soprattutto l'arte del saper parlare e le belle maniere, ma ci si interessava anche di scienze e filosofia. Madame Lambert scrisse due opere di carattere pedagogico, e si interessò anche di argomenti politici, religiosi e psicologici.
Nel '700 poi l'influenza delle donne sotto il profilo culturale raggiunse in Francia altissimi livelli; nei salotti presieduti da queste signore si diffusero le idee illuministiche e molte donne contribuirono alla realizzazione delle opere dei grandi filosofi illuministi. Tra le animatrici e organizzatrici di questi salotti culturali dobbiamo ricordare Madame De Tecine, Madame De Geofrine, Madame Du Deffan e la marchesa di Chatellet che ebbe una lunga relazione con Voltaire, il quale fu iniziato allo studio della scienza proprio da questa donna.
Le donne ebbero un ruolo importante anche nella Rivoluzione Francese sia a livello popolare che a livello intellettuale, molte donne borghesi infatti presero parte alle sedute dell'Assemblea Costituente e fondarono giornali e circoli femminili che lottavano per il riconoscimento dei diritti civili e politici delle donne. Anche le donne del popolo lottarono contro l'oppressione femminile e alla fine tutte insieme ottennero importanti conquiste quali la legge sul divorzio, la possibilità di poter testimoniare nei processi civili, e l'abolizione del diritto di maggiorascato: ciò significava che anch'esse potevano usufruire del diritto ereditario. La cultura illuministica si diffuse in tutta Europa e giunse ben presto anche in Italia dove il fulcro fu l'Accademia dei Pugni, fondata dai fratelli Verri nel 1761. Anche a Napoli l'Illuminismo conobbe un momento di grande splendore con Genovesi e Filangeri.
In Italia, il movimento illuminista vide la presenza delle donne sul fronte sociale per ottenere uguali diritti civili e politici e una più vasta cultura. In campo scientifico dobbiamo ricordare Anna Morandi Manzolini che fu una studiosa di astronomia Lorenza Maria Caterina Bossi e Maria delle Donne, Aretafila Savini De Rossi e Diamante Medaglia Faini lottarono, invece per avere un'istruzione superiore anche in campo scientifico. Una figura molto importante è quella di Maria Gaetana Agnesi che fu studiosa di matematica e ottenne la cattedra all'università di Bologna. La denunzia delle condizioni sociali della donna fu fatta nel 1797 da Carolina Lattanzi che lesse all'Accademia di Pubblica Istruzione di Mantova uno scritto "Sulla schiavitù della donna". La Lattanzi attribuiva la condizione di inferiorità della donna alla religione e affermava che la lotta femminile era rivolta contro 1.000 tiranni: i padri e i mariti. A Venezia, nel 1799, fu pubblicato un Libello anonimo dal titolo "L'impassibile", ovvero la riforma delle donne nella loro educazione. Anche a Napoli abbiamo avuto donne che presero attivamente parte alla vita politica e dobbiamo ricordare Eleonora de Fonseca Pimentel e Luisa Malines Sanfelice. La prima fu impiccata e la seconda decapitata. Eleonora de Fonseca prese parte attivamente alla rinascita napoletana del 1799 e alla formazione della Repubblicana Partenopea. Ella fu direttrice della rivista "Il Monitare napoletano" e si interessò sia di argomenti politici che economici.
Un'altra figura di donna illuminata del '700 italiano è quella di Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni e figlia di Cesare Beccaria. Grazie al legame con Carlo Imbonati ebbe la possibilità di trasferirsi a Parigi e quindi di entrare a far parte di fervidi ambienti culturali. Lei stessa organizzò nella sua casa milanese un importante salotto culturale, del quale facevano parte il Cattaneo, Niccolò Tommaseo, Cesare Cantù.
Nell'800, dopo i primi esempi di partecipazione all'azione politica della Rivoluzione Francese, fu il Movimento Socialista ad offrire alle donne la tribuna del protagonismo e il diritto alla riflessione politica. L'autorità politica, che fino ad allora era stata prerogativa di ceti ristretti o addirittura, per le donne, un diritto ereditario delle pochissime privilegiate poste ai vertici dell'aristocrazia, si calò in seno ai nuovi ceti emersi dallo sviluppo industriale: la piccola borghesia e la classe operaia urbana. L'azione politica socialista portò le donne intellettuali a contatto con il pensiero filosofico, giuridico, economico: attraverso il linguaggio del diritto la coscienza femminile poté, compiere un sostanziale passo in avanti e le strade del socialismo e del femminismo si unificarono: potestà giuridica, pari diritti coi maschi nel contesto di un diritto di famiglia e di un diritto del lavoro, più conformi a principi di uguaglianza e giustizia, furono i binari di questa unificazione che rappresentò l'approdo al femminismo moderno. Fu il femminismo dell'uguaglianza e dell'emancipazione, non ancora il femminismo della differenza, che si svilupperà invece nel secolo successivo: il XX secolo.
Infatti intorno alla metà degli anni '50 registriamo il primo manifestarsi di certe inquietudini e di nuove problematiche nella riflessione della filosofia accademica femminile italiana. Si prende come documento di ciò il Congresso Nazionale di Filosofia promosso nel marzo del 1953 a Bologna dalla Società Filosofica Italiana sul tema: "Il problema della filosofia oggi". Su 103 comunicazioni 8 furono tenute da docenti universitari donne. Renata Gradi rilevava come si fossero affermate nel panorama filosofico nuove scuole di pensiero. Più duttile e aperto il contributo di Maria Teresa Antonelli dell'università di Genova. Secondo l'Antonelli la filosofia presente si configurava come "discorso coinvolto". Vera Passeri Pignoni propose un ardito parallelismo fra filosofia e psicoanalisi. Maria Riccardi Ruocco, con un intervento orientato verso la riflessione storica, trovava l'essenza dell'umano nell'indecisione, nella sempre compresente coscienza del dubbio e della necessità della scelta. "La scelta porta alla sicurezza del dubbio e della necessità della scelta". Anna Maria Cecchini affrontava la questione estetica sostenendo che il sigillo dell'attività artistica è la persona. Maria Giganti concordava sull'esistenza di "una crisi radicale della pura ragione" e suggeriva di affrontarla attingendo all'insegnamento che sprigiona "dalle secolari vicende della coscienza culturale e filosofica".
Grazie all'impiego di alcuni filosofi, più attenti alle ragioni della vita in comune e più disponibili ad aprire le loro lezioni e i loro istituti alla dialettica sociale, a partire dagli anni '60 abbiamo nuove originali esperienze di pensiero e di ricerca, che vedono impegnate anche intelligenze femminili in collegamento spesso informale con le Università. Particolarmente rilevante è stato, in questo quadro, il ruolo di alcune riviste che hanno assunto il ruolo di veri e propri laboratori di ricerca. "Quaderni Piacentini" (Piergiorgio, Alberto e Antonio Bellocchio, Edoarda Masi, Grazia Cherchi furono tra i principali animatori della rivista ). "Quaderni Rossi" (fondata da Raniero Panziero), "Aut-Aut" (fondata da Enzo Paci), "Il manifesto" (fondato da Lucio Magri, Luigi Pintor e Rossana Rossanda).Tra le collaboratrici di "Aut Aut" va segnalata Roberta Tomassini che, muovendo da studi Husserliani, si accosta all'analisi del concetto di bisogno, a metà fra una antropologia di tipo fenomenologico e una critica dell'economia politica di tipo marxiano.
Maria Cristina Marcuzzo, negli anni Ottanta ha curato con Anna Rossi Doria uno studio sinottico dei vari percorsi della ricerca intellettuale femminile in Italia: La ricerca della donna. L'origine prossima del neo-femminismo può essere individuata nel saggio di Betty Friedan, "La mistica della femminilità": ella sosteneva che nella società americana, si era arrivati al punto di massima tensione fra la realtà femminile e l'immagine della donna proposta dai mass-media e dalla cultura ufficiale. La psicoanalisi e l'antropologia attribuivano alla condizione femminile caratteristiche immodificabili e soprattutto vantaggiose per lo stato di supremazia maschile.
A partire dagli anni '40 era stata proposta una "mistica della femminilità", un modello di vita e felicità femminile organico e chiuso: amore, figli, casa, marito, etc., che finalmente entrava in crisi. Questi principi c'erano ancora ma le donne erano insoddisfatte. La Friedan propose allora un nuovo programma di vita per le donne che demistificasse lavori domestici, matrimonio e maternità: le donne dovevano cercare un lavoro creativo, superare il dilettantismo e puntare alla professionalità. Juliet Mitchell, fondatrice del "Women's Liberation Workship" di Londra, mette in evidenza queste contraddizioni emblema dei paesi capitalisti: inserimento economico ai bassi livelli del sistema, sfruttamento del lavoro domestico, uso consumistico dell'immagine femminile, educazione repressiva, estraneità delle donne ai partiti politici tradizionali.
In effetti più le donne riuscivano a conquistare nuovi spazi sociali e più si sentivano estromesse dai centri decisionali e penalizzate dalle strutture sociali. Il dibattito cominciato dalla Mitchell si arricchì con la politica del sesso di Kate Millett. Con il libro della Millett si inaugurò la tendenza specificamente radicale del nuovo femminismo, una tendenza sessista e di opposizione totale contro la società. Per la prima volta la critica femminista partiva dall'analisi della sessualità e del rapporto uomo donna. Il fine del Movimento creato dalla Millett non era più quello della parità, raggiungibile solo attraverso una mediazione giuridica e la lotta per nuovi diritti come l'aborto volontario, ma era diventato quella dell'affermazione del potere femminile. Tra le femministe più importanti di quel periodo non si può non ricordare Valerie Solanas autrice del manifesto S.C.S.U.M.(society for cutting up men = manifesto di un'associazione per far fuori gli uomini).
In Italia il femminismo radicale è stato rappresentato dal pensiero di Carla Lanzi, Luisa Abbà, G. Ferri, E. Medi che hanno proposto una revisione critica del Marxisismo dando rilievo alla funzione economica del lavoro femminile.
A differenza di quanto accadeva in passato, però, la distinzione tra femminismo radicale e femminismo marxista non toccò tanto gli obiettivi del movimento, quanto piuttosto il quadro teorico generale in cui situare le nuove iniziative delle donne. Nel 1981 Laura Conti scrisse "Il tormento" e "lo scudo" un saggio sul diritto e sulla legge relativi all'interruzione volontaria della gravidanza, che forniva al movimento gli argomenti biologici e giuridici in base ai quali affrontare il referendum promosso dal movimento per la vita.
Il femminismo radicale è diventato di fatto, a partire dagli Anni Ottanta, un femminismo della complessità, sistematico. Ma il fatto di essere diventato un femminismo colto, e per certi versi esoterico, non è stata la sola trasformazione. Da movimento di massa è diventato una rete di piccoli gruppi. Questo ha consentito un affinamento dell'elaborazione teorica, l'inserimento e la gestione consapevole di piccoli spazi istituzionali, ma forse ha fatto perdere al femminismo radicale posizioni sul piano politico, mentre i diritti delle donne sono diventati una sorta di luogo comune dell'agenda politica di tutti i partiti. Dal 1993 è attivo in Italia il gruppo Diotima, una comunità filosofica di donne che attraverso lo studio della storia del femminismo si propone di attuare una sorta di neutralizzazione della mente e del pensiero maschile.
In un saggio del 1990 sul rapporto uguaglianza differenza Giovanna Borrello ha dimostrato come l'ugualitarismo posto come valore positivo del dirit4o naturale illuminista si sia capovolto nella massificazione e nella burocratizzazione della vita sociale oggi e come, invece, oggi l'idea della giustizia debba fondarsi sul principio della differenza soprattutto quella sessuale. Da qui il paradosso del neo-femminismo che per chiedere l'uguaglianza trai sessi si trova a difenderne la differenza. A tale proposito un recente saggio dal titolo "Cittadinanza e differenza di genere" di A. E. Galeotti ha affrontato il problema del rapporto fra le forme della cittadinanza di uno stato democratico-liberale e le rivendicazioni differenziate del femminismo.
Le donne quindi sono sempre in lotta non per raggiungere la parità ma per difendere la propria diversità. Hanno sfilato per strada in cortei interminabili gridando slogan combattivi e infuocati, pieni di rabbia per i lunghi anni di silenzio e indifferenza, hanno bruciato i propri reggiseni simbolo di femminilità assoluta per ribadire la loro uguaglianza, hanno pianto, hanno gridato la propria insofferenza e hanno capito il mondo. Hanno capito che per sopravvivere bisogna occultare la propria femminilità e per vincere devono adeguarsi ai canoni maschili facendosi chiamare presidente (come la nostra ex presidentessa Pivetti), o agendo come loro mascherando la propria personalità.
Sembra, tuttavia, che il movimento femminista si sia smorzato quasi a rifiuto delle azioni del '68,perchè il culto della donna oggetto è ritornato di nuovo in auge. A questo proposito riportiamo l'intervista di una accanita femminista, Anselma dell'Oglio, la quale alla domanda sul perché le donne dovrebbero rinunciare alla politica lei ha risposto "essere donna è un modo di attirare le donne in un mondo politico di soli uomini".
A pensarla come lei sono in molti: alcuni dei nostri intervistati hanno più o meno risposto in modo analogo. Per esempio una ragazza di 16 anni ha detto che secondo lei le donne hanno conquistato molti ruoli nella società ma il ruolo di mamma e di moglie resta sempre il più importante. E il fatto che un'affermazione del genere venga proposta da una ragazza è molto indicativo. Un dato di fatto è che le donne non riescono mai ad avvalersi fino in fondo delle libertà raggiunte e debbono ricominciare sempre dall'inizio per affermarsi. La lotta politica femminile è un esempio.
Le donne durante i secoli hanno ottenuto la possibilità di entrare in politica, prima facendo estendere il voto a tutta la popolazione e poi facendosi eleggere come rappresentanti del popolo. Solo che ancora adesso la presenza femminile in politica è sempre troppo bassa. Le donne con la loro sensibilità e conoscenza di determinati problemi potrebbero risolvere situazioni delicate che non trovano risoluzione da tempo immemore. Il 95% dei nostri intervistati (età compresa tra i15 e i 50 anni) si dichiara favorevole all'aumento delle donne in politica per i motivi sopra enunciati, solo che pochi si sono preoccupati di stabilire come fare:10 donne e 5 uomini hanno detto che non bisogna obbligare le donne a partecipare alla "res pubblicas" mentre oltre agli altri che si sono astenuti, un intervistata di 18 anni ha proposto di aumentare la percentuale obbligatoria da 8% al 50% delle donne presenti nei partiti, altre intervistate (20-32 anni) erano concordi per l'attuazione di una politica di sensibilizzazione per l'inserimento delle donne in Parlamento.
Si spera che l'opinione pubblica sia in futuro più attenta a questi problemi e si adoperi per rendere giustizia ad un mondo troppo spesso maltrattato non per mettere a tacere gli animi offesi ma per cambiare radicalmente il modo di vedere le cose.



CULTURA DEL VOTO, LEGISLAZIONE

Molti sostengono che il termine "democrazia" non può essere accompagnato da aggettivi. Eppure la parola deriva dal greco e significa "governo del popolo". In definitiva in democrazia i cittadini designano i loro rappresentanti con il potere di voto, cioè con il suffragio universale.
Sembra superfluo ricordare che solo nel 1911 in Italia venne introdotto il suffragio cosiddetto universale, che però era un privilegio dei soli cittadini di sesso maschile. Alle donne il voto fu esteso molti anni dopo. La questione, del voto alle donne ha un lungo passato, si pone all'indomani della nascita dello stato unitario tra i primi nuclei del movimento delle donne, e nella riflessione di alcuni pensatori, giuristi, politici; si intreccia con le trasformazioni politico - sociali, con la cultura, gli umori, le idiosincrasie della classe dirigente italiana; ne è a sua volta condizionata.
La sua storia si interrompe con il fascismo per concludersi negli anni della Liberazione: cinquanta anni fa, il 1ø febbraio 1945, un decreto luogotenenziale riconosceva alle donne il diritto di voto e di eleggibilità. Nell'arco di quasi un secolo le donne hanno posto il problema del voto all'attenzione della classe dirigente italiana in fasi diverse. La prima, dopo l'Unità, cresce soprattutto con l'arrivo del potere della Sinistra di Depretis, raggiungendo il culmine negli anni Ottanta. Mutato nel decennio successivo il quadro sociale e politico, il movimento operaio si dà stabili forme organizzative, ma l'aumento delle tensioni sociali porta a soluzioni autoritarie e repressive. La questione del voto viene rilanciata, in età giolittiana, con molte speranze e altrettante delusioni.
La fine della Grande Guerra, guerra che ha visto gli uomini in trincea e spinto le donne a sostituirli in tutti i posti di lavoro per sostenere l'economia nazionale, porta tra le altre rivendicazioni sociali anche quella del voto alle donne. Questa fase, la terza, sarebbe stata conclusiva e finale, come è accaduto in altri paesi che hanno riconosciuto il diritto elettorale femminile, se non fossero sopraggiunti l'impresa fiumana prima e il fascismo subito dopo. La beffa del voto amministrativo alle donne nel 1925 è la quarta fase, agli albori del fascismo, prima che le leggi speciali togliessero le libertà fondamentali a tutti gli italiani, uomini e donne.
Nel 1945 il diritto femminile al voto si è finalmente riconosciuto, con modalità che ne determineranno il concreto esercizio negli anni della Repubblica. Esso è di diritto dovuto per un secolo di petizioni attivismo organizzativo, interventi di stampa e per il contributo più recente dato dalle donne alla guerra di Liberazione, ma è anche frutto di un accordo di vertice tra De Gasperi e Togliatti durante il governo provvisorio Bonomi: mossa anticipata a sorpresa mentre le donne si accingevano ad una mobilitazione straordinaria indetta per il mese di febbraio. Questa data conclude un ciclo e ne apre uno nuovo. Riconosciuto il diritto ad eleggere e ad essere elette, il problema concreto dell'eleggibilità è ancora attuale per l'esiguità numerica della rappresentanza elettorale femminile, per le difficoltà opposte alla sua selezione quantitativa, per i criteri che ne definiscono la qualità.

Volendo considerare la storia del voto femminile nel suo insieme essa può essere divisa in due grandi momenti storici. Nel primo, che va dall'unità d'Italia al secondo dopoguerra, la richiesta per il voto deve affrontare la negazione della rappresentanza femminile e quindi una serie di ostacoli sia di carattere politico che religioso. La concessione del voto nel 1946 dimostrò, invece, le difficoltà della partecipazione, resa estremamente limitata dall'esistenza di un sistema politico partitico, incapace di rappresentare le esigenze femminili e di un sistema elettorale che non considerava il problema di una equa rappresentanza femminile come condizione per la democrazia.
Erano prive le donne di riferimenti storici, disperse nei vari movimenti femminili dei partiti o in numerose associazioni femminili, quasi sempre definite apolitiche, in Italia non riuscirono mai a superare la quota del 10-12 per cento. Sarà comunque certamente utile riandare all'inizio del movimento suffragista per vedere in quale contesto nacque e chi furono alcuni tra i primi sostenitori del voto in Europa.
La richiesta del voto amministrativo alle donne era stata rilanciata da Lanza nella sua proposta di legge elettorale del l871, ma non si era andati al di là di una semplice "presa in considerazione". Gli anni settanta portano però molte novità. E sorta una nuova rivista, " La Donna" che agita i problemi dell'emancipazione femminile. Accanto alla richiesta del voto amministrativo, si fa strada quella del voto politico per la partecipazione piena delle donne, che sono parte attiva nello sviluppo industriale italiano, alla vita e alle decisioni del Paese. Il sasso è lanciato nel 1877 dalla Petizione a firma di Anna Maria Mozzoni, ben consapevole delle difficoltà che i parlamentari oppongono.
L'alleato pronto a raccogliere il sasso è il repubblicano Salvatore Morelli, deputato di Sessa Aurunca, che aveva già presentato nel 1867 un suo disegno di legge sulla emancipazione femminile in base al quale le donne "sono facultate di esercitare i diritti civili e politici nello stesso modo e con le medesime condizioni che li esercitano i cittadini del regno d'Italia" (1).
Quel disegno non arrivò neanche alla discussione, e il deputato lo stampò e diffuse a proprie spese, ma a suo modo agitò parecchio le acque. In Parlamento sedevano uomini della destra liberale, disposti a mediazioni possibili sul voto amministrativo, perché, in loro era vivo il ricordo delle leggi elettorali negli ex stati italiani di provenienza che riconoscevano il voto alle donne. Con l'arrivo della sinistra al governo, sembrava che le riforme potessero essere attuate. Invece, rimasero in piedi molte proposte. La situazione non mutava molto negli anni seguenti. Mentre Garibaldi aveva ripresentato un suo disegno di legge sulla "reintegrazione giuridica della donna" accolto parzialmente dal governo e dal parlamento che riconoscevano alle donne il diritto civile di testimoniare, la classe politica parlamentare continuava ad insabbiare con perseveranza la questione del voto femminile.
Nei circoli democratici italiani la situazione, a differenza del parlamento, non è affatto immobile. Sta crescendo una nuova generazione di donne che ha ancora in Anna Maria Mozzoni la sua punta di diamante: sarà lei a rilanciare la proposta del voto politico, proprio nel momento in cui non riesce a passare neppure un progetto di voto amministrativo, quello che l'Austria, "governo straniero" non ci aveva negato mai (2).
La verifica parlamentare sul voto amministrativo, le resistenze dei deputati portano le donne a riflettere sul carattere di una costante esclusione, chiaramente legata al "genere" e non come per gli uomini a restrizioni momentanee. Ma come poteva il "genere" femminile, considerato debole, incapace e inadatto mutare se stesso? L'estensione dell'elettorato amministrativo alle donne prese forma certa nella proposta di legge del 1882. Nella commissione parlamentare che la esaminò e in cui sedeva anche Giolitti, la maggioranza era favorevole, non solo perché, "questo elettorato aveva fatto buona prova nel Veneto, nella Lombardia e nella Toscana, ma anche perché, il comune rappresenta principalmente una serie di interessi locali, onde ci sembrò non fosse possibile togliere alla donna la facoltà di occuparsene" (3).
La proposta che estendeva l'elettorato amministrativo alle donne in base al censo e alla capacità giuridica, arrivò in discussione con un intesa di maggioranza che in aula fu rovesciata per pochi voti. Presidente del consiglio era divenuto nel frattempo Crispi, che non accettava la proposta dell'elettorato alle donne. Questa fu una delle ultime discussioni sul voto amministrativo: mutamenti sociali e politici anche violenti, le nuove forme organizzative assunte dal movimento operaio, la repressione degli ultimi anni del secolo, che colpisce le libertà di associazione, di stampa, di pensiero, impediscono che si riprenda il tema.

Uno degli obiettivi indicati da Benito Mussolini è il suffragio elettorale esteso anche alle donne: la questione del voto femminile era di estrema attualità nel dibattito politico italiano e, il regime giustificava la sua negazione del voto femminile, con il timore che le donne venissero politicamente influenzate dal clero e anarchici; la legge per il suffragio femminile attirò l'attenzione di un certo mondo femminile, di estrazione medio-alta, verso il nascente movimento fascista. Le speranze delle donne sull'ottenimento del suffragio aumentarono con la nomina di Mussolini a primo ministro. Vale la pena di ricordare che, come si legge in un articolo comparso nel 36 sulle colonne de "La donna fascista", il compito della donna non si ferma nell'ambito della famiglia:
"Dalla cellula familiare la donna si inquadra nell'organizzazione per quell'opera di solidarietà umana che deve svolgere in una famiglia più grande: la nazione. A questo proposito si è dovuto vincere qualche pregiudizio borghese rintanato in qualcuna delle nostre piccole città di provincia. I vecchi e tristi motivi della donna e il focolare, sono ormai messi in soffitta tra i robivecchi. Occorre aprire le finestre soprattutto occorre che gli uomini non si adagino in pregiudizi" (4).
Tornando al tema specifico del godimento dei diritti politici, è utile ricordare che tali diritti spettarono realmente alle donne, quasi ovunque solo dopo la prima Grande Guerra.

Il 15 settembre 1944, a Roma, viene fondata l'Unione Donne Italiane (UDI) che si propone, rivendicare il diritto di voto alle donne, che verrà riconosciuto all'inizio del 1945. Nel '46 entra in vigore il voto femminile ed il 2 giugno, 12.998.131 cittadine italiane votano, per la prima volta. La loro presenza sancisce un diritto politico finalmente acquisito, frutto delle tante battaglie condotte dalle donne per l'esercizio di voto attivo e passivo. II numero delle donne elette in Parlamento si contrae progressivamente negli anni Cinquanta e Sessanta (con un minimo storico toccato nel '68) e, l'incidenza politica femminile deve fare i conti con un sistema tradizionalmente di segno maschile. Nell'arco di tempo compreso tra il '50 ed il '60 le battaglia politiche delle donne si concentrano sulla difesa del diritto al lavoro sulla parità retributiva e sulla tutela delle lavoratrici madri.
Negli anni Settanta le donne vengono coinvolte nei movimenti di contestazione e cresce la loro partecipazione politica; la mobilitazione femminile ha un riscontro concreto sul piano legislativo, risalgono a questo decennio infatti le conquiste storiche del neofemminismo come la legge sul divorzio e quella sull'interruzione di gravidanza. Gli anni Ottanta, quelli del cosiddetto riflusso nel privato, segnano per le donne; un ritorno alla politica dei e nei partiti piuttosto che una partecipazione di "piazza" ed un parallelo aumento del numero delle elette in Parlamento. La partecipazione, pur con qualche fluttuazione, risulta una costante di quest'ultimo decennio politico. Spostando l'attenzione dal "mondo" delle elette a quello delle elettrici, è interessante sapere quanto emerso da una recente indagine sul voto femminile: le donne, in generale, preferiscono i partiti moderati rispetto a quelli più "estremisti".

Nell'arco temporale che va dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, la storia delle italiane è stata segnata da grandi conquiste di carattere sociale, che hanno marcato il passo di una vera e propria rivoluzione silenziosa. Tuttavia, l'ingresso delle donne in politica è ancora timido: infatti, la presenza delle donne negli organismi decisionali è scarsa e poco incisiva. Tuttavia, il peso politico delle donne sembra crescente, non solo dal punto di vista numerico, ma soprattutto dal punto di vista della visibilità politica.
Il nuovo sistema elettorale, fa ben sperare per una maggiore presenza femminile nell'arena della politica. Di pari passo, l'atteggiamento tradizionale di "apatia" femminile nei confronti della politica sta rapidamente cambiando. D'altro canto, però, l'entusiasmo con cui l'universo femminile si è riversato nel mondo della produzione e dei servizi è stato mal ripagato. La donna, infatti, è spesso rimasta vittima di una cultura maschile dominante che l'ha portata ad essere segregata sotto il profilo occupazionale. L'aumento del livello di scolarizzazione femminile ha permesso alla donna di appropriarsi sia della conoscenza, sia dei modelli culturali dominanti.

Alcuni politici di oggi riconoscono l'esistenza di una specifica cultura politica femminile. Ma la caratteristica principale di tale cultura politica starebbe nella sua "invisibilità", nello stesso modo in cui sarebbe stata non visibile l'azione della donna nella storia. Tuttavia, gli ulteriori elementi che definiscono il concetto di cultura politica femminile, quali i motivi di comportamento, la passività di atteggiamento, la scarsa attitudine alla partecipazione politica, sembrano ricalcare la definizione di apatia politica femminile che oggi appare abbastanza datata.
Questo atteggiamento di disinteresse da parte delle donne nei confronti della politica trova le sue ragioni in due condizionamenti vissuti dalle donne. Il primo si risolve nella scarsità di chance a fare politica, per "i mille impedimenti quotidiani della sua funzione di moglie e di madre". Il secondo elemento, invece, ha come base un'incomprensione oggettiva della politica. In questi ultimi anni siamo però di fronte a grandi mutamenti. perché, il ruolo nel sociale della donna è in evoluzione e probabilmente con esso anche parte della cultura politica femminile. Per spiegare ciò che condiziona pesantemente l'atteggiamento delle donne nei confronti della politica, è stata individuata l'esperienza della maternità. La maternità, infatti, opererebbe più come un "impedimento psicologico" che come "un ostacolo strumentale" all'attività politica. Gli studi finora condotti sulla cultura politica femminile si sono prevalentemente sviluppati lungo tre dimensioni: la sfera personale, quella sociale e quella economica. Se esiste una cultura politica femminile, questa dovrebbe prima o poi emergere traducendosi anche in un modo femminile di "fare politica", invece secondo il 51.5% delle donne chiamate in causa a tale proposito non esiste un modo specifico femminile di fare politica. Solo il 26.5% delle intervistate ritiene che la specificità femminile consista nel porre l'attenzione soprattutto sui temi vicini alle donne (ad esempio i problemi sociali, la tutela dei più deboli e dei minori, le tematiche relative alla famiglia) e il 21.2% ritiene che si risolva nel vivere la dimensione dell'impegno politico in modo diverso, non per il potere fine a se stesso.
In generale è condivisa l'opinione per cui se fosse presente un numero più cospicuo di donne all'interno delle istituzioni sarebbero apportati dei mutamenti al modo di fare politica, soprattutto nella direzione di una maggiore concretezza e di un minore spreco di tempo.
Infine l'approccio nei confronti dei sistemi che prevedono quote riservate alle donne al fine di incentivare la partecipazione politica femminile sono considerati in maniera controversa: se infatti da un lato sono stati giudicati necessari nel passato, oggi diffuso è il convincimento che le difficoltà debbano essere superate attraverso una rivalutazione delle risorse di cui le donne sono portatrici.



L'IMPOSSIBILITÀ DI ESSERE UGUALI

La gratitudine nei confronti del Costituente che decise il suffragio universale si accompagna al rammarico per la bassissima percentuale di donne che siedono nelle assemblee elettive. Oggi la percentuale di donne che, siedono in Parlamento non è molto aumentata, poche elette dunque. Intanto, sono sempre più gli ambiti lavorativi in cui le donne sono in maggioranza. La società è segnata dalla presenza femminile, le donne sono dappertutto, in modo visibile, tranne che nelle istituzioni della politica. Perché? Perché, le istituzioni della politica sono chiuse, impermeabili, si risponde spesso. Evidentemente, a molte donne appare insopportabile la qualità di vita e i rapporti che la politica istituzionale chiede.
Riconoscere alle donne l'elettorato attivo e passivo - dice oggi Irene Pivetti -, non fu altro che un atto dovuto verso la democrazia. Atto dovuto, dunque perché,, una democrazia possa dirsi tale. Due modi differenti di rispondere alla domanda: la parità tra i sessi può essere considerata o no una promessa della democrazia? Più in generale, la parità è o no un obiettivo raggiungibile e, soprattutto, auspicabile? Chi risponde si ritiene che si tratti di fare in modo che le promesse vengano mantenute. Che si tratti, cioè, di "rimuovere gli ostacoli" frapposti al realizzarsi dell'auspicata parità, promuovendo azioni positive volte a dotare le cittadine e i cittadini di pari opportunità. Chi risponde no, invece, ritiene che la questione della partecipazione femminile alla rappresentanza faccia tutt'uno con la riflessione sul carattere sessuato al maschile del patto sociale e simbolico sul quale si reggono le nostre istituzioni.
Detta un po' schematicamente: nel primo caso, il problema viene visto, studiato, analizzato dal punto di vista del buon funzionamento delle istituzioni democratiche, della loro maggiore o minore coerenza con gli ideali di cui sono portatrici; nel secondo, invece, il punto di vista, l'occhio che guarda, ha a che fare con l'altro corno del dilemma: le donne.
Estraneità, disagio, "impossibilità ad essere normali" rispetto a un mondo dominato ordinato da un solo sesso a propria misura "Non da adesso le donne si sono date luoghi per chiedere di essere cittadine: in questi luoghi scoprendo precisamente che c'è nel loro sesso un'eccedenza, un bagaglio di conoscenza e esperienza che nella pura cittadinanza, com'è stata finora concepita e regolata, non trova posto né espressione. Si sa che ogni volta che le donne hanno chiesto di essere uguali a tutti sulla scena pubblica si sono scoperte insieme, inevitabilmente, differenti. E se questa contraddizione è esplosa con il femminismo degli anni Settanta, di essa c'è traccia continua in una storia più lunga come le vicende del suffragismo dimostrano" (5).
Ma è dentro le istituzioni, la decisione di inserire nella legge elettorale per i comuni l'obbligo di riservare un terzo delle candidature alle donne. O quello che si scatenò, intorno alla scelta che nella quota proporzionale per le elezioni politiche, le lista fossero composte, obbligatoriamente, con il criterio dell'alternanza tra donne e uomini.
Oggi siamo a come si possa ovviare il problema della scarsa presenza femminile nei luoghi della politica istituzionale. A noi piacerebbe che il Parlamento, i partiti, gli schieramenti sapessero guadagnare, interrogare la differenza familiare nei confronti della possibilità che una donna si muova con agio, padronanza, efficacia, autorità nei luoghi istituzionali. E che dopo, ma solo dopo, se mai, si discutesse di regole. Si parla tanto di crisi della rappresentanza. Se ne parla a destra e a sinistra. E come negare che crisi vi sia? Forse, allora, la critica femminista della rappresentanza può aiutare tutte e tutti a orientarsi meglio in questa crisi.
Una politica che lascia fuori i desideri e occulta le relazioni tra le persone; che si rappresenta come pura spartizione di potere; che tra rappresentanti e rappresentati mette solo il voto; una politica così taglia fuori le donne. Ma siamo sicuri che quella politica non taglia fuori, anche molti uomini? Vent'anni di politica delle donne hanno insegnato, se non altro, che finché, un eletta, una presidente, una sindaca non riusciranno a trasmettere l'agio, la padronanza necessari a che un'altra donna dica: "anch'io", non c'è azione positiva che tenga. Finché, quell'agio non sarà visibile, anzi, le regole, gli strumenti atti a "riequilibrare la rappresentanza" per legge otterranno il solo risultato di accrescere la sensazione di poter essere un "garbato ornamento istituzionale" Seconde, eternamente seconde, in luoghi in cui è l'altro sesso a muoversi da padrone.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
(1) Anna Maria Mozzoni; dal voto politico alle donne. "La voce del popolo", 11 marzo 1877. "La donna", 30 maggio 1877.
(2) Morelli, i tre disegni di legge sull'emancipazione della donna, riforma della pubblica istituzione a circoscrizione legale del culto cattolico nella chiesa, Firenze,1867.
(3) Atti parlamentari, camera dei deputati.
(4) AA.VV. Gli angeli e la rivoluzione, Roma settimo sigillo 1991).
(5) Ida Dominjanni, "Il manifesto".



ELEMENTI DI LEGISLAZIONE SULLA CONDIZIONE FEMMINILE IN ITALIA

In Italia esistono attualmente due organismi nazionali per il raggiungimento della parità fra uomini e donne. Essi sono la Commissione Nazionale per la realizzazione della parità fra uomo e donna ed il Comitato Nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità di lavoro tra lavoratori e lavoratrici. La prima ha compiti consultivi, promozionali e di controllo anche in materia di parità in campo politico. Le attività principali svolte dalla Commissione. per favorire la. partecipazione politica delle donne possono così riassumersi:
a) elaborazione delle proposte sulle modificazioni necessarie per conformare la legislazione agli obiettivi di parità tra i sessi;
b) promozione della ricerca e di acquisizione dei dati sulla condizione della donna in Italia e loro diffusione;
c) realizzazione di "azioni positive";
d) promozione di iniziative volte a favorire la partecipazione attiva delle donne nella vita politica, economica e sociale ed una loro adeguata presenza negli organismi pubblici, anche internazionali. Compito del Comitato, soprattutto dopo la sua ridefinizione con la legge n. 125 del 1991 è quello di rimuovere comportamenti discriminatori per sesso ed ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza delle donne nell'accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di carriera.
Si ricorda che il Governo Prodi ha previsto l'istituzione del Ministero senza portafoglio per le pari opportunità. II Ministro è delegato ad esercitare le funzioni di indirizzo, coordinamento, promozione di iniziative, anche normative, nonché, ogni altra funzione attribuita dalle vigenti disposizioni al Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di pari opportunità.
II Ministro per le pari opportunità rappresenta inoltre il Governo italiano in tutti gli organismi internazionali che hanno competenza in materia di parità e di pari opportunità, anche ai fini della formazione e dell'attuazione delle normative comunitarie, in particolare nel Comitato Consultivo Europeo per le pari opportunità presso la Commissione della Comunità Europea;

ALCUNI ENUNCIATI DI CONVENZIONI INTERNAZIONALI RIGUARDANTI LA SITUAZIONE FEMMINILE

" Ai fini della presente Convenzione l'espressione "discriminazione nei confronti della donna" concerne ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo su base di parità tra l'uomo e la donna.

" Gli Stati parte condannano la disgregazione nei confronti della donna in ogni sua forma, convengono di perseguire con ogni mezzo appropriato e senza indugi, una politica tendente ad eliminare la discriminazione nei confronti della donna, e, a questo scopo, si impegnano a:
a) iscrivere nella loro costituzione nazionale o in ogni altra disposizione legislativa appropriata, il principio dell'uguaglianza tra uomo e donna, se questo non è ancora stato fatto, e garantire per mezzo della legge, o con ogni altro mezzo appropriato, l'applicazione effettiva del suddetto principio;
b) adottare tutte le misure legislative e ogni altro mezzo adeguato, comprese, se necessario, le sanzioni tendenti a proibire ogni discriminazione nei confronti delle donne;
c) instaurare una protezione giuridica dei diritti delle donne su un piede di parità con gli uomini al fine di garantire l'effettiva protezione delle donne da ogni atto discriminatorio;
d) astenersi da qualsiasi atto o pratica discriminatoria nei confronti della donna ed agire in maniera da indurre autorità ed enti pubblici a confrontarsi a tale obbligo;
e) prendere ogni misura adeguata per eliminare la discriminazione praticata nei confronti della donna da persone, organizzazioni o enti di ogni tipo;
f) prendere ogni misura, comprese le disposizioni di legge, per modificare o abrogare ogni legge, regolamento, consuetudine o pratica che costituisca discriminazione nei confronti della donna;
g) abrogare tutte le disposizioni penali che costituiscono discriminazione nei confronti della donna.

" Gli Stati premendo in ogni campo, ed in particolare nei campi politici, sociale, economico e culturale, con ogni misura adeguata, incluse le disposizioni legislative, al fine di assumere il pieno sviluppo e il progresso delle donne, e garantire loro, su una base di piena parità con gli uomini, l'esercizio e il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

" Gli Stati parte prendono ogni misura adeguata ad eliminare la discriminazione nei confronti delle donne nella vita politica e pubblica del paese ed in particolare, assicurano, in condizioni di parità con gli uomini, il diritto:
a) di votare in tutte le elezioni ed in tutti i referendum e di essere eleggibili in tutti gli organi pubblicamente eletti;
b) di prendere parte all'elaborazione della politica dello stato ed alla sua esecuzione, di occupare gli impieghi pubblici e di esercitare tutte le funzioni pubbliche ad ogni livello di governo;
c) di partecipare alle organizzazioni e associazioni non governative che si occupano della vita pubblica e politica del paese.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Fiorenza Traipone - Mimma De Leo (a cura di), Elettrici ed elette.



La posizione critica

Che cosa spinge gli esseri umani a caratterizzarsi come "maschio" e come "femmina"? I miti, la filosofia e la scienza hanno cercato di rendere variamente comprensibile e giustificabile la differenza tra maschio e femmina; contestualmente hanno costituito i caratteri sociali di tale differenza, ossia le attitudini, i comportamenti, le competenze, le abilità che in ciascuna società distinguono gli appartenenti ai due sessi. Fino a tutto il XVII secolo permane valido un modello di spiegazione della differenza sessuale di tipo "verticale", basato sulla gerarchia e il confronto tra la positività, la forza e la grandezza dell'essere maschile e la fragilità e la piccolezza di quello femminile. A partire dal XVIII secolo, si afferma invece un modello di tipo "orizzontale", fortemente sostenuto anche dagli esponenti della nuova medicina. Secondo questa concezione, la donna è dominata dai suoi organi riproduttivi, il cui funzionamento determina anche gli aspetti caratteriali ritenuti femminili: dolcezza, impulsività, irrazionalità, senso materno, passività, sottomissione, bisogno di protezione. L'uomo è invece considerato un essere guidato dall'organo cerebrale: è quindi razionale, attivo, aggressivo, in grado di donare protezione. Anche nella teoria freudiana la donna è descritta come un essere a cui "manca qualcosa". Molte scienze, soprattutto in epoca contemporanea, hanno contestato questo modo di concepire la differenza sessuale. L'antropologia, ad esempio, ha dimostrato come determinati comportamenti possono essere considerati maschili in una cultura e femminili in un'altra. Il regime di sottomissione femminile ha limitato per secoli alle donne l'attività pubblica.
Nel corso del tempo, piuttosto lentamente e con andamento altalenante, la condizione giuridica e sociale delle donne si è modificato. Desiderio di cambiamento e forme di ribellione femminile sono sempre esistiti. La figura della monaca potente, della sposa per amore, della strega, della castellana accorta, della mercante abile testimoniano il desiderio e la capacità di ritagliare spazi di autonomia dagli angusti anfratti concessi dal costume e dalla legge. E' soprattutto nel corso degli ultimi due secoli che le istanze di maggiore autonomia e di maggiore riconoscimento del valore sociale della donna si sono dimostrate più insistenti ed efficaci. L'esperienza quotidiana, però dimostra che non sempre alla parità giuridica, ormai formalmente raggiunta, corrisponde un'uguaglianza di fatto. Gli scogli per rendere pienamente operativa la cittadinanza delle donne sono ancora molti, e tanto resta ancora da fare perché, la disuguaglianza in campo economico, sociale e politico sia superata. Ciò lo prova il fatto che, nonostante sia stato esteso già dal 1946 il voto politico alle donne, nonostante oggi le elettrici rappresentino da sole il 60 % dell'elettorato, le donne al Parlamento italiano sono solo il 10%. E' espressamente chiesto nella traccia di questo lavoro se riteniamo necessario un intervento legislativo volto a favorire una rappresentanza delle donne tale da rispettare le proporzioni giuste dell'elettorato.
Bisogna partire dall'analisi della domanda stessa, la quale, per noi, pecca di un grave vizio di fondo insito nella sua stessa formulazione. Questo vizio denuncia due possibili itinerari interpretativi vicendevolmente compenetrantisi:
a) Chi formula la domanda non è riuscito a prendere le distanze dai preconcetti né da una precomprensione del problema rimanendovi immerso e dunque impossibilitato ad una formulazione obiettiva e scientifica.
b) Paradossalmente, nel momento in cui ci è chiesto un parere che vada nel senso di favorire una presenza più numerosa della donne al Parlamento, ritenendole così capaci delle facoltà deliberative delle quali erano state private da tanta parte della cultura antecedente, si ritiene contemporaneamente che le donne o sbagliano il voto o sono intimamente persuase di una loro reale inferiorità per l'amministrazione della cosa pubblica.
Se non si esce da questo circolo vizioso del quale è emblematicamente esempio la formulazione stessa della domanda non può ancora organizzarsi un programma positivo. E si esce dal circolo solo con un opera sistematica distruttiva dei preconcetti e della precomprensione del problema del quale è ancora impregnata la cultura quotidiana a tutti i livelli.
Tra i preconcetti ve n'è un altro che vale la pena di citare e che potremmo ironicamente definire di tipo lirico. Tale preconcetto si nutre di un concetto della politica reale come "politica sporca, violenta...." e si vuole salvaguardare la gentile figura della donna dalla partecipazione a questa politica.
Dunque il problema della partecipazione numerosa della donna alla politica attiva allarga l'ambito di interrogazione alla definizione del concetto di politica e di amministrazione della cosa pubblica. Essa trae i suoi fondamenti "dall'economia" intesa nel senso propriamente etimologico di legislazione della casa. Anche il buon senso comune è d'accordo nel ritenere la donna massimamente adatta ad amministrare la vita, i rapporti, gli scambi dei partecipanti della casa.
Quindi il senso comune cade in contraddizione, ma è una contraddizione apparente, frutto di una duplice definizione della politica: pulita, della casa, e sporca, della strada!
Se si cominciasse a considerare lo Stato italiano come la cosa comune degli italiani, dove tutti godono degli stessi diritti almeno in rapporto alle possibilità di ognuno, allora la donna sarebbe sicuramente più adatta a gestire la res-publica e a infondere quella saggezza, moralità, legalità, che sono diventate espressioni ormai troppo sbiadite nella nostra società. Abbiamo raccolto pareri di altre persone. Le loro risposte sono state:
- "E' necessario un intervento legislativo perché, l'attuale rappresentanza non tutela sufficientemente i diritti delle donne, in particolare delle donne che lavorano. La donna non è tutelata abbastanza per la maternità soprattutto nell'industria privata e occorrono più leggi che minimamente ricompensino anche il lavoro delle casalinghe."
- "La donna in politica non ha le stesse opportunità dell'uomo. Spesso non le viene attribuito il giusto riconoscimento, in quanto ritenuta meno adatta dell'uomo e, quindi, subordinata ad egli, destinata a stare "in seconda fila". Inoltre" se ci fosse una maggiore presenza femminile nel Parlamento, forse la situazione politico-sociale dell'Italia potrebbe migliorare, dato che la donna, con la sua indole materna, riuscirebbe ad affrontare i problemi che affliggono la nostra società più velocemente ed efficacemente di quanto non accada ora."
- "E' giusto un provvedimento legislativo a questo proposito in quanto le donne possono comprendere tutti i problemi tipicamente femminili come l'aborto, la maternità,... e poi è giusto che ci sia una rappresentanza femminile pari a quella maschile perché, al contrario cadrebbero tutti i discorsi di parità."
- "La donna è presente in numero minore rispetto all'uomo perché, si interessa meno, in quanto, forse, è presa da altri fattori. Un intervento legislativo che miri ad incrementare la presenza femminile nel Parlamento, sarebbe un fattore positivo, perché, così ci sarebbe un più ampio punto di vista."
La nostra conclusione è che sembra essere indispensabile nello stato di fatto un intervento legislativo però si auspica che questa decisione sia autonomamente, internamente e coscientemente presa, non dettata da normative esterne imposte.




VALUTAZIONE RIASSUNTIVA E CONCLUSIVA

"L'altra metà del cielo" o "Il secondo sesso": queste sono le prime due definizioni che mi sovvengono trattando di un argomento così delicato riguardante le donne; e a ben pensare forse non vi è frase più indicata delle due succitate per indicare un universo così ricco e discusso. Infatti ambedue le frasi (estrapolate o non dal proprio contesto) vogliono da una parte ricordare che le donne sono - dati alla mano - il 50% e più della popolazione umana; dall'altra che la storia le ha sempre condannate ad un ruolo comprimario e talvolta anche minore.
Purtroppo ad una considerazione del genere si giunge leggendo senza troppa retorica le pagine della storia, da quella primitiva fino a quella moderna. Se volessimo ripercorrere il tempo all'indietro ed esaminare la figura della donna nel mondo antico - dalle civiltà mesopotamiche all'antica Roma -, la troveremmo sempre maltrattata ed esclusa da ogni attività umana, impegnata esclusivamente (e necessariamente) in quella della riproduzione. Basti ad esempio la civiltà greca e la democraticissima città di Atene, dove la politica veniva gestita in forma diretta e senza rappresentanze sociali: eppure la donna era esclusa a priori e non aveva, sebbene costituisse almeno la metà della popolazione, una benché, minima voce in capitolo. Poco dissimile era anche la sua posizione sociale: il suo scopo era quello di procreare e basta, se è vero che la suprema forma d'amore rimaneva quella omosessuale (maschile). Insomma, la storia antica ha condannato senza appello la donna in qualsiasi campo. Né differente è stato il mondo medievale dove, è vero, la donna era ispiratrice dei più alti sentimenti e delle più dolci liriche, ma rimaneva pur sempre distaccata dal mondo reale e dalla storia. I primi veri sentori di una riscossa si sono avuti con la Rivoluzione Industriale e con la nascita del proletariato maschile e femminile. Allora si sono avute le prime eroiche "suffragettes", le prime organizzazioni sindacali, i primi movimenti femministi ispirati ad un ideale di libertà e di parità di diritti delle donne. Prima di entrare nel merito della discussione e ricordare le grandi conquiste che la donna ha ottenuto negli anni, è doverosa una piccola riflessione.
E' legittimo chiedersi perché, la storia ha sempre condannato la donna. La risposta è che la legge del più forte, la prima istintiva legge che domina l'uomo e che è stata alla base delle violente ed inique civiltà passate ha scartato subito il sesso debole, perché, naturalmente meno disposto alla belligeranza e alla lotta. Ecco perché, dobbiamo apprezzare le nostre civiltà, talvolta accusate di cinismo, di ipocrisia e di corruzione: esse hanno assicurato diritti alle donne e a tutte le classi più deboli che in altri tempi avrebbero rappresentato pure utopie. Ma ben sappiamo che la strada è ancora molto lunga da percorrere e che i traguardi da raggiungere sono ancora molteplici. A testimoniare ciò vi sono ogni giorno associazioni ed organi di rivendicazione come i movimenti femministi e - specificamente in Italia - istituzioni quali il Ministero delle Pari Opportunità. Il femminismo è sicuramente un momento molto significativo della storia contemporanea perché, dimostra come le donne abbiano preso coscienza della loro importanza (in ogni senso) e allo stesso tempo che la società odierna, nonostante i falsi pregiudizi che si possono nutrire, ha un spiccata sensibilità verso il mondo femminile. Beninteso, noi siamo dei ferventi femministi e difensori della causa femminile solo quando questo movimento sia di rivendicazione intelligente e razionale: tutti vogliamo una donna presente in forma attiva in ogni campo della società in cui viviamo, ma purché, sia una presenza femminile, con tutte le sue caratteristiche e le sue differenze dal mondo maschile. Lungi da noi invece quelle rivendicazioni volgari e forzate che chiedono una donna a tutti i costi uguale all'uomo, non solo nella vita sociale, ma anche nelle abitudini e nei costumi: insomma, non chiediamo una donna-uomo che sacrifichi la sua femminilità in nome delle "pari opportunità".
Si è molto dibattuto sulle conquiste che la donna ha fatto nel campo politico in Italia, con l'ottenimento del suffragio universale e della eleggibilità indiscriminata rispetto ai maschi. Questa conquista è sicuramente una delle più grandi e delle più importanti del nostro secolo: considerando infatti che il popolo, nelle democrazie moderne, esprime il proprio potere attraverso il voto, la donna si trova su un piano praticamente uguale rispetto all'altro sesso. Considerando ancora tutte le successive conquiste ottenute - ultima fra tutte in Italia la possibilità di fare carriera nell'Esercito e nelle forze dell'ordine - sembrerebbe che la via dell'affermazione del diritto assoluto delle donne sia stata quasi completamente percorsa; eppure i risultati sono ancora poco soddisfacenti.
Giusto per citare qualche statistica, in Italia le donne superano di poco il 50% della popolazione, ma la loro rappresentanza parlamentare non supera (nell'ultima legislatura) 1'8%. Questo dato ci deve far pensare parecchio, nel senso che il mondo femminile non viene rappresentato in modo adeguato; la democrazia assicura a tutti la libertà di voto ma non sempre di scelta, dimenticando che uomini e donne, pur essendo politicamente uguali, hanno differenti modi di vedere le cose e di affrontarle. Purtroppo le leggi sono fatte quasi esclusivamente da uomini che le formulano secondo il loro esclusivo modo di vedere le cose; è vero, potremmo affermare che le leggi non hanno sesso e che di fronte al Parlamento non vi è alcuna differenza; ma ne siamo davvero sicuri, possiamo davvero permetterci di escludere - perché, in fondo il tutto si realizza in un'esclusione - le donne dalla gestione del nostro Paese?
Ecco perché, prima, parlando dei movimenti femministi e delle rivendicazioni sociali, esprimevo la ferma convinzione che i diritti devono essere acquisiti purché, assicurino la presenza "femminile", cioè assicurino la partecipazione in chiave materna, femminile e così via delle donne. Abbiamo bisogno del loro mondo, del loro modo di vedere le cose, innanzitutto perché, mi sembra un dovere inderogabile di una democrazia giusta, quale ritengo sia quella italiana, assicurare la presenza reale del sesso femminile ma soprattutto perché, le donne sono un altro mondo, sono una "metà del cielo" (non necessariamente l'altra). Immaginare un Parlamento presieduto da donne-maschi che vestono in giacca e perdono ogni loro femminilità non ci serve, è una forzatura inutile.
Ho parecchio insistito sulla femminilità della donna perché, ritengo che essa sia la vera assente dal mondo politico italiano: assicurare una presenza al 50% di donne è un dovere e un diritto della nostra politica. Pensiamo infatti per un attimo ad una famiglia senza una donna: essa subisce un'evoluzione particolare, fortemente influenzata dalla sola presenza maschile: c'è un vuoto, insomma. Poco differente è la politica italiana; essa rappresenta una grande famiglia che è la Nazione, ma quest'ultima è orfana di donne che forniscano quella visione del mondo e, forse, quegli ideali che tanto si ricercano e che sembrano scomparire assieme al nostro secolo. Perché, allora non cercare di portare le donne in Parlamento con la loro femminilità, con la loro metà del cielo e le loro idee?
Tutto quanto detto forse non avrebbe senso se il sottoscritto fosse finlandese o svedese, poiché, in quei paesi la politica e affrontata in ugual misura da uomini e donne: i Parlamenti dei Paesi nordici infatti sono più o meno divisi equamente. In Italia questo non avviene: gli uomini votano gli uomini, lo stesso fanno le donne; le liste sono quasi sempre maschili e talvolta la presenza femminile può essere pericolosa per la vittoria in campo elettorale. Per dirla in breve, questa cultura non esiste; allora bisogna imporla, crearla istituzionalmente, attraverso una trovata elettorale che assicuri la piena presenza delle donne nel Parlamento Italiano.
Quello della riforma elettorale in chiave femminile è un problema, tecnicamente parlando, molto semplice da risolvere; i problemi potrebbero sorgere dalle convinzioni e i pregiudizi che inevitabilmente ostacoleranno la proposta; certo, si può parlare di democrazia violata, di forzatura istituzionale, di limitazione del diritto di voto. Però poi dobbiamo chiederci se davvero è democratico quel paese che assicura solo ideologicamente la democrazia o lo è quel paese che, "calpestando" qualche sacrosanto diritto, assicura la partecipazione di tutti, se è vero che democrazia significa partecipazione.
L'Italia ci viene incontro ancora per un nuovo esempio: fino a pochi anni fa il sistema elettorale italiano è stato di tipo proporzionale, cioè ha rispettato fino all'ultimo voto la volontà popolare. Benissimo, la democrazia è assicurata, i poteri sono divisi e calibrati, ma la stabilità è lontana, i partiti proliferano così come la corruzione, il malgoverno la fa da padrona e le crisi sono all'ordine del giorno; insomma storia che ci appartiene. Allora si parla di riforme, di poteri forti, di premier senza vincoli come in Francia o negli USA; così però si calpesteranno molte libertà, molte volontà, ma di sicuro il governo sarà forte e il Paese avrà stabilità in ogni senso. Quale delle due formule avrà realizzato la maggiore "democrazia"? Quella teorica o quella pratica?
Per cui, in conclusione, è doveroso chiedersi se non sia auspicabile una revisione delle leggi elettorali, assicurando alle donne una rappresentanza parlamentare equilibrata a quella maschile. Così almeno, forzando un po' le istituzioni, avremo assicurato una democraticità che non avrebbe pari nel mondo e che potrebbe essere di guida per altri Paesi che si eleggono ad un livello di democrazia superiore al nostro.


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