Eduardo Ambrosio


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RELATIVISMO E ASSOLUTO

SAGGISTICA E POLITICA

RELATIVISMO e ASSOLUTO

La continua denuncia di voci autorevoli del degrado diffuso della società del Terzo Millennio dovuto al trionfo del relativismo e il sempre più marcato appannamento dei valori cioè dell'assoluto, induce ad approfondire tali problematiche allo scopo di comprendere di più e meglio l'oggi.

Una prima analisi porta a constatare che la realtà attuale appare molto indecifrabile, per certi versi addirittura confusa. In particolare i giovani si trovano di fronte ad un
eccesso di "modi di vivere", tale situazione crea enormi difficoltà nel forgiare la personalità.

La contemporaneità è caratterizzata da una
società dispotica e una identità precaria.

La richiesta della società è di una
identità biodegradabile per la diffusa precarietà che investe ogni aspetto umano.
Per essere più precisi più che di
società, che come ente è immobile, dobbiamo parlare di socialità, che come funzione è viva.

Lo
sforzo del pensiero (filosofia) di capire il proprio tempo, caratterizzato da una povertà di relazioni, è quello di superare la scissione relazionale e muoversi nell'elemento dell'identità. L'assenza di tale sforzo provoca, al contrario, vuoto di relazioni cioè pazzia, quale frantumazione del pensiero (l'idea, siccome giunge sempre nuova, è ospite straniero).
Si diventa
uomo solo in mezzo agli uomini cioè solo situandosi nel tempo e nello spazio, l'uomo porta dentro di sé la relazione (con gli altri uomini) non la separatezza: relatività delle relazioni.

Il
valore (l'assoluto) vorrebbe rappresentare l'antirelativismo, ma, con Heidegger, è solo il tentativo positivistico (riduzione a scienza, che è solo ricerca delle relazioni causali delle cose) di imbrigliare la metafisica; da qui le confuse e contradittorie spiegazioni delle filosofie dei valori.

Partendo dalla accezione più appropriata cioè quella economica,
valore significa prezzo, cioè esso si riduce a qualcosa di scambiabile, ciò vale anche per i valori quale Dio, Libertà, Giustizia, ecc..
Prima si parlava di
dignità, anch'essa valore o prezzo che significa "quanto sono disposto a pagare per l'uso del suo potere": si riduce la dignità a prezzo.
Al contrario
l'onestà non ha prezzo perché non dispone di potere.
Con
Kant il vero valore dell'uomo non è il merito ma il dovere, unica vera moralità.

Chi definisce i valori?

I valori, che pretendono di essere assoluti, sono determinati da atti di posizione: a culture diverse, corrispondono valori diversi.
Definire, quindi,
quali sono i valori è un atto di guerra per affermarsi (volontà di potenza di Nietzsche o la guerra di tutti contro tutti di Hobbes).
Per cui
i valori sono relativi (alla rispettiva cultura).

La soluzione è solo la politica, la quale, da arte del governare permessa da un potere superiore (papa da dio, feudatario da imperatore, vassallo da feudatario, ecc.) di sapore medievale, si traduce con l'avvento del borgo (inizio della fine del feudalesimo e del Medioevo: dal feudatario sfruttatore sorge la borghesia cioè i produttori e di conseguenza inizia il dialogo tra gli uomini e quindi il sistema civile ovvero la politica) nella versione moderna o meglio postmoderna in mediazione (collegare - come pure la didattica) in cui la chiave, però, è il voto cioè si torna al quantitativo: valore, prezzo (purtroppo non è stato ancora trovato un sistema migliore).


Il vero assoluto è solo l'uomo:
la società si realizza nell'io e l'io nella società.



I
l Relativismo (maschera del nulla) e la conseguente mancanza di valori sono il presupposto della "(in)cultura dell'optional", che ammannendo un po' di tutto mette tutto insieme sullo stesso piano e sullo stesso piatto, pornografia e prediche sui valori familiari o sulla fede, fumisterie esoteriche e pacchiane superstizione, un etto di cristianesimo e un assaggio di buddismo, volgarità plebea e volgarità pseudoaristocratica di spregiatori delle masse graditi a quest'ultime, Madonne di gesso che piangono e veline che discutono con i filosofi, abbronzature di famosi su belle isole e pii cadaveri dissotterrati e messi impudicamente in mostra.
Questo relativismo, in cui tutto è interscambiabile, non ha niente a che vedere con il rispetto laico dei diversi valori altrui accompagnato dal fermo proposito di contestarli duramente in nome di propri, è invece il trionfo dell'indifferenza, collante di una solidale e non scalfibile egemonia.
Il relativista non tollera alcuna ricerca di verità, potenziale pericolo per propria piatta sicurezza, convinto com'è che sia l'esercizio della ragione.
Il relativismo se è lo stimolo salutare all'interno della ricerca della verità, impedisce che essa si snaturi, come è avvenuto e avviene spesso, nell'intollerante dogmatismo; altrimenti è l'altra faccia del fondamentalismo, sicuro di sé, poco importa se trionfalmente ateistico o trionfalmente bigotto, muro di supponenza che un io debole e timoroso della vita si costruisce per tenerla lontana. Finché c'è il muro, il timore dei fantasmi è forte. Ma come dice la vecchia storia? "La paura bussa alla porta . La fede va ad aprire. Fuori non c'è nessuno".
Gesù o Budda non sono venuti a fondare una religione, già ce ne erano troppe, bensì a cambiare la vita.
La fede crede in una verità, non pretende di sapere cosa sia la verità; essa si offre al dialogo senza la pretesa di possedere la chiave dell'assoluto. La fede, inoltre, a differenza di tante ideologie, impedisce di innalzare falsamente ad assoluto qualsiasi realtà umana, storica, sociale, politica, morale, religiosa,ecclesiastica; essa è una difesa contro ogni idolatria e dunque contro ogni totalitarismo (compreso i fondamentalismi che sono i primi a commettere questo peccato blasfema e violenta idolatria).

Nella nostra democrazia, per fare un esempio, si registra una crescente degenerazione: la politica ha abdicato a ogni visione del mondo e si è ridotta a mera gestione - talora a indebita appropriazione - dell'esistente, essa sta diventando una dittatura dell'opinione pubblica manipolata che legittima ogni forma di demagogia posta al servizio degli interessi economici e finanziari.
Le classi tradizionali sono state sostituite da un gelatinoso ceto medio che non ha nulla della classica borghesia che produce e consuma, una finta cultura media che coinvolge i giornali, la televisione, l'università, l'editoria, il dibattito intellettuale, livellando ed equiparando tutti i valori in una melassa uniforme e facilmente digeribile, che smussa ogni reale contraddizione e scarta o disarma ogni elemento capace di mettere in discussione l'ordine imperante - con il Vangelo, ogni scandalo o follia della croce.
Questa medietà non è la modesta e onesta tappa in cui quasi tutti noi mediocri siamo costretti a fermarci nel cammino verso l'alto, ma è la totale eliminazione di tensione fra alto e basso, l'ordine e il caos, la vita e la morte, il senso e il nulla.



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