Eduardo Ambrosio


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Storia de LA GRANDE TRASFOR. I

STORIA > I TEMI DEL '900 > LA GRANDE TRASFORMAZIONE SOCIALE


Storia della GRANDE TRASFORMAZIONE I

Inizia il Novecento, e per alcuni non è che un appendice del secolo precedente. Troppo i conti lasciati in sospeso per poter veramente voltare pagina: a Parigi, certi ricordi bruciano ancora " la disfatta militare a Sedan; i soldati tedeschi lungo i Boulevards della capitale " e l'ansia della rivincita soffoca ogni altra prospettiva futura, mentre Vienna deve concludere l'operazione avviata nelle terre Balcaniche di Bosnia Erzegovina per poter riaffermare la perduta grandezza.
Inizia il Novecento, ed è come se una bassa pianura offrisse sfogo ad un fiume in piena sin lì costretto in un corso troppo angusto: è l'ondata del nuovo imperialismo Europeo che travalica ogni limite e fa crollare di schianto le secolari difese dell'Africa e dell'impero Celeste in Cina; ma anche della presenza Americana, che terminata la conquista del West prosegue di slancio e passa il Pacifico, o a sud proietta la sua ombra di gigante sui piccoli paesi del centro America- "parla piano, e vai in giro con un grosso bastone" e il ritornello preferito dal presidente Roosevelt. . . .
Inizia il Novecento, e tutto si rovescia: gli avversari di ieri diventano alleati ( Francia, Gran Bretagna, Russia); gli alleati si scrutano l'un l'altro con sospetto ( Italia, Austria, Germania); la grande Cina si inginocchia al piccolo Giappone, svegliatosi da un letargo secolare per bruciare le tappe e mettersi in linea con le maggiori potenze mondiali. . . .
Inizia il Novecento, e niente più è come prima: parole in libertà in letteratura; sferragliare di tram e non più di zoccoli per le strade; nuovi concetti di tempo e di spazio dietro le formule matematiche di Einstein; un mondo nuovo, totalmente sconosciuto seppur così vicino " l'inconscio" a porre dubbi su cosi sia realmente l'uomo; il gesto creativo dell'artigiano sostituito dall'ossessiva ripetitività della catena di montaggio. . . .
Inizia il Novecento, e il Titanic salpa per la sua crociera transoceanica, monumento galleggiante alla modernità, simbolo di certezze, attese, speranze che tutto vedono o credono di vedere, tranne un piccolo punto bianco, lì in fondo. . . .

LA PRIMA GUERRA MONDIALE PREMESSE ECONOMICHE-POLITICHE
Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, in conseguenza della "grande depressione" (1873-1896), il capitalismo monopolistico si era affermato nella gran parte dei paesi industrializzati, determinando una vasta riorganizzazione dei settori produttivi, nonché della stessa società.
Nello stesso periodo i paesi capitalistici operarono per difendere le proprie industrie innalzando barriere doganali e conquistare nuovi mercati per le proprie merci, attuando un rilancio di politiche colonialiste e imperialiste che furono alla base dello scoppio della prima guerra mondiale.
Fin dal 1898, i contrapposti interessi di Francia, Gran Bretagna e Germania (e in misura minore di Austria, Russia e Giappone) alimentarono uno stato di costante tensione internazionale, che spinse i governi a mantenere permanentemente in stato di allerta eserciti sempre più armati e ad accrescere la potenza delle proprie marine militari. I tentativi di fermare questa corsa al riarmo (che furono oggetto delle conferenze dell'Aia del 1899 e del 1903) ebbero scarso effetto, e non riuscirono a impedire lo strutturarsi dell'Europa attorno a due coalizioni ostili: la Triplice Alleanza tra Germania, Austria - Ungheria e Italia, e la Triplice Intesa tra Gran Bretagna, Francia e Russia.
Negli anni che precedono la prima guerra mondiale la Germania mette in crisi, sul piano economico, con un grande sforzo produttivo e con una serie di investimenti di capitali all'estero, il predominio finanziario anglo-francese. Di fatto mira a conquistare i mercati europei, nei quali le esportazioni tedesche superano quelle inglesi, a eccezione di Spagna e Grecia e a incrementare i domini coloniali. L'Inghilterra risponde con l'attuazione di una politica doganale protezionistica e si accendono tensioni per la gara tra i grandi paesi europei relativa all'appalto per la costruzione della ferrovia di Baghdad.
Le diplomazie europee incalzate dai grandi imprenditori nazionali non riescono ad approdare a una accettabile suddivisione del mercato fra Germania, Francia e Inghilterra. Le principali cause politiche della guerra, riferibili al periodo che va dal 1908 al 1914, furono:- la forzata annessione all'Austria della Bosnia - Erzegovina, in questo caso la guerra fu evitata solo perché la Serbia, che coltivava mire espansionistiche sulla regione, non poteva agire senza il sostegno della Russia, all'epoca non ancora disposta al conflitto; il fallimento delle trattative per la composizione della rivalità navale anglo-tedesca;- la seconda crisi marocchina furono il risultato del tentativo tedesco di sostenere l'indipendenza del Marocco nei confronti dell'occupazione francese, questione poi risolta pacificamente dalla conferenza di Algeciras.; l'occupazione italiana della Libia - le due guerre balcaniche del 1912 e del 1913.
Avvenimenti che sconvolsero l'equilibrio europeo scaturito dal congresso di Berlino del 1878. Causa immediata della guerra fu l'assassinio il 28 giugno 1914 a Sarajevo dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austroungarico, per mano del nazionalista serbo Gavrilo Princip. Assassinio che agì da detonatore in un'Europa già profondamente lacerata da rivalità nazionalistiche ed economiche, con effetti catastrofici.
Le operazioni militari si svolsero su tre diversi fronti: occidentale, o franco-belga; orientale, o russo; meridionale, o serbo. Nel novembre del 1914 la Turchia entrò in guerra a fianco degli Imperi Centrali, estendendo così il quadro delle operazioni che giunse a comprendere la regione dello stretto dei Dardanelli e la Mesopotamia.
Nel 1915 si aprirono due ulteriori fronti: quello austro-italiano, dopo l'entrata in guerra dell'Italia alleata dell'Intesa in virtù del Patto di Londra firmato il 26 aprile, e quello sulla frontiera greca a nord di Salonicco, a seguito dell'intervento della Bulgaria a fianco degli Imperi Centrali nell'ottobre successivo.
Nel corso del 1916 il presidente degli Stati Uniti (a quel tempo ancora neutrali) Woodrow Wilson cercò di spingere al negoziato le potenze belligeranti sulla base di una "pace senza vittoria". A fine anno il governo tedesco rese nota la disponibilità in tal senso degli Imperi Centrali, alla quale tuttavia la Gran Bretagna non diede credito.
Gli avvenimenti del 1917, favorevoli agli imperi centrali, avevano rinsaldato nello schieramento dell'Intesa la determinazione ad una più energica e coordinata condotta politico-militare della guerra. I termini della pace russo-tedesca del marzo di quell'anno e dei preliminari di pace imposti alla Romania toglievano infatti ogni possibile dubbio sulla natura e la durezza del trattamento che sarebbe toccato alla parte soccombente nella lotta. Ora più che mai, l'idea di una liquidazione definitiva del nemico appariva l'unico possibile sbocco alla guerra: la sua durata, l'asprezza, i sacrifici imposti rendevano inadeguata qualunque soluzione diversa dalla vittoria totale.
I Quattordici punti enunciati nel gennaio del 1918 dal presidente americano Wilson resero invece nota l'interpretazione che della pace dava la maggiore potenza belligerante: una pace permanente e stabile perché non basata sulla sopraffazione, ma sui due pilastri del rispetto delle nazionalità e del diritto di autodeterminazione dei popoli; una pace "democratica" che, evidenziando come le due parti in lotta condividessero la medesima logica di potenza economico - politico - territoriale, risultava alternativa non solo al bellicismo austro-tedesco, ma anche a quello (giustificato diversamente sul piano ideale, ma ugualmente radicato in precisi e vasti interessi imperialistici) di inglesi, francesi, italiani.
Non a caso, quando nell'autunno del 1918 apparve chiaro che sul piano militare la partita stava per avviarsi a conclusione, e che gli imperi centrali l'avevano perduta, fu lo stesso stato maggiore tedesco ad avanzare la richiesta di aprire trattative di pace sulla base dei punti wilsoniani. Certi che l'idealismo del presidente americano avrebbe salvato la Germania dalla determinazione a distruggerla degli avversari europei, i vertici tedeschi non si resero conto che l'enorme forza militare statunitense non era ancora in grado di tradursi in una corrispondente forza politica, e che dunque era tutt'altro che scontato l'allineamento degli alleati sulle posizioni dell'"associato" d'oltre Atlantico. E in realtà la pace avrebbe assunto le sembianze di un diktat di estrema durezza - e dunque, per l'inevitabile connesso carico di risentimenti e volontà di rivincita, le sembianze di una pace fallita.

IL PERIODO POST-BELLICO
La guerra era durata 4 anni, 3 mesi e 14 giorni di combattimenti. Le vittime nelle forze di terra furono più di 37 milioni ; in aggiunta, la guerra produsse indirettamente quasi 10 milioni di morti tra la popolazione civile. Un'intera generazione di europei fu falcidiata dalla carneficina: francesi, inglesi, tedeschi e russi persero tra il 15 e il 20% dei loro uomini in età compresa tra i 18 e i 30 anni, appartenenti indifferentemente alle classi inferiori e a quelle elevate. Infatti, nel carnaio delle trincee e nei massacri delle battaglie morirono tanto i soldati semplici, reclutati perlopiù tra i contadini, quanto gli ufficiali che li guidavano.
Nonostante la speranza che gli accordi raggiunti alla fine della guerra potessero ristabilire una pace duratura, la prima guerra mondiale pose al contrario le premesse di un conflitto ancor più devastante. Gli Imperi Centrali dichiararono la loro accettazione dei "Quattordici punti" del presidente Wilson come base per l'armistizio, aspettandosi che i loro princìpi ispiratori avrebbero costituito il fondamento dei trattati di pace.
Al contrario, gli Alleati europei si presentarono alla conferenza di Versailles e a quelle successive determinati a esigere dagli Imperi Centrali riparazioni equivalenti all'intero costo della guerra, nonché a spartirsi tra loro i territori e i possedimenti delle nazioni sconfitte, secondo gli impegni presi in accordi segreti stabiliti tra il 1915 e il 1917, prima dunque dell'entrata in guerra degli Stati Uniti.
Il presidente Wilson in un primo tempo insistette affinché la conferenza di pace accettasse il programma delineato nei "Quattordici punti" nella sua totalità, ma nel tentativo di garantirsi l'appoggio dei recalcitranti alleati per l'applicazione dell'ultimo - riguardante l'istituzione di una Società delle Nazioni - finì con l'abbandonare questa posizione.
I trattati di pace prodotti dalla conferenza di Versailles risultarono così squilibrati da divenire fattori di instabilità nel futuro dell'Europa.

I TRATTATI DI PACE
Durante la conferenza di Versailles, che vide riunite le 27 nazioni vincitrici della guerra tra il gennaio del 1919 e l'agosto del 1920, furono concluse le paci separate con le potenze sconfitte: il trattato di Versailles (28 giugno 1919) con la Germania, il trattato di Saint-Germain-en-Laye ( 10 settembre 1919) con l'Austria, il trattato di Neuilly-sur-Seine (27 novembre 1919) con la Bulgaria, il trattato del Trianon (4 giugno 1920) con l'Ungheria e il trattato di Sèvres (10 agosto 1920) con la Turchia.
Con il Trattato di Versailles la Germania riconosce la propria responsabilità nello scoppio del conflitto e cede alla Francia l'Alsazia e la Lorena oltre alla possibilità di sfruttare per quindici anni il bacino minerario della Saar. Accetta di fare concessioni territoriali a Belgio, Danimarca, Polonia e Cecoslovacchia e rinuncia al suo impero coloniale che viene spartito tra i vincitori (Italia esclusa). Deve inoltre accettare la riduzione dell'esercito e un razionamento della propria produzione bellica. Infine è costretta a un risarcimento di 132.000 miliardi di marchi-oro.
Nel Trattato di Saint-Germain-en-Laye si perviene al riconoscimento di Cecoslovacchia e Jugoslavia; alla cessione del Trentino, del Tirolo meridionale fino al Brennero, di Trieste, Gorizia e dell'Istria all'Italia.
La conferenza si svolse tra il gennaio del 1919 e il gennaio del 1920 e fu subito segnata dal contrasto del presidente americano Wilson, che opera per una integrale applicazione dei Quattordici punti, con il presidente del consiglio francese Georges Clemenceau e il primo ministro britannico David Lloyd George, legati alla tradizionale concezione politica dei compensi territoriali e dei risarcimenti.
Il principio di autodeterminazione dei popoli non trovò adeguata applicazione e la politica innovativa di Wilson vi incontrò storiche, insormontabili difficoltà.
Alla conferenza, alla quale non parteciparono le nazioni sconfitte. Furono ufficialmente riconosciuti questi nuovi stati: i regni di Jugoslavia (comprendente Slovenia, Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro) e Albania e le repubbliche di Polonia, Cecoslovacchia, Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia.
L'Impero austro-ungarico fu ridotto a due piccoli stati, Austria e Ungheria, privi di sbocco sul mare. L'Austria, per volontà dei vincitori, non avrebbe potuto unirsi alla Germania.
Il ruolo dell'Italia vi si rivelò marginale. Il ministro degli esteri italiano, Sidney Sonnino, abbandonò dapprima la conferenza in segno di protesta per la mancata integrale applicazione del Patto di Londra, per ritornarvi quando gli accordi principali fra le potenze si sono ormai conclusi.
Ma le questioni rimaste insolute nel corso della conferenza di pace giocheranno un ruolo non secondario per lo svolgimento della storia successiva.
La soluzione diplomatica che prevalse al termine della guerra disegnò un quadro politico dell'Europa completamente differente da quello del 1914. La scomparsa di tre imperi (russo, tedesco, austroungarico) fu colmata dalla creazione di nuove unità statali, entro le quali l'identità nazionale era tutt'altro che omogenea. Si trattò di un autentico terremoto geopolitico che investì particolarmente l'area centro-orientale dell'Europa, laddove oltre 250 milioni di persone (russi, tedeschi ed ex sudditi austroungarici) videro modificarsi sotto i loro occhi antichi confini e cadere autorità secolari. Dovettero perciò cominciare a fondare su nuove basi le loro relazioni sociali e politiche. In Russia la dissoluzione dell'impero zarista, sopraggiunta già prima della fine del conflitto, era stata accelerata dal processo rivoluzionario sfociato nell'instaurazione del regime bolscevico.
In Germania e nell'Austria-Ungheria il disfacimento della compagine imperiale coincise con la sconfitta militare, così che la soluzione al vuoto di potere determinatosi nel 1918 fu in parte lasciata alle decisioni delle potenze vincitrici. Se per l'ex impero asburgico si trattava di sanzionare quel frazionamento tra nazioni che era già in atto prima del conflitto, nel caso della Germania bisognava fare i conti da una parte con lo spirito punitivo della Francia e dall'altra con la coesione nazionale dei tedeschi. Gran Bretagna e Francia, imponendo pesanti sanzioni economiche e amputazioni territoriali, ferirono il sentimento nazionale dei tedeschi: l'umiliazione risultava ancor più grave per il fatto che l'esercito tedesco, a differenza di quello austriaco, non aveva subito una vera e propria disfatta.
Comunque risultò chiaro sia ai vinti sia ai vincitori che la guerra aveva preparato il declino dell'Europa (la sua provincializzazione rispetto agli U.S.A.). L'instabilità dei suoi confini centro-orientali lasciava presagire un futuro di tensioni interstatali: a est la Russia bolscevica apriva una potente minaccia ideologica all'ordine europeo e al di là dell'Atlantico irrompevano due nuove grandi potenze, quali gli Stati Uniti e il Giappone, candidate a rimpiazzare le potenze europee nella conduzione del capitalismo mondiale.

CONSEGUENZE ECONOMICHE E SOCIALI
Ancor più grave fu il dissesto finanziario i cui effetti negativi si aggiunsero ai problemi derivanti non solo dalla riconversione delle industrie dalla produzione militare a quella civile, ma più in generale dal riassetto di un intero sistema economico. La guerra per oltre quattro anni aveva finalizzato la produzione, gli scambi, la gestione monetaria, la macchina burocratica degli stati, realizzando la mobilitazione totale delle risorse umane e materiali. Ne erano state sconvolte le regole precedenti.
Per quanto concerne l'aspetto finanziario, la guerra aveva generato un enorme disavanzo nei bilanci statali, sollecitati alla spesa dalle esigenze militari. Nelle transazioni monetarie l'instabilità dei cambi aveva prodotto inflazione e svalutazione a livelli incontrollati. In queste condizioni rimettere sotto controllo le finanze statali si presentava come un problema arduo, dai complessi risvolti sociali e politici, prima che tecnici. Anche la situazione industriale apparve di difficile gestione nel momento in cui vennero a mancare le commesse statali, che in tempo di guerra avevano trainato interi settori, quali il meccanico, il tessile, il chimico. Insorsero gravi problemi legati alla riconversione dell'industria bellica. Inoltre bisognava trovare un lavoro per i milioni di reduci dal fronte.La guerra aveva innescato profondi e ampi sommovimenti in tutte le società coinvolte e aveva depositato nella coscienza di milioni di uomini il ricordo brutale della violenza. Dal rifiuto morale che molti soldati e ufficiali elaborarono in risposta ai massacri, scaturì un odio profondo verso la guerra che si tramutò in un impulso di riscatto. Sentimenti simili furono all'origine della rivoluzione russa del 1917, ma anche delle lotte operaie e contadine che si manifestarono in Germania, in Francia, in Italia tra il 1917 e il 1922. Al contrario, nei soldati che non avevano avvertito un'opposizione morale alla guerra, l'esperienza sotto le armi aveva lasciato impressioni di forza bruta, abitudini all'uso della violenza, attitudine alla prevaricazione fisica, tutte componenti queste che prepararono il clima psicologico delle forze reazionarie attive in Europa già dal 1919. La crisi del dopoguerra infine, se travolse operai e contadini, agrari e industriali, turbò ancora di più i ceti medi, esposti ai contraccolpi dell'inflazione e alla perdita di reddito e di prestigio, predisponendoli a favorire soluzioni autoritarie con le quali liquidare i conflitti ideologici e gli squilibri sociali.

LA REPUBBLICA DI WEIMAR
La repubblica tedesca, proclamata il giorno stesso dell'abdicazione di Guglielmo II ( 9 novembre 1918), doveva paradossalmente la propria esistenza alle forze più reazionarie del paese : furono infatti l'esercito e i nazionalisti estremisti a sventare entro la fine del gennaio 1919 l'azione rivoluzionaria dei bolscevichi spartachisti, avviata mentre l'imperatore abbandonava la capitale. Successivamente (11 agosto 1919), un'assemblea nazionale a maggioranza socialdemocratica, assistita dai maggiori giuristi dell'epoca, aveva promulgato una costituzione che istituiva il regime parlamentare repubblicano, democratico e federale di Weimar (dal nome della nuova capitale, una città piccola e controllabile preferita alla turbolenta Berlino).purtroppo la nuova costituzione era tanto perfetta sulla carta quanto inattuabile di fatto. Apparve infatti subito evidente che il complesso sistema di poteri e contro poteri concepito a garanzia del pluralismo e della libertà era troppo avanzato (fino a diventare contro producente) per un quadro politico in cui permanevano forti spinte antidemocratiche. Nel marzo 1920 solo la mobilitazione operaia fece fallire il tentativo di putsch operato dal leader nazionalista Kapp-Lùttwitz, che significativamente il governo non ebbe neppure la forza di perseguire penalmente. Un mese dopo fu ancora una volta l'esercito che represse le nuove insurrezioni comuniste nella Rhur. Seguì poi una stagione di attentati contro esponenti della sinistra, socialdemocratici e cattolici.
In questo clima, governi di coalizione sempre più deboli (8 in cinque anni ) si trovarono a dover affrontare la drammatica sfida della ricostruzione nazionale, con una inflazione che infieriva particolarmente su contadini e salariati generando nuovi motivi di scontento e di instabilità. A completare il disastro, vi erano le continue e perentorie richieste di pagamento delle riparazioni di guerra da parte delle potenze vincitrici - un onere realmente insostenibili per le condizioni della giovane repubblica. Alle richieste di dilazione delle autorità di Weimar, la Francia e il Belgio risposero nel gennaio del 23 occupando la Ruhr e i suoi ricchissimi giacimenti carboniferi. In un clima di generale eccitazione nazionalista, il gioverno di Wilhelm Cuno rispose disponendo il rifiuto da parte della popolazione di qualsiasi contatto e collaborazione con l'invasore.
L'ulteriore peggioramento della situazione economica interna e le pressioni internazionali portarono Cuno a dimettersi nell'Agosto del 1923. Gli succedette Gustav Stresemann, che, coniugando convinzioni nazionaliste con una lucida analisi della situazione, capì come la Germania non avrebbe avuto futuro in un clima di permanente instabilità. Dando quindi una decisa sterzata alla politica estera del paese, il 26 Settembre egli ordinò la cessazione della resistenza passiva e avviò la linea del dialogo con la Francia. Presto il ritrovato sostegno della comunità internazionale contribuirà a placare anche il quadro politico interno.

IL NAZISMO
Le condizioni di instabilità della Repubblica di Weimar, che risentiva economicamente dei pesantissimi debiti di guerra e che doveva confrontarsi con militarismo, nazionalismo e organizzazioni comuniste filosovietiche, favorirono l'affermazione del movimento nazista di Adolf Hitler. Il Partito nazionalsocialista tedesco, fondato nel 1920 da Adolf Hitler, mirò ad ottenere il consenso della piccola borghesia, la classe maggiormente colpita dalla crisi economica; con l'uso spregiudicato di una propaganda fortemente demagogica e attraverso azioni di tipo squadristico contro gli oppositori, si assicurò presto il controllo della piazza.I consistenti appoggi finanziari, da parte di alcuni settori del mondo industriale, consentirono la remunerazione dei disoccupati che affluivano nelle formazioni paramilitari e di finanziare le successive campagne elettorali.In pochi anni si assistette ad una progressione elettorale travolgente (dagli 810.000 voti del 1928 ai 13.200.000 del 1932) mentre la mancata collaborazione fra il governo socialdemocratico e il partito comunista contribuì ad uno spostamento sempre più a destra dell'asse politico. Nel 1933 il presidente Hindenburg, che era subentrato a Ebert nel 1925, chiamò Hitler a presiedere un governo di coalizione, nominandolo cancelliere. Alla morte di Hindenburg (1934) Hitler si proclamò presidente del Reich con poteri illimitati.I partiti vennero soppressi, l'amministrazione epurata e ai sindacati subentrò il Fronte del Lavoro sotto controllo nazista. Furono istituite la Gestapo, polizia segreta di Stato, e le Ss (Schutz-Staffeln) e la milizia del regime. La cultura fu assoggettata al partito. L'idea della superiorità della razza ariana e l'antisemitismo avrebbero prodotto, di lì a poco, terribili conseguenze. Iniziava il periodo della discriminazione razziale nei confronti delle minoranze etniche non ariane. Obiettivo della politica economica era il rilancio della produzione industriale, che si cercò di raggiungere attraverso l'autarchia. Perseguendo con determinazione la politica della conquista dello <<spazio vitale>> (Lebensraum), nel marzo 1938, dopo un progressivo smantellamento dei trattati di pace e l'uscita dalla Società delle Nazioni, la Germania procedette all'annessione dell'Austria al Terzo Reich (Anschluss) e successivamente all'occupazione della Cecoslovacchia.

IL FASCISMO
Alla fine della guerra, la crisi economica e la delusione per gli effetti della pace di Versailles provocarono in Italia un diffuso malcontento sia nella piccola e media borghesia, sia nella classe operaia e contadina. In un quadro politico dominato dal nascente Partito Popolare di ispirazione cattolica, fondato da Don Luigi Sturzo, e da un Partito Socialista in continua ascesa, divennero sempre più importanti le associazioni combattentistiche, di ispirazione nazionalistica, fra le quali prevalse quella fondata nel 1919 da Benito Mussolini: "I fasci italiani di combattimento". I governi che si succedettero in questo periodo dovettero affrontare, sul versante della politica estera, la questione adriatica, culminata con l'occupazione di Fiume (settembre 1919) da parte dei volontari guidati dal poeta Gabriele d'Annunzio e, sul versante della politica interna, diffuse agitazioni popolari e una radicalizzazione delle contrapposizioni fra i socialisti massimalisti e la borghesia industriale e agraria, preoccupata del <<pericolo bolscevico>> e incline ad appoggiare ideologicamente ed economicamente il fascismo. Nel gennaio 1921 nasce, distaccandosi dal Partito Socialista, considerato troppo temporeggiatore, il Partito Comunista d'Italia; nel novembre dello stesso anno, i Fasci si trasformano nel Partito Nazionale Fascista. Lo sviluppo del fascismo avvenne nel segno di una manifesta violenza attuata delle cosiddette "squadre d'azione" contro gli oppositori politici. Dopo la dimostrazione di forza della marcia su Roma da parte dalle camicie nere (ottobre 1922), Mussolini ottenne dal re Vittorio Emanuele III l'incarico di formare il nuovo governo e fu così in grado di attuare una serie di riforme fortemente reazionarie, volte alla più esplicita discriminazione politica e all'instaurazione di un regime personale. Anche le elezioni dell'aprile 1923 furono caratterizzate dalle sopraffazioni fasciste, che furono denunciate in Parlamento dal deputato socialista Giacomo Matteotti, per questo motivo assassinato nel maggio del 1924. Il discorso del 3 gennaio 1925, col quale Mussolini si assunse la responsabilità <<storica e morale>> di questo omicidio, e i provvedimenti che ne seguirono, segnarono la nascita esplicita della dittatura fascista: fu soffocata l'attività dei partiti; soppressa la libertà di stampa; monopolizzata l'organizzazione sindacale; strettamente controllata l'educazione. Dirigenti e militanti dei maggiori partiti democratici finirono in carcere (Antonio Gramsci, uno dei fondatori del Partito Comunista, intellettuale di grande carisma, vi morì nel 1937 dopo undici anni di angherie) o alla macchia (Giovanni Amendola, capo dell'opposizione liberal democratica al fascismo, fu ucciso a Parigi 1926 da sicari fascisti) , da dove sin da subito molti operarono per costruire le strutture di una resistenza organizzata al regime. Nel febbraio 1929 Mussolini stipulò con la Santa Sede i Patti Lateranensi, nei quali il governo italiano riconosceva al Vaticano la giurisdizione su un territorio, Città del Vaticano, e la Santa Sede riconosceva lo Stato italiano con Roma capitale. Nel gennaio 1939, con i voti favorevoli di Camera e Senato, venne abolita la Camera dei deputati e sostituita con la Camera dei fasci e delle corporazioni, che non aveva un carattere elettivo. Il regime realizzò, non senza intenti demagogici, opere pubbliche e di bonifica, come il prosciugamento dell'Agro Pontino, incentivò la crescita demografica e attuò una tuttavia irrilevante politica autarchica, mirante a favorire la produzione interna di beni strumentali e di consumo. Il commercio con l'estero, anche quello culturale, venne sottoposto a rigidi controlli, mentre si sosteneva l'industria pesante nazionale, condizionandone però la produzione in rapporto alle necessità militari. La politica estera era caratterizzata da una volontà espansionistica che si tradusse nell'avventura coloniale e la creazione dell'Impero dell'Africa Orientale Italiana (Somalia, Eritrea, Etiopia).

LA CRISI DEL 1929
Dopo un breve periodo di ripresa economica seguito alla guerra, le democrazie industriali dell'Europa e del Nord America vennero investite dalla Grande Depressione degli anni Trenta, il più grave sconvolgimento economico vissuto dal capitalismo moderno. Raccogliendo la sfida della depressione, i maggiori sistemi capitalisti dimostrarono tuttavia spiccate capacità di sopravvivenza e adattamento al cambiamento; i governi cominciarono allora a intervenire nell'economia per correggere i principali limiti intrinseci del sistema capitalistico.
Negli Stati Uniti, ad esempio, l'amministrazione del New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt ristrutturò il sistema finanziario al fine di prevenire il ripetersi di eccessi speculativi che avevano condotto al crollo di Wall Street nel 1929. Furono presi provvedimenti per incoraggiare la contrattazione collettiva e costruire un forte movimento sindacale in grado di controbilanciare il potere dei grandi gruppi industriali. L'introduzione della previdenza sociale e dell'assicurazione contro la disoccupazione gettò le basi per la costruzione dello stato sociale.
L'opera di John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936), influenzò profondamente il modo di operare nei paesi capitalisti, dando origine alla scuola di pensiero conosciuta con il nome di economia keynesiana.
Keynes mostrò che uno stato moderno poteva utilizzare il disavanzo pubblico, l'imposizione fiscale e l'offerta di moneta in modo da attenuare, se non proprio eliminare, il vero problema del capitalismo, gli alti e bassi del ciclo economico. Secondo Keynes, in fase di depressione il governo avrebbe dovuto accrescere la propria spesa, anche a costo di creare deficit di bilancio, per compensare il calo della spesa privata; avrebbe dovuto invece seguire una linea opposta qualora l'espansione fosse diventata incontrollabile, dando luogo a eccessi speculativi e inflazionistici.



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