Eduardo Ambrosio


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Napoli nel 1943: Le Quattro Giornate

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Napoli nel 1943: Le Quattro Giornate

Una delle città più bersagliate fu Napoli, che aveva uno dei porti più grandi del Mediterraneo, dal quale partivano i rifornimenti per le truppe dell'Asse di stanza in Africa.

Nel 1943 il porto era ridotto ad un ammasso di rovine, gli impianti della stazione ferroviaria semidistrutti, così pure le industrie; ma le bombe non cadevano solo sugli obiettivi militari: gli aerei alleati le sganciavano a tappeto su tutta la città, senza tema di mietere vittime tra i civili, compresi donne e bambini (le bombe sono democratiche: uccidono in modo uniforme!).
Il risultato fu un'ecatombe: migliaia di morti, feriti, mutilati, ancora oggi in alcuni quartieri popolari si notano le cicatrici delle incursioni ed anche i danni al patrimonio artistico furono ingenti.
Anche i mezzi di trasporto erano stati danneggiati e non funzionavano e, per ripararsi dagli attacchi aerei, gli unici rifugi degni di tale nome erano le gallerie della metropolitana, di Fuorigrotta e della Vittoria, dove migliaia di persone vivevano in condizioni igieniche orribili.
In città mancava tutto a partire da viveri ed acqua, e molti preferirono allontanarsene cercando riparo nelle campagne e nei paesi della provincia, anche se furono moltissimi coloro che restarono a Napoli.

Naturalmente le vittime dello sfollamento furono principalmente i ceti più disagiati: i proletari e i sottoproletari, con speculazioni di alcuni proprietari, le quali non terminarono neanche dopo l'imposizione di un calmiere dei fitti, infatti erano molte le persone che nonostante avessero pattuito un fitto formale erano costrette a cedere la catenina d'oro o il portagioie di madreperla.

A Napoli, appena giunta la notizia dell'arresto di Mussolini, ci fu un'esplosione di gioia, tutti credevano che, finito il fascismo, la pace sarebbe stata imminente ed iniziarono i festeggiamenti nelle piazze e nelle strade. Ma la felicità durò poco: Badoglio dichiarò il prosieguo della guerra e gli Alleati, per spingerlo a staccarsi dalla Germania, intensificarono la pioggia di bombe.

Napoli e la Campania divennero l'avamposto del nuovo fronte militare e le incursioni divenivano sempre più martellanti e violente: il 4 agosto '43 ci furono tremila vittime, il crollo di numerosi fabbricati e la quasi completa distruzione della basilica di Santa Chiara (dicembre '42), che fu un duro colpo al patrimonio artistico; il 28 marzo scoppia la nave Caterina Costa con 600 morti e tremila feriti.
Il popolo, che già aveva dato segni di insofferenza dopo il discorso del 25 luglio, iniziò ad organizzare numerose manifestazioni di protesta, che furono represse dalle forze dell'ordine per espresso comando di Badoglio. A Napoli ed in numerosi paesi limitrofi, a Castellammare di Stabia, a Pozzuoli, a Torre Annunziata migliaia di cittadini, studenti, operai, donne, ricchi e poveri, si scontrarono con la polizia perché erano scesi in strada per la pace.
Nel giro dei quarantacinque giorni dal 25 luglio all'8 settembre il movimento pacifista ed antifascista si espanse a macchia d'olio, trovando sempre l'opposizione dell'autorità, come il 20 agosto a San Giacomo dei Capri ed il primo settembre a Napoli. Alcuni antifascisti partenopei come Fausto Nicolini, Claudio Ferri e Adolfo Omodeo tentavano, intanto, di stabilire contatti con i comandi alleati chiedendo la liberazione di Napoli.
Arriva poi l'armistizio dell'8 settembre, e tale notizia provocò in città un fremito ribellione: provato da sofferenze e privazioni, dopo centocinque bombardamenti che avevano provocato ben ventiduemila morti e la distruzione di 232.000 vani abitativi, il popolo napoletano non ci stette a rassegnarsi ed ebbe inizio quella resistenza ai tedeschi che sarebbe culminata con le Quattro Giornate, che diedero il via al cosiddetto "Nuovo Risorgimento".

Mentre i civili erano scesi in campo (manifestazione studentesca del 1 settembre in Piazza Plebiscito - rappresaglia con un incendio alla Biblioteca nazionale -, assemblee al Liceo Sannazzaro al Vomero) al contrario, i militari, che erano stati tanto zelanti pochi mesi prima nel reprimere tutte le manifestazioni pacifiste, restavano completamente inerti. I reparti tedeschi (20.000 uomini) presenti a Napoli ed in tutta la Campania erano meglio equipaggiati ma sicuramente meno numerosi di quelli italiani, ma i generali Ettore Del Tetto e Riccardo Pentimalli non se la sentirono né di intervenire direttamente né di accettare la richiesta del Comitato dei Partiti Antifascisti, che domandava di distribuire le armi al popolo napoletano; la loro unica preoccupazione fu quella di non irritare i tedeschi, dandogli così il tempo di organizzarsi, gli ultimi atti di Del Tetto furono proprio la consegna della città all'esercito tedesco e la stesura di un manifesto che, vietando gli assembramenti, autorizzava i militi a sparare sulla folla in caso di inadempienza.
Ci furono comunque dei militari che si distinsero dalla massa per i propri atti eroici: il generale Ferrante Gonzaga, comandante di una divisione stanziata a Salerno, il quale si rifiutò di ordinare ai suoi la resa venendo trucidato; il colonnello Ferraiolo, ucciso a Villa Literno; dieci ufficiali del 12° e 18° reggimento fucilati a Nola; infine ricordiamo i numerosi gruppi militari che a Napoli si oppongono ai tedeschi, tra i quali cade il tenente Farneti ed alcuni altri tra sottufficiali e soldati semplici; scontri cruenti si ebbero alla caserma Zanzur, a quella dei carabinieri Pastrengo e al 21° centro di avvistamento di Castel dell'Ovo.
Nel frattempo i civili prendono sempre più coraggio, addirittura fanno prigioniero un drappello di nemici, salvo poi liberarlo onde non scatenare rappresaglie che però avvengono lo stesso, come la cattura e la fucilazione l'11 settembre di quattordici carabinieri i quali volevano salvare dalla distruzione il palazzo dei telefoni in Via Depretis. Il giorno dopo i tedeschi compiono l'atto di massimo furore verso un popolo che, pur disarmato, tenta di difendersi strenuamente: i nazisti credono che incendiando l'Università possano annientare i valori di libertà e civiltà che animano la gente, ma purtroppo per loro non era così.

La Resistenza del territorio napoletano fu animata, tranne che in pochi casi, non dall'alto ideale della libertà o dall'amor patrio ma da un forte istinto di conservazione, di insofferenza alla fame e dal rifiuto dei giovani ai rastrellamenti, che indussero i napoletani a scagliarsi contro i tedeschi non come oppressori, ma come alleati dei fascisti che dovevano pagare per averli condotti in quel pietoso stato.
Con l'incendio del 12 settembre si chiuse il primo periodo dell'occupazione nazista: se fino ad ora i tedeschi erano indecisi sul da farsi e non avevano organizzato un governo stabile nel capoluogo, adesso, vista l'ignavia dell'Esercito Italiano e constatato che i napoletani non rappresentavano una grossa minaccia (e qui sta l'errore di valutazione), avevano stabilito che Napoli sarebbe stata la loro roccaforte contro gli Alleati sbarcati a Salerno. Nel giorno stesso il colonnello Scholl assunse il comando assoluto della città partenopea e fece pubblicare da tutti i giornali un durissimo proclama:
<<1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell'autore verranno distrutti e ridotti in rovine.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.
4. Esiste lo stato d'assedio.
5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un'arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche.
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.
Napoli, 12 settembre 1943 firmato SCHOLL Colonnello>>

Si può notare dalla rabbia delle sue parole e dalle minacce come sia spaventato ed insieme stupito dal modo in cui il popolo, nonostante le sue condizioni di disperazione, continui un'aspra resistenza.
La città doveva essere punita, Hitler stesso diede ordine che Napoli divenisse "fango e cenere": iniziò la distruzione programmatica di opere militari, ma anche produttive e civili, e venne dato il via libera al saccheggio dei depositi di viveri e vestiario ed alla deportazione di massa degli uomini.

A queste operazioni presero parte anche alcuni gruppi di fascisti, che erano scomparsi dalla scena il 25 luglio e vi tornavano solo adesso dando man forte agli occupanti oltre che con le gesta anche con la delazione. L'ultimo federale fascista, Domenico Tilena, fece affiggere un manifesto col quale chiamava a raccolta tutti i camerata, infervorati anche dalla fondazione della Repubblica di Salò. Essi si distinsero anche durante le quattro giornate, piazzandosi un po' ovunque sui tetti di numerosi palazzi e sparando a vista.

Tutte le industrie, dall'Alfa Romeo alla Cellulosa Cloro Soda, passando per le Cotoniere Meridionali, i cantieri Vigliena, le Industrie Navali Aeronautiche Meridionali e tutti gli opifici minori vennero dapprima private di tutti i macchinari ed utensili smantellabili e trasportabili, per poi essere rase al suolo col fuoco. Poi fu la volta del porto, di cui si credeva di aver salvato almeno i macchinari più delicati della Navalmeccanica, che erano stati messi al sicuro, o almeno così si pensava, nelle capienti grotte di Villa Gallotti a Posillipo, ma a causa dei soliti delatori vennero scoperti e distrutti. Il pontile di Bacoli ed il ponte di S. Rocco a Capodimonte saltarono in aria il 20 settembre, seguiti da tanti altri luoghi di fondamentale importanza per la città.

Ma la dominazione tedesca non si mostrò oppressiva solo nei riguardi degli impianti produttivi o delle infrastrutture: la collera teutonica si scatenò anche sulla stessa popolazione. Il primo passo in questo senso fu il proclama nel quale si inoltrava la richiesta della consegna di tutti i militari alleati liberati dalla prigionia dopo l'armistizio, i quali erano tenuti nascosti nelle abitazioni. Tale ordine rimase inascoltato, ma non si poté fare lo stesso con quello di abbandonare tutti gli edifici della fascia costiera, i cui abitanti (circa 240.000) furono costretti a vivere in rifugi di fortuna oppure negli scantinati delle case abbattute.
Seguì poi il proclama col quale tutti gli uomini appartenenti alle classi dal 1910 al 1925 venivano chiamati a presentarsi per il servizio obbligatorio del lavoro. Quest'ultimo decreto era firmato dal prefetto Soprano e, sulle stimate trentamila persone, se ne presentarono solo centocinquanta, scatenando così la rappresaglia nazista.
I soldati misero a ferro e fuoco la città alla ricerca dei disertori, ma in molti casi le donne riuscirono a salvarli circondandoli in massa, oppure riuscendo ad informarli in anticipo, altri ancora scapparono durante il trasporto.
Nonostante tutto ciò ben ottomila napoletani furono catturati e deportati nei campi di concentramento. La città era tra i due fuochi.
Nel settembre 1943 "Napoli era una testa priva di corpo", come ha sostenuto Giorgio Bocca.
La guerra ha separato la città dalle province, chiuso le vie della campagna. Napoli è alla fame, ha subito 120 bombardamenti e 100.000 vani distrutti. Napoli impara ad odiare il tedesco, vedendolo crudele senza ragione, ma più che odiarlo lo disprezza perché non riesce a capire come si possa, da parte dell'uomo, prolungare la sofferenza inutile dell'uomo. Alla vigilia della insurrezione in molti quartieri manca l'acqua; la razione di pane è stata ridotta prima a 100 grammi giornalieri a persona, poi a 50 anche se in certi giorni di pane non ce n'è. Si è arrivati al punto estremo della grande inedia che obbligava già dal 1942 il prefetto fascista a diffidare i cittadini dal farsi arrestare per trovare qualcosa da mangiare in prigione. La fame e le sofferenze sono troppe anche per Napoli. Nella città sta per suonare l'ora della dignità ritrovata: il lustrascarpe, il vetturino, il cameriere, quelli della grande folla umile che vive servendo stanno per sollevarsi contro il fetente che li vuole umiliati e morti.
In questa situazione psicologica il tedesco tiene a Napoli un comandante grossolano e feroce, il colonnello Scholl. Egli odia a tal punto l'Italia che, nei giorni dell'armistizio, ha fatto aprire a cannonate il portone dell'università e fucilare decine di persone; il 12 settembre ha ordinato una retata colossale di seimila persone spinte sul Rettifilo e costretti a vedere la fucilazione davanti all'università di un marinaio.
Le Quattro Giornate di lotta e di dignità ritrovata, sono motivo di orgoglio per il paese ma la storia non può ignorare che l'insurrezione appare incompleta e incompiuta, come una promessa mantenuta solo in parte. L'insurrezione di popolo non è un'insurrezione popolare unitaria. Ne stanno fuori i partiti, gli uomini politici e gli intellettuali, ma serve sicuramente alla propaganda alleata, è un buon auspicio che la ribellione del Nord non può rifiutare.

Non è facile determinare dove e perché iniziarono gli scontri con i tedeschi, la scintilla della rivolta furono il perseverare dei rastrellamenti, la notizia che altri impianti civili erano sul punto di essere distrutti e che i serbatoi d'acqua siti in Capodimonte erano stati minati. Non ci fu nessun ordine o segno convenuto, gli uomini uscirono dai rifugi portando con sé le armi e le munizioni nascoste nei giorni precedenti e presero a costruire barricate ed a scontrarsi coi tedeschi: il 28 settembre da Piazza Nazionale a Fuorigrotta, da Via Foria a Piazza Carlo III, da Chiaia a Capodimonte fino a Soccavo ed al Vomero, la città era tutta pervasa da un fremito rivoluzionario.
Quella mattina al Vomero un gruppo di giovani attaccò una truppa di tedeschi, la scaramuccia degenerò e si espanse a tutto il quartiere. Gli occupanti non tardarono ad azionare una rappresaglia, a seguito della quale caddero alcuni civili e vennero fatti prigionieri e rinchiusi nel campo sportivo in quarantasette tra giovani, donne ed anziani.
Intanto al Liceo Sannazzaro si costituì un comando guidato da Antonio Tarsia ed Edoardo Pansini, tale comando coordinerà l'insurrezione in tutta la zona.

Inizia poi l'assedio del presidio tedesco nei pressi dello stadio, i giovani napoletani si battono come leoni e costringono il nemico prima ad asserragliarsi nell'impianto di gioco, poi alla fuga anche da questo luogo. Dal suo comando in Corso Vittorio Emanuele il colonnello Scholl autorizza i suoi a trattare la resa e questi liberano gli ostaggi e lasciano le proprie posizioni, ma gli scontri al Vomero non sono terminati: nei giorni 29 e 30 si scatenano duri scontri alla Pigna, in località Pezzalonga; qui i tedeschi lanciarono il contrattacco aiutati da un gruppo di fascisti, ma alla fine, nonostante le perdite tra i civili, nonostante la caduta di eroi del calibro di Adolfo Pansini (cui oggi è dedicato un liceo), furono costretti alla fuga, e durante la loro ritirata verso i Camaldoli sfogarono la loro furia su degli innocenti.
Così, come sul Vomero, in tutta la città il popolo combatté per il raggiungimento di questo obiettivo comune, tutti facevano qualcosa: c'era chi impugnava le armi, chi procacciava le munizioni, chi fungeva da vedetta e così via.
Dall'alba del 28 gli scontri si accesero via via più intensi e si diffusero in tutta Napoli: a Salvator Rosa i tedeschi ed i fascisti vennero assediati e cacciati dal comando sistemato nella scuola "Vincenzo Cuoco" e dal distaccamento di Gesù e Maria, grazie ai quali le milizie popolari si assicurarono il controllo delle importanti vie di collegamento verso Piazza Leonardo e Conte della Cerra. Continuarono a nascere in queste ore i centri di coordinamento: si organizzavano le azioni di guerriglia e la distribuzione dei viveri, uno a S. Gaetano ed uno al Parco Cis, sempre a Salvator Rosa, dove Eugenio Mancini, oltre all'organizzazione bellica, curò anche quella post-liberazione, per favorire l'immediato inizio di una vita democratica dopo la cacciata degli oppressori.
Queste forme di organizzazione favorirono l'accentrarsi delle forze insurrezionali in alcuni punti strategici: al Vasto, in Piazza Nazionale, in Piazza Carlo III ed a Via Foria, nei pressi del Museo Nazionale.
Intanto nelle zone alte da Capodimonte a S. Teresa si combatteva già dal 27, dapprima per impedire ai guastatori tedeschi di minare l'acquedotto, poi per coprire potevano colpire dall'alto indisturbati.
Altro punto caldo era il Museo, dove si incrociano Via Foria, che porta all'aeroporto di Capodichino, e la strada che conduce a Capodimonte. Qui bisognava lottare con più accanimento per impedire ai nazisti che erano in centro di potersi rifugiare presso i propri presidi collinari e d'altra parte era necessario impedire che da questi presidi arrivassero truppe fresche in aiuto di quelle che erano state attaccate. Infatti nel pomeriggio del 29 i teutonici decisero di dare una lezione ai napoletani, irrompendo da Capodimonte con dei carri armati "tigre"; si trattò di una mossa che non prese alla sprovvista i guerriglieri, i quali avevano già preparato su quella strada numerose barricate capovolgendo vetture tranviarie ed avevano piazzato numerose mitragliatrici sui balconi dei palazzi. Ma, nonostante l'affluenza di combattenti anche dalle zone limitrofe, i mezzi corazzati riuscirono ad oltrepassare gli sbarramenti ed a puntare verso via Roma, compiendo l'errore di passare attraverso una zona caratterizzata da un dedalo di vie e viuzze, sovrastate da alti palazzi. È qui che divampò la vera resistenza: i tedeschi erano colpiti dall'alto, dai lati, dalla strada, dove manipoli di uomini gli si paravano davanti, colpivano e scomparivano coperti dalle donne in un labirinto di vicoli.
Fu qui che gli oppressori si resero conto che la guerra a cui si erano tanto addestrati non era quella: nessuno gli aveva spiegato quello che poteva fare un popolo ridotto alla fame, nessuno gli aveva insegnato come comportarsi quando dei ragazzini di dodici-tredici anni, apparentemente innocui, si paravano davanti ai carri armati lanciando delle bombe a mano e tantomeno nessuno li aveva addestrati a combattere in quella moltitudine di vicoli, dove era facile ed allo stesso tempo impossibile ripararsi dai colpi nemici. Loro erano abituati alla battaglia condotta secondo rigidi schemi provati e riprovati, schemi che non prevedevano gli atti ardimentosi e spesso quasi folli dei napoletani, così furono costretti a ripiegare.
I combattimenti però continuarono in tutta la città nei giorni 29 e 30, da Via Roma a Chiaia, fino a Posillipo, e si espansero anche alla periferia: a Ponticelli un gruppo di insorti combatté e venne sconfitto dai tedeschi, subendo una pesantissima repressione. Ma per loro oramai era troppo tardi, il 30 settembre iniziò il ripiegamento di tutte le truppe verso Nord ed il 1° ottobre la città era già libera, prima dell'arrivo degli Alleati con il sacrificio di ben 4828 tra partigiani e civili.
Durante l'allontanamento da Napoli compirono gli ultimi atti di odio sparando da lontano con i cannoni su case e persone e bruciando a S. Paolo Belsito, vicino Nola, quasi tutte le carte dell'Archivio Storico, dove erano state nascoste.

L'insurrezione della città partenopea non fu un fatto isolato e si ebbero azioni contro i nazisti anche al di fuori della provincia, in Irpinia, nel Sannio, nella Terra del Lavoro (dove tra i contadini vi furono oltre cinquecento caduti), nel Salernitano e sulla strada che unisce Salerno a Napoli (Scafati, Pompei e Terzigno).
In tutta la Campania si registrarono migliaia di caduti. Nella sola città partenopea in settantasei ore di combattimenti dal mattino del 28 settembre al pomeriggio del 1° ottobre perirono 168 combattenti, 140 civili e 18 persone di origine sconosciuta, mentre risultarono feriti 162 uomini.
Il dato di fondo importante è la stretta unione che venne a crearsi tra i napoletani di tutte le classi sociali e tutti i censi. Fu proprio questa coesione totale che sopperì alla mancanza di organizzazione politica e militare che la Resistenza ebbe il tempo di darsi nel resto d'Italia: a combattere insieme per le strade c'erano comunisti, socialisti, cattolici, liberali, azionisti, operai, contadini, impiegati, nobili ed industriali, la liberazione della città era sentita come impegno civile per la libertà e l'indipendenza del Paese dallo straniero, ma soprattutto come liberazione dalle sofferenze, dall'orrore e dalla fame.

Nel napoletano non si è verificata una vera e propria Resistenza, anche per il breve periodo di permanenza degli occupanti tedeschi, ma nonostante ciò la rivolta napoletana rappresenta un evento esemplare ed eccezionale, perché in queste ore di confusione, non conoscendo la lotta partigiana del CLN, i napoletani guidati dal proprio istinto e dal desiderio di riscattare la propria condizione di miseria scelsero subito la "strada giusta" quella filo alleata e non filotedesca.

CITTA' DI NAPOLI - MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE
Motivazione:
"Con superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto ed alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia.
Impegnata in una impari lotta col secolare nemico, offriva alla Patria, nelle Quattro Giornate di fine settembre 1943, numerosi eletti figli.
Col suo glorioso esempio additava a tutti gli italiani la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria."
Napoli, settembre 1943




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