Eduardo Ambrosio


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FORMAZIONE JUGOSLAVIA

STORIA > I TEMI DEL '900 > NAZIONALISMI, JUGOSLAVIA



La formazione della Jugoslavia (1918)

Alla fine della Grande Guerra, in base alle leggi statali nell'ottobre del 1918, il Parlamento Croato ha troncato tutte le relazioni di diritto pubblico con l'Austro-ungheria. Dopo che il Consiglio popolare proclamò lo Stato degli Sloveni, Croati e Serbi croati con la capitale a Zagabria, la Croazia divenne una parte costituzionale di tale Stato.In quel momento cruciale in cui si poteva intuire la nuova carta d'Europa, una serie di circostanze spingeva il Consiglio Popolare ad ottenere l'unità dello Stato degli Sloveni, Croati e Serbi con gli altri popoli dei paesi slavo-meridionali, la Serbia e il Montenegro.
Il Partito Rurale Croato, guidato da Radic, appoggiava il concetto dell'ordinamento federale repubblicano del futuro stato comune con la Serbia, mentre il blocco serbo, guidato da Pribicevic, appoggiava l'ordinamento unitario del futuro stato; fu quest'ultimo ad ottenere il predominio nel Consiglio Popolare. Il blocco di Pribicevic mantenne continuamente dei contatti segreti con Belgrado e intanto acquisì sempre più potere all'interno del Consiglio Popolare.Subito dopo la pace del 3 novembre, le truppe italiane, avvalendosi delle disposizioni del patto segreto di Londra(1915), occuparono la costa croata.

Quando nel 1918 la Croazia entrò a far parte del regno di Jugoslavia, non solo risentiva dell'occupazione italiana, ma perse addirittura la sua individualità di diritti politici. Il Parlamento Croato però, non ratificò mai l'annessione della Croazia alla monarchia centralizzata della Jugoslavia perché la supremazia dello Stato Serbo non poteva soddisfare i desideri fondamentali di chi aspirava all'ordinamento federale repubblicano. L'unità non diede alcuna garanzia contro la supremazia della Serbia, il cui esercito aveva già occupato i paesi slavi meridionali precedentemente appartenuti alla monarchia asburgica e il Montenegro. Si realizza così il sogno secolare dell'unità serba.

Durante la seconda guerra mondiale, poi, la Jugoslavia venne invasa dalle truppe nazi-fasciste, ma la resistenza partigiana, guidata dal comandante comunista Josip Broz, detto Tito, portò alla liberazione del paese. Nel 1945 si costituì la Repubblica Federale Socialista della Jugoslavia che comprendeva sei repubbliche autonome (Slovenia, Croazia, Bosnia- Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia) con Tito presidente. Tito riuscì a mantenere l'unità della stato e a garantire una sorta di serena convivenza tra i vari gruppi etnici. La grande trasformazione dopo il '45 avviata da Tito tende alla trasformazione agricola, all'alfabetizzazione, allo stato sociale, ecc., con un sistema di totalitarismo pluricentrico (le 6 repubbliche jugoslave sostanzialmente uguali) al fine di ridurre le differenze (l'Europa ha snobbato la plurietnicità costruita da Tito in Bosnia e Sarajevo), segna il passo; -infine a questi fattori endogeni(interni) si aggiungono fattori esogeni(esterni): le diplomazie internazionali si affrettano a riconoscere Stati (come la Slovenia) con confini finora solo amministrativi e non di Stato, la Slovenia preferisce essere l'ultima d'Europa e non la prima in Jugoslavia. Dalla morte di Tito (1980) sono riemersi i contrasti tra le varie repubbliche federate.

Col declino del bipolarismo, seguito all'ordine imposto ad Yalta, finiscono le regole (finita la "pace" imposta dalla guerra fredda, l'ordine mondiale si è dileguato ancor prima di essere costituito, per cui si assiste ad una frammentazione del sistema internazionale o meglio al disordine delle nazioni. Dal 1989/'91 (fine guerra fredda) si ha la decomposizione dell'assetto geopolitico del 1919 e la rilegittimazione della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Un vero e proprio spartiacque degli organismi internazionali è appunto il Sud-Est Europeo e la relativa Guerra dei Balcani è stata scatenata, utilizzando il feroce odio interetnico, allo scopo di cancellare quel crocevia di popoli ed erigere nette barriere di separazione di Stati e popoli. In questo contesto, vero banco di prova per il continuo cambiamento di fronte, gli USA mostrano "poca attenzione" e l'ONU rivela tutti i suoi "limiti", mentre si sviluppano il nazionalismo, l'etnopolitica ed il conseguente razzismo.

Il nazionalismo come identità sussidiaria emerge, in questi anni, prepotentemente ad Est perché a lungo compresso dai regimi totalitari.

L'etnicità, e non la cittadinanza, come ancoraggio della rappresentanza politica. Per i Croati, ad esempio, lo Stato non è la regione Croazia ma dove sono i Croati, si comprendono pure le forti spinte che vengono dalla forte comunità croata del Canada.

Il razzismo è differenzialista e ciò è un tratto dominante del conflitto interjugoslavo. Durante la guerra fredda l'impero sovietico aveva creato attorno a sé una cintura di "stati satelliti" e aveva portato ad un lungo periodo di progressiva erosione dei sistemi comunisti dell'Est europeo, una disgregazione che è stata sia di tipo economico che ideologico. Le economie dei paesi dell'Europa orientale, inclusa l'Unione Sovietica, non erano state capaci di rinnovarsi e di mettersi alla pari con il dinamismo dell'economia occidentale.

Contrariamente a quanto ha creduto per lungo tempo la sinistra occidentale sedotta dal Marxismo, i popoli dell'Est Europa non hanno mai accettato veramente il Comunismo. Alcune opposizioni nazionali hanno mantenuto sempre vivo, nonostante le terribili repressioni, un minimo di dissenso. Le voci delle opposizioni all'Est si situavano molto a destra, in una linea di continuità con i regimi che presero potere nell'immediato anteguerra e fu per questo motivo che non trovarono appoggio presso gli ambienti progressisti occidentali. Negli anni '80 si ebbe un riavvicinamento dell'Est all'occidente, questo perché l'Europa centrale si proiettava verso una logica fine del comunismo. La situazione economica della maggior parte dei paesi della zona era diventata ormai non gestibile: i governi delle democrazie popolari si trovavano di fronte a gravi problemi d'inquinamento a causa di uno sviluppo industriale di stile ottocentesco, il debito presso le banche straniere toccava ormai le catastrofiche vette di decine di miliardi di dollari, gli apparati statali si trovavano sempre più a dover fronteggiare fenomeni incontrollabili di violenza sociale. E' in questa situazione che Gorbaciov diede segnali di allentamento che innescarono la destabilizzazione dei regimi dei paesi satelliti.

Tra il 1989 e il 1992, l'Europa è stata dunque lo scenario di una serie di avvenimenti destinati a rimettere in discussione non solo gli assetti geopolitici del mezzo secolo precedente, ma anche la stessa possibilità di procedere all'integrazione europea. La ex-Jugoslavia costituisce il caso più noto di disgregazione politica tra tutti quelli che hanno interessato i paesi dell'Est europeo. L'ideologia egualitaria professata dalla classe
dirigente copriva in Jugoslavia forti squilibri che vedevano i Serbi in netta preminenza politica. Inoltre i Serbi esercitavano al di fuori della loro repubblica, un ruolo di minoranza dominante, suscitando l'ostilità
delle altre repubbliche della federazione, come la Slovenia e la Croazia, che svolgevano invece una funzione trainante sul piano economico. Questo dissidio si inasprì drammaticamente dopo la morte di Tito, con il
sopraggiungere di una crisi economica di fronte alla quale la Serbia mostrò un'ulteriore volontà accentratrice e, al tempo stesso, una più decisa intenzione di svolgere un ruolo di netta supremazia all'interno della Jugoslavia.
Con l'abbandono della Federazione da parte di Slovenia e Croazia (1991), la realizzazione di questa politica di dominio sul resto dell'ex-Jugoslavia restava affidata soprattutto alle armi. Il nazionalismo serbo riprese vigore e accadde che, nelle repubbliche in cui i Serbi erano una minoranza, si scatenarono movimenti separatisti miranti al ricongiungimento con la "madrepatria". La Serbia e l'Armata Popolare Jugoslava, che era di maggioranza serba, proponevano un regime centralizzato e unitario in cui non si tollerava alcuna diversità di ideologie o interessi, promettendo in cambio il risanamento economico e morale del paese. In un momento in cui la capacità di coesione del partito e del potere statale era minima scattò la protesta degli albanesi del Kosovo, provincia serba, che si sentivano discriminati rispetto alla minoranza serba della provincia, che si trovava schiacciata da gravi problemi quali la disoccupazione, lo analfabetismo, l'esplosiva crescita demografica… La rivolta degli albanesi fu un moto spontaneo nato da una tensione accumulatasi nei decenni a partire dal 1913, quando il Kosovo fu riannesso alla "madrepatria"; altrettanto spontanea fu la reazione violenta dei Serbi. Scattò a questo punto la pericolosa sindrome del "tutti contro di noi" accompagnata da una rabbiosa volontà di resistenza contro il mondo intero. Gli altri popoli della Federazione si allarmarono a ragione di fronte a queste espressioni esasperate di nazionalismo. Gli sloveni non tardarono ad approfittarne per rendersi indipendenti e i serbi, con l'assenso dell'esercito, dopo un tentativo più o meno simbolico di trattenerli, li lasciarono andare poiché i loro obiettivi erano spostati verso le zone serbe della Croazia, la Dalmazia meridionale, la Bosnia-Erzegovina, il Kosovo e la Macedonia. Iniziò così la lotta armata per il risorgimento della Grande Serbia con la benedizione della Chiesa Ortodossa.



L'ideologia della Grande Serbia e la questione Kosovo

Gan parte dei conflitti etnici che oggi travagliano l'Europa( ma anche altre zone del pianeta) è di solito dovuta al contrasto fra diversi gruppi, ciascuno dei quali è formato da individui di ascendenza comune ciò giustificherebbe l'esistenza di tradizioni culturali, religiose e linguistiche peculiari di ogni gruppo. Tuttavia la convivenza è tutt'altro che facile e spesso questo fatto viene sfruttato da coloro i quali hanno interesse (spesso politico) a esasperare le differenze tra i gruppi. L'identità etnica non è qualcosa di definibile con sicurezza sulla base dell'ascendenza comune, né è qualcosa di immutabile, perché le identità, essendo un fatto culturale, non si trasmettono per via genetica come per esempio il colore della pelle, ma cambiano al mutare delle circostanze storiche e culturali.
Il riferimento all'etnia esprime soprattutto l'esigenza di mantenere un'identità specifica: l'essere o no membro di un gruppo etnico corrisponde all'esigenza di tutelare o ricostruire la propria identità. L'etnicità perde ogni riferimento oggettivo e si installa in una dimensione simbolica; il riferimento al passato e al patrimonio etnico fornisce semplicemente i simboli per l'identificazione nella società. La conflittualità etnica che sembra essersi impossessata dell'Europa orientale post-sovietica, non può farci dimenticare che questi popoli sono stati capaci anche di convivere pacificamente: ciò potrebbe significare che la conflittualità etnica è qualcosa che può riesplodere quando viene chiamata a giustificare contrasti che con l'etnicità in quanto tale hanno poco a che vedere.
Questo è ciò che è accaduto in Kosovo: con il crollo dell'Unione Sovietica e del Comunismo, la federazione degli Stati Jugoslavi si è sciolta poiché ciascuno stato sentiva l'esigenza di staccarsi da quell'unione fittizia e di essere autonomo. La Serbia, però, animata dal suo forte nazionalismo, mirava ad espandere il suo dominio per inglobare tutte quelle zone in cui ci fossero minoranze serbe, dunque non accettò la richiesta del Kosovo, provincia serba, di essere indipendente.

Le ricerche antropogeografiche di Jovan Cvijic, all'inizio del '900, vengono usate come principio teorico e tecnico per giustificare l'ideologia della "Grande Serbia".
L'antropologia dei Balcani del Cvijic, servì come argomento per le conquiste che il regno di Serbia intraprese nei paesi vicini. L'argomento fondamentale razzista si Cvijic è che i Serbi, storicamente ed antropologicamente, sono la popolazione più privilegiata e unica sulla penisola balcanica e con ciò hanno il diritto di includere nel proprio stato tutti i paesi dove ci sono i Serbi e, naturalmente, di governarli: Nel ruolo di esperto dei popoli balcani Cvijic fu presente alla conferenza di Parigi nel 1918 quando si formò la carta d'Europa e si determinarono i confini della futura Jugoslavia.
Verso la fine dell'Ottocento e inizio del Novecento prese piede la strumentalizzazione della stampa, delle istituzioni culturali, scientifiche e politiche per promuovere le idee della Grande Serbia. Ciò prese la forma di pragmatismo politico e lo dimostra un articolo di uno degli intellettuali militanti serbi, l'avvocato Nikola Stojadinovic, pubblicato sotto il titolo "fino alla vostra e nostra inchiesta". Si tratta di un libello pieno di offese contro i croati dove il loro linguaggio e nazionalità vengono negati e dove si annuncia il loro declino. Il libello provocò forti manifestazioni e malcontenti contro i serbi a Zagabria nel 1902.Lo Stojanovic scrisse: "i croati non hanno né lingua diversa, né costumi propri, né un'unione solida, né la consapevolezza della loro appartenenza etnica e perciò non possono essere una nazione singola…ma sono sulla buona strada di diventare una nazione serba".
Spiegando la relazione tra croati e serbi, egli sostiene che questi sono parti avverse tra cui "non si parla affatto di concordia" concludendo che tra loro bisogna lottare fino allo sterminio finale. I serbi guardavano con molto sospetto il processo dell'integrazione nazionale in Croazia; erano suscettibili al tentativo di stabilire l'unione del territorio croato. Nel 1903,un gruppo di ufficiali dell'esercito serbo fondò l'organizzazione segreta "La Mano Nera". Nel 1911 questa organizzazione prese il nome di "Unione o Morto" e il suo compito principale fu l'unione serba.
Gli scopi, le idee e i metodi dell'attività della Mano Nera influirono su molti avvenimenti come per esempio l'attentato all'erede al trono Francesco Ferdinando nel 1914 a Sarajevo, che fu la causa della prima guerra mondiale. In molte attività di oggi dei politici serbi e dei loro generali, si possono riconoscere i, metodi e la filosofia di questa organizzazione segreta. Così ad esempio uno dei leader contemporanei ,Milan Comnenic, Ha minacciato che la Serbia farà precipitare il mondo nell'abisso della terza guerra mondiale se il mondo dovesse contrastarla nella realizzazione dei suoi scopi dopo le guerre balcaniche, dove alla Serbia furono annessi il Kosovo e la Macedonia. Gli esperti della commissione internazionale americana della federazione Carnegy, con sede a Washington, dopo le guerre balcaniche stimarono che l'esercito eseguì il genocidio del popolo albanese, e abbiamo assistito a quello che l'esercito ha effettuato in Croazia sul popolo croato-
Il Kosovo conta fra i suoi abitanti una minoranza serba pari al 30% circa della popolazione mentre la restante parte è costituita da Albanesi.
La conflittualità etnica fra Serbi e Albanesi è dovuta al fatto che la Serbia non vuole rinunciare a questa piccola provincia, mentre gli Albanesi mirano a ricongiungersi con la madrepatria. L'origine di questo attaccamento serbo al Kosovo risale al tempo delle guerre religiose che si tennero fra i Turchi Ottomani di religione Islamica e i Serbi di religione Ortodossa, proprio nelle zone dell'attuale Kosovo.

"Narra la leggenda che alla vigilia della battaglia del Kosovo, nel 1389, un falcone grigio volasse da Gerusalemme al campo di Lazar, condottiero degli eserciti Serbi, portando nel becco un'allodola; il falcone in realtà era S. Elia e l'allodola era un messaggio mandato dalla madre di Dio: nel momento in cui stava per scontrarsi con i Turchi, Lazar era invitato a scegliere fra la vittoria e il regno in terra, o la sconfitta e la gloria dei cieli, egli scelse quest'ultima alternativa, lasciando ai Serbi l'esaltante consapevolezza di aver testimoniato, col proprio sacrificio, la redenzione di Cristo, ma allo stesso tempo, un sottile, struggente rimpianto per il regno terreno e la determinazione di riconquistarlo per congiungere i due regni nello splendore di una sola vittoria".

La Serbia basa questo suo sentimentalismo nazionalistico sulla credenza di essere una diretta discendente del popolo Kosovaro; probabilmente però, dietro tutto ciò ci sono interessi (ben più rilevanti) soprattutto di natura economica, legati al fatto che nel suolo del Kosovo ci sia una lieve percentuale di petrolio. Nel marzo 1989 Milosevic privò di ogni autonomia il Kosovo e fomentò le discriminazioni anti-Albanesi, ponendo la egione sotto una vera e propria occupazione militare. Gli Albanesi si sono ribellati con un movimento di resistenza clandestina locale ed hanno fondato un partito politico armato (UCK) con lo scopo di allontanare i Serbi con la forza. In queste lotte, un ruolo importante è stato svolto dall'idea della " pulizia etnica", ossia da un progetto mirante a eliminare sistematicamente, con il massacro e il terrore, i membri di etnie differenti nei territori rivendicati come propri, in questo caso, dalla Serbia. Questo clima di terrore ha portato la popolazione albanese a rifugiarsi verso l'Europa.
A questo punto le Nazioni Unite sono intervenute militarmente contro la Serbia per costringere Milosevic alla resa. Dopo una serie di bombardamenti NATO sulla città, la Serbia è scesa a patti con le Nazioni Unite e le truppe militari serbe hanno abbandonato il Kosovo. Attualmente, in Kosovo, ci sono ancora le forze armate europee, ciò per garantire l'ordine e scongiurare una possibile riapertura del conflitto, ma la tensione è alta e non mancano episodi sanguinosi…


DAL QUOTIDIANO "LA REPUBBLICA" DEL 29 SETTEMBRE 1999:
KOSOVO,TORNA LA PAURA.BOMBE SUL MERCATO SERBO

PRISTINA- Un altro mercato, un'altra esplosione, un'altra strage. Il fragile equilibrio sul quale poggia il Kosovo ha subito uno scossone ieri mattina, all'ora in cui la gente affollava il mercato di Bresje, frazione del Kosovo. Nella stessa giornata è stata trovata una fossa comune con i corpi di 28 Albanesi scomparsi durante i bombardamenti NATO. Le vittime, 27 uomini e una donna, erano state prelevate dalle loro case di Kosovska Mitrovica il 14 aprile dalle milizie serbe, mentre era in corso la campagna aerea della NATO contro la Jugoslavia.
Le due bombe di Bresje, lanciate sulle bancarelle come a Sarajevo, secondo una triste costanza dei conflitti dei Balcani, sono esplose alle 10:15, uccidendo e ferendo decine di innocenti che vivono in una zona a netta maggioranza serba.
L'amministratore ONU, Bernard Kouchner, ha subito condannato l'attentato: "Questo atto contro civili innocenti mette in pericolo tutti gli sforzi fatti per portare la democrazia in Kosovo". …
I due Albanesi arrestati sono stati caricati su un carro armato Inglese, una mossa che ha aumentato le tensioni. I Serbi non hanno voluto che i colpevoli fossero consegnati ai militari britannici, ma ai carabinieri di stanza a Pristina. Dopo una lunga ed estenuante trattativa, un blindato italiano si è avvicinato al carro inglese e gli arrestati sono stati trasferiti. La tensione è alta, e si attendono nuove iniziative di protesta da parte dei Serbi.



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