Eduardo Ambrosio


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IL CASO JUGOSLAVIA

STORIA > I TEMI DEL '900 > NAZIONALISMI, JUGOSLAVIA

NAZIONI E NAZIONALISMI DOPO LA GUERRA FREDDA:

IL CASO JUGOSLAVO

LA DISGREGAZIONE DELLA JUGOSLAVIA

Il conflitto di oggi è una ripetizione se non addirittura una ripresa dopo una tregua, i 45 anni di comunismo sono solo una sorta di glaciazione. La Jugoslavia è stata definita un'entità artificiale e prigione di popoli, si parla di fatalismo storico - religioso e, per il groviglio etnico in atto, occorre la pulizia etnica.
Ma proprio Serbi e Croati sono i più simili: non è il passato che condizione il presente, ma è il presente che ha manipolato il passato con una politicizzazione del passato e una storicizzazione del presente.
Per interpretare la crisi jugoslava si possono individuare due chiavi di lettura:
1) guerra contro le differenze, tra opposti nazionalismi;
2) guerra scatenata dalle élite dirigenti; quanto più sottile è la differenza etnica tanto più viene ingigantita da opportuni maestri, attraverso i media, per influire sull'immaginario collettivo.
Il conflitto crea difficoltà a schierarsi (250.000 morti, migliaia di stupri) ed è il portato del convergere di tre crisi:
1) un'acutissima crisi economica (l'inflazione arrivata sino al 2000%) che ha favorito, sovrapponendovisi, l'emergere dei movimenti nazionalisti, fallimento del modello di sviluppo per l'ammodernamento del comunismo; non vi sarà l'ammodernamento tecnologico - informatico per le restrizioni degli anni '80; - aumenta smisuratamente il debito estero (20 miliardi di dollari) e si farà un uso incontrollato delle risorse; - la grande trasformazione post '45 avviata da Tito tende alla trasformazione agricola, alla alfabetizzazione, allo stato sociale, all'urbanizzazione, ecc., con un sistema di totalitarismo pluricentrico (le 6 repubbliche iugoslave sostanzialmente uguali) al fine di ridurre le differenze (l'Europa ha snobbato la plurietnicità costruita, favorendo ad esempio matrimoni misti, da Tito in Bosnia e a Sarajevo - ottimo esempio di convivenza multietnica e teatro, tra l'altro, delle Olimpiadi invernale del 1984 ), segna il passo; - infine a questi fattori endogeni (interni) si aggiungono fattori esogeni (esterni): le diplomazie internazionali si affrettano a riconoscere Stati (come la Slovenia) con confini finora solo amministrativi e non di stato, la Slovenia (il Nord) preferisce essere l'ultima d'Europa e non la prima in Jugoslavia;
2) il deteriorarsi del tessuto dei rapporti sociali e la disintegrazione delle strutture politiche: - la Lega dei Comunisti ormai ha solo una funzione di mera rappresentanza;
3) il venir meno del ruolo internazionale della Jugoslavia: - finisce l'influenza diplomatica dei NON-ALLINEATI, di cui la Jugoslavia era leader, sia per la morte di Tito che per l'emergere della perestroika, che annulla il ruolo di cerniera della Jugoslavia fra Est ed Ovest.
In sintesi la guerra in Jugoslavia, nata da una crisi interna, è stata ingigantita da fattori esterni.


Le tappe della dissoluzione:
- Slovenia, dopo qualche colpo di fucile, il 25 giugno 1991 dichiara subito la sua indipendenza;
- Croazia, dichiarazione d'indipendenza 25 giugno 1991, segue dal luglio '91 la guerra serbo- croata e il relativo accordo del 12 novembre 1995;
- Macedonia con dichiarazione d'indipendenza del 7 aprile 1993;
- Bosnia - Erzegovina, con gli accordi di pace del 14 dicembre 1995 viene divisa in Repubblica serba di Bosnia e Federazione Croato- Musulmana;
- Federazione Jugoslava composta dalla Serbia, con le province autonome Vojovodina e Kosovo, e Montenegro;

Storia della Jugoslavia

L'origine delle lotte che ancora oggi tormentano la penisola balcanica è da ricercare in tempi remoti, tempi in cui il "grande malato" stava per essere definitivamente abbattuto. Stiamo parlando dell'impero Ottomano che, da diversi decenni, governato da una miope casta militare e da una rigida burocrazia, versava in uno stato di grave crisi politica ed economica e che, per questo motivo, si era meritato l'appellativo di "grande malato".
In quegli anni (fine '800), le mire espansionistiche dell'impero russo furono rivolte verso i possedimenti balcanici dell'impero Ottomano, che da secoli impediva alla Russia l'accesso al Mediterraneo. L'interesse russo a smembrare l'impero fu chiaro già con la guerra di Crimea e con il sostegno prestato all'indipendenza della Grecia; il suo obiettivo era quello di veder sorgere una catena di regni slavi alleati dello zar, ma le sue ambizioni si scontrarono con quelle dell'Austria-Ungheria che intendeva mantenere salda la propria influenza politica e militare sui Balcani. Anche Francia e Inghilterra ,che intendevano frenare l'espansione russa nel Mediterraneo, volevano la sopravvivenza del sultano di Costantinopoli, la massima autorità dell'impero che comprendeva quasi tutto il Vicino Oriente: Turchia, Siria, Mesopotamia, parte dell'Arabia e dell'Africa settentrionale.
A causa del nazionalismo slavo e della rivalità di Austria e Russia, la penisola balcanica era diventata una regione irrequieta e politicamente instabile. Nel 1878, pur garantendo la sopravvivenza formale dell'impero Ottomano, al congresso di Berlino, le potenze europee riconobbero l'indipendenza della Serbia, del Montenegro, della Romania e della Bulgaria. Questa frantumazione trascinò la penisola balcanica in uno stato cronico di guerra; dal 1885 al 1914 si ebbero le cosiddette guerre balcaniche, causate da feroci discordie territoriali, di cui l'impero Astro-Ungarico ne approfittò per annettersi la Bosnia-Erzegovina e trasformare così i Balcani nella polveriera d'Europa.




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