Eduardo Ambrosio


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POLITICA 1945 - 1960

STORIA > NOVECENTO > ITALIA, LA REPUBBLICA


LA POLITICA ITALIANA DA 1945 AL 1960


DAL 1945 AL 1948

I PARTITI all'indomani della Liberazione
Nel 1945, all'indomani della caduta del fascismo, i partiti politici italiani completarono la rico-struzione dei propri apparati iniziata già clandestinamente durante il regime.
I rapporti di forza sono subito evidenti e i più forti appaiono la Democrazia Cristiana (DC), il Partito Comunista Italiano (PCI) ed il Partito Socialista Italiano (PSI). Il Partito 'Azione (Pd'A), nonostante avesse una brillante direzione intellettuale, mancava di un appoggio di base, di massa. Il Partito Liberale Italiano (PLI) comprendeva i vecchi notabili del periodo prefascista e si era andato sempre più allontanando dal mondo emergente degli operai e dei contadini, dive-nendo, specificatamente nel Mezzogiorno, il partito dei proprietari terrieri e dei professionisti.
Il PCI, fondato nel 1921 come frazione estrema del PSI, riemerge nel 1943, benché avesse po-chi iscritti, aveva una base molto solida nelle città industriali e nelle campagne del centro e del settentrione d'Italia.
La DC rinasce come erede del Partito Popolare di Luigi Sturzo, partito che, sacrificando la ideo-logia di Sturzo, aveva collaborato con il regime: alcuni dirigenti, però, compreso don Sturzo, andarono in esilio; Alcide De Gasperi lavorò come bibliotecario in Vaticano. In precedenza il Par-tito Popolare già raccoglieva gruppi disparati con orientamenti differenziati, era stato un partito progressista e riformista ed aveva portato sulla scena politica larghe masse di contadini, ciò che teneva uniti i vari gruppi era la comune radice confessionale e la disciplina della Chiesa Cattolica; dopo il 1943, il partito conserverà tutta la sua eterogeneità con idee di sinistra e di destra; l'apparato propagandistico, inizialmente molto debole, sarà sostenuto dal clero parrocchiale e dai vescovi delle diocesi per raccogliere danaro, mobilitare gli attivisti e gli elettori.
Il regime fascista aveva colpito gravemente il PSI e difficile fu la vita clandestina per mancanza di preparazione tecnica e di appoggi, non poté contare sulla protezione Vaticana; poiché, però, era il più antico partito di massa ed poteva contare su una lunga tradizione riuscirà a ricostruirsi nel futuro post-fascista.
L'Italia - scrive testualmente Kegan - potrebbe essere schematicamente descritta, nell'immediato dopoguerra, come un paese in preda alla lotta fra la forza della rivoluzione e quella della restaurazione.
IL GOVERNO
I partigiani del Nord si erano impadroniti di molte industrie e proceduto alla sostituzione di molti dirigenti che avevano avuto a che fare con il nazifascismo. Venivano costituiti i Consigli di Fabbrica e ne entrarono a far parte quegli amministratori e proprietari dal "passato pulito", ma la minaccia alla proprietà privata e al regime capitalistico era evidente. Il Governo elaborò un piano economico che prevedeva una imposta sul capitale ed una distribuzione delle materie prime volta a favorire la piccola impresa, altro impegno del Governo fu quella "epurazione finanziaria", cioè la punizione di coloro che con il fascismo si erano arricchiti. Contro tali programmi di interventi economici si manifestò sia all'interno che all'esterno del paese; la destra liberale ed i conservatori li consideravano attacchi alla società italiana e alla sua struttura economica; gli Alleati manifestavano la loro opposizione.
Il governo, costituito nel giugno '45, era presieduto da Ferruccio Parri, segretario del Pd'A ed eroe ella Resistenza, era costituito da tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), i quali, intenti a risolvere i loro contrasti politici, si allontanarono dalle reali necessità della po-polazione. Gli aiuti, promessi dagli Alleati, non arrivavano, il cibo scarseggiava: si creò un'atmosfera di dubbi e di esitazioni nonché di disillusione. Il Governo non aveva la forza di far rispettare la legge e l'ordine e le forze conservatrici temevano che tale situazione avrebbe favorito le forze rivoluzionarie; i movimenti separatisti raggiunsero il culmine nelle due maggiori isole italiane ed, infine, un movimento diretto dal giornalista Guglielmo Giannini denominato "UOMO QUALUNQUE" divenne un partito che attaccava tutti gli altri e politici riuscendo ad ottenere molti consensi.
In tale clima il Governo doveva affrontare la "questione istituzionale": Vittorio Emanuele III doveva ritirarsi a vita privata e lasciare il Regno al figlio Umberto II come luogotenente fino a quando gli italiani, a guerra finita, avrebbero potuto scegliere tra monarchia o repubblica, questi erano gli accordi presi con gli Alleati nei Trattati di pace. Monarchici e conservatori volevano ri-mandare la decisione sulla questione, sicuri che il tempo avrebbe giocato a favore della loro causa, la soluzione monarchica; al contrario, premevano per una immediata espressione PCI, PSI e Pd'A, di chiara fede repubblicana. La posizione del Presidente Parri, che tendeva a far eleggere un'assemblea costituente per risolvere la questione e redigere una nuova costituzione insieme ad un piano economico, provocò un attacco dei conservatori e dei liberali i quali ritira-rono i propri rappresentanti dal governo facendolo cadere.
Nel dicembre del '45 veniva formato un nuovo governo con la presidenza di De Gasperi e l'esclusione del Pd'A, l'asse del governo si spostava verso destra. Inglesi ed americani, preoccupati delle forze di estrema sinistra, appoggiarono tale governo annunciando che, alla fine di dicembre, il Nord, ancora sotto il loro controllo, sarebbe stato restituito al governo centrale.

LE PRIME ELEZIONI, VERSO LA REPUBBLICA
De Gasperi annunciò subito che, dal 1 gennaio '46, prefetti di carriera e capi di polizia avrebbero sostituito i funzionari del CLN; sarebbe stato disciolto l'Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, le sue funzioni sarebbero state trasferite ai tribunali. Fu una restaurazione condotta con notevole rapidità, del resto, lo stesso Ministro della giustizia, Palmiro Togliatti, avrebbe favorito una larga amnistia per i prigionieri politici, attirando così nel PCI alcuni ex fascisti, intellettuali e sindacalisti.
Il Governo decise anche di indire, a suffragio universale (è la prima espressione del voto femminile) le prime elezioni amministratine nella primavera del '46 e politiche il 2 giugno '46, quando si sarebbe svolto anche il referendum istituzionale.
I risultati delle amministrative confermano le aspettative: i tre partiti più forti furono DC, PCI e PSI. I monarchici, preoccupati dei risultati, fecero pressioni presso la Commissione di Controllo Alleata per far rimandare il referendum istituzionale, ma gli Alleati si rifiutarono di intervenire. Il re, pressato di monarchici, abdicò e Umberto da luogotenente, il 3 maggio '46, divenne re d'Italia. La sinistra sostenne che era stata violata la decisione della Luogotenenza, si appellò anch'essa agli Alleati, ma ricevette lo stesso rifiuto. La Chiesa appoggiava apertamente la causa monarchica e lo stesso Papa, Pio XII fece appello ai votanti perché scegliessero tra il materialismo e il cristianesimo.
Al referendum la Repubblica ottenne il 54% dei voti contro il 46% della monarchia (il Nord aveva votato per la Repubblica e i Sud massicciamente si era espresso per la Monarchia), pertanto, nonostante la tesi di irregolarità procedurali sostenute, Umberto II, re per sol tre settimane - "il re di maggio", dovette abbandonare l'Italia recandosi in esilio in Portogallo.
Alle elezioni per l'Assemblea costituente i Democristiani ottennero il 32% dei voti, i Socialisti il 20,7%, i Comunisti il 10%, i Liberali il 6%, l'Uomo qualunque sempre più volto verso il passato regime il 5,3% e, infine, il Partito d'Azione scompariva dalla scena politica.

ASSEMBLEA COSTITUENTE E COSTITUZIONE
La Costituzione, dopo un lungo periodo di stallo - fino ai primi del '47, ed una forte accelerazione in seguito al viaggio in America di De Gasperi (la scelta di campo internazionale), fu approvata il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1 gennaio 1948 (cento anni dopo la promulgazione della precedente - lo Statuto Albertino). Essa rifletteva l'azione delle forze contrastanti affermatesi con le elezioni: fu un incontro di dottrine cattoliche, marxiste e liberali; insieme al rispetto della proprietà private fu proclamato il principio del controllo sociale e politico sull'economia; si sanciva di fatto il sistema di economia mista pubblico/privato già ampiamente operante nel paese.
I voti comunisti furono determinanti per l'approvazione dell'art. 7 (trascrizione integrale dei Patti Lateranensi del '29), che garantiva alla Chiesa cattolica una posizione privilegiata nel Paese, nello Stato e nell'educazione pubblica.
Occorsero molti anni per istituire alcuni organi importanti, previsti dal dettato costituzionale: la Corte Costituzionale fu istituita nel '55, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) nel '58, regioni a statuto ordinario nel '70.
In definitiva, nonostante la presenza qualificata di forze progressiste, la Costituzione - che fu un compromesso - riprodusse in sé stessa le contraddizioni dei processi reali in atto. De Gasperi si preoccupò esclusivamente di ricostruire gli istituti politici della democrazia, di arrestare l'inflazione e di far rivivere l'economia senza mutare le basi. I partiti della sinistra moderata utilizzarono il loro potere per strappare importanti concessioni come la "scala mobile" e il blocco dei licenziamenti nell'industria.
La grande crisi economica, dovuta sia all'inflazione per l'enorme presenza di moneta circolante che all'instabilità politica che pregiudicava il rispetto della legge da parte della popolazione, poté ricevere una svolta all'indomani della nomina dell'economista Einaudi a vicepresidente del Consiglio e poi a ministro del Bilancio aumentando le riserve della Banca d'Italia e bloccando spietatamente i prestiti bancari.
Secondo i risultati elettorali del '46, la composizione governativa era mutata: De Gasperi formò un governo quadripartito con DC, PSI, PCI e PRI (Partito repubblicano - aveva ottenuto il 4,4% dei voti e fu presente nel governo con il conte Carlo Sforza, ministro degli esteri).
L'Assembla Costituente elesse a Capo Provvisorio della Repubblica l'avvocato napoletano Enrico De Nicola, di estrazione monarchica, con il chiaro intendo di sostituire il re in modo indolore per calmare il Mezzogiorno fedele alla causa monarchica (voto per la monarchia nel Referendum Istituzionale).
Con l'intensificarsi della Guerra Fredda, l'aumento dei voti dell'estrema destra, il Governo era destinato a cadere. Infatti, durante la già citata visita di De Gasperi a Washington nel gennaio '47, gli americani fecero capire chiaramente che non desideravano la presenza nel Governo Italiano dei Comunisti e dei Socialisti perché facevano una politica filosovietica; il colpo di grazia venne con la scissione, sollecitata dagli americani del PSI.

Il 1948
Quei socialisti che, capeggiati da Giuseppe Saragat, si opponevano all'unità d'azione con i co-munisti, la sciarono il partito e fornirono il pretesto a De Gasperi per una crisi di governo. PSI e PCI furono esclusi dalla trattativa per la formazione dl nuovo governo.
Poco dopo ci fu anche la scissione sindacale proprio perché a capo del sindacato unitario vi erano i rappresentanti di DC, PSI e PCI, anche se la maggioranza della base era comunista; l'occasione venne con la proclamazione da parte di Socialisti e Comunisti di uno sciopero generale di protesta per l'attentato a Togliatti del luglio '48, come reazioni i dirigenti sindacali democristiani e dell'Azione Cattolica proclamarono la scissione dal sindacato unitario e la prossima di una nuova confederazione sindacale.
La scissione socialista aveva favorito la tendenza del PSI all'unità con i Comunisti, infatti i due partiti si accordarono per presentare liste comuni alle prossime elezioni politiche.
Il timore della vittoria di tali liste fu enorme per gli USA il cui Dipartimento di Stato non esitò a far conoscere al governo italiano che tutti gli aiuti economici promessi sarebbero stati sospesi nel caso di una vittoria della sinistra marxista.
Il colpo di stato a Praga del 1948 in cui i comunisti si impadronirono del potere scatenò una battaglia in Italia culminante nell'opposizione "tra Cristo e l'Anticristo, tra Roma e Mosca"
(non mancarono di incidere stragi come quella di Portella della Ginestra compiuta dal bandito Salvatore Giuliano).
Dopo un'aspra battaglia elettorale trai due schieramenti il FRONTE DEL POPOLO (PCI e PSI) e la DC, appoggiata da PRI e PLI, i risultati elettorali delle prime elezioni politiche del 18 aprile 1948 fecero riscontrare una diminuzione in percentuale dei voti dei partiti marxisti rispetto alle elezioni del '46, mentre la DC con meno del 50% dei voti riuscì ad ottenere, per il sistema elettorale, una maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento.
Il Vaticano avrebbe voluto che De Gasperi formasse un governo monocolore, ma lo statista, per non inasprire il già grave contrasto tra forze laiche e cattoliche, si orientò verso una coalizione - poi definita centrista - con liberali, repubblicani e socialdemocratici (Saragat); tale coalizione fu alla base dei successivi governi per sette anni.

LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA NATO
Verso la fine del '48 e l'inizio del '49 gli USA svilupparono l'idea di un'alleanza militare occidentale nella forma della NATO e richiedevano la partecipazione italiana, nonostante obiezioni sollevate dagli inglesi. Anche, sul fronte interno, sia le forze di destra e che di sinistra erano contro tale alleanza: le prime per l'odio contro gli inglesi ritenuti gli artefici delle perdite coloniali italiane e soprattutto di Trieste e zone limitrofe, le seconde per il chiaro antisovietismo della NATO; i socialisti erano contrari e Pietro Nenni giustificò tale atteggiamento ricordando che i socialisti erano già stati contrari sia alla Triplice Alleanza che alla Triplice Intesa e che consideravano gli squilibri di potenza una delle principali causa della guerra; molti rappresentanti democristiani pensavano che l'Italia quale sede della Chiesa Cattolica dovesse restare estranea ai contrasti politici tra Est e Ovest.
De Gasperi fu convinto dal ministro Sforza che l'Italia non poteva rimanere isolata dalle altre nazioni occidentali, De Gasperi condusse Sforza da Papa Pio XII affinché gli esponesse la que-stione della NATO, Sforza riuscì a convincere il Pontefice e l'opposizione cattolica si dissolse. Il presidente del Consiglio assicurò in Parlamento che l'adesione italiana alla Nato non rappresen-tava un ostacolo con Mosca ed un blocco antisovietico, ma fece comprendere che era indispensabile all'Italia accettare l'idea dell'alleanza se voleva partecipare al piano di aiuti economici programmato dagli Alleati. Il Parlamento perciò ratificò il trattato e l'Italia divenne membro della NATO.

DAL 1949 AL 1953

IL CENTRISMO E LE RIFORME
Il quadripartito, forte della netta maggioranza in Parlamento, sembrava assicurare una certa stabilità nel difficile avvio della politica italiana.
Le elezioni amministrative del 1951-52, però, dimostrarono il malcontento dell'elettorato nei confronti dei Democristiani e della coalizione centrista; la DC perse quasi quattro milioni di voti a vantaggio della destra monarchica e neofascista e della sinistra.

LA NASCITA DEL MSI
Nel 1949 era sorto un nuovo partito, il Movimento Sociale Italiano (MSI), costituito e organizza-to da elementi che provenivano da alcuni settori dell'UOMO QUALUNQUE, subito definito neofa-scista, anche se di fascismo vero e proprio c'è ben poco, in quanto gli elementi con passato fa-scista erano solamente repubblichini (la assai triste esperienza della Repubblica di Salò).
Ad ogni modo le perdite elettorali del centro sono comunque collocabili a quanto era preceden-temente accaduto. La situazione economica del paese aveva inciso molto.
Agli ordini del Ministro degli Interni, M. Scelba, squadre celeri di polizia erano pronte a intervenire contro occupazioni di terre da parte dei contadini. I conservatori disapprovavano apertamente De Gasperi per non aver voluto mettere fuori legge i partiti Socialista e Comunista e contestavano le riforme, in verità assai parziali, attuate nell'agricoltura. I Socialdemocratici e i Liberali abbandonarono il Governo nel 1951, pur continuando ad appoggiarlo in Parlamento.
Altro motivo rilevante che provocò l'indebolimento del centrismo fu l'accaparramento da parte della DC di tutti i posti più importanti statali e parastatali, persino le cariche accademiche furono oggetto di accaparramento politico.

RIFORME ELETTORALI
Particolarmente importanti furono le elezioni amministrative del '52 a Roma, in tale occasione i partiti al governo non riuscirono a raggiungere la maggioranza al comune e si registrò una forte avanzata del MSI. Luigi Gedda, presidente dei Comitati Civici dell'Azione Cattolica, sollecitò De Gasperi affinché la DC si alleasse con la destra, onde prevenire una vittoria delle sinistre. Sicuro che tali richieste avrebbero, poi, influenza a livello nazionale, De Gasperi rifiutò decisamente.
Nel maggio '52 fu formata una coalizione al Comune di Roma comprendente DC, PSDI, PRI e PLI, la stessa formazione riuscì a mantenere la maggioranza anche in altre amministrazioni di città importanti.
Ciò grazie anche ai mutamenti in materia di legislazione elettorale apportati proprio in vista delle amministrative del '51-'52: nei comuni che superavano i diecimila abitanti fu concesso alla coalizione che avesse ottenuto più voti un premio pari ai 2/3 dei seggi al Consiglio Comunale; nei Consigli Provinciali un premio di 2/3 alla coalizione che avesse ottenuto la maggioranza relativa (mancano le Regioni istituite solo nel 1970).
Nel Sud forte era stata l'avanzata del partito Monarchico e del MSI: il primo puntava ad una re-staurazione della Monarchia in Italia, ma ciò poteva accadere solo con una rivoluzione dal mo-mento che l'articolo 139 della Costituzione recita che la forma repubblicana non può essere og-getto di revisione costituzionale.
"la coscienza sociale di questo partito - scrive N. Kogan - si esprimeva nella beneficenza pater-nalistica fatta ai diseredati (ad es.: Lauro a Napoli).
Il MSI sfruttava invece temi nazionalistici e anticomunisti; tenne il suo primo Congresso Nazionale nel 1952.
Anche per le elezioni politiche del '53 si provvide ad apportare modifiche legislative al meccani-smo elettorale: i partiti che avessero ottenuto un voto in più del 50% avrebbero ottenuto i 2/3 dei seggi in Parlamento. Tale progetto di legge provocò disordini in Parlamento: i Comunisti la definirono "legge truffa". Liberali, Socialdemocratici e Repubblicani appoggiarono il progetto per il timore di un'alleanza della DC con l'estrema destra. Molto strano sembrò che uomini poco prima vittime del sistema elettorale fascista - legge maggioritaria Acerbo, che diede la maggio-ranza al Partito Fascista - votassero per una legge molto simile.
Il portavoce USA, signora Clara Luce, intanto, ammonì pubblicamente i governanti italiani che se la coalizione di centro avesse perso ci sarebbero state gravi conseguenze per l'Italia relati-vamente all'appoggio economico americano.

LE ELEZIONI TEST DEL 1953
I risultati elettorali del 7 giugno 1953 portarono ai quattro partiti di centro il 49,85%, appena 57000 voti in meno del 51% richiesta per ottenere il premio di maggioranza. Ciò fu determinato anche dal fatto che alcuni esponenti (tra cui l'ex presidente del consiglio Ferruccio Parri e l'ex rettore dell'Università di Firenze Pier Calamandrei) dei tre partiti centristi che collaboravano con la DC, al fine di boicottare la legge maggioritaria dei 2/3, prima delle elezioni diedero vita ad un nuovo raggruppamento politico denominato "Unità Popolare", che, con 171000 voti, pur non conquistando alcun seggio parlamentare riuscirono nell'intento di non far scattare le provvidenze della legge maggioritaria.
A guadagnare voti furono Socialisti e Comunisti a sinistra e Monarchici e Missini a destra. Gli sforzi di De Gasperi di formare un nuovo governo quadripartito fallirono, anche un tentativo di governo monocolore non ottenne la fiducia in Parlamento.
De Gasperi, dopo questi tentativi, si ritirò dalla vita politica e l'anno dopo morì.
Da rilevare che, in queste elezioni, il PSI aveva presentato liste proprie. Una dichiarazione di Pietro Nenni fece intuire che il PSI era disponibile per una coalizione che si estendesse di Demo-cristiani ai Socialisti. De Gasperi considerò la proposta di Nenni ma ne ritenne prematura l'at-tuazione.
In definitiva ad influenzare il comportamento elettorale degli italiani nel '53 furono soprattutto le questioni locali riguardanti l'economia, i posti di lavoro, i benefici immediati e, comunque, van-taggi e clientelismi piuttosto che i grandi problemi nazionali e le discussioni ideologiche.
Questa seconda legislatura fu definita "dell'immobilismo" per le continue crisi di governo e della politica interna. Al contrario, si verificarono fatti di notevole importanza in politica estera. Primo fra tutti la risoluzione il problema di Trieste.

IL PROBLEMA DI TRIESTE
Il trattato di pace del 1947 assegnava alla Jugoslavia la maggior parte della Venezia Giulia, fu formato il "territorio libero di Trieste" sotto la giurisdizione delle Nazioni Unite (ONU) che avrebbero nominato un go-vernatore; ma, l'intensificarsi della Guerra Fredda, ritardò la nomina lasciando l'occupazione militare alleata. Il territorio libero diviso in due zone: A con il nucleo abitato di Trieste, di modeste dimensioni e con il maggior numero di abitanti circa 300mila in massima parte italiani, amministrata dagli anglo-americani (per i triestini molto simile a quella nazista precedente) e B con le zone limitrofe, la maggior parte del territorio con circa 75mila abitanti tutti sloveni, amministrata dagli Jugoslavi, che, con governo Comunista del Maresciallo Tito, incorporarono di fatto la zona nella Federazione Jugoslava.
USA, Inghilterra e Francia, per aiutare De Gasperi nelle elezioni del '48, chiedevano in pubbliche dichiara-zioni la restituzione all'Italia di entrambe le zone del territorio libero, dichiarazioni lasciate cadere in seguito alla rottura tra Stalin e Tito. Ciò provocò un inasprimento delle posizioni dei nazionalisti verso gli Alleati che, a loro modo di vedere, sacrificarono gli interessi italiani per considerazioni riguardanti la politica di potenza e, poiché le truppe alleate che amministravano la zona A erano quasi esclusivamente inglesi con comando inglese, in Italia si alimentò e si rafforzò l'antico sentimento antinglese.
Nel 1953 gli USA proposero all'Italia la spartizione del Territorio Libero con alcune rettifiche di confine a favore della Jugoslavia, ma De Gasperi rifiutò la proposta.
Il definitivo ritorno di Trieste all'Italia è del 26 ottobre 1954 (il 5 ottobre gli Alleati avevano siglato l'accordo) con l'ingresso dei bersaglieri, ma resta il dolore di istriani e dalmati che furono costretti ad abbandonare la loro terra ed esulare in Italia, dove l'accoglienza - nonostante i drammi del Lager della Risiera, gli ebrei sterminati, i massacri dagli sloveni, le foibe del Carso e dell'Istria - fu quantomeno indifferente; i cosiddetti "rimasti" in Istria, invece,sono stati sempre considerati come "fascisti" dagli jugoslavi di Tito e come "comunisti" dai fratelli della madrepatria ( ... siamo trattati come stranieri in patria …).

LA CRISI dopo De Gasperi
In effetti dalla caduta di De Gasperi fu difficile la formazione di un nuovo Governo per cui, poiché la crisi durava da mesi con un diffuso malcontento delle masse per la mancata soluzione dei loro problemi, si decise di affidare a Giuseppe Pella (della destra democristiana) l'incarico di formare un Governo che avrebbe avuto il compito di guidare il Paese fino a quanto sarebbe stato possibile giungere ad un accordo in Parlamento capace di esprimere una maggioranza. Questo fu, pertanto, un governo di "affari" e Pella, per ottenere l'appoggio della destra, s'impadronì del problema di Trieste cercando così di consolidare il suo potere. Il 13 settembre 1953 pronunciò un discorso alquanto bellicosa: propose un plebiscito da tenere in tutto il "territorio libero" e dichiarò agli Alleati che la firma al trattato del CED sarebbe potuto dipendere dalla risoluzione del problema Trieste.
Gli americani pressavano i principali paesi europei per la firma del trattato costitutivo del CED che avrebbe avuto il compito di formare un esercito europeo. In Italia e in Francia la ratifica del trattato aveva comportato delle opposizioni.
Gli inglesi e gli americani offrirono a Pella di entrare nell'amministrazione della zona A in cambio della ratifica del CED, cosa che subito fece salire il consenso a Pella in Italia. Tito , da parte sua, dichiarò che il subentrare dell'Italia nell'amministrazione della zona A sarebbe stato ritenuto un atto di aggressione. Vi furono, intanto, tumulti a Trieste e le forze di polizia locale, sotto l'am-ministrazione alleata, il 6 novembre 1953 spararono sui dimostranti provocando sei morti e molti feriti. Pella avrebbe voluto essere presente ai funerali delle vittime italiane ma gli fu negato il permesso dagli Alleati ritenendo la eventuale sua presenza occasione di ulteriori tumulti, allora mandò due divisioni militari al confine con la Jugoslavia, nei pressi di Gorizia; gli Jugoslavi presero delle contromisure analoghe. Gli Alleati allora proposero una conferenza per discutere il problema, ma Tito rifiutò poiché Pella, precedentemente, aveva posto come condizione che la dichiarazione del '48 fosse la Piattaforma minima di discussione. Intanto, all'interno della DC i dirigenti si allarmarono per i movimenti politici di Pella: De Gasperi e Scelba ne criticarono e-spressamente il comportamento. Nel 1954 i diverbi tra Pella e la segreteria del suo partito, sempre più spostata a sinistra con la corrente "Iniziativa Democratica" di Amintore Fanfani, si acuirono fino alla sua defenestrazione.

DAL 1954 AL 1957

I GOVERNI MONOCOLORI
In seguito alle dimissioni di Pella, un tentativo di formare un Governo monocolore fu affidato al leader di "iniziativa democratica", Fanfani , ma un primo tentativo fallì per le diffidenze dell'ala destra della stessa DC sulla sua visione anticapitalista, tentativo che gli riuscì in seguito anche se non ottenne la fiducia del Parlamento.
Al Congresso della DC del 1954, in cambio degli insuccessi governativi, Fanfani riuscì a consoli-dare la sua posizione all'interno dal partito e divenne Segretario Generale.
Con promesse al PSDI di una serie di riforme sociali e al PLI del ministero dell'Industria e Com-mercio, la DC riprese i contatti con i partiti di centro, anche il PRI promise pur fuori dal governo promise l'appoggio in Parlamento. Su queste basi Mario Scelba, odiato dalle sinistre per le sue squadre di polizia e per i suoi metodi autoritari, riuscì a formare un nuovo Governo che, però, fu afflitto da una serie di scandali con il coinvolgimento dello stesso Scelba (caso Montesi). In poli-tica estera si prosegui l'azione precedente volta alla risoluzione del problema di Trieste.
Mentre il Parlamento francese non ratificò il CED (difesa europea), Scelba riuscì a risolvere il problema la questione, non certo nel migliore dei modi: il Ministro degli Esteri, il liberale G. Mar-tino, accettò la proposta angloamericana di divisione del "Territorio Libero" , solo un anno dopo aver rivendicato l'intero territorio si accettavano condizioni che prevedevano rettifiche di confine a favore della Jugoslavia maggiori di quelle proposte dagli Alleati e rifiutate a De Gasperi, co-munque, anche con i favori al memorandum del Presidente Luigi Einaudi, l'accordo fu raggiunto risolvendosi in una vera e propria spartizione, Trieste fu successivamente incorporata all'Italia.

GLI INDUSTRIALI
L'atteggiamento degli industriali, fino ad allora vicini alla sinistra democristiana e in dialogo con i sindacati, nel 1954, mutò ed incominciò ad irrigidirsi, tanto che, sulla scia del successo repubblicano negli USA, scatenarono una campagna di attacco alle sinistre e il centro, successivamente finanziarono il PLI, con alla guida Giovanni Malagodi, al cui interno si era avuto una scissione: l'ala più progressista e riformista, contraria alla decisa opposizione ad ogni riformismo economico assunta dal partito, si separò e diede vita, alla fine del 1955, al Partito Radicale (PR), che caldeggiarono una coalizione che si estendesse dai Democristiani ai Socialisti.

IL SINDACATO
Intanto, il sindacato CGIL, il più forte e a maggioranza comunista, passò dal 60% dei consensi nelle elezioni delle Commissioni Interne Aziendali del 1954 al 38% del 1955. Questo sia per il mutato atteggiamento della Confindustria, attirata maggiormente a destra, sia per la paventata scissione sindacale, sostenuta dai consulenti sindacali americani in Italia - la signora Luce aveva annunciato che il Dipartimento della Difesa americano non avrebbe concesso ulteriori contratti di forniture alle imprese italiane in cui i candidati della CGIL avessero ottenuto più del 50% dei voti nelle Commissioni Interne.
Intanto, alla fine del 1954, il Governo faceva approvare una legge per estendere le pensioni ai coltivatori diretti, operazione che praticamente permise che l'Associazione Contadina Democri-stiana ossia la "Coltivatori Diretti" controllasse i piccoli proprietari. Sulla stessa linea è il "Piano Vanoni" (Piano decennale di sviluppo dell'occupazione e del reddito) del 1955 (in seguito il Piano si ridusse ad una serie di previsioni sui futuri sviluppi dell'economia).
Da registrare, nello stesso periodo, il Congresso di Torino del PSI (1955), dove Nenni dichiarò la disponibilità a collaborare con i Democristiani.
Per comprendere tale dichiarazione è importante riportarsi alla divisione interna che il partito ebbe dopo la perdita dei voti nelle elezione del 1948, già allora alcuni esponenti socialisti ave-vano messo in discussione il Patto d'Azione con i Comunisti, dissensi sviluppatisi negli anni Cin-quanta quando è possibile individuare due correnti all'interno del PSI: gli "autonomisti" diretti da Giovanni Pieraccini e da Riccardo Lombardi orientati verso un'autonomia di azione e i "carri-sti" propensi ad una linea di stretta collaborazione con i Comunisti. Con l'attenuarsi della Guerra fredda e l'inizio della distensione che condusse all'incontro di Ginevra del 1955 fra URSS e USA, avvenne la riconciliazione dei Socialisti, ora disposti ad accettare l'alleanza occidentale che non avrebbe in seguito impedito una politica di riavvicinamento, da parte dell'Italia al blocco sovietico.

GRONCHI PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Intanto per l'età avanzata, Einaudi rifutava di ripresentarsi L'ELEZIONE candidato alle elezioni a Presidente della repubblica; il candidato ufficiale della DC fu C. Merzagora, presidente del senato di tendenze conservatrici, solo una minoranza DC di sinistra appoggiava G. Gronchi, favorevole all'alleanza con i Socialisti. Le voci, secondo le quali, la Signora Luce si opponeva all'elezione di Gronchi destarono le forze nazionalistiche di destra che, pere reazione, lo appoggiarono. Con abile manovra Nenni, appoggiando Grochi, riuscì ad inserire un partito di opposizione nella compagine governativa. L'elezione di Gronchi a Presidente della Repubblica fu schiacciante e, quando il Presidente del Consiglio gli rassegnò le dimissioni, non deluse quanti lo avevano visto progressista e, preannunciando un mandato non solo meramente rappresentativo per "la conci-liazione del popolo con lo Stato", affidò il nuovo mandato ad A. Segni.

IL RAPPORTO KRUSCEV E LA SOMMOSSA UNGHERESE
Alcuni avvenimenti internazionali provocarono crisi e nuovi assestamenti nei partiti politici italiani. Il primo fu il Congresso del PCUS del 1956 dove il rapporto segreto di N. Kruscev al XX congresso sui crimini di Stalin scosse profondamente l'opinione pubblica e politica mondiale e in particolare la sinistra italiana. Togliatti seppe abilmente manovrare, all'interno del PCI, tali dichiarazioni puntando, con successo, soprattutto all'unità interna del suo partito, pertanto, prese le debite distanze dai suoi "compagni" sovietici; criticò apertamente la condotta di alcuni dirigenti sovietici per non aver avuto la forza di impedire i crimini staliniani; utilizzò le dichiarazioni di Kruscev come riconoscimento della politica dei Comunisti italiani: la originale "via italiana al socialismo; l'URSS ed il PCUS non erano più lo "Stato guida" ed il "Partito guida" ma ogni partito era libero di seguire la sua linea; infine, affermò che l'unità del movimento comunista si basava sui fini e sugli ideali non già su un sistema di disciplina gerarchica.
Intanto, nel PSI, l'ala riformista, forte delle dichiarazioni di Kruscev, riusciva a rafforzarsi e Nenni, sulla sua stampa, dichiarava che "le deficienze denunciate da Kruscev non erano il risul-tato degli errori di un uomo, erano dovute alla degenerazione de sistema politico e della legalità sovietica".
Nelle elezioni amministrative del 1956, i Socialisti, i Socialdemocratici e i Repubblicani, dopo aver fatto revisionare la legge "maggioritaria" e ottenuto con successo il ritorno al metodo della rappresentanza proporzionale per l'elezione dei consiglieri nei comuni con più di 10mila abitanti, presentarono liste separate rispettivamente dai Comunisti e dai Democristiani.
Un altro colpo ai partiti di sinistra venne dalle notizie sulle insurrezioni in Polonia e in Ungheria del 1956 e degli interventi repressivi sovietici; ma, l'attacco anlgo-franco-israleiano all'Egitto, fece distogliere l'attenzione dall'Ungheria ed il PCI lanciò un attacco all'Imperialismo occidentale. Gli effetti della rivoluzione ungherese furono più gravi per il Socialisti: Nenni denunciò i fatti confermando ciò che aveva sostenuto in precedenza. Nel congresso di Venezia del '57 fu messa in discussione la linea politica del Partito, la relazione finale di Nenni, approvata dai Delegati, ri-badiva che "i valori della democrazia e della libertà erano altrettanto importanti dei mezzi di produzione", la Segreteria Socialista, però, aveva manovrato affinché al Congresso e, quindi, ai posti di direzione del Partito arrivassero Delegati che si trovassero in netto contrasto con le po-sizioni di Nenni; pertanto, i "carristi", pur essendo in minoranza numerica, conquistarono posi-zioni-chiave nella direzione. Tale ambiguità fu sfruttata dall'ala destra del mondo politico italiano che sbandierava che le dichiarazioni socialiste erano del tutto fraudolente e che si trattava di una tattica per giungere al potere. Non di meno all'interno della DC vi erano correnti che dilaniavano il Partito. Tutto ciò fini col provocare una nuova serie di attacchi contro la partitocrazia.

LO SVILUPPO ENERGETICO: ENI E MATTEI E L'INDUSTRIALIZZAZIONE DEL SUD
In tale atmosfera si inseriscono i problemi economici dell'epoca, con il prima fila quello della ri-cerca del petrolio e del gas naturale in Val padana. Il Governo Segni del '55 ereditò la contro-versia esistente tra AGIP di costituzione fascista e le Compagnie Petrolifere estere: l'ENI esigeva il diritto esclusivo delle ricerche, mentre le società estere chiedevano di partecipare per i giaci-menti supplementari di metano e petrolio. Un abile dirigente, Enrico Mattei, democristiano di sinistra, sosteneva il controllo statale sulle principali forme di energie; la sua tesi fu appoggiata dai Socialisti e dai democristiani di sinistra. Dietro le società estere vi erano, in effetti, gli inte-ressi del mondo imprenditoriale italiano. Mattei riuscì a spuntarla anche perché, nel 1956, venne istituito il Ministero delle Partecipazioni Statali per la supervisione ed il coordinamento delle im-prese pubbliche; tali imprese erano affiliate alla Confindustria a sua volta dominata dai grandi industriali italiani.
Altro problema importante per il quale si trovò ad agire il Governo Segni fu quello dell'industria-lizzazione del Mezzogiorno, che continuava a versare in uno stato di arretratezza economica per la decisa carenza di interventi appropriati: era stato progettato un piano per la riforma dell'agri-coltura ed, in seguito, istituita la Cassa per il Mezzogiorno con l'intento di promuovere e realiz-zare quelle infrastrutture necessarie allo sviluppo dell'industrializzazione, che rimaneva sempre affidata esclusivamente all'iniziativa privata. Tale era la posizione della Confindustria allorché, nel 1957, venne votata in Parlamento una legge che obbligava tutte le aziende a partecipazione statale a localizzare nel Sud 1l 60% dei nuovi investimenti. La Confindustria aveva perso tutte le sue battaglie, motivo che la portò, sempre più, ad avvicinarsi e finanziare i partiti di destra, soprattutto il PLI, che ne assumevano le difese.

IL TRATTATO DI ROMA: LA NASCITA DELL'ATTUALE UE
Ultimo atto del Governo Segni coronato da successo fu, nel marzo del 1957, il Trattato di Roma, ossia la costituzione del MEC (antenato dell'attuale UE). I Socialisti avevano votato a favore dell'EURATOM e si erano astenuti sul MEC, i Comunisti votarono contro. Accadde allora che il di-rigente della CGIL, G. Di Vittorio si trovò in contrasto con il PCI del quale pure ne faceva parte: contro la direzione del suo Partito scorgeva nella CEE una istituzione che avrebbe potuto giovare ai lavoratori italiani. Ma prevalse la disciplina di partito e Di Vittorio, insieme ad altri dirigenti sindacali comunisti, fu ricondotto alla linea ufficiale sostenuta dal partito; i Comunisti appoggia-rono, poi, apertamente il MEC nel 1962.
Sarebbe stata adottata in seguito una politica di penetrazione del Terzo Mondo da parte italiana, "la vocazione mediterranea" sostenuta da democristiani di sinistra, socialdemocratici e socialisti convinti di sostenere lo sviluppo in quella area; ci fu subito chi mise in ridicolo tale idea, in quanto non si vedeva come l'Italia, economicamente povera, avrebbe potuto avere l'influenza necessaria.
Della situazione creatasi approfittò Mattei che, con abili manovre e l'appoggio dei partiti di sini-stra, riuscì a penetrare nei mercati petroliferi del Medio - oriente. Importante fu l'accordo che Mattei firmò con l'Iran nel 1957, quando ottenne concessioni petrolifere all'Italia nella misura del 75% contro il 25%, lasciando al paese ospite la quota maggiore.
Le controversie che assillarono fino a provocarne il crollo per il centrismo furono quelle sulla magistratura, la Corte Costituzionale e la mezzadria. I mezzadri erano numerosi soprattutto nell'Italia centrale e settentrionale e rappresentavano una rilevante forza elettorale attiva. Già subito dopo la guerra era stata approvata una legge che assicurava ai mezzadri una maggiore sicurezza nei confronti dello sfratto. I partiti di sinistra insieme alla sinistra democristiana stavano trattando per ottenere ulteriori miglioramenti allorquando i proprietari terrieri, esercitando la loro influenza su Liberali e conservatori democristiani, fecero presentare nel 1957 un progetto di legge che aumentava il numero delle "giuste cause" - che consentivano al proprietario di pro-cedere allo sfratto. Il 28 febbraio '57 il PRI si ritirò dal Governo in segno di protesta. Il Governo riuscì ad andare avanti ancora per un paio di mesi con l'appoggio dei Monarchici e dei Neofascisti, riducendosi, però, alle sole funzioni di ordinaria amministrazione. Segni rassegnò le dimissioni e gli successe A. Zoli che formò un Governo monocolore con il compito di guidare il Paese fino alle elezioni del '58; i Monarchici e i Neofascisti decisero di appoggiarlo, ma Zoli accettò solo i voti monarchici; quando si accorse, poi, che i voti del MSI erano determinanti per la maggioranza rassegno le dimissioni; il Presidente Gronchi, prima di accettarle, procedette ad un sondaggio tra i partiti e, quando si accorse che l'unica soluzione era un'apertura a sinistra, respinse le dimissioni di Zoli e, accettando l'appoggio dei Neofascisti, il Governo poté ottenere il voto di fiducia. Il Governo completò la nazionalizzazione della rete telefonica, della quale lo Stato controllava la maggioranza delle azioni, attraverso l'IRI; ampliò la legislazione sulla Cassa per il Mezzogiorno e completo la controversa legge istitutiva del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM); infine, ratificò i trattati del Mercato Comune.


DAL 1958 AL 1960

LE ELEZIONI DEL 1958
In vista delle prossime elezioni, Fanfani voleva dimostrare all'elettorato che la DC era un partito progressista, pertanto, si scagliò contro i Liberali e la Destra. Il Ministro degli Interni Fernando Tambroni sciolse la giunta monarchica a Napoli accusandola di corruzione. Inoltre i Democristiani garantivano agli elettori la chiusura ai Comunisti. La DC ricevette appoggi dalla Santa Sede per le elezioni politiche del '58 ed alcuni Vescovi firmarono una lettera, inviata a tutte le parrocchie, con la quale si impediva l'appoggio nel Sud, da parte di altri Vescovi, alla destra ed ai Monarchici che, intanto, si scindevano in PMN e PMP.
Le elezioni del '58 arrivarono dopo un certo periodo di sviluppo economico anche se si facevano già sentire i primi sintomi di instabilità economica e fecero registrare - rispetto al '53 - aumenti di voti per il PSI e per la DC. Le posizioni rimasero stabili al Nord, gli aumenti e le perdite si ebbero al Sud dove i Monarchici registrarono forti perdite a vantaggio della DC; anche Socialisti, Comunisti, Liberali e Neofascisti registrarono aumenti dei voti. Nell'insieme le elezioni indicarono uno spostamento verso sinistra; i Comunisti avevano mantenuto le posizioni nonostante i fatti del '56.

IL GOVERNO FANFANI
All'interno della DC l'ala sinistra compì considerevoli progressi, come pure l'ala "autonomista" del PSI: si configurava una nuova svolta politica che, però, avrebbe dovuto attendere ancora molto per realizzarsi.
Fanfani procedette alla formazione di una coalizione di Democristiani e Socialdemocratici nella formazione del nuovo Governo, assunse personalmente la Presidenza del Consiglio e il Ministero degli Esteri e poté ottenere la fiducia garantendosi l'astensione dei sette deputati repubblicani; non fece sforzi per ottenere l'appoggio socialista perché sapeva di forti resistenze all'interno del suo partito; Nenni, dal canto suo, dichiarò che i Socialisti non avrebbero esercitato un'opposi-zione pregiudiziale nei confronti della compagine governativa, ma si sarebbero riservati di ap-poggiare alcune proposte a seconda dei contenuti.
Nel luglio '58 Americani e Inglesi invasero il Libano allorché, per la forte instabilità politica, si prospettava una soluzione comunista; il Governo italiano appoggiò le ragioni degli Alleati: l'ae-roporto di Capodichino servì agli Angloamericani come base per trasportare le truppe in Medio Oriente. I Socialisti criticarono l'operazione ritenendola il classico esempio dell'Imperialismo e-conomico delle società petrolifere angloamericane e un'intromissione nel affari interni di un paese straniero. I Comunisti organizzarono manifestazioni di protesta in tutta Italia, ma si riscontrò un'indifferenza generale nei confronti degli avvenimenti in Libano da parte di gran parte dell'o-pinione pubblica italiana.
Fanfani, come del resto Gronchi, non riteneva che l'Italia, quale membro dell'Alleanza atlantica, dovesse dipendere dai suoi alleati, pertanto, appoggiò l'opera di Mattei affinché l'ENI ottenesse concessioni per ricerche nel Medio Oriente: nell'autunno del '58 Mattei procedeva ad un accordo con il Governo egiziano per la creazione di una società petrolifera italo-egiziana; l'accordo per la spartizione dei profitti si basava sulla formula del 75% contro il 25%, in contrasto con la formula del 50% praticata dalle compagnie angloamericane e olandesi che operavano in M.O. L'accordo danneggiava economicamente degli alleati europei dell'Italia e Fanfani fu accusato di voler allentare i vincoli della NATO e di voler accettare, all'interno, l'accordo con i Socialisti.
L'8 gennaio del '59, Fanfani si recava in visita a Il Cairo e firmava un accordo tecnico-economico: è difficile affermare la volontà di indebolire l'alleanza proprio per la sua partecipa-zione alla costruzione dell'alleanza con la concessione di basi in Italia per l'installazione di missili balistici americani a media gittata ed a testata nucleare: l'Italia riceveva il controllo di tali basi. A quel tempo Fanfani era l'ombra alle spalle del Governo Zoli. Dopo le elezioni del '58 si fece conoscere il consenso dell'Italia alle installazioni, in seguito, l'URSS - tramite Kruscev - avvertì che l'Italia, in caso di guerra, sarebbe stato uno dei primi obiettivi.

IL TRAMONTO DI FANFANI
Le cause della caduta del Governo furono molteplici: prima fra tutte la notizia dello scandalo Giuffré, un certo commendatore che prometteva a chi gli affidava danaro interessi da 50 al 100%, furono implicati alti prelati della Chiesa Cattolica; la persecuzione governativa di alcune piccole sette evangeliche, la Corte Costituzione, con decreto del 25 novembre '58, autorizzava tali sette ad aprire le loro Chiese senza l'autorizzazione della polizia; ancora il prezzo del grano rappresentò un motivo di instabilità politica, il Presidente della Coldiretti, Bonomi, pur accettando l'idea di una riduzione del prezzo, si oppose a tale riduzione; anche lo sfruttamento e impiego dell'energia atomica, vista come valida sostituzione alla saturazione dello sfruttamento idrico e alla forte dispendiosità del carbone e della nafta, provocò problemi, per la scelta di Fanfani, sollecitato dai Socialdemocratici e da Mattei, della via dello sfruttamento dell'energia atomica da parte dello Stato.
Alla fine del '58, Fanfani da Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e Segretario Generale dl suo Partito, ricevette il colpo di grazia dalla controversa questione regionale siciliana: sentimenti di autonomia e instabilità nel controllo regionale spinsero alcuni Democristiani siciliani contro la direzione nazionale del partito: Silvio Milazzo, contro i sostenitori siciliani di Fanfani, accettò l'appoggio dei Monarchici, dei Missini a destra e dei Comunisti a sinistra; si disse in seguito che dietro Milazzo ci fosse Scelba, siciliano e oppositore di Fanfani.
Il Governo fu battuto nelle votazioni a scrutinio segreto del 24 novembre e del 4 dicembre 1958 relative alla proroga di una speciale soprattassa sulla benzina applicata in seguito alla crisi di Suez. Il 6 dicembre Fanfani chiese una votazione per appello nominale e i "franchi tiratori" do-vettero rientrare nei ranghi.

IL TRAVAGLIO DEL PSI
Nel PSI Nenni si trovò in minoranza contro coloro che volevano l'alleanza con i Comunisti e pre-sentò le dimissioni da segretario del partito, il Congresso fu fissato per il gennaio '59. Si crearono tre schieramenti: un primo che chiedeva una "rottura" con i Comunisti e puntava alla "autonomia" del partito, un secondo, capeggiato da T. Vecchietti, che voleva il ritorno al "patto d'azione", un terzo un compromesso trai due primi.
Dopo il Congresso socialista da parte socialdemocratica (PSDI) vi furono tentativi per riunificare i due partiti: Saragat, però, riteneva la cosa ancora prematura.
Durante la votazione in Parlamento sul caso Giuffré, vi furono molti franchi tiratori ed il Governo ebbe la fiducia con un solo voto di scarto: E. Vigorelli, ministro socialdemocratico, rassegnò le dimissioni per riunirsi al gruppo favorevole alla riunificazione con il PSI. Il 26 gennaio 1959 Fan-fani rassegnava finalmente le dimissioni del suo Gabinetto al Capo dello Stato che, dopo vari sondaggi, le respinse e chiese al Presidente del Consiglio di sottoporre il Governo ad un nuovo voto di fiducia in Parlamento. Fanfani rifiutò e Segni varò un Governo monocolore democristiano spostato a destra con l'appoggio di DC, PLI, MSI e Monarchici.
Il 3 aprile 1959 i due partiti monarchici si riunificarono e formarono il PDIUM (Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica), e in seguito cinque parlamentari socialdemocratici formarono un gruppo autonomo di "Iniziativa Socialista" con l'obiettivo della riunificazione.

L'AZIONE POLITICA DI ALDO MORO
A seguito delle dimissioni di Fanfani anche da segretario del partito, fu eletto Aldo Moro, profes-sore di diritto, che permise a varie fazioni - le "correnti" - di avere propri dirigenti e tentò di svolgere il ruolo di mediatore tra esse. Con la caduta di Fanfani e la disgregazione della sua "I-niziativa Democratica", nel convento di Santa Dorotea, si tenne nel marzo del '59 un convegno di alti esponenti della DC dove emerse una larga coalizione capeggiata da Moro e dal nuovo Vi-cesegretario del Partito Mariano Rumor: imembri di tale corrente diverranno tristemente noti con l'appellativo di "dorotei".
In seguito, quando Moro riuscì a crearsi una base personale all'interno del Partito, perché più progressista nei confronti dei moderati dorotei, diede origine ad una nuova corrente denominata "moro-dorotea": uno degli uomini - chiave di questo raggruppamento fu il potentino Emilio Co-lombo che, in seguito, occupò a lungo importanti ministeri finanziari e rappresentò il freno più potente alla svolta economica voluta del cento sinistra.

LA SCENA INTERNAZIONALE AGLI INIZI DEGLI ANNI SESSANTA
Sulla scena internazionale, in questi anni, l'Italia è ancora impegnata su questioni territoriale ai confini e precisamente con l'Austria per la questione tirolese e la giurisdizione sulla provincia di Bolzano, dove nessuno voleva una sconfitta di ordine diplomatica dell'Italia che, all'interno, avrebbe certamente indebolito il Governo a vantaggio delle Sinistre e, inoltre, un successo delle rivendicazioni tirolesi avrebbe potuto avere riflessi sui movimenti di profughi sui movimenti di profughi del Settore Est dalla Germania.
Nel maggio del 1960, l'Austria risollevò la questione e il governo italiano propose di affidare la soluzione del problema al giudizio della Corte Internazionale di giustizia e di intavolare trattative bilaterali. Avendo rifiutato tali proposte, l'Austria ripropose la questione all'assemblea ONU, qui fu decisa una risoluzione che invitava i due paesi a intavolare trattative dirette, cercando di risolvere il problema nel modo migliore. Ma, la risoluzione ONU restò inoperante e la provincia di Bolzano vide il permanere dello status quo, con una recrudescenza terroristica dovuta al sopravvento che avevano preso, nella zona, i settori meno moderati.
Ambiguo fu, in tale periodo , l'atteggiamento italiano in politica estera e in particolare per quanto riguardava i rapporti Est Ovest che, nel '57 a Camp David, gli accordi tra Eisenhower e Kruscev li avevano fatto compiere u passo avanti nel processo di distensione.
La destra italiana, vedendo nel processo di distensione un vantaggio delle sinistre, cercava di opprsi sfruttando propagandisticamente i fatti di Cecoslovacchia del '48 e quelli, più recenti, d'Ungheria del '56. Il ministro liberale G. Martino affermò pubblicamente che la distensione a-vrebbe contribuito a portare in pochi anni a posizioni di potere i partiti della sinistra. D'altro canto, il Presidente Gronchi era stato invitato in URSS e, mentre il Vaticano e destre premevano affinché il viaggio non avesse luogo, lo stesso Gronchi era di parere contrario, il Governo auto-rizzò la visita solo quando ebbe assicurazioni che non ci sarebbe stato uno scambio di visite (1960). Nel dicembre del '59, intanto, Eisenhower aveva visitato Roma, calorosamente accolto dal Governo e con cordialità anche da parte delle sinistre, favorevoli al processo di distensione. Le destre, invece, attaccavano l'operato in politica estera del Governo, accusandolo di neutrali-smo e arrivando a parlare, a proposito delle iniziative di Mattei, di filosovietismo. Emblematico fu il rifiuto da parte del sindaco di Roma, democristiano di desta e appoggiato dai Missini, a ce-lebrare la liberazione di Roma da parte degli Alleati nel suo 15° anniversario.

LA SVOLTA POLITICA DEL 1960
Le elezioni del '59, intanto, per le regioni Val d'Aosta e Sicilia e la provincia di Ravenna, vedevano una nuova ondata anticomunista, con la scomunica da parte della Chiesa per chi avesse votato i partiti di sinistra. Ma tale intervento della Gerarchia risultò inefficace perché in Val d'Aosta vinse uno schieramento popolare comprendente Comunisti, Socialisti, e Unione Valdostana e in Sicilia si affermò l'Unione cristiano - sociale di Milazzo e la sinistra i cui voti permettevano a Milazzo di restare presidente regionale.
Dopo tali elezioni fu più facile al segretario DC, Moro, iniziare il processo di apertura a sinistra: nel successivo ('60) Congresso DC, Moro avviava il nuovo indirizzo politico della DC, caratteriz-zandola come partito popolare e antifascista, anche se in molti casi nelle giunte locali la DC con-tinuava ad appoggiarsi ai voti della Destra. Pella, Andreotti e Scelba si adatteranno a malincuore all'indirizzo propugnato da Aldo Moro. Il Congresso si concluse con un accordo tra dorotei e si-nistra del partito, Fanfani, ritornato all'attività politica, ne assunse la direzione. I Liberali si ac-corsero delle manovre di Moro e il 20 febbario'60 ritirarono il loro appoggio a Segni il quale pre-sentò le sue dimissioni al Capo dello Stato. Il 29 febbraio '60 C. Merzagora, Presidente del Se-nato, presentava le dimissioni e, pronunciando un aspro discorso, lamentò la riduzione del Par-lamento ad " un organo privo di voce nei momenti cruciali".
Moro intraprese trattative per la formazione di un nuovo Governo provvisorio Segni appoggiato da PRI e PSDI; contrattò dei Socialisti in cambio della "nazionalizzazione" dell'industria e-lettrica. Forte fu la disapprovazione della Chiesa, contraria all'appoggio socialista, e Segni rifiutò il mandato. Allora Moro rifiutò le condizioni dei Liberali e dei Monarchici dichiarando però, di voler accettare tutti gli appoggi tranne quello comunista.
L'esperimento fu portato a termine dal democristiano Tambroni considerato uomo di sinistra e già più volte Ministro degli Interni; dichiarando che il suo sarebbe stato un governo temporaneo, l'8 aprile ricevette la fiducia della Camera, determinanti erano stati i voti dei Missini, che erano così ritornati ad esercitare la loro influenza. In due giorni, però, tre ministri democristiani di si-nistra (G. Pastore, F. Sullo e G. Bo) rassegnarono le dimissioni e l'11 aprile Tambroni presentò le dimissioni che furono accettate con riserva e, non essendo stato possibile a Fanfani contrattare con i Socialisti, si dovette procedere rimpiazzando i ministri dimissionari. In seguito furono annunciati dal Governo provvedimenti non tipici di un governo di affari quali per la riforma del Senato, per le finanze locali e burocrazia, abbassare i prezzi ed aumentare la spesa totale, per le autostrade, per la riduzione del prezzo dello zucchero, delle banane e della benzina: Tambroni in effetti voleva conquistarsi una certa popolarità.
L'annuncio del MSI, sicuro di non avere un rifiuto dal Governo per il suo appoggio in Parlamento, di voler tenere a Genova, luogo di particolare efficacia della lotta partigiana, il Congresso Nazionale del partito alla fine di giugno, provocò una crisi acutissima; il 30 giugno scoppiarono tumulti a Genova che in 24 ore era assediata da forze antifasciste; i Comunisti capeggiarono la protesta in varie città d'Italia e a Reggio Emilia fu proclamato lo sciopero generale: vi furono al-cuni morti. Tambroni, sentendosi oggetto di complotti ai quali pensava partecipassero parecchi suoi "amici" di partito, parve pronto a far conoscere ed usare i "dossier" che era riuscito ad ac-cumulare quando era Ministro degli Interni: aveva fatto controllare i telefoni e la posta di alcuni membri del suo stesso Governo. In seguito, quando fu invitato a produrre le prove del complotto, non si sa per quale ragione rinunciò. Ma i giorni del Governo erano contati: il sentimento an-tifascista del paese si era dimostrato più forte di quanto ci si aspettasse.
Il 1° luglio Tambroni sospese il Congresso del MSI ed il giorno seguente i neofascisti annunciarono che non avrebbero più appoggiato il Governo provocandone la caduta.
Da tale situazione si uscì, con la mediazione di Merzagora, varando un monocolore democristiano guidato da Fanfani e appoggiato da una coalizione PSDI - PLI - PRI: era il terzo Governo Fanfani, costituito da rappresentanti di tutte le correnti DC nella persona dei loro leader più autorevoli, alla fiducia contava - fermo restando il voto contrario del PCI e di Neofascisti - sull'astensione del PSI, in vista della ventilata apertura a sinistra.



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