Eduardo Ambrosio


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LA STORIA

Gem. saggezza, Diete, Sarno e... > IL SARNO E POGGIOMARINO


IL FIUME SARNO
storia geografia attualità

2006






sommario:

IL FIUME SARNO
IL SARNO NELLA STORIA
COSTRUZIONE DEL CANALE DEL CONTE
NASCITA DI POGGIOMARINO
POPOLAZIONI ANTICHE E BREVE STORIA DELLA VALLE DEL SARNO


Il fiume Sarno, in Campania, con la sua vallata costituisce un'estesa pianura fluviale di circa 500 kmq (4% della superficie della Campania) formata da depositi vulcanici sedimentari, delimitata ad occidente dal complesso vulcanico del Somma Vesuvio, ad oriente dalla catena dei Monti Lattari, ed è aperta al meridione sul golfo di Napoli. Il Sarno , lungo 24 km, arricchendosi di volta in volta delle acque di numerosi affluenti, divide la piana in due settori, quello occidentale in provincia di Napoli e quello orientale in provincia di Salerno, attraversando in forma calma e sinuosa i comuni di Sarno, San Valentino Torio, San Marzano, Striano, Poggiomarino, Scafati , Pompei, Scafati, Castellammare di Stabia per sfociare, dopo aver realizzato un'ansa in direzione della località Sant'Abbondio di Pompei, in mare di fronte allo scoglio di Rovigliano.
Le problematiche del Sarno, causa una elevata pressione antropica con relativo impatto determinato da scarichi domestici (fecali, agricoli, pesticidi, fertilizzanti, ecc.) e industriali, sono tutte relative al suo forte inquinamento (il più alto d'Europa) che si ripercuote nell'intero golfo di Napoli, fino agli anni Sessanta, era un fiume pescoso e termale caratterizzato da ambienti salubri e incontaminati. Nel 1992 il fiume è stato dichiarato ad elevato rischio ambientale ed è iniziato un tortuoso percorso per il disinquinamento (più avanti ampiamente rendicondato): allo scopo si è divisa l'area in tre comprensori:
- dell'Alto Sarno con 8 comuni, una popolazione di 69mila abitanti e una densità di 398 ab/kmq;
- del Medio Sarno con 21 comuni, una popolazione di 445mila ab. e una densità di 1430 ab/kmq;
- di Foce Sarno con 10 comuni, popolazione di 225mila ab. e una densità di 2338 ab/kmq.



IL SARNO NELLA STORIA

Le principali fonti del Sarno (per il Giliberti, da Sarinus, termine di origine preitalico; per altri, da Sarus, nome del monte che sovrasta le sorgenti di Foce. Il nome Sarus è comune a vari fiumi e monti dell'Asia Minore, da dove provenivano il popolo dei Sarrastri, probabili colonizzatori della Valle del Sarno; per il Siani, da Saron con cui i Fenici avrebbero designato la regione, che si presentava fertile come la terra omonima della Palestina) sono alle pendici dei monti che sovrastano la città ed il territorio di Sarno.

Il Sarno, il cui tracciato più antico compare nella Tabula Peutingeriana (da Peutinger, possessore di una copia della tavola che si trova a Vienna), è stato nell'antichità oggetto di culto: statuine votive sono state rinvenute negli scavi di Foce, gli oggetti raffigurano donne e parti del corpo umano quali ex voto offerti alle divinità delle acque per impetrare salute, fertilità, abbondanza. Altri rinvenimenti a Pompei hanno messo in luce un particolare culto del Sarno come per il Nilo con i suoi apporti di limo, da parte di immigrati orientali di origine egiziana. I resti (magazzini, un'ancora da ormeggio, ecc.) nel borgo marinaro di Pompei ne sono la testimonianza. L'abbandono dopo la caduta di Roma trasformò la pianura in una pianura malsana e la fantasia popolare cambiò il mito del Sarno, da dio benefattore a fetido drago, divoratore di uomini; persino il nome si tramutò in Dragone.

Il fiume ha numerosi ordini di sorgenti, ma le più importanti sono quelle di Palazzo, di Santa Maria e di Foce - da fauces (stretto passaggio) nome per indicare probabilmente lo sbocco di un corso d'acqua sotterraneo, l'impressione che le sorgenti danno all'osservatore, nel modo con cui sorgono copiose dal monte S. Angelo a Foce, è propria quella di un fiume.
Altre scaturigini vengono fuori dagli altri monti che circondano l'agro Nocerino - saenese, ma tutte dopo breve cammino si riuniscono in un solo corso, e con lo stesso nome, Sarno, vanno a mescolarsi con il mare nel Golfo di Stabia. La direzione principale del fiume è quella che va da Tramontana a Mezzogiorno, e quella dei suoi influenti da Greco, o da Levante a Ponente.
I monti, alle falde dei quali sorgono tutte quelle vivissime acque sono, quello di Sarno - detto Monte Saro - i monti di Castel S. Giorgio, di Montoro (con la Solofrana che ha una lunghezza maggiore dello stesso Sarno), di Cava dei Tirreni (con la Cavaiola che unendosi alla Solofrana forma il Canalone di Nocera che a sua volta confluisce nella sinistra del Sarno nei pressi di S. Marzano) - detti Diecimari - e l'Albino che signoreggia su Nocera.
Tutti questi monti in generale sono di struttura calcarea terrosa a strati orizzontali con frammenti di quarzo; in alcuni punti di calcarea grossolana con strati argillo-sabbiosi, e in altre di resti marini mescolati con sabbia quarzosa ed argillosa.
Questa natura di monti è appropriatissima a raccogliere e a dar via alle acque, formando nei suoi interni seni, ricettacoli dove hanno inizio i fiumi. Però in quell'ampio terreno, che tra i descritti monti come in una profonda cavità si fa dentro, meravigliose sono le vive fonti che si vedono per ogni posto, e basta cavar di poco in terra per vederle rigogliose e zampillanti. E poiché è la natura dei monti che varia, e a ragione pure del vicino Vulcano (Vesuvio), esse sono di diversa qualità e carattere: alcune sono chiare e salubri a segno che un tempo si facevano venire a Napoli, e si partivano nei pozzi per uso degli abitanti e sono quelle dette del Palazzo e della Foce; altre minerali come quelle dette della Rogna di sapore acido e disgustoso; altre ancora le quali tra masse calcaree si caricano di diverse particelle tenute in dissoluzione, e cagionano il fenomeno della pietrificazione o meglio dell'incrostazione; infine, vi sono delle acque dette della Cerala che solidificano il terreno e collegano ogni sua parte insieme, siano foglie, o steli o pezzi di legno, sicché appena si cacciano dalle cave, e sono esposte all'aria, acquistano cotanta durezza che s'impiegano generalmente per la fabbricazione delle case. Tale curioso fenomeno si verifica nell'estesa superficie detta "Tartareto".
Il territorio Sarnese è formato da un profondo strato di terreno argilloso siliceo con massi arenosi e lapillosi di differente tenacità. Ma a molte e diverse variazioni quei luoghi hanno dovuto soggiacere per le alluvioni e per la vicinanza del Vesuvio, di conseguenza si dice che il Sarno stesso fosse stato, per quelle passate terribili eruzioni del Vulcano, deviato in qualche parte del suo corso, o che altre acque che vi fluivano da quel lato si fossero disperse. Di qualità non diversa, anzi migliore sono le terre delle pianure di Angri e di Nocera; le quali soprattutto sono arene, lapilli, e sassolini di alluvioni, hanno da 1 a 2,5 metri di terreno vegetale argilloso - calcareo - siliceo: per cui sono di una meravigliosa fertilità.
In quei piani l'aria in generale è umida: conseguenza necessaria della bassa situazione di quelle terre circondate dai monti, e solo aperte dalla parte del Mezzogiorno. Ma, basta che ci si sollevi poco più sui colli e sulle coste dei monti che l'aria è salubre. Se non che attenuava la natura dagli inconvenienti come lo spirare dei venti di Tramontana a Ponente, e di Ponente a Mezzogiorno, che talvolta sono tanto impetuosi, che rovesciano i letti delle case, e sradicano alberi robustissimi. Ma più di questi naturali e passeggeri perturbamenti, che sono comuni a tutti i luoghi vicini, sono causa di gravi danni i cambiamenti avvenuti per mano dell'uomo in tempi non molto lontani, cosicché ne rimaneva alterata profondamente la condizione propria di tutti quei siti.
Dalle falde del Vesuvio non discende alcun ruscello, al di fuori di quei corsi temporanei d'acqua, cioè di quei torrenti che sono causati dalle piogge. Dai monti di Sarno sulla sinistra, nella parte più bassa della sua pendice nasce l'acqua della Foce, della quale, parte va a Torre Annunziata per via di un fosso manufatto, detto del Conte (di Sarno) parte viene giù per unirsi con un altro corso d'acqua, detto del Palazzo, di cui le scaturigini sono nella stessa città di Sarno. Questi corsi d'acqua, dopo circa un miglio o due di cammino per ognuno, e poiché quello del Palazzo ha nel suo letto accolto l'altro di S. Marina, confluiscono nel sito detto l'Affrontala, e dove con il nome comune di fiume Sarno s'indirizzano le acque riunite al mare.
Il Sarno fino agli inizi del 1500 era il veicolo del commercio dal mare nell'interno delle terre di Nola, Angri e di Nocera, attraverso il quale le merci s'importavano e si esportavano. Aveva un corso invariabilmente determinato, un alveo stabilito e profondo. Il latino Stradone parla di una via navigabile fra Nola, Acerra e Nocera.


COSTRUZIONE DEL CANALE DEL CONTE

I laboriosi e costosi lavori di costruzione del canale iniziarono nel 1592 per volontà del conte Maurizio Tuttavilla, che voleva rifornire d'acqua i molini di sua proprietà situati in Torre Annunziata, molini ordinati in tre file per cui occorrevano tre dislivelli. Nonostante il lungo contenzioso promosso dalla Mensa Vescovile di Sarno, che vantava diritti sulla proprietà delle sorgenti; l'opposizione dei conti di Celano, signori di Scafati e di Torre Annunziata, quali proprietari di due mulini in località Bottaro di Scafati, temevano sia un rovinoso impoverimento del letto del fiume Sarno, sia la forte concorrenza dei mulini di Torre Annunziata, più vicini a Napoli; le difficoltà di natura tecnica come la scarsa pendenza del terreno e il superamento dello sperone di Pompei (la cui soluzione fu la costruzione di una galleria di 1764 metri, in tale occasione vennero scoperti i ruderi romani Pompei), nonché l'approssimazione nei lavori di scavo; finalmente, nel 1605, superate tutte le difficoltà, l'opera fu completata come si rileva nell'istrumento del 26 settembre 1605. Così il conte Muzio Tuttavilla teneva fede alla promessa fatta nell'istrumento del 1 settembre 1597, lasciando la figlia Maria unica erede dei suoi beni, la quale, nel 1608, andò sposa al principe gallicano Pier Francesco Colonna.
Lo scavo,oltre alla trasformazione nella molitura del grano, attirò molta manodopera (da galeotti imprestati ai conti di Sarno dalle regie galere, con la promessa di libertà a lavoro compiuto a personale più specializzato per direzione e sorveglianza) che abitò in capanne e abitazioni di fortuna, poi in dimore sempre più stabili: questi sono i primi insediamenti lungo le sponde del canale che daranno vita all'attuale Poggiomarino.


NASCITA DI POGGIOMARINO

Rilevante fu la bonifica del territorio attraversato dal canale, lo scavo, infatti, oltre a convogliare le acque di Foce, raccoglieva le acque delle fiumare che scendevano dalle pendici del Vesuvio; il tutto rese vivibili luoghi insalubri e procurò grandi quantità di terra fertilissima: il lavoro si moltiplicò per la manutenzione e l'irrigazione dei campi e la zona di popolò di contadini, artigiani, pastori, carrettieri, bottegai, ecc.
L'alto costo del canale, però, aveva prosciugato le sostanze della famiglia Tuttavilla, che sopperì con lo smembramento del feudo: nel 1613, la terra di Striano fu ceduta alla contessa di Castro con atto regio del 17 dicembre 1639, successivamente i di Castro vendettero il feudo alla marchesa Ippolita Spinola. Intanto, Pompeo, unico erede di Pier Francesco Colonna, si compromise con la rivolta di Masaniello e subì la confisca dei beni, alla sua morte nel 1649, tutti i suoi beni vennero devoluti alla Real Corte.
Un altro evento che contribuì al popolamento delle sponde del canale fu l'eruzione del Vesuvio del 1631, gli abitanti delle ricche e, fino ad allora, sicure pendici del vulcano si riversarono nella valle sottostante. In tale occasione la quota del Vesuvio si ridusse di 168 metri e la principessa donna Maria Ippolita Spinola Juniore presentò alla Regia Camera della Sommaria una supplica per chiedere una riduzione delle tasse nei territori danneggiati dalla lava, lapilli e incendi.
La principessa donna Maria Ippolita Spinola, soprattutto per difficoltà economiche, sposò Giacomo de' Marini dei marchesi di Genzano, provenienti da Genova dove esercitavano ricchi commerci. Il nuovo marchese si fece costruire un palazzo nella località Tavernapenta (da una bottega che aveva per insegna una penta o tacchino sita sulla strada del canale Palma -Torre Annunziata). Il palazzo diede lustro al luogo e in breve sulle cartine comparve il toponimo poggio Marino: il poggio, dal latino podio, era un basamento dove i de' Marini usavano salire per montare a cavallo, esso si trovava nei pressi delle scuderie di palazzo (tale luogo è ancora oggi detto stallone). Il nome Podio Marino appare per la prima volta nell'atto di battesimo di Fortunato, Giovanni Sorrentino, di Gaetano e di Maria Pellegrino, madrina Ippolita Di Martino, redatto il 26 febbraio 1719 dal rettore e parroco di Striano, don Nicola Mura. I primi documenti civili sono due atti amministrativi del Regno di Napoli: il primo è 6 luglio 1734 che registrava la morte della principessa di Striano Maria Spinola e la intestazione del feudo al figlio Stefano de' Marini; il secondo è trattato dal catasto generale della terra di Striano (tale feudo si estendeva fino al Vesuvio e comprendeva Poggiomarino, parte di Terzigno, San Giuseppe Vesuviano, Boscoreale), redatto nel 1748 e contiene l'elenco dei possedimenti del principe.

POPOLAZIONI ANTICHE E BREVE STORIA DELLA VALLE DEL SARNO

Le tracce più antiche evidenziate dai vari scavi (Foce, Striano, San Valentino Torio, San Marzano) sono di capanne appartenenti ad una civiltà silvo-pastorale indigena: probabilmente gli Osci, detti anche Oschi od Opici (segni di questa civiltà sono ritenuti toponimi come Oschito): sono state rinvenute tombe con oggetti che vanno dall'VIII al II secolo a.C., testimonianze che fanno pensare all'esistenza di numerosi villaggi.
La valle nell'età del ferro e tra il IX e l'VIII secolo a.C. è abitata da popoli con la cultura dei morti, come testimoniano le tombe a fossa (i morti vengono riposti nella posizione supina, coperto di abiti, ornamenti e del vasellame di corredo utile nell'aldilà, in fosse scavate nella nuda terra) che, essendo assai rade, evidenziano una grande disponibilità di suolo.
I resti di un teatro del III o II secolo a.C. denotano (anche per la parte ancora coperta) la presenza di una città che molti indicano con il nome di Ad Teglanum (attuale Palma Campania).
Successivamente risalgono il Sarno popolazioni di origine greca come i Sarrastri (della famiglia dei Pelasgi). Ancora si notano evidenti tracce degli Etruschi (Tirreni per i greci - Tusci per i romani) che, anche se incerte, sono chiare a Capua, a Nola, ad Acerra, a Nocera e a Paestum. Etrusca è la via Aquilia che partiva da Capua, toccava Suessola, collegava la Campania interna con Nola (Ad Teglanum) e da qui, seguendo la via pedemontana, raggiungeva la città alle sorgenti del Sarno e si dirigeva attraverso il valico del campanile dell'orco alla città di Nuceria.
I territori tra Palma Campania e Pompei, dal 340 al 309 a.C., furono teatro degli scontri la Lega dei latini e degli Opici contro la Lega tra Romani e Sanniti. Nel 309 a.C. la Longola fu teatro di una battagli tra Romani e Sanniti (Tito Livio, IV libro, verso 40). Nel periodo della seconda guerra punica, subito dopo la battaglia di Canne (216 a.C.), Annibale assediò inutilmente Napoli, assaltò Acerra e si diresse contro Nola, proseguendo nella Valle del Sarno, allo scopo di impadronirsi di Nuceria, attraversò il valico che poi fu detto "Passo di Annibale" (Ecco perché il valico tra Siano e Sarno è indicato come campanile dell'orco, perché l'eroe cartaginese cieco ad un occhio sembrava un orco.
La valle del Sarno sarà sconvolta dal terremoto del 63 d.C. ed il corso del Sarno sarà deviato con la copertura di tutti gli affluenti di destra dall'eruzione del 79, la linea di costa avanzò per qualche centinaio di metri nel mare.
Dopo le numerosissime razzie dei barbari, nel 1066, fu istituito il vescovato di Sarno ( Sarno, San Marzano, San Valentino Torio, e Striano) con l'arcivescovo Alfano di Salerno.
Nel 1460, nella lotta per il trono di Napoli vi fu a Longola una battaglia campale tra Ferdinando d'Aragona, bastardo di Alfonso, e il principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini, partigiano di Giovanni D'Angiò. Nel 1464, Ferdinando tolse il contado sarnese all'Orsini e , per riconoscenza lo concesse a don Francesco Coppola, nobile napoletano di origine amalfitane, questi fu grande mercante e tesoriere del re ma prese parte alla "congiura dei baroni" contro Ferdinando e, nel 1486, dopo essere stato attirato in un tranello, fu decapitato. I suoi beni, tra cui il contado sarnese, divennero proprietà reale.



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