Eduardo Ambrosio


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BUDDISMO

CULTURE E RELIGIONI > RELIGIONI

Buddismo

Questa religione nasce dagli insegnamenti di Siddharta Gautama, detto Buddha ("l'Illuminato, il Risvegliato") che, secondo la tradizione, nacque nel 566 a. C. Kapilavesto, non lontano dall'Himalaya, sposo a 15 anni e "risvegliato" a 35 anni, morì ottantenne.
Nel VI secolo a. C. iniziò a diffondere il suo insegnamento, basato sul "triangolo comportamentale" essenziale: moralità, meditazione (paragonata dai buddhisti occidentali al nuoto) e saggezza, triangolo che insieme al proprio "karma" personale, influenzano le circostanze della futura rinascita.
Buddha criticò alcuni aspetti dell'induismo, quali il valore dei sacrifici, e l'autorità dei brahmani e il sistema delle caste.

La religione buddista, oggi, è molto vitale in Asia, dove conta un numero di seguaci pari all'incirca a 300 milioni, nelle tre forme sviluppatesi dal nucleo dottrinale di partenza: il Buddismo Theravada (Sud Est asiatico), il Buddismo Vajrayana (Tibet) e il Buddhismo Zen (Giappone).
In Italia sono rappresentate tutte e tre e conta circa 70000 adepti in Europa due milioni), nella maggior parete aderenti all' UBI (unione buddhisti italiani - con sede a Roma in via Euripide, 137, tel. 06 52 363 005 - siti Internet: www.buddhismo.it , www.padmanet.com e www.buddhaline.com), attualmente retta dalla prof.ssa Mariangela Fala'. Le pubblicazioni in italiano sono: BUDDHISMO di Damien Keown ed. Einaudi, Roma-Bari; IL RISVEGLIO DELL'OCCIDENTE di Stephen Batchelor ed. Ubaldini, Roma; BREVE GUIDA DEL BUDDHISMO ZEN NELLE TERRE DEL TRAMONTO edito da Marietti; il periodico trimestrale DHARMA.

Buddhista (parola che nasce da un neologismo ottocentesco) è colui che dà fiducia ai "tre gioielli": il Buddha, il dharma (cioè l'insegnamento) e la shanga (cioè la comunità). La conversione è pubblica e prevede un nome nuovo, essa avviene dopo i 7-8 anni per una minima dose di consapevolezza.

Origini, dottrine e diffusione

La comunità monastica (Songha) dei discepoli del Buddha fu la prima a diffondere questa dottrina. Buddha, essendo figlio di un piccolo re locale, fu allevato nel lusso e nell'agiatezza, egli rimase sconvolto dalla scoperta dell'eterno ed infinito dolore che si abbatte su tutti gli esseri umani. All'età di 29 anni, Buddha, andò via dalla reggia e abbandonò i beni materiali per riscoprire una nuova via che potesse condurre alla liberazione della sofferenza per raggiungere l'apice della felicità. Quindi si dedicò allo yoga e adottò una via di mezzo tra la vita agiata e la mortificazione assoluta, per attenere la definitiva illuminazione, avuta in una notte trascorsa a meditare sotto un fico sacro a Bodh Gaya.
Allora Buddha, trentacinquenne, si impegnerà incessantemente nella sua predicazione per raccogliere attorno a sé un numero sempre maggiore di discepoli ai quali diffondere i suoi insegnamenti, tramandati oralmente e riassunti nelle definizioni delle Quattro nobili verità. Secondo Buddha la vita è sofferenza e il dolore e l'inconsistenza costituiscono la vera essenza della vita dal momento della nascita fino alla morte, quindi quest'ultima non costituisce la liberazione dal dolore in quanto (secondo il pensiero indiano), l'uomo è soggetto alla reincarnazione in corpi sempre diversi e quindi all'eterno vivere. La causa principale di tutta questa sofferenza è l'ignoranza della natura, dalla quale nasce la schiavitù dei beni materiali e l'attaccamento alla vita stessa. Questa sofferenza si può eliminare mediante l'abbandono del desiderio e di ogni forma di attaccamento all'esistenza, per poter spezzare la catena della rinascita e quindi della reincarnazione.
Quindi per liberarsi definitivamente dal dolore bisogna camminare nella via dell'Ottuplice sentiero, che racchiude dentro di sé la concezione del retto. Insomma il proprio benessere interiore è il primo passo per contribuire al benessere altrui, concetto molto confortante per chi proviene da religioni fortemente basate sul concetto di "colpa" (ad es.: il peccato originale cattolico)

Secondo la concezione del Buddha l'esistenza umana è condizionata da 5 elementi: il corpo materiale, i sentimenti, le percezioni, la tendenza all'origine e la coscienza. Essi costituiscono la natura di ogni persona e automaticamente la sottomissione alla sofferenza. Da ciò dipende anche la concezione per spiegare il concetto di SAMSARA, ovvero l'origine condizionata, il continuo rinascere. Da ciò si sviluppa anche il concetto di KARMA, ovvero la conseguenza etica determinata da tutte le azioni che l'uomo ha compiuto nel corso della sua esistenza, determinando la sua condizione o di premio o di punizione in una nuova vita. L'ultima tappa del cammino di Buddha per raggiungere la salvezza si conclude con l'estinzione di ogni desiderio e la libertà da ogni carattere condizionale sia materiale che psicologico.
Dopo la morte del fondatore Buddha, non essendo stato nominato un suo successore che guidasse la comunità, si dovettero definire alcuni principi che garantissero l'unità fra i monaci e gli insegnamenti corretti di Buddha, diffusi oralmente, così vennero convocate assemblee ("concili buddhistici). Il primo si tenne a Rajgir dove si precisarono le regole della disciplina monastica. Un secondo concilio si tenne, un secolo più tardi Vaisali per eliminare l'uso di danaro e di bevande inebrianti. La terza assemblea, invece, si tenne nel III secolo a.C., a Patna dove si decise di purificare la comunità dei "falsi monaci che immediatamente vennero allontanati. Questa assemblea segnò l'inizio della diffusione del Buddhismo. Un quarto concilio si tenne, intorno al 100 d.C. o a Valandhr o nel Kashmir, dove si rivelò la presenza la presenza di diverse tendenze che il terzo concilio non aveva saputo armonizzare.
Il contrasto più evidente e il più infervorato era quello tra i monaci, ovvero tra i membri della scuola Theravada e quelli della Mahasanghika. I primi osservavano in modo rigoroso le regole di Buddha, mentre i secondi interpretavano in un modo del tutto nuovo la figura del fondatore. Quest'assemblea, tuttavia non riuscì a conciliare le due correnti e la tradizione Theravada ne rifiuta addirittura l'autenticità. La scuola Theravada si ritiene custode dei testi sacri del Buddhismo, che costituirebbero il fedele resoconto della dottrina di Buddha.

I fedeli di Buddha sono identificati con i membri di una comunità di carattere monastico; il fondatore è un monaco dalla testa rasata, vestito di una tonaca arancione senza cinture che evoca i seguaci di questa religione anche se con delle modifiche subite nel tempo; i monaci oggi non sono più itineranti come in origine, ma seguono tutte le norme previste dagli scritti canonici. Osservano il celibato e vivono di elemosine e lavorando la terra provvedono al loro sostentamento.

Simboli: cimbali di speciale lega di metalli per emettere un suono limpido, penetrane e prolungato, per poi fondersi col silenzio; contenitori in rame per l'offerta del mandala; gong per segnare inizio e fine meditazione; il damaru, un tamburo a doppia faccia; lo zafu, cuscino per la meditazione; la ruota della meditazione; puja, tavolini per i testi della preghiera; statue, pitture e incisioni votive e di buono auspicio; kata, sciarpa colorata per omaggio al Buddha, oggi usata spesso per lusso; mala, braccialetto con 21 grani di legno, pietra o terracotta (il rosario tibetano), usato per concentrarsi durante la preghiera, o mandra - vi è anche il mala originale che conta 108 grani di materiale rigorosamente naturale

Il Buddhismo rimane ancora vitale nei paesi asiatici, anche se ha dovuto affrontare istanze tipiche di una società moderna: alcuni monaci, si sono impegnati in progetti miranti a migliorare le condizioni delle classi sociali più umili e povere, così facendo hanno anche smentito le accuse che consideravano questa religione passiva nei confronti delle miserie che si abbattono sull'umanità.

Scheda riassuntiva del BUDDHISMO
Religione nata in India sulla base degli insegnamenti di Siddhartha Gautama, detto il Buddha ("l'Illuminato, il Risvegliato"). Egli diffuse il suo insegnamento nel VI secolo a.C. criticando alcuni principi fondamentali dell'induismo, come il valore dei sacrifici e l'autorità dei brahmani e, di conseguenza, l'intero sistema delle caste. La fede buddhista è oggi vitale soprattutto in Asia orientale, dove conta 300 milioni di seguaci, nelle due forme sviluppatesi dal nucleo dottrinale originario: il buddhismo Theravada è dominante nello Sri Lanka, in Thailandia, Cambogia, Birmania (oggi Myanmar) e Laos, mentre il buddhismo Mahayana vanta numerosi fedeli in Cina, Taiwan, Corea, Giappone e Vietnam, ed è il credo di gran lunga più popolare in Tibet e in Mongolia.

Origini e dottrine fondamentali
Primo veicolo di diffusione della dottrina fu la comunità monastica (Sangha) dei discepoli del Buddha, il fondatore, nato presumibilmente, sulla base di dati biografici incerti, nel 563 a.C. a Kapilavastu, nell'India settentrionale: allevato nel lusso e nell'agiatezza in quanto figlio di un piccolo re locale, egli rimase profondamente scosso dalla scoperta dell'infinito dolore che incombe su tutti gli esseri umani, costretti da una forza ineluttabile a vivere esistenze sempre nuove nel ciclo inarrestabile della reincarnazione. Siddhartha decise, all'età di ventinove anni, di lasciare la reggia paterna per dedicarsi, libero dall'attaccamento ai beni materiali, alla ricerca di una via che conducesse alla liberazione dalla sofferenza e alla felicità suprema. Si dedicò dapprima allo yoga e alle pratiche di un ascetismo che dopo alcuni anni gli parrà tanto severo quanto infruttuoso; adottò allora una via media fra la vita agiata e la mortificazione assoluta, per approdare poi, nell'ultima fase del suo cammino, alla definitiva illuminazione, ottenuta, secondo la tradizione, durante una notte trascorsa a meditare sotto un fico sacro a Bodh Gaya.
Da allora Siddhartha, divenuto finalmente il Buddha, "l'illuminato", si impegnerà instancabilmente nella sua opera di predicazione itinerante per raccogliere un numero sempre maggiore di discepoli ai quali affidare il nucleo essenziale della sua dottrina, tramandata in forma esclusivamente orale e riassunta nelle definizioni dette Quattro nobili verità. La vita è sofferenza: il dolore (dukkha) e l'inconsistenza costituiscono l'essenza più profonda della vita umana dalla nascita alla morte così che la morte non rappresenta in alcun modo la liberazione dal dolore, in quanto, conformemente alla concezione fondamentale del pensiero indiano, l'uomo è soggetto, come tutti gli esseri, al flusso inarrestabile delle rinascite, reincarnandosi continuamente in corpi sempre diversi.
Origine di tutto questo carico di sofferenza è l'ignoranza della natura illusoria di tutto ciò che l'uomo percepisce come suo orizzonte reale: da questa ignoranza non scaturisce solo la schiavitù dei beni materiali, ma anche, come frutto del desiderio di sopravvivenza, l'attaccamento alla vita stessa. Alla sofferenza si può porre fine soltanto mediante l'eliminazione del desiderio e l'estinzione di ogni forma di attaccamento all'esistenza, al fine di spezzare definitivamente la catena delle rinascite. Per ottenere la liberazione dal dolore occorre camminare sulla via dell'Ottuplice sentiero, che racchiude in sé retta visione, retta intenzione, retto parlare, retto agire, retto modo di sostentarsi, retto impegno, retta consapevolezza, retta meditazione: si tratta, in pratica, del compendio fondamentale della fede buddhista, che vede nella moralità la premessa e insieme la conseguenza della saggezza e della capacità di possederla attraverso la meditazione.
La riflessione del Buddha muove dalla definizione dell'esistenza umana come complesso di azioni indotte dalla presenza condizionante di cinque elementi: il corpo materiale, i sentimenti, le percezioni, la tendenza all'agire e la coscienza. Essi, denominati in sanscrito skandha, "legami", con il loro temporaneo e mutevole aggregarsi costituiscono la natura stessa della persona, e di conseguenza ne determinano, con l'attaccamento alla vita e la propensione all'azione, la sottomissione alla sofferenza; essa ha luogo nell'ambito di un'esistenza materiale destinata a essere per sua natura non permanente (anitya) e, in definitiva, segnata da una condizione negativa in quanto anatman, esistenza non dotata di una propria essenza.
Da questa concezione dipende anche la formulazione alla quale il Buddha ricorre per spiegare il concetto di samsara, il flusso ininterrotto di rinascite posto come caposaldo imprescindibile da tutte le correnti del pensiero indiano: secondo la dottrina del pratityasamutpada, ovvero dell'"origine condizionata", una catena di dodici cause agisce in ciascuna esistenza dell'individuo portandolo a ignorare la natura illusoria di tutta quanta la realtà e rendendo possibile l'azione degli elementi aggregati, che lo spingono all'attaccamento alla vita stessa. Di conseguenza, l'individuo è indotto alla ricerca spasmodica di una sorta d'immortalità attraverso la rinascita continua in corpi materiali sempre nuovi: ogni esistenza è così legata indissolubilmente alle infinite esistenze precedenti e a quelle future, in una catena inestricabile di sofferenza che il saggio deve necessariamente spezzare.
In questo indirizzo di pensiero trova posto anche l'altro concetto portante della tradizione indiana, quello di karma, la conseguenza etica indotta dal complesso delle azioni che l'individuo compie in ciascuna esistenza, determinando inesorabilmente la sua condizione nell'esistenza successiva, secondo una logica di premio e di punizione: la condotta in vita porta con sé la possibilità di rinascere sotto forma di animale, oppure di uomo, di demone, di divinità. Prendendo atto della presenza ineluttabile del karma nell'infinita vicenda umana, il Buddha ravvisa nell'aspirazione a una vita di ordine superiore il legame che determina - pur nella forma di un impegno etico e religioso volto al nobile fine dell'accumulo dei meriti - l'attaccamento all'azione con il conseguente carico di sofferenza. Anche gli dei, che pure apparentemente vivono in uno stato di somma beatitudine, non sfuggono alla suprema legge dell'universo, all'incombere della morte e alla possibilità di reincarnarsi in un essere inferiore: essi sono privi di ogni capacità di influire fattivamente sul destino degli uomini, le cui preghiere e sacrifici si rivelano assolutamente inefficaci, meramente utili a perpetuare, con la speranza illusoria nel valore delle azioni, la sottomissione a un karma di dolore. L'illusione domina ancor più beffardamente le stesse divinità che, inconsapevoli della realtà incombente anche su di loro, non avvertono neppure la possibilità di raggiungere la salvezza autentica per mezzo dell'illuminazione: solo gli uomini, vicini come sono alle manifestazioni più concrete del dolore, possono sperare di prendere coscienza delle sue cause e di ottenere l'illuminazione unica e definitiva che ponga fine al ciclo infinito delle rinascite.
Il fine ultimo dell'uomo che segue il cammino di salvezza suggeritogli dal Buddha è il raggiungimento della condizione suprema del nirvana, l'estinzione di ogni desiderio e la libertà da ogni forma di condizionamento materiale e psicologico: ottenuta questa illuminazione interiore, il saggio prosegue il cammino della sua esistenza terrena liberandosi gradualmente del carico del karma che lo lega al corpo materiale e preparando la strada alla liberazione definitiva, la condizione del parinirvana, il nirvana definitivo, l'annientamento totale che coincide con il momento della morte. Raggiungibile teoricamente da tutti i fedeli, questa condizione di beatitudine eterna è posta più realisticamente, già nella prima fase dello sviluppo del buddhismo (soprattutto dai maestri della scuola Theravada), come meta principale soltanto per i membri della comunità monastica. Questi ultimi devono mirare a ottenere l'illuminazione e a essere venerati come arhat, saggi giunti allo stato di perfezione al termine del lungo cammino sulla via dell'Ottuplice sentiero. Agli altri fedeli non resta che rassegnarsi all'accumulo di meriti che consente, attraverso l'osservanza, nel corso della lunga vicenda delle rinascite successive, della legge morale - non uccidere, non rubare, non pronunciare menzogna, non fare uso di sostanze inebrianti e non abbandonarsi al disordine sessuale - di reincarnarsi finalmente nella condizione di monaco per compiere il passo decisivo verso la liberazione.

I concili e le scritture
Avendo il Buddha rifiutato di scegliere un successore come guida autorevole della comunità, subito dopo la sua morte si rese necessario procedere alla definizione di alcuni principi che garantissero l'unità fra i monaci e la corretta trasmissione degli insegnamenti del fondatore, diffusi unicamente in forma orale: a questo scopo vennero convocate assemblee note come "concili buddhisti", il primo dei quali si tenne a Rajagrha (oggi Rajgir) pochi anni dopo la scomparsa del Buddha per precisare soprattutto le regole della disciplina monastica.
L'intento normativo prevalse anche un secolo più tardi, nel concilio riunitosi a Vaißali per dichiarare l'inammissibilità di alcuni comportamenti, come l'utilizzo del denaro e l'assunzione di bevande inebrianti, ritenuti leciti da diversi gruppi di monaci; la terza assise, convocata dal re Aßoka a Pataliputra (oggi Patna) nel III secolo a.C. si proponeva invece esplicitamente di purificare la comunità (che godeva ormai della protezione regia) dalla presenza, oltre che di tendenze dichiaratamente eterodosse, di numerosi individui bollati come "falsi monaci" che vennero immediatamente allontanati. Questa assemblea, che decise di inviare missionari al di fuori dell'India, segnò un momento decisivo per la diffusione del buddhismo.
Un quarto concilio, tenutosi intorno al 100 d.C. a Jalandhar, o in un'altra località del Kashmir sotto l'egida del re Kaniska, rivelò in modo ormai evidente la presenza in seno alla comunità di diverse tendenze che il dibattito precedente non aveva saputo armonizzare. In modo particolare era divenuto insanabile il contrasto fra i monaci (detti in sanscrito Sthavira e in lingua pali Thera). Un gruppo, gli "antichi" (Thera, appunto) - da cui il nome Theravada utilizzato per identificare la loro scuola - propugnavano la stretta osservanza delle regole stabilite dal Buddha, mentre i membri della mahasanghika, cioè "grande assemblea", erano favorevoli ad accogliere istanze diverse in campo disciplinare, soprattutto per quanto concerne il ruolo dei laici, e in campo dottrinale interpretavano in modo tutto nuovo la figura del fondatore. Questa quarta assise non riuscì comunque nell'intento di conciliare gli orientamenti delle due correnti, e la tradizione Theravada ne rifiuta addirittura l'autenticità, richiamandosi più volentieri al concilio di Pataliputra.
La scuola Theravada si ritiene inoltre custode di quei testi sacri del buddhismo che, trasmessi dapprima in forma orale e redatti in forma scritta intorno a I secolo a.C., costituirebbero, secondo la tradizione, il resoconto fedele delle parole del Buddha riguardo ai più diversi argomenti dottrinali e disciplinari. Questa raccolta di scritture canoniche sopravvive in lingua pali, uno degli idiomi che già prima dell'era volgare incominciarono a sostituire il sanscrito nell'uso comune, ed è nota con il nome di Tripitaka, cioè "Tre canestri", che indica la divisione in tre sezioni fondamentali: il Sutta pitaka, raccolta di discorsi, il Vinaya pitaka, codice di disciplina monastica, e l'Abhidhamma pitaka, scritto sistematico di natura filosofica. Il Sutta pitaka, composto essenzialmente di dialoghi fra il Buddha e diversi interlocutori, si divide a sua volta in cinque sottosezioni: Digha nikaya (Raccolta dei discorsi lunghi), Majjhima nikaya (Raccolta dei discorsi di media lunghezza), Samyutta nikaya (Raccolta dei discorsi l'un l'altro connessi), Anguttara nikaya (Raccolta di discorsi disposti in serie numerica) e Khuddaka nikaya (Raccolta di discorsi brevi), che contiene fra l'altro i popolari Jataka, ovvero le narrazioni delle vite anteriori del Buddha, e il Dhammapada (Versi della legge), esposizione sommaria degli insegnamenti filosofici e morali del maestro.
La disciplina che i monaci e le monache devono osservare è esposta nelle 227 regole del Vinaya pitaka, accompagnate ciascuna da un racconto, che ne illustra l'origine e lo scopo, e dalla minaccia della punizione prevista per chi osi infrangerle. Sette opere distinte compongono invece l'Abhidamma pitaka, che presenta in termini squisitamente tecnici un'analisi della struttura metafisica della realtà e una fenomenologia dell'attività psicologica, affiancando a questi trattati di alto spessore speculativo una sorta di lessico delle espressioni maggiormente rilevanti a livello concettuale. Accanto alle scritture canoniche, il buddhismo Theravada riconosce grande autorità ad altri due testi: il Milindapanha (I quesiti del re Milinda), opera risalente al II secolo a.C. che espone gli insegnamenti del Buddha sotto forma di dialogo fra il celebre re indoellenico Menandro (pali: Milinda) e il monaco Nagasena, e il Visuddhimagga (Via alla purezza), il capolavoro redatto nel V secolo a.C. da Buddhaghosha, il più famoso fra i divulgatori antichi della dottrina buddhista.

Theravada, Mahayana, lamaismo
Cogliendo in termini estremamente sintetici i dati di una situazione che nella sua evoluzione storica dovette essere certamente alquanto complessa, si può considerare la corrente Theravada e le undici scuole uscite da essa, come l'unica sopravvissuta delle diciotto scuole che raccolsero nelle proprie file i monaci assertori della fedeltà assoluta agli insegnamenti autentici del Buddha storico, in contrapposizione alle rivendicazioni sostenute da quanti, riconoscendosi in una delle cinque scuole della grande comunità mahasanghika, attribuivano ai membri delle diciotto scuole una visione eccessivamente elitaria dell'appartenenza religiosa e una scarsa attenzione al destino dei laici.
Fra queste scuole, quelle vicine all'ambiente della grande comunità mahasanghika delinearono una nuova immagine del Buddha, identificando il fondatore come una delle manifestazioni storiche di un Buddha eterno e trascendente; egli sarebbe apparso sulla terra per comunicare all'umanità la via della salvezza. Innumerevoli Buddha, mossi a compassione per la miserevole condizione dell'umanità, avrebbero nobilitato con la loro presenza momenti diversi dell'infinita vicenda ciclica della storia del cosmo, degnandosi di assumere la natura umana come ultima tappa di un processo di spogliazione della propria essenza metafisica. I fedeli devono comunque essere in grado di cogliere questa essenza, rivolgendo la loro attenzione, oltre che alle dottrine divulgate dall'ultimo dei Buddha storici, ai messaggi costantemente inviati all'umanità dalla schiera dei Buddha cosmici con le più diverse modalità della comunicazione mistica.
Di questa dottrina si sarebbe appropriata, precisandola ulteriormente, la seconda corrente fondamentale del buddhismo, quella Mahayana, che, emersa in seguito a vicende alquanto oscure fra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., si pone di fatto in continuità con il pensiero del mahasanghika, per quanto sia estremamente problematico non solo stabilirne l'origine dall'una o dall'altra scuola, ma anche precisare la zona in cui mosse i primi passi, identificata ora con le regioni meridionali e ora con quelle nordoccidentali del subcontinente indiano. La corrente Mahayana che, come logica conseguenza della sua concezione, non considera uniche scritture autorevoli quelle del canone pali - legate esclusivamente alla figura del Buddha storico - venera anche numerosi testi redatti in lingua sanscrita, come il Saddharmapundarika Sutra (Sutra del Loto della Buona Legge), l'Avatamsaka Sutra (Sutra della Ghirlanda) e il Prajnaparamita Sutra (Sutra della Perfetta Sapienza), e attribuisce grande importanza alla figura del Bodhisattva, il saggio che, al pari dell'arhat teorizzato dalla scuola Theravada, mira a ottenere l'illuminazione, ma, a differenza di quest'ultimo, ritarda il suo ingresso nella condizione beata del nirvana una volta raggiunto lo scopo supremo, prolungando la sua esistenza corporea al fine di comunicare agli uomini, oggetto della sua compassione, la via della salvezza.
I Bodhisattva rappresentano per i fedeli del buddhismo Mahayana figure da venerare profondamente, riconoscendo loro una dignità vicina per tanti aspetti a quella del Buddha storico. Quest'ultimo costituisce, nella forma di "corpo di trasformazione", soltanto una, e la più caduca, delle manifestazioni del "corpo dell'essenza", la natura più autentica del Buddha cosmico, pura e assoluta nella sua perfezione spirituale, superiore anche a quella del "corpo di beatitudine" da contemplare nello splendore dei cieli, dove egli è assiso per inviare all'umanità i suoi messaggi salvifici.
La moltiplicazione delle figure dei Buddha, venerabili in questa loro multiforme natura dei tre corpi (trikaya) accanto agli stessi Bodhisattva, ha fatto del buddhismo Mahayana una forma di espressione religiosa spiccatamente devozionale, rispetto alla rigida visione della scuola Theravada, che considera unicamente la figura del Buddha storico; essa ha inoltre preparato al successivo sviluppo di un indirizzo che, a motivo dell'utilizzo di pratiche e culti magici ed esoterici simili per tanti aspetti a quelli del tantrismo di matrice induista, si definisce come "buddhismo tantrico" e incorpora la base dottrinale del lamaismo impostosi, dal VII secolo d.C., in Tibet, in Mongolia e, con la scuola Shingon, in Cina e Giappone.

La diffusione
Fede di solide tradizioni missionarie, il buddhismo divenne ben presto religione ufficiale nello Sri Lanka, dove era stato introdotto, nella versione Theravada, fin dall'epoca del re Aßoka, che inviò nell'isola il figlio Mahinda e la figlia Sanghamitta. Di fede Theravada erano anche i mon, gli abitanti indigeni dell'area birmana e thailandese; i birmani adottarono questa confessione soltanto nell'XI secolo, con il re Anuruddha, dopo avere conosciuto la versione tantrica fin dall'849, anno della proclamazione di Pagan capitale del regno. Diffusosi fra i thai, giunti dalla Cina nel XII secolo, il buddhismo Theravada fu proclamato religione ufficiale della Thailandia un secolo più tardi dal re Sukhotai, mentre al XIV secolo risale la sua penetrazione nel Laos e in Cambogia, dove già dal II secolo conviveva più o meno stabilmente con l'induismo, come mostrano anche le rovine del celebre complesso monumentale di Angkor Vat, l'espressione più significativa dell'arte khmer.
Le diverse correnti del buddhismo si diffusero in Cina fin dal I secolo d.C. come pratica filosofica dell'élite intellettuale, sensibile alla predicazione di maestri indiani quali Kumarajiva che, giunto in Cina nel 401, favorì l'opera di traduzione in lingua cinese dei testi sacri. Esse raccolsero numerosi seguaci, fino al prevalere definitivo della visione Mahayana sotto le dinastie Sui (589-618) e Tang (618-907). In questo periodo sorsero quattro scuole: la riflessione filosofica intorno al Saddharmapundarika Sutra costituisce il fondamento dottrinale della scuola nota con il termine giapponese Tendai, mentre l'Avatamsaka Sutra rappresenta il testo fondamentale della scuola Huayan a cui si affiancano l'indirizzo della Terra Pura, incentrato sulla venerazione del Buddha Amitabha, e quello Chan (Zen in giapponese).
Fortemente indebolito dalla persecuzione dell'845, il buddhismo non scomparve mai totalmente dalla Cina e conobbe una certa ripresa all'epoca della dinastia Yuan (1279-1368), dopo essere stato adottato come religione di stato dalle vicine compagini politiche che precedettero l'unificazione della Corea nel periodo Koryo (918-1392), epoca di massimo fulgore della fede Mahayana, poi subordinata al confucianesimo con la dinastia Yi (1392-1910). Sottomesso alla Cina fino al X secolo, anche il Vietnam accolse la tradizione Mahayana, diffusasi nelle epoche successive fino alla forte penetrazione del XVIII secolo, con la formazione di numerose scuole locali.
Giunto in Giappone dalla Corea (verosimilmente fra il 538 e il 552), il buddhismo fu proclamato religione di stato nel 593 dal principe Shotoku, e conobbe un notevole successo in epoca Nara (710-814) e Heian (794-1185), con lo sviluppo delle diverse scuole, fra le quali quella Tendai, introdotta dal monaco Saicho e successivamente riformata dai fautori degli indirizzi della Terra Pura e dello Zen; essi riscossero grande popolarità accanto alla scuola tantrica dello Shingon, fondata dal monaco Kukai, e a quella, sorta in epoca Kamakura (1185-1333), di Nichiren. Per quanto concerne il Tibet, il cammino che fece acquisire al Mahayana il suo carattere essenzialmente tantrico fin dal VII secolo ebbe fra i protagonisti principali il maestro Padmasambhava (metà VIII secolo), codificatore dei tratti fondamentali della dottrina poi diffusa dai lama.

Le pratiche tradizionali e le tendenze recenti
La tradizione più antica identifica i fedeli del Buddha con i membri di una comunità di carattere essenzialmente monastico; la ben nota immagine del monaco dalla testa rasata, vestito di una tonaca arancione senza cuciture, evoca tuttora il seguace di questa religione e della sua disciplina, che conserva i suoi aspetti caratteristici nonostante i mutamenti e gli adattamenti certamente sopravvenuti nel tempo: i monaci oggi non sono più itineranti come in origine, ma seguono tendenzialmente (almeno nella tradizione Theravada) tutte le norme previste dagli scritti canonici. Osservano il celibato e l'obbligo di vivere unicamente di elemosina, disposizioni, queste, abrogate da alcune scuole giapponesi che permettono ai religiosi il matrimonio. Queste scuole impongono ai monaci, come fa lo Zen, di provvedere al proprio sostentamento per mezzo del lavoro agricolo.
Membri della comunità sono considerati anche i laici, che condividono con i monaci e con le monache la professione di fede riassunta nella formula: "Io prendo rifugio nel Buddha, nel dharma (la dottrina, la legge del Buddha) e nel sangha (la comunità)". Sebbene il buddhismo non preveda alcun tipo di culto ufficiale, ponendosi piuttosto come filosofia di vita per il singolo, la venerazione del Buddha ha trovato comunque espressione in forme popolari, come testimoniano gli stupa, i tempietti votivi a forma di cupola che fanno parte del paesaggio urbano nei paesi buddhisti e che accolgono le reliquie dell'"illuminato", oggetto di una devozione molto sentita, come nel caso del dente del Buddha custodito a Kandy, nello Sri Lanka. Ai festeggiamenti che nei paesi di fede Theravada sono noti con il nome del mese (Vesakha) in cui Siddharta sarebbe nato, si affiancano i rituali più elaborati della tradizione Mahayana, con le immagini dei molteplici Buddha e Bodhisattva sempre pronti a ricevere le offerte (fiori, frutta, incenso) dei fedeli non solo nei templi, ma anche su altari domestici.
Il buddhismo rimane ancora vitale nei paesi dell'Asia orientale, soprattutto in Thailandia e in Birmania, per quanto abbia dovuto affrontare, quale conseguenza del rapido processo di occidentalizzazione, alcune delle istanze tipiche di una società moderna: alcuni monaci, infatti, si sono impegnati in prima persona in progetti volti a migliorare la condizione delle classi più umili. La loro attività ha l'esplicito fine di smentire le accuse di quanti considerano il buddhismo una fede essenzialmente passiva che si mostra insensibile alle miserie dell'umanità, considerate parte di un destino ineluttabile. Una conferma significativa di questo mutato atteggiamento si è verificata fin dal 1956 in India, dove il numero dei fedeli era costantemente diminuito fin dal XII secolo, con la conversione di oltre tre milioni di individui appartenenti alla casta più bassa della tradizione induista, quella dei cosiddetti "intoccabili".

Filosofia per sua natura nemica di ogni visione materialistica, il buddhismo ha subito restrizioni, e talora anche vere e proprie forme di persecuzione nei paesi retti da regimi comunisti; le difficoltà maggiori sono sorte in Cina, paese la cui classe dirigente ha mostrato chiaramente, dopo l'annessione del Tibet e l'esilio del Dalai Lama nel 1959, la propria ostilità, in particolare al lamaismo, ma in generale a ogni altra forma di questa tradizione religiosa. Molto attivo è invece da alcuni decenni il buddhismo giapponese, che ha conosciuto la nascita di numerose nuove scuole, come la Soka Gakkai ("Società per la creazione dei valori") sorta dalla scuola Nichiren e caratterizzata da una solida organizzazione soprattutto per quanto concerne le tecniche di proselitismo e l'utilizzo dei mezzi di comunicazione per una forma di propaganda capillare. Dal 1956 essa creò un "partito del buon governo", espressione concreta di un'ideologia che promette ai suoi fedeli felicità materiale e spirituale in questo mondo, trasfigurato in una sorta di paradiso terrestre. L'indirizzo Soka Gakkai ha acquisito, insieme allo Zen e ad altre scuole buddhiste, una certa notorietà anche in Occidente, dove ormai da alcuni decenni l'interesse per questa religione si esprime sia nel rinnovato fervore di studi, condotti soprattutto in chiave di accostamento comparativo con la tradizione filosofica occidentale, sia in forme di adesione più o meno ufficiale, limitate comunque a cerchie alquanto ristrette.
Buddha. Fondatore del buddismo. Le notizie sulla sua vita, non tenendo conto delle numerose leggendarie biografie, tutte molto posteriori, sono desunte dai Dipavamsa, una cronaca pali del IV sec. d.C., che enumera i re indiani dall'età di Buddha ad Asoka, re dei Magadha nel III sec. a.C. Buddha nacque in India, in una data che può essere posta intorno al 558 a.C., dalla nobile e ricca famiglia dei Sakya (i potenti) e morì nel 483 alle falde dell'Himalaya. Ebbe nome Siddhattha, ma nei testi è chiamato anche Gotama. Crebbe nel lusso e nello sfarzo e a 19 anni sposò una cugina, la quale gli diede un figlio, Rahula, per cui fu poi chiamata Rahulamata, la "madre di Rahula". Ma assillato dal problema del dolore, a 29 anni, con indosso la veste di asceta e di mendicante, abbandonò la sua casa per essere iniziato tra i maestri di yoga ad una vita di austero ascetismo. Dopo un'esperienza eremitica tra i boschi di Uruvela, una notte, sotto un albero di fico, scoprì l'origine del dolore nel mondo e la via che libera dalla "ruota della vita", la continua rinascita per espiare il male commesso nelle esistenze precedenti. Diventò così il Buddha, l'Illuminato
Non tenne per sé la scoperta, ma giudicò preferibile comunicarla agli uomini. Iniziò quindi, dopo il celebre discorso di Benares a cinque anacoreti, un pellegrinaggio per tutta l'India, attirando numerosi proseliti, tra cui alcuni discepoli che organizzò a modo di monaci. Più tardi permise, sia pure a malincuore, che si formasse anche un ordine di monache.
Morì ad ottant'anni, vittima d'un cibo indigesto. Era sulla via di Kusinagara, quando un fabbro gli offrì dilla carne grassa di maiale o, secondo alcuni, dei funghi. Preso da dolori s'abbandonò in un boschetto e si spense assistito dai discepoli, fra i quali vi era Ananda. I Malla, signori di Kusinagara, fecero cremare il cadavere con gli onori dovuti ad un dominatore del mondo. Sopra le sue ceneri venne eretto lo stupa, un tumulo contenente alcune reliquie. Le ultime parole rivolte ai discepoli sarebbero state: "Cercate la vostra redenzione".
I testi pali, per quanto siano tra i più antichi, sono ben lontani dal costituire un documento storico e perciò è difficile distinguere in essi gli elementi reali da quelli leggendari. Così le notizie sulla fine di Buddha sono contenute nei Maha-parinibbana-sutta, compilati molto dopo la sua morte. Alcuni studiosi avanzarono addirittura l'ipotesi che Buddha non sia mai esistito e che la sua figura sia il ricordo d'un precedente dio solare. Due scoperte archeologiche relativamente recenti (del 1896 e del 1898) hanno però definitivamente escluso che Buddha sia un mito o una creazione leggendaria. Nel 1896 fu riportata in luce la colonna che l'imperatore Asoka eresse a Lummini (attuale Rummin-dei nel Nepal). Due anni dopo il Peppé scoprì a Piprava, sempre nel Nepal, un tumulo nel quale fu ritrovato un vaso di pietra con frammenti di ossa ed altre reliquie, sul quale era incisa la seguente iscrizione circolare in lingua asoka: "Dei fratelli Sukiti, con le loro sorelle, figli e mogli, questa (è l') urna delle reliquie di Buddha, unico sacro dei Sakya". L'analisi linguistica e grafica ha permesso con sicurezza di stabilire che lo scritto venne redatto nel periodo in cui è posta la vita di Buddha.

Iconografia.
Uscendo fuori dall'India, il buddismo ebbe una funzione di unificazione culturale e spirituale dei popoli asiatici, dando luogo nei vari paesi a manifestazioni artistiche che, per quanto tra loro differenziabili negli aspetti locali, hanno però una comune ispirazione religiosa. Il concetto di transumanazione riferito a Buddha per cui Siddhattha, essendo divenuto il Buddha in virtù dell'illuminazione, era partecipe del nirvana, cioè d'un mondo ultraterreno, portò le varie scuole teologiche, spinte anche dalla necessità di stabilire una verità inoppugnabile di Buddha, a sempre più disumanizzarlo. Si evitò di raffigurarlo in vesti umane e si tese a rappresentarlo con simboli o segni capaci di suggerire la sua presenza: tra questi vi è l'albero per la scena dell'illuminazione, le orme dei piedi, il trono vuoto ed altri oggetti che in qualche modo potevano essere associati con lui.
La devozione delle reliquie (sararika), iniziata con la distribuzione dei frammenti di ossa ai discepoli dopo la cremazione del maestro, portò al culto dello stupa, il tumulo funebre. Questo varia di misura secondo le classi sociali e si ritrova anche in culti precedenti al buddismo. Più tardi gli stupa, man mano che il buddismo s'irrigidiva negli schemi teologici e di casta, si svilupparono nel senso d'una architettura complessa, d'un barocchismo pesante tendente a colpire ed intimidire col suo fasto il fedele. Gran parte di questi templi venivano del resto fatti costruire da dinasti che tentavano di distinguersi dai propri sudditi identificandosi nel Buddha A Lummini, a Bodh-Gaya, Sarnath e Kusinagara, cioè nei quattro luoghi dove si svolsero le tappe fondamentali della storia di Buddha (dove nacque, dove ebbe l'illuminazione, dove mise in moto la ruota della legge e dove morì), sorsero degli stupa che diventarono meta di pellegrinaggi. A questi poi s'aggiunsero altri stupa a Sankasya, Sravasti, Vaisali e Rajagraha, quattro località dove si verificarono eventi prodigiosi dopo la morte di Buddha.
In tempo posteriore agli stupa e in reazione alla precedente figurazione simbolica del Buddha, sorse il culto dell'immagine di esso che, secondo una leggenda, l'Illuminato stesso aveva mostrato, proiettando la propria ombra su una stoffa. La leggenda della proiezione fu inventata per significare che Buddha non s'opponeva al culto della propria immagine. Dapprima si rappresentò il Buddha con l'abito monacale, poi accanto a lui comparvero i bodhisattva, cioè quelli raggiunti dall'illuminazione e destinati essi stessi a diventare Buddha.
Le manifestazioni dell'arte buddistica sono innumerevoli e di tutte le epoche. E' un'arte complessa, che si svolge attraverso i secoli parallelamente alle trasformazioni delle tradizioni e civiltà asiatiche.




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