Eduardo Ambrosio


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ISLAMISMO

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ISLAMISMO
[dall'arabo islam, sottomissione totale alla volontà divina]

L'Islamismo si sviluppò in stretta connessione con le vicende e attività personali del suo fondatore, diventando prima espressione culturale di una comunità politica, e poi, dopo aver fomentato la spettacolosa espansione araba, la religione di un'imponente massa di fedeli e una delle tre grandi religioni universalistiche moderne (le altre due sono il cristianesimo e il buddismo).
L'Islamismo nasce nella prima metà del sec. L'ambiente, l'Higiaz, era religio-samente caratterizzato da culti e credenze che l'Islamismo stesso, sulla falsariga della polemica antipoliteistica ebraica e cristiana, definisce politeistiche. C'è da dubitare dell'esistenza di un politeismo vero e proprio, anche se vigeva un termine, Allah, che in altre lingue semitiche significava "dio" (el, ilu, ecc.).
D'altra parte non si possono neppure attribuire alla fase preislamica della cultura araba condizioni di tipo primitivo: il Paese confinava pur sempre con civiltà superiori, quali l'Impero romano d'Oriente e l'Impero persiano; e comunque si sa di una diffusione sia da parte ebraico-cristiana sia da parte mazdea di un vago indirizzo monoteistico, al quale si adeguavano coloro che gli Arabi stessi chiamavano hanifin, praticanti, prima dell'Islamismo, una vita religiosa diversa dalle masse legate alle religioni tribali. In questo ambiente Maometto cominciò a predicare la nuova religione, che egli presentava come una rivelazione fattagli direttamente da Dio. In veste di profeta (rasul) Maometto conseguì successi nella sua città natale, La Mecca, ma trovò anche un'opposizione politica; perciò si trasferì nell'altro importante centro dell'Higiaz, Yatrib, che per gli islamici divenne la Città per antonomasia, ossia Medina. Il 622, l'anno del "distacco" (hijra, egira) dalla Mecca, segnò ufficialmente la nascita della nuova religione, secondo la tradizione islamica che da quell'anno fa decorrere la propria era, rinunciando alla cronologia cristiana.
Il messaggio di Maometto è contenuto in un libro sacro, il Corano, dal quale emerge la credenza in un dio unico, onnipotente e personale, Allah. Le sue ca-ratteristiche, più che da un'elaborazione teologica, emergono dalle istruzioni e dalle rivelazioni che Allah fornisce al suo Profeta di volta in volta, secondo le di-verse contingenze, a volte persino in contraddizione con quanto disposto in pre-cedenza.
Allah si esprime ai livelli più diversi: ora reclama la conversione degli uomini in vista del Giudizio universale, e ora dà disposizioni per la soluzione di una controversia d'ordine legale o amministrativo. Questa mancanza di una teologia sistematica si spiega con l'iniziale adesione teorica al dettato biblico, per cui non si aveva tanto la coscienza né il proposito di fondare una nuova religione, quanto l'idea di rinnovare la prassi religiosa, così come risultava dall'esperienza ebraico-cristiana. Il rinnovamento, pertanto, non era contenuto nei limiti della forma religiosa, ma acquistava i caratteri di una rinascita culturale della nazione araba.
Attraverso l'Islamismo la nazione araba prese coscienza di sé e si confrontò col mondo in un processo espansionistico che nel termine di pochi decenni la portò a conquistare una larga zona dell'ecumene. Per quanto riguarda il culto, l'islamismo non è caratterizzato tanto dai riti, quanto dall'adesione totale alla volontà di Dio. Non che abbia eliminato il ritualismo proprio a ogni forma di religione, ma non lo ha codificato in termini eccessivamente ristretti, o meglio non ha esercitato un reale sforzo di codificazione delle pratiche rituali più diverse che gli sono venute sia dalla tradizione araba, sia da certi dettati coranici e sia dalle tradizioni dei popoli conquistati. La precettistica culturale si riduce ai co-siddetti "cinque pilastri" della fede: la professione di fede, il versamento della "decima" alla comunità, l'esecuzione delle cinque preghiere giornaliere, il digiuno del mese di ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca. La preghiera è un'espressione della dedizione a Dio; è un'affermazione dell'Islamismo di portata cosmica: cinque volte al giorno, alla stessa ora, con gli stessi gesti, e rivolti nella stessa direzione (La Mecca), tutti "coloro che praticano l'Islamismo" (muslim, musulmano) confermano l'esistenza di Dio e la loro propria esistenza come corpo mistico indivisibile. Il venerdì, il giorno sacro scelto da Maometto per distinguersi dagli ebrei celebranti il sabato e dai cristiani celebranti la domenica, si prega collettivamente nella moschea: la funzione, introdotta da una predica, per essere valida deve essere celebrata alla presenza di almeno 40 uomini. Il digiuno, accompagnato dall'astinenza sessuale, distingue il mese "sacro" di ramadan, come il mese che fonda l'anno (e il mondo). Il ramadan è il mese in cui Dio ha inviato la rivelazione al Profeta, e pertanto va distinto con un com-portamento ritualizzato. Al riguardo si ricorda che digiuno e astinenza sessuale non vanno intesi tanto come "rinunce" in onore di Dio, quanto come rovescia-mento dell'ordine usuale; infatti il divieto di mangiare e di avere rapporti sessuali vale soltanto per le ore diurne, mentre di notte tutto è permesso, come a significare che l'attività mondana, normalmente svolta di giorno, in questo pe-riodo eccezionale si svolge di notte. Il pellegrinaggio alla Mecca, che ogni musulmano deve compiere almeno una volta nella vita, è la continuazione, in chiave islamica, di un antico culto pagano che si prestava a una pietra nera racchiusa in una costruzione cubica (Ka'ba) della città. Proprio a questo culto La Mecca doveva la sua importanza religiosa nel mondo arabo preislamico e, d'altra parte, proprio questa importanza fu decisiva per la nascita e il primo sviluppo dell'islamismo.

La religione: la dogmatica
Si richiama a tre fonti: il Corano (rivelazione esplicita), la Sunnah o la tradizione sul com-portamento di Maometto (rivelazione implicita) e il consenso della comunità.
La formula più nota che sintetizza la credenza islamica è la shahadah: "Non vi è altro Dio al di fuori di Dio e Maometto è il suo Profeta". Tra Dio e gli uomini agiscono come esseri intermedi gli angeli che Dio ha formato di luce; non hanno sesso e trascorrono il tempo nella lode di Dio in Cielo. È un angelo, e precisa-mente Gabriele, che ha avuto il compito di trasmettere a Maometto la rivelazione divina. Il diavolo (Iblis) è un angelo decaduto per non aver voluto adorare Adamo. Di derivazione pagana è la credenza in certi spiriti, detti ginn. Nel campo d'azione profetica, si distingue tra profeti e inviati: i primi hanno avuto il compito di conservare il vero culto e i secondi quello di trasmettere la rivelazione. Maometto è l'ultimo Profeta-inviato di una serie che nel Corano è di 25 ma che, secondo la tradizione, raggiunge la cifra di 124.000. Maometto, quale ultimo e definitivo Profeta-Inviato, viene detto nel Corano stesso Khatam (Suggello). Gesù Cristo viene interpretato come un Inviato. La credenza nell'immortalità dell'anima è fondamentale; a essa consegue una rappresentazione dell'aldilà come Paradiso (Giannah o Firdaus) e come Inferno o Geenna, a cui si è destinati secondo i meriti conseguiti in vita.
Dato che con l'Islamismo nasce non soltanto una religione ma una completa unità culturale, con dimensioni, pertanto, anche socio-politiche (oltre che artistiche, letterarie, ecc.), non fa meraviglia che il suo sviluppo sia condizionato da rivalità e lotte politiche, nelle quali il problema del potere temporale coincideva con quello del potere spirituale. La carica di califfo, ossia di capo dell'Islamismo, fu contesa tra due grandi famiglie, quella degli Omniadi e quella degli Alidi, finché si giunse a una scissione del corpo islamico in due grandi parti con conseguenze di grandissima portata anche per la definizione della fede. Il partito degli Alidi diede forma all'eresia sciita (Shi!a*) la quale col tempo assimilò ed elaborò ideologie di varia provenienza, estranee all'Islamismo originario. L'unità culturale islamica si espresse anche come un sistema di leggi, fomentando l'azione di giureconsulti che si svolse parallelamente all'azione teologica vera e propria, talvolta addirittura intralciandone il passo. Le questioni teologiche più dibattute furono: il libero arbitrio, che nell'ortodossia fu parzialmente negato in favore della predestinazione; la validità delle leggi naturali e delle spiegazioni razionali riguardo ai principi islamici. Più per contrasto alle elaborazioni giuridiche e teologiche, che non contro i principi generali dell'Islamismo, che di per sé è già completa dedizione a Dio, sorgono le formazioni mistiche islamiche. I mistici islamici - detti sufi, donde sufismo, il misticismo islamico - si ritiravano dal mondo per dedicarsi alla contemplazione di Dio, mediante ascesi e mortificazioni. Attorno a essi in qualche modo si polariz-zava la religiosità del popolo, in un alone di stima e venerazione. Considerati come "santi", se ne venerarono le tombe; e, come maestri, si formarono attorno a loro gruppi di discepoli che, a partire dal sec. XIII, diedero luogo a veri e propri ordini monastici.
Nel fenomeno generale del misticismo va compresa l'azione di quei santoni, noti col nome di dervisci, che raggiungevano l'estasi mediante danze estenuanti, musiche, autoferimenti, e ripetizione meccanica di formule sacre. Al misticismo pratico si deve aggiungere il misticismo filosofico o teologico, e soprattutto quello poetico, che ha dato vita a una letteratura i cui influssi, come espressione assoluta di religiosità, sono rinvenibili a tutti i livelli e in ogni particolare indirizzo della religione.

IL SISTEMA POLITICO
È strettamente connesso al sistema religioso. L'insegnamento del Corano dirige tutto l'orientamento politico del mondo musulmano e gli impone le sue norme.
I due concetti più interessanti di questo sistema sono quelli della guerra santa e del califfato. La guerra santa (gihad) è l'elemento dinamico della storia islamica; attraverso di essa si realizzarono l'impero islamico, l'espansione della fede sino a confini lontanissimi, la diffusione della civiltà arabo-islamica in molte parti del mondo. La gihad è considerata dai musulmani come il sesto pilastro della fede da aggiungere ai cinque fondamentali; ma, a differenza di questi, non costituisce un dovere personale per ogni credente, bensì un dovere collettivo: il precetto si può ritenere adempiuto quando tutta la comunità o almeno una parte di essa si impegna valorosamente in una guerra contro gli infedeli. Il dar al-islam (territorio dell'ISLAMISMO) è il territorio appartenente ai seguaci della vera fede; tutto attorno si stende il dar al-harb (territorio di guerra) che, dove fosse possibile, sarebbe doveroso trasformare in dar al-islam. I nemici che si convertono alla fede islamica sono accolti nella comunità dei fedeli; sugli altri si esercita o la "conquista "conquista per forza" o la "conquista per trattato". In questo secondo caso, i "popoli del Libro" (ebrei e cristiani) divengono "protetti", pagando un'imposta fondiaria; più tardi, questa concessione si allargherà anche agli idolatri. I "protetti" conservano il possesso della terra e il diritto di praticare il loro culto. La comunità musulmana, considerata un tutto unico, è retta da un khalifa o imam (califfo), che è il successore o meglio il "vicario" di Maometto, non già nell'insegnamento religioso (che il Corano esaurisce), bensì nell'esercizio di funzioni politiche e giudiziarie, ambito nel quale la sua autorità è illimitata.

IL DIRITTO
Comprende la Sheriah (legge religiosa) regolatrice del comportamento esterno del fedele verso Allah, verso se stesso e verso il prossimo; il fiqh', comprensivo del diritto delle persone, familiare, successorio, patrimoniale, , giudiziario e penale, locale con un'appendice riguardante il rituale religioso (giuramenti, voti, animali per il sacrificio, cibi e bevande leciti e illeciti, vesti e costumanze da evitare). Autore di questo diritto fu Maometto, che dopo la sua emigrazione (egira) dalla Mecca a Medina (622), provvide di volta in volta a dare le norme necessarie alla vita sociale del sorgente gruppo dei nuovi credenti: norme di carattere giuridico, giuridico, ma sempre emanazione della sua missione di "profeta di Allah", h", portanti il segno della "parola di Dio", di cui egli aveva raccolto la rivelazione. L'osservanza della legge non era solo un dovere civile, ma anche religioso e il potere legislativo non era compito del sovrano ma dei dottori (ulama, preti della legge). Su questi presupposti si fondava il principio cuius religio eius lex, la confessione religiosa cioè determinava la personalità del diritto. Il diritto musulmano non conosce confini di Stato, ma si applica, unico e identico, ovunque esista una comunità musulmana. In questa dilatazione a confini esclusivamente religiosi cadono i concetti di nazione e di cittadino. Per gli individui di altra religione conviventi con i musulmani, la legge islamica imponeva il rispetto dei diritti dei fedeli musulmani a esso adeguando la libertà di professare la loro fede religiosa e di agire in conformità di questa. Di qui le numerose giurisdizioni confessionali esistenti nel mondo musulmano. Il principio coranico della fratellanza faceva tutti i musulmani uguali davanti alla legge; solo gli schiavi subivano qualche restrizione, ma in misura lieve e frequenti sono le raccomandazioni per la loro liberazione; nei processi sulle formalità, ridotte al minimo indispensabile, prevaleva la benevolenza e si ricercava con insistenza l'intenzione con cui l'individuo aveva agito e su quella ci si basava per giudicare.
Anche nei contratti, tutti bonae fidei, prevaleva la preoccupazione morale: era rigorosa-mente vietata l'usura ed erano favorite le fondazioni pie. Elementi costitutivi di questo diritto erano le consuetudini vigenti prima di Maometto fra le popolazioni cittadine dell'Arabia nord-occid. e le modifiche e innovazioni da lui apportatevi: si trattava però di un materiale inorganico, per cui se ne fece presto una sistemazione che a cinquant'anni dalla morte del Profeta appare già realizzata per quanto riguarda gli elementi fondamentali. La rapida espansione dell'islamismo lo mise in contatto con concezioni nuove (ideologie greco-romane e persiane) e i dottori musulmani cercarono nell'insegnamento e negli atti di Maometto gli elementi per ridurre nello spirito musulmano norme e consuetudini di questi popoli: p. es., il trattamento riservato dal Profeta agli ebrei fu preso a base della posizione giuridica fatta ai sudditi non musulmani per la proprietà fondiaria e i tributi Insegnanti e interpreti del diritto erano i dottori, i quali, senza alcun carattere ufficiale, raccoglievano attorno a sé scolari e diventavano dei veri capiscuola. I più insigni fra loro diedero vita a scuole, molte delle quali scomparvero in breve tempo, lasciando spazio, nell'ambito dell'ortodossia, a quattro principali: hanafita, fondata da Abù Hanifah (m. 767) e fiorente nell'Asia centr. fra le popolazioni turco-tartare; malikita, fondata da Malik ibn Anas (m. 795), diffusasi nell'Africa sett., nella Mauritania e nel Sudan; schafeita, fondata da Muhammad ammad ash-Shafi'i (767-820), la cui zona d'influenza si localizzò in Somalia, Etiopia, Ciad, Kenya, Tanganica e nel delta egiziano; hambalita, , fondata da Ahmed Ibn* Hanbal (780-855) che fiorì nell'Iraq centr. e merid., in Siria, nell'Arabia centrale. Fra gli eterodossi le maggiori scuole furono: gia'fari, probabilmente dovuta a Gia'far as-Sadiq (m. 765), riconosciuta dagli sciiti imamiti e ismailiti della Siria, dell'India, dell'Iraq, del Libano e della Persia; zaidita, attribuita a Zaid ibn 'Alì e diffusa nello Yemen centr.; ibadita, risalente ad 'Abd Allah ibn Ibâd e fiorente in Algeria, Tunisia, Zanzibar. Le differenze fra le varie scuole sunnite (od ortodosse) dipendono dal periodo in cui si formarono e non intaccano la vera sostanza dell'ortodossia, al punto che viene ammesso che il seguace di una scuola possa in una particolare questione seguire l'insegnamento di un'altra. In particolare si può dire che la differenza principale sta nel metodo seguito dalle varie scuole e l'osservazione vale anche per quelle eterodosse. Per tutte il fondamento del diritto è dato: dal Corano; dalla Sunnah, cioè il complesso delle tradizioni canoniche sui detti (e i silenzi) e i fatti di Maometto;
Maometto; dall'igma, ossia l'accordo che su un tema particolare si stabilisce fra i vari dot-tori; dal qiyas, ossia le deduzioni tratte dai dottori della legge dalle tre fonti precedenti. Il califfo e i sovrani musulmani minori erano stati estranei a tutto il movimento delle scuole, limitandosi a scegliere una scuola piuttosto che un'altra per i loro territori (scelta d'altronde determinata dalla presenza più o meno cospicua dei seguaci di una scuola fra i propri sudditi) e nel dettare istruzioni ai qadi per la casistica lasciata libera dai dottori. Solo in età moderna questo ambito si è notevolmente esteso nei contatti sempre più complessi con il resto del mondo: sono così decadute le norme per il sistema fiscale, la legge del taglione, le pene stabilite dal Corano per il foro interno. Essendo pertinenza del sovrano tutta l'amministrazione della giustizia, con l'allontanarsi nel tempo dalle fonti originarie, anche nel campo legislativo si creò una doppia giurisdizione, l'una lasciata al sovrano per le questioni che non richiedevano approfondimenti specifici, mentre queste ultime venivano attribuite al qadi. Nell'impero musulmano, alla fine del sec. XIX, il campo di giurisdizione del qadi fu ridotto al diritto di famiglia, successorio e allo stato delle persone. L'esempio fu seguito anche dall'Egitto e, con varianti, in Tunisia, nel Marocco, nella Siria, nel Libano e in Palestina. Con l'istituzione della Repubblica in Turchia, il diritto musulmano fu abolito (1926). La forza della tradizione musulmana invece è ancora molto efficace tra i Beduini, i Somali, i Cabili dell'Algeria e i Berberi del Marocco. L'introduzione della Costituzione in Egitto (1923), nell'Iraq (1924) e in Siria (1930) ha privato del diritto di legiferare i dottori musulmani a vantaggio dei Parlamenti. In Iran, dove la Costituzione laica si era avuta nel 1906, una forte opposizione ha costretto nel 1979 alla fuga lo Scià e si è costituita una Repubblica che ha ripristinato integralmente il diritto islamico.

L'ESPANSIONISMO ISLAMICO
La storia politica del mondo islamico si confonde ovviamente con quella degli Arabi in un pri-mo periodo che, per grandi linee, si conclude con il tramonto del califfato omayyade (750) . Ma già in quest'epoca, pur dominata dalla fede e dal valore militare degli Arabi, l'Islamismo si presentava con un credo orientato in senso universalistico e gli "islamizzati" non erano meno numerosi né meno fedeli a Maometto dei musulmani d'Arabia. Sin dal primo secolo dopo la morte del Profeta, il suo messaggio era arrivato all'Atlantico (Marocco) e alla Spagna da un lato, alla Persia e all'India dall'altro e pertanto non era più unicamente arabo né portato esclusivamente dagli Arabi. Il distacco tra il mondo arabo e quello, ben più vasto, che si può chiamare "islamico", si fece più evidente con l'avvento della dinastia degli Abbasidi. Arabi, anzi meccani, costoro inaugurarono un nuovo tipo d'impero che si fondava non tanto sulla superiorità degli Arabi quanto sul fermentare inquieto dei popoli sottomessi, non tanto sull'ortodossia sunnita quanto sul ribellismo sciita (almeno in un primo tempo). Baghdad non riuscì però a imitare Damasco e quello che era stato un impero unitario e compatto divenne un tentativo, a volte velleitario, di organizzazione politica estesa a tutti i popoli dell'Islam. Il califfato abbaside (750-1258) fu caratterizzato da un eclettismo culturale molto accentuato, che mise la civiltà islamica a contatto con influenze persiane, siriache, greche, bizantine, e rappresentò d'altro canto il fallimento di un autoritarismo politico-religioso religioso che aveva animato a lungo il mondo islamico. Già nel sec. X si erano affermati due altri califfi: quello d'Egitto (fatimita e quindi sciita) e quello di Cordova (omayyade).
Nel sec. XI gli Arabi, frenati da un'ostinata tendenza al particolarismo, videro veramente sgretolarsi la loro supremazia. I Turchi da est, i Berberi da ovest si fecero paladini dell'Islamismo più ortodosso. I Turchi Selgiuchidi occuparono Siria, Palestina, Palestina, parte dell'Asia Minore, minacciarono Costantinopoli, si difesero dai Crociati dell'Occidente. Più tardi (sec. XIV) i Turchi Ottomani, sostituendosi ai Selgiuchidi, incalzarono i Bizantini, penetraro-no nella Penisola Balcanica e finalmente conquistarono Costantinopoli (1453). L'Impero ot-tomano si estese poi verso il cuore dell'Europa (sec. XV-XVII), varcò il Danubio, minacciò Venezia e Vienna, avvolse tutto il Mar Nero, si insediò in Mesopotamia, Siria, Palestina, Egitto, occupò le terre migliori dell'Arabia e dell'Africa del nord sino all'Algeria. D'importanza assai più ridotta fu lo sforzo dei Berberi dell'Africa occid., che con gli Almoravidi (sec. XI-XII) e gli Almohadi (sec. XII-XIII) cercarono di restaurare l'ortodossia e i valori religiosi in una Spagna dove l'Islamismo stava ormai perdendo terreno. Non meno importante dell'espansione militare fu, per l'Islamismo, la penetrazione pacifica, ossia la "diffusione della fede" in senso proprio. Se Turchi e Mongoli islamizzati conquistarono l'India con le armi, l'Indonesia - come del resto parecchie regioni dell'Africa nera - assorbì lentamente ma sicuramente il verbo musulmano. La storia dell'Islamismo, almeno sino al sec. XIX, è apparentemente la storia di una conquista bellica; ma un esame più attento ci induce oggi a considerare prevalente l'azione d'uomini di fede e di preghiera (pellegrini, mercanti, persino negrieri). Quello ottomano fu comunque il più serio tentativo di rinnovare l'antica unità politico-religiosa dell'Islamismo, tentativo peraltro destinato a fallire, minato dalla pressione ideologica oltre che politica ed economica dell'Occidente. Le risposte alla sfida europea si collocarono su piani diversi. Alcune élites promossero un rinnovamento dell'ideologia isla-mica, recependo, con accenti diversi, i nuovi ideali di libertà, nazione, progresso scientifico. Questo movimento ebbe i suoi centri in Egitto, Persia e India. Sul versante opposto si volle invece fare leva sull'affiliazione religiosa per riproporre una politica reazionaria, di assoluta fedeltà al passato.
Accanto al sultano ottomano ! ü Abd ül-Hamid II che promosse una crociata panislamica allo scopo di cementare le scricchiolanti strutture del proprio Stato, vanno allineati in questo ambito i movimenti politico-religiosi del Mahdi (Sudan) e dei Wahhabiti (Arabia). Entrambe le tendenze andarono incontro a pesanti sconfitte: in alcuni Paesi (p. es. Turchia e Iran) il nazionalismo, che poteva radicarsi e trarre alimento da un glorioso passato preislamico, ebbe risvolti ostili all'Islamismo; in altri (la stessa Turchia e la Tunisia) il riformismo islamico fu costretto a cedere il posto a un'ideologia decisamente laica; raramente le interpretazioni tradizionali dell'Islamismo acquistarono un rilievo politico. Tutto ciò favorì lo sviluppo di un'apologetica concordista, diretta a dimostrare che i precetti dell'Islamismo non ostacolano la realizzazione delle aspirazioni dei musulmani contemporanei, propensa più a giustificare a posteriori che a indirizzare le scelte politiche (si veda p. es. il socialismo islamico). General-mente l'Islamismo è interpretato come un valore d'identificazione nazionale o culturale e, tranne qualche eccezione (l'Arabia Saudita, il Pakistan e, per un certo verso, verso, la Libia, l'Algeria e il Marocco), rimane un modo di vita soltanto per le masse popolari. Il sentimento d'unità islamica affiora soprattutto al livello della pietà popolare e acquista importanza politica soltanto in circostanze particolari. Abolito il califfato nel 1924, l'Islamismo ha trovato un punto di raccordo in periodiche Conferenze islamiche, la prima delle quali fu tenuta nel 1926. Ma se è vero che le convergenze tra gli Stati musulmani appaiono più come la conseguenza di comuni interessi economico-sociali che non dell'appartenenza alla stessa fede, va tuttavia osservato che con la fine degli anni Settanta si è andata delineando e via via rafforzando una tendenza integralista. Infatti, la netta separazione tra vita religiosa e assetto istituzionale che si era affermata in molti Stati con popolazione a maggioranza islamica ha subito una battuta d'arresto con la rivoluzione iraniana, dove il rovesciamento dello scià di Persia (1979) ha favorito la costituzione di una Repubblica Islamica strettamente controllata dai vertici religiosi di rito sciita. L'esempio offerto dall'Iran, unito alle sempre crescenti difficoltà politiche ed economiche incontrate dai regimi laici al potere negli Stati a prevalenza religiosa musulmana, ha rilanciato il fondamentalismo islamico. Tra i molti segnali della vigorosa ripresa di questo fenomeno, che ha attecchito particolarmente negli strati più poveri delle società in cui esso si manifesta, vanno almeno ricordate le nu-merose dimostrazioni a favore di Saddam Hussayn durante la guerra del Golfo* e il forte radicamento, visibile anche nei clamorosi successi alle elezioni amministrative (1990) e poli-tiche (1991) del partito fondamentalista (Fronte Islamico di Salvezza, F.I.S.) in Algeria. Qui, proprio per impedire l'esercizio del potere da parte del F.I.S., è intervenuto un colpo di Stato (1992) cui hanno fatto seguito l'arresto di numerosi capi religiosi e una dura repressione che non è riuscita però a impedire del tutto la mobilitazione popolare a favore di una visione integralista della società e dello Stato algerino.

ALLAH E IL SEGRETO DEL CENTESIMO NOME (Un motivo della multiculturalità )
In ogni cultura, il nome è una definizione, un segno della presenza di una perso-na. Anche le varie religioni usano dei nomi a seconda del rapporto uomo-divinità che vi è nella religione, ad esempio gli ebrei usano come nome divino una parola impronunziabile (che sta a significare una superiorità divina), cioè JHWH, a cui molti associano il nome di Adonaj, cioè " Signore" .
Presso i musulmani i nomi attribuiti a Dio sono 99 , anche se in realtà la pi-ramide onomastica ne conterebbe quattromila; mille sono noti solo a Dio, altri mille sono noti a Dio e agli Angeli; altri mille sono noti a Dio , agli Angeli e ai profeti ed altri ancora sono noti anche ai credenti. Di questi ultimi mille nomi, 300 sono presenti nella Torah ebraica, 300 nei Vangeli, 300 nei Salmi e 100 nel Corano. E' appunto di questi 100 che si interessa la tradizione teologica musulmana (il centesimo nome è celato ai comuni e rivelato ai mistici: che conosce il centesimo nome, pronunziatolo, ha il potere di vita e di morte sulle altre creature).Un elenco di questi nomi lo possiamo trovare nel libro di Mandel, dove si attribuisce una grande importanza soprattutto ai nomi al- Rahman e al-Rahim che sono presenti nella basmala, la formula introduttiva di ogni sura del Corano.
L'Islamismo è praticato oggi da circa un miliardo di fedeli. Esso è diffuso in larghissima maggioranza non solo in tutti i paesi del Medio Oriente, a eccezione di Israele, ma anche in Africa centrosettentrionale, in Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan e Asia centrale oltre che in Bangladesh, nelle Maldive, in Malesia e Indonesia. In Italia, conta almeno 800.000 fedeli, per gran parte immigrati dai paesi nordafricani e dal Senegal. Per l'immigrazione vi è una massiccia presenza di seguaci dell'Islam anche in Belgio, Francia e Germania.
Il Dio unico e invisibile: Islam è una parola araba che indica il concetto di sottomissione assoluta all'onnipotenza di Allah, il Dio unico e invisibile: l'Islam si caratterizza infatti come espressione di un monoteismo radicale, fin dalla formula fondamentale - "Non vi è altro Dio all'infuori di Allah, e Maometto è il profeta di Allah" - recitata nel segno dell'appartenenza alla comunità degli adoratori dell'unico Dio. Il seguace dell'Islam viene definito in italiano musulmano, questa parola, che si ritrova anche nella lingua inglese, è utilizzata per indicare chi si considera sottomesso alla divinità unica e irraggiungibile nella sua dimensione trascendente. Tale concezione, viene considerata dalla stessa tradizione islamica in continuità con il credo dell'ebraismo e del cristianesimo, religioni che costituirebbero le tappe fondamentali della rivelazione divina. Quest'ultima culminerebbe nella predicazione di Maometto, il profeta per eccellenza e l'ultimo dei latori della rivelazione di Allah dopo Abramo, Mosè e lo stesso Gesù. Maometto stesso non si attribuì mai una natura sovrumana, presentandosi u-nicamente come il profeta al quale Allah avrebbe consegnato, per tramite dell'arcangelo Gabriele, la rivelazione divina destinata a essere custodita e venerata per sempre dai fedeli. La rivelazione è contenuta nel Corano, il libro sacro dettato da Dio all'umanità a completamento del messaggio parzialmente trasmesso sia dalle Scritture ebraiche sia dalle Scritture cristiane.
A differenza del cristianesimo, il mondo musulmano non ha mai conosciuto un'autorità suprema ritenuta depositaria della verità in materia di fede e di etica. In assenza di una figura paragonabile a quella del papa nel cattolicesimo, la tradizione islamica assegna all'intera comunità dei fedeli il compito di custodire i precetti della religione e della retta condotta e accoglie con molte riserve il ruolo di custodi autorevoli dell'ortodossia.
Le origini: Vissuto nell'Arabia occidentale all'inizio del VII secolo d.C., Maometto predicò agli abitanti di quella terra, in maggioranza seguaci del politeismo, i dettami della nuova fede rivelatagli direttamente dall'unico Dio. Nonostante l'ostilità incontrata nella sua città natale, La Mecca, il profeta riuscì a dar vita, nella città oggi nota come Medina, a una comunità politico-religiosa che sarebbe riuscita, già prima del 632, anno della morte del fondatore, a imporre la propria autorità in tutta l'Arabia, nelle città come fra le tribù nomadi, elevando l'apparte-nenza all'Islam al ruolo di elemento di identificazione di una compagine politica unitaria.
L'istituzione del califfato, mirante a garantire la legittima successione di Maometto alla guida della nazione islamica, rappresentò l'ambito privilegiato per la trasmissione delle rivelazioni divine comunicate oralmente dal profeta ai suoi discepoli più fidati e registrate in forma scritta già all'epoca del terzo califfo Othman (644-656) nelle 114 sure (capitoli) del Corano, accettate dall'Islam come definitive e immutabili. I passi del libro sacro costituirono ben presto il fondamento delle prescrizioni rituali ed etiche della comunità, che tuttavia accostò alle parole e alle azioni del profeta anche alcune pratiche non testimoniate dal Corano.
L'eredità ebraico - cristiana: demonologia ed escatologia: La tradizione i-slamica, sottolineando il primato assoluto di Allah, gli attribuisce le parole rivelate a Maometto e registrate nel Corano. La moderna ricerca storico-religiosa intende chiarire le origini del monoteismo islamico considerando primariamente l'influenza esercitata in Arabia dall'ebraismo e dal cristianesimo, in particolare nell'ambiente culturale del profeta, al quale non erano ignote le Sacre Scritture degli ebrei e dei cristiani, salutati con rispetto come "popoli del libro". Il Corano fa riferimento a Mosè come al tramite della rivelazione divina contenuta nella Torah, mentre Gesù viene presentato come il custode di un "vangelo" in una prospettiva tendente a identificare il fondatore del cristianesimo con l'estensore di un libro dettato dalla divinità.
Annoverando Gesù tra i profeti, il Corano lo presenta come Masih, Messia, ma respinge co-me bestemmia suprema l'attribuzione di una natura divina a Gesù, pur condividendo con i Vangeli il racconto della sua nascita da una vergine e dei miracoli compiuti, per poi divergere dalla tradizione cristiana in merito alla crocifissione: Gesù sarebbe stato infatti direttamente innalzato al cielo da Dio senza conoscere l'umiliazione del supplizio, patito in realtà da un uomo reso simile a lui agli occhi dei suoi persecutori e degli stessi discepoli.
Fra le creature di Allah il Corano contempla pure, accanto agli angeli, gli antichi "spiritelli" che, venerati nel paganesimo preislamico come divinità minori, sono stati adottati dall'Islam sia come esseri benefici divenuti fedeli ad Allah sia come pericoloso esercito di demoni, tra i quali Iblis è il minaccioso tentatore degli uomini. Per quanto concerne l'escatologia, la tradi-zione islamica prevede il giudizio universale, presentato nel Corano, assieme alla resurrezio-ne, come momento culminante della storia di questo mondo al termine di una serie di terrifi-canti cataclismi naturali; il paradiso precluso agli infedeli e ai malvagi, destinati al fuoco dell'inferno, viene descritto come un giardino di delizie, dove i beati, riconosciuti tali dopo che le loro buone azioni, pesate su una bilancia, si saranno rivelate più consistenti di quelle catti-ve, potranno godere della felicità dei sensi gustando cibi succulenti e allietandosi con la com-pagnia di incantevoli fanciulle.
La tradizione che arricchì successivamente i dati del Corano offre invece la suggestiva narra-zione della fine del mondo preceduta dall'apparizione del daggial, il falso profeta. Questa creatura malefica regnerà sulla terra per 40 giorni prima di essere sconfitta da una figura escatologica capace di inaugurare un'epoca di felicità e di giustizia che prelude al giudizio universale.
La shariah e i riti: La professione di fede in Allah obbliga i seguaci dell'Islam all'osservanza di una serie di norme etiche e legali che, regolamentando ogni aspetto della vita della comu-nità, costituiscono un complesso e minuzioso codice giuridico concepito come modello ideale per una società teocratica. Identificando infatti la società civile con la comunità dei fedeli, la teologia islamica innalza il diritto, al rango di scienza religiosa, che deve essere coltivata dai dotti con la massima dedizione per garantire nel futuro la conformità della condotta dei fedeli ai principi della legge, la shariah. Gli esperti di giurisprudenza legiferano in relazione a ogni aspetto della vita civile e religiosa: essi elaborano sia le norme del codice penale sia le pre-scrizioni del diritto di famiglia.
Il diritto di famiglia e la condizione della donna: Nell'ambito di competenza della shariah rientrano anche le norme del diritto matrimoniale. Le nozze per l'uomo possono avere anche carattere poligamico: alla libertà di sposare fino a quattro donne si associa l'obbligo di assicurare un identico tenore di vita a ciascuna delle consorti e ai rispettivi figli. Il divorzio, possibile per iniziativa del marito anche in assenza di particolari motivazioni, può essere ottenuto dalla donna solo per mezzo di una complessa procedura giuridica, sulla base dello stesso principio che consente il matrimonio fra un musulmano e una donna di diverso credo religioso, ma impedisce di dare in sposa una donna musulmana a un uomo non seguace dell'Islam. Per quanto concerne l'abbigliamento femminile, l'esortazione rivolta dal Corano alle donne affinché indossino un mantello che copra il loro corpo da capo a piedi non può essere posta a fondamento della prescrizione di nascondere anche il volto con la con-suetudine di confinare le mogli nell'harem, ovvero "luogo interdetto" agli uomini, consentendo loro di comparire in pubblico soltanto con il volto coperto.

I Cinque pilastri dell'Islam
La quasi totalità dei seguaci di questa religione offre invece un'immagine di pro-fonda unità per quanto concerne l'osservanza dei doveri noti come Cinque pilastri dell'Islam: alla professione di fede nell'unico Dio, il musulmano deve infatti affiancare la preghiera quotidiana nelle forme rituali previste, osservando poi il digiuno durante il mese di Ramadan, oltre a recarsi in pellegrinaggio almeno una volta nella vita alla città santa, La Mecca, e a versare una certa somma di denaro come decima a beneficio dei poveri e della comunità. Obblighi altrettanto sentiti dai fedeli sono, oltre alla circoncisione maschile, l'astinenza dal consumo di bevande alcoliche e di carne di maiale, e il rispetto delle norme della macellazione rituale degli animali delle cui carni è lecito cibarsi.
La preghiera riunisce per cinque volte al giorno l'intera comunità dei fedeli che interrompono all'ora stabilita qualsiasi attività per compiere i gesti di un preciso cerimoniale, rivolgendosi verso La Mecca su un tappeto, limite dello spazio sacro, a piedi scalzi e in stato di purità rituale dopo una serie di abluzioni. La preghiera quotidiana viene recitata in forma collettiva nella moschea, il luogo di culto dei musulmani, dove il venerdì, giorno festivo per l'Islam, si tiene a mezzogiorno il rito solenne. Oltre alla preghiera viene recitata una sorta di omelia pronunciata dal pulpito. Al muezzin è invece affidato l'incarico di annunciare dal mi-nareto, la torre annessa alla moschea, l'ora della preghiera quotidiana e della funzione del venerdì.
I luoghi sacri: Il luogo più sacro per i seguaci dell'Islam è certamente la città natale del profeta, La Mecca, dove, al centro del cortile della Grande moschea, la "moschea sacra" per eccellenza, si erge la Kaaba, una costruzione cubica, larga circa 10 metri e alta 15, verosi-milmente utilizzata in epoca preislamica come santuario pagano dagli adoratori della celebre Pietra Nera, un meteorite di 30 centimetri di diametro che, incastonato in un angolo dell'edificio, è divenuto oggetto di venerazione anche per i musulmani. Considerando infatti la Pietra Nera come dono inviato dal cielo per confortare Adamo dopo la sua cacciata dal paradiso, la tradizione islamica vuole che la Kaaba, edificata da Abramo come luogo dove chiamare a raccolta tutti i popoli invitati a rendere culto all'unico Dio, fosse caduta nelle mani dei seguaci del politeismo e dell'idolatria, prima che Maometto la restituisse alla sua funzione originaria di luogo consacrato alla pratica del monoteismo.
Oltre a sottolineare la sacralità di Medina, dove si trova la tomba del profeta, il mondo islamico tributa da sempre grande venerazione alla città di Gerusalemme, il più antico fra i luoghi santi del monoteismo; qui Maometto, trasportatovi nottetempo dall'arcangelo Gabriele, avrebbe conosciuto l'esperienza miracolosa dell'ascensione ai sette cieli e dell'incontro con i massimi profeti, da Adamo a Gesù.
Il Ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca: Facendo decorrere il computo degli anni dall'Egira, il trasferimento di Maometto dalla Mecca a Medina, il calendario islamico si articola su un ciclo lunare di 12 mesi non connessi con il corso delle stagioni. Il nono mese è il Ramadan, il periodo più sacro dell'anno durante il quale i fedeli osservano scrupolosamente l'obbligo di digiunare, astenendosi anche dalle bevande e dai rapporti sessuali, dall'alba al tramonto, per poi celebrare come momento di gioia, alla comparsa della luna nuova, la festa più importante dell'anno, il primo giorno del mese successivo a quello del digiuno. L'ultimo mese dell'anno offre invece lo spettacolo solenne del pellegrinaggio alla Mecca. Nella prima metà del mese la città santa viene invasa da una folla sterminata di fedeli che indossano una veste bianca. Terminate le purificazioni rituali essi procedono verso il cuore della città, la Grande moschea, dove compiono sette giri intorno alla Kaaba e baciano la Pietra Nera, recandosi poi, come ultima tappa di una corsa frenetica fra le colline, nel piccolo villaggio di Mina. Esaurita in questo luogo la celebrazione di altri riti, fra i quali una lapidazione simbolica del diavolo, il pellegrinaggio si conclude, il decimo giorno del mese, con il sacrificio di animali secondo un cerimoniale imitato nei tre giorni successivi, quelli appunto della "festa del sacrificio" in tutto il mondo musulmano.
Le principali correnti dell'islam: Esaminando lo sviluppo storico delle tendenze più significative tuttora presenti nell'Islam, è possibile far risalire ai primi decenni successivi alla morte di Maometto l'origine delle correnti fondamentali, i sunniti e gli sciiti sorte come fazioni politiche protagoniste di una dura lotta di potere, per poi acquisire nel corso dei secoli il carattere di comunità religiose distinte da indirizzi teologici peculiari.
Se l'Islam venne dominato sin dalle origini da una visione sostanzialmente legalistica dell'e-sperienza religiosa, emersero ben presto in seno alla comunità tendenze mistiche e il deside-rio di intrattenere un rapporto diretto con il divino, caratteristica delle numerose scuole del sufismo. I mistici musulmani furono spesso vittime della persecuzione. Gli scritti riguardanti il misticismo islamico, chiusero un'epoca di straordinaria fioritura culturale che, utilizzando le categorie del pensiero greco (particolarmente il neoplatonismo) come strumento per un'inda-gine più profonda dei contenuti spirituali del Corano, aveva prodotto i capolavori della filosofia islamica.
I rapporti con l'Occidente: Per quanto concerne invece l'epoca moderna, il rapporto con la cultura europea ha certamente costituito il motivo di fondo del dibattito che ha inte-ressato, l'intero mondo musulmano, determinando talvolta uno stato di tensione a motivo dell'emergere, accanto alle posizioni decisamente riformistiche, di atteggiamenti di chiusura totale di fronte a qualsiasi influenza culturale estranea all'antica tradizione religiosa.
Il fondamentalismo: È questa una delle tendenze più vistose dell'Islam del XX secolo, per quanto sia scorretto sopravvalutarne l'importanza a scapito delle altre espressioni di questa religione. Sorto propriamente in ambito cristiano in riferimento alle istanze di quelle denominazioni del protestantesimo che promossero negli Stati Uniti una battaglia a difesa dell'interpretazione letterale del testo biblico, il termine "fondamentalismo" indica oggi convenzionalmente l'ideologia dei numerosi movimenti nati nel mondo islamico per propugnare, anche con il ricorso alla violenza, il ritorno alla rigida osservanza dei precetti della religione come forma di opposizione politica e culturale all'Occidente.
Il fondamentalismo islamico ha conosciuto la sua massima diffusione nell'ultimo scorcio del secolo con l'attività di numerosi movimenti politico-religiosi capaci di influire sulla vita sociale in diversi paesi.
Il modello politico a cui molti militanti di questi partiti fanno riferimento è quello dell'Iran, una delle più alte autorità dell'Islam sciita, riuscì a conquistare il potere facendo del fondamentali-smo religioso il motivo ispiratore di una rivoluzione popolare contro il regime filo-occidentale dello scià Reza Pahlavi. Roccaforte del fondamentalismo è divenuto anche il Sudan, e la più rigida ortodossia islamica è stata imposta in Afghanistan.
In Turchia il rispetto della costituzione laica non ha impedito al "Partito del benessere" piutto-sto vicino agli ideali del fondamentalismo islamico, di divenire forza politica di governo. In Al-geria il Fronte islamico di salvezza fu messo fuori legge dal partito al potere dopo avere acquisito il ruolo di forza politica di rilievo ottenendo addirittura la maggioranza dei suffragi nel primo turno delle elezioni politiche del dicembre 1991; questa decisione scatenò la rea-zione violenta del movimento, le cui azioni terroristiche continuano a insanguinare il paese colpendo soprattutto intellettuali, giornalisti e semplici cittadini contrari alla prospettiva di islamizzazione dello stato. Movimenti integralisti si oppongono al processo di pace fra il po-polo palestinese e lo stato di Israele, mentre fazioni integraliste sono stati protagonisti della storia recente del Libano.
La guerra santa: Motivo ispiratore comune per le azioni di queste compagini politico-religiose è il concetto di "guerra santa" contro gli infedeli, identificati indifferentemente con i non musulmani e con i membri della comunità islamica considerati traditori a motivo delle lo-ro posizioni progressiste e filo - occidentali. A questo proposito occorre precisare che il termine arabo jihad, nel quale non solo la cultura occidentale, ma anche qualche settore dello stesso integralismo islamico, tende a cogliere la definizione della guerra santa come dottrina essenziale nell'Islam, nel Corano ha un'accezione più ampia: jihad significa infatti "sforzo" e il libro sacro, considerando come sforzo maggiore sulla via di Dio l'impegno del fedele a vincere le proprie tentazioni per divenire un buon musulmano, presenta la guerra santa contro gli infedeli soltanto come dovere minore da compiersi in circostanze ben precise sulla base di una rigorosa definizione giuridica. Non si deve dimenticare inoltre che, per quanto l'Islam sia penetrato fino in Europa come conseguenza della forza espansionistica dell'impero ottomano dal 1300 alla fine della prima guerra mondiale, il diritto musulmano non ha mai previsto, di fatto, l'imposizione della fede islamica attraverso la guerra, tenendo distinti i successi militari dei popoli arabi dalla diffusione della religione predicata da Maometto.

ISLAM OGGI
raccolta articoli giornali Articoli tratti da 'Il Mattino' e da 'Il Messaggero'
7 maggio 2001, Prima volta di un Papa nella casa di Allah: "È tempo di conoscerci meglio, è tempo di perdonarci gli uni con gli altri". Il messaggio del Papa sale verso le cupole della Grande Moschea di Damasco e si fonde con il simile messaggio del Gran Muftì. Per la prima volta nella storia il Vicario di Pietro entra nella casa di Allah. E non poteva succedere che qui, in Siria, in quella moschea che fu prima chiesa e dove da sempre musulmani e cristia-ni hanno pregato insieme. E l'augurio di pace del Pontefice pare destinato a essere inteso a Gerusalemme come a Mosca.
7 maggio 2001 Il coraggio profetico di Karol Wojtyla Un forte invito a superare, con il dia-logo, divisioni e incomprensioni è stato rivolto al mondo religioso e politico da un Papa che, accolto e accompagnato dal Gran Mufti Ahmad Kuftaro e da altri dignitari, è entrato ieri pomeriggio, per la prima volta nella storia, in una moschea e in particolare nella Grande Moschea degli Omayyadi di Damasco per raccogliersi in preghiera e venerare il teschio di San Giovanni Battista che vi è custodito. Ma, soprattutto, per lanciare un messaggio di speranza carico di simbolismi agli israeliani, ai palestinesi, che ancora ieri hanno dato luogo a scontri e ad ostilità, a tutto il mondo arabo e alla Comunità mondiale perché il processo di pace riprenda ed abbia uno sbocco concreto nel rispetto dei diritti dei popoli e delle intese e risoluzioni dell'Onu.
Rispondendo alle espressioni di pace, non disgiunte da critiche a Israele, del Gran Mufti, Gio-vanni Paolo II ha spinto il discorso in avanti: "Auspico vivamente che l'incontro odierno, nella Moschea degli Omayyadi, sia segno delle nostre due religioni, non in opposizione, come è accaduto fin troppo nel passato, ma in collaborazione, affinché operino per il bene della famiglia umana e per contribuire a riportare la pace nella regione mediorientale". Co-sì, come poco più di un anno fa a Gerusalemme, sostando in preghiera davanti al Muro del Pianto, cuore dell'ebraismo, fece cadere pregiudizi millenari dei cristiani verso gli ebrei, ieri pomeriggio, Giovanni Paolo II ha inaugurato una stagione nuova e promettente nei rapporti tra cattolici e musulmani. La stessa Grande Moschea, che, fatta costruire nell'VIII secolo dal Califfo Al-Walid dopo aver fatto demolire l'antico tempio cristiano, conserva le reliquie del Battista chiamato dai musulmani "Yahya" (Profeta) che avrebbe annunciato la venuta di Maometto, è espressione di un intreccio storico tra cristianesimo e islam.
La popolazione siriana è a larga maggioranza musulmana e se è tollerante con una variegata minoranza cristiana è perché il Paese è ricco di monumenti cristiani a ricordo non solo di Paolo di Tarso convertitosi sulla via di Damasco, ma anche di Gesù che percorse le regioni meridionali del Paese e quella di Cesarea di Filippo nel Golan.
La "Via Recta", che il Papa ha percorso con il lungo corteo prima di raggiungere la Grande Moschea, mostra la complessità di un mondo musulmano che convive con il quartiere ebraico e con l'alterità cristiana composta da cattolici, greco-melchiti, siro-ortodossi.
È sullo sfondo di questa ricchezza storica e archeologica che ha colpito il concorde richiamo al dialogo ed alla pace dell'ottantunenne Papa Karol Wojtyla e dell'ottantaseienne Gran Mufti Kutfaro. Entrambi, per la solennità che diffondevano tra tanti dignitari ecclesiastici e politici ed i numerosi osservatori internazionali, hanno fatto pensare, mentre parlavano nel Cortile rettangolare della Grande Moschea, a due Patriarchi dell'Antico e Nuovo Testamento che, di fronte ad un mondo travagliato dagli squilibri sociali della globalizzazione e dai conflitti tra israeliani e palestinesi che si svolgevano non lontano da Damasco e con riflessi preoccupanti in tutta l'area, lo richiamavano all'osservanza del decalogo delle Tavole della Legge contro ogni fanatismo politico o religioso.
Si conferma, così, il coraggio profetico di un Papa come Giovanni Paolo II che, sofferente ma determinato, è riuscito, rispetto alle previsioni più pessimistiche, ad avviare un dialogo con il Patriarca della Chiesa ortodossa greca, inducendo ora il Patriarca di Mosca ad essere più conciliante, e ad sviluppare un rapporto di collaborazione con i musulmani. E, oggi, dalla cittadina di Quneitra sulle Alture del Golan, rimasta disabitata dopo la "guerra dei sei giorni" (1967), il Papa lancerà un nuovo appello alla pace perché la Terra Santa non sia più in-sanguinata.
DAMASCO, 7 maggio 2001 "Mai più conflitti tra cristiani e islamici" Ha varcato la soglia della Grande Moschea ed ha compiuto un altro passo nella Storia. Giovanni Paolo II è stato ieri po-meriggio il primo papa ad entrare in un tempio musulmano. L'andatura incerta dell'anziano pontefice - a un certo punto ha vacillato e lo hanno dovuto sorreggere - ha forse addirittura sottolineato la solennità e l'importanza del gesto. Un gesto simbolico importantissimo, chiarito dalle parole dello stesso Giovanni Paolo II, che dalla Grande Moschea degli Omayyadi della capitale siriana ha lanciato un forte appello alla pace, auspicando che mai più tra Cristianesi-mo ed Islam ci sia conflitto. Un discorso tutto nel segno della conciliazione tra le religioni (in mattinata, durante la Messa allo stadio, il Papa aveva fatto appello a cristiani, ebrei e musul-mani per la pace) e del dialogo tra i popoli. Comprensione e tolleranza, il messaggio lanciato dal capo della cristianità dalla "casa di Allah". Nella moschea, Giovanni Paolo II ha anche a-vuto un momento di raccoglimento di fronte al memoriale di Giovanni Battista.
Il Papa è arrivato alla Grande Moschea degli Omayyadi che sorge nella parte vecchia di Da-masco, tra le viuzze del suk, mentre la folla riempiva la piccola piazza e i balconcini che su essa affacciano. Un coro di grida di benvenuto lo ha accolto. Poi Giovanni Paolo II è entrato nella moschea dove si è tolto le scarpe, secondo il rito musulmano; gli hanno offerto delle babucce bianche e mentre le indossava, il Gran Mufti gli si è rivolto in arabo: "Santo Padre - ha detto - lei non può immaginare la nostra gioia. Mi ricordo bene le due volte che ho visitato lei in Vaticano, ma non avrei mai immaginato di ritrovarci qui in una moschea. Questa è una occasione che va oltre la storia e che porterà molto frutto a cominciare dalla pace nel mondo. Non parlo solo a nome mio - ha detto ancora il Mufti - ma a nome di tutti, imam e sceicchi".
Il Gran Mufti, Ahmed Kuftaro - accanto al Papa durante tutto il tempo dell'incontro nella mo-schea - non si è lasciato sfuggire l'occasione per lamentare che in Palestina, dove i rapporti tra musulmani e cristiani andavano bene, "dopo l'arrivo degli ebrei sionisti e la fondazione dello stato di Israele è mancata la pace, la sicurezza e la stessa libertà religiosa". "Il mondo - ha aggiunto - assiste senza reagire. Dov'è il governo degli Stati Uniti, dov'è il Consiglio di Sicurezza dell'Onu?".
"È la prima volta che un Papa va in una moschea - ha detto Giovanni Paolo II - anche per me è una giornata molto importante. Sono molto felice e anch'io ricordo le sue visite in Vaticano". Il Papa è quindi uscito dopo aver attraversato l'atrio della moschea.
Il prolungarsi della cerimonia ha fatto arrivare l'ora della preghiera e il congegno automatico che sostituisce il muezzin è scattato ed ha chiamato alla preghiera dall' altoparlante. Una quarantina di persone, nello stesso cortile, si sono inginocchiate ed hanno cominciato a pregare. Il clima era sicuramente festoso per tutta la durata dell'incontro.
Tutto iniziò 3000 anni fa. La storia del luogo dove sorge la grande moschea Omayyad, co-mincia 3.000 anni fa quando gli aramei, che allora popolavano la regione, vi innalzarono il primo tempio alla loro divinità, Hadad. Nel III secolo d.C. i romani vi costruirono un enorme tempio dedicato a Giove. Ma, con l'avvento del Cristianesimo, il santuario fu trasformato in una cattedrale bizantina dedicata a San Giovanni Battista. Questi è venerato come Profeta anche dai musulmani con il nome di Yahya Ben Zakariyah. Quando nel 636 gli arabi conquistarono Damasco, convertirono in moschea la parte orientale della chiesa, ma consentirono ai cristiani di continuare a servirsi per i loro riti della parte occidentale. Il tempio intitolato al Battista e di cui oggi resta solo la tomba dove secondo la tradizione cristiana è conservata la testa del santo, rimase tale per altri 72 anni dopo la conquista di Damasco. Cioè sin quando il califfo El-Walid nel 708 la espropriò per costruire la moschea: lunga 158 metri e larga 100. Investì 11 milioni di dinari d'oro, una somma pari a 7 anni di entrate statali; vi lavorarono per 10 anni oltre 1.000 uomini.
menti contro Cristo e Maometto. Affermazioni che il Vaticano non può certo condividere, an-che se il Papa ha ripetuto la denuncia delle violazioni israeliane alla legalità internazionale. In-terrogato circa la "durezza" delle dichiarazioni di Assa8 maggio 2001 Da Damasco un invito ai musulmani Il Papa scalzo prega nella moschea: "Uniti per il bene dell'uomo" Un piccolo seme di speranza, piantato ed innaffiato dal Papa con un nuovo gesto di perdono, ieri pome-riggio nella moschea di Damasco. La prima storica volta di un Pontefice in un tempio islamico. Come un granello di senape, il più piccolo tra i semi, capace però di diventare un albero frondoso. Una grande utopia religiosa lanciata con un gesto semplice, la visita in una moschea, e con un appello da profeta, oltre 15 secoli di conflitti: "Per tutte le volte che i musulmani e i cristiani si sono offesi reciprocamente dobbiamo cercare il perdono dell'On-nipotente e offrire il perdono gli uni agli altri, perché Gesù ci insegna che dobbiamo perdo-nare le offese altrui se vogliamo che Dio perdoni i nostri peccati".
Ecco cos'è stata la visita di ieri pomeriggio del Papa nella grande moschea degli Omayyadi a Damasco. La prima compiuta da un Pontefice nella storia. E per giunta in quella che viene considerata la quarta per importanza: dopo quelle della Mecca, di Medina e di Gerusalemme, nel cui spazio sacro (il recinto delle moschee) è stato il 26 marzo del 2000, prima di recarsi al Muro del Pianto e al Santo Sepolcro di Cristo.
Un piccolo grande gesto di fiducia nel futuro dell'umanità. Un invito implicito all'Occidente a non temere l'Islam. Un appello a non usare la religione come pretesto di violenze. Che le due maggiori religioni dell'umanità non siano più presentate "in opposizione, com'è accaduto fin troppo nel passato, ma in collaborazione per il bene della famiglia umana". Ecco l'utopia di Wojtyla: Islam e Cristianesimo "non più comunità in conflitto ma in dialogo rispettoso. Che quel seme di senape, piantato in terra selvaggia di incomprensioni, eccidi, guerre sante e in-tegralismi, grazie alla purificazione della memoria, diventi un albero sotto il quale biblicamen-te possano trovare refrigerio tutti i figli di Abramo. Nella messa del mattino, nello stadio Ab-bassyine di Damasco, li ha chiamati tutti per nome: "Cristiani, musulmani ed ebrei sono chiamati a lavorare insieme, con fiducia ed audacia, e a far sì che arrivi presto il giorno in cui ogni popolo vedrà rispettati i suoi diritti legittimi e potrà vivere nella pace e nell'intesa reciproca".
Due giorni dopo la richiesta di perdono a Dio per le colpe dei cattolici verso gli ortodossi in A-tene, Giovanni Paolo II ha predicato dunque a Damasco il perdono reciproco islamo-cristiano. E' ardito e coerente fino in fondo con i "mea culpa". La storia umana deve purificare la sua memoria e con un netto cambiamento di mentalità.
Senza le scarpe ma con ciabatte bianche, Giovanni Paolo II ha attraversato per l'intero lato lungo la grande sala della preghiera, sotto splendidi mosaici ed in un ambiente di grande sug-gestione. Erano con lui l'86.enne gran muftì della Siria, Ahmad Kuftaro, anche lui vegliardo patriarca con il bastone, e il ministro del Waqf, ossia del culto e dei beni religiosi. Il Papa si è fermato in piedi, per alcuni istanti di preghiera silenziosa, appoggiandosi con la sinistra al ba-stone e con la destra alla base di una colonna del cenotafio di san Giovanni Battista, una me-moria cristiana in un tempio islamico. E' una sorta di mausoleo-cappella dai vetri verdi con cupola, all'interno della moschea, dove fu seppellito il teschio di san Giovanni Battista, il pre-cursore di Gesù e, per gli islamici, anche di Maometto. Questa moschea sorge sul luogo del tempio pagano di Giove (fuori se ne vede il frontone), poi diventata la cattedrale cristiana di S. Giovanni Battista. E, dopo la conquista islamica della Siria, nel 706 la costruzione della mo-schea da parte del califfo Al Walid.
L'incontro anch'esso storico con la comunità islamica (dopo quello nello stadio di Casablanca il 19 agosto '85) è avvenuto nel vasto cortile rettangolare (80 per 30 m). Un grande semicer-chio di turbanti bianchi, con alcuni zucchetti cardinalizi ed episcopali e copricapo di varie fog-ge di alti dignitari ortodossi e cattolico-orientali erano davanti al Papa, al Gran Muftì e al mini-stro in un'atmosfera reale ma irreale al tempo stesso, con quelle 3-400 persone in un enorme spazio solenne dalla tipica architettura araba definita "architettura dei vuoti", dai tanti archi, quasi che dovesse essere riempita dagli spiriti non più aggressivi di Saladino, dei califfi e dei dominatori islamici di molta parte del mondo cristiano.
Il ministro e il gran muftì hanno presentato l'Islam come religione di fratellanza e di pace ma non hanno trascurato di attaccare Israele e di esprimere identità di vedute con il presidente Bashir Al-Assad che avant'ieri ha accolto il Papa con una dura requisitoria contro Israele, ac-cusato di violenze contro i palestinesi ed aggressioni contro i Luoghi santi cristiani ed islamici e persino citando i tradi d, il portavoce vaticano Navarro si è limitato a rispondere: "Mi è sembrato un discorso molto chiaro che è diverso dal duro. Può piacere o non piacere, ma è a casa sua. Non ci sono dubbi, però, sulla posizione della Chiesa contraria all'antisemitismo". Stamani il Papa andrà a pregare per la pace nel Medio Oriente a Quneitra sul Golan siriano a poche centinaia di metri dalle postazioni israeliane. Una visita che la Siria ha voluto a tutti i costi in cambio del consenso al pellegrinaggio papale a Damasco.
Ieri il Pontefice ha celebrato la messa per i cattolici dei vari riti nello stadio Abbassyne della capitale, con altre manifestazioni di affetto ai patriarchi non cattolici che sono stati pure a pranzo con lui.
Movimenti religiosi
Nel corso dei secoli profonde trasformazioni si sono verificate nella vita spirituale dell'Islam. Le idee e i costumi dei popoli stranieri convertiti hanno determinato un arricchimento nel rigi-do sistema monoteistico, con una quantità di fattori in origine estranei alle concezioni musul-mane, come, ad esempio, il culto dei santi. Inoltre il contatto con le civiltà dei popoli sotto-messi ha fatto sì che dalla semplice fede di Maometto, sotto l'influsso della filosofia aristotelico- neoplatonica, della gnosi (=conoscenza perfetta del divino) cristiana e del panteismo indiano (=dottrina filosofico-religiosa che identifica Dio, inteso come principio supremo di unificazione, con la natura del mondo), si siano sviluppate una elevata speculazione filosofica e una profonda mistica. Questi sforzi verso un'interiorizzazione della vita religiosa, talora accoppiati a un'ascetica rinuncia al mondo, erano nel passato spesse perseguiti individualmente o da comunità di uomini poveri (arabo: faqir; persiano: derwesh). Costoro, per l'abito di lana (suf) che portavano, furono detti sufi. Oltre alle comunità suddette sono sorti in seno all'islamismo indirizzi diversi e numerose sette. Fra i principali indirizzi religiosi, originati da controversie esegetiche, vanno inclusi quello dei Sunniti (seguaci della Sunnah, tradizione), che conta il maggior numero di fedeli (270 milioni), quello degli Sciiti (seguaci della Shiah, 28 milioni) e quello degli Ibaditi (setta eretica risalente ai primordi dell'Islam). Anche in tempi moderni sono nate all'interno dell'Islam importanti sette. La più famosa è quella dei Wahabiti. Questo movimento, che oggi domina nell'Arabia Saudita, cerca di ripristinare l'antico Islam nella sua purezza originaria e perciò rinnega, come non conformi all'antica tradizione, il culto dei santi, l'uso del caffè e del tabacco, la pratica del rosario.

L'islamismo contemporaneo
Un aspetto fondamentale dell'islamismo è che esso si identifica con lo Stato. E' questa una costante di tutta la storia dei paesi islamici. Dopo il secondo conflitto mondiale tale costante ha però generato i contrasti e le contraddizioni che caratterizzano il mondo islamico contemporaneo. In molti Stati l'impossibilità di separazione tra Stato e religione è divenuto un elemento d'urto. Si spiega così, ad esempio, il conflitto in Egitto tra Stato e "integralisti", i sostenitori assolutistici della legge coranica e dell'Umma, la comunità cosmopolita dei credenti musulmani. Fu proprio, per inciso, un commando di integralisti a uccidere nel 1981 il rais Anwar Sadat. In altri casi sette islamiche hanno preso il potere dispoticamente, ossia in maniera assoluta (così gli Alawiti in Siria, che combattono i Fratelli musulmani). In Iran poi l'avvento della Rivoluzione islamica dell'ayatollah Ruhollah Khomeini (1979) ha chiaramente significato un ritorno al Medioevo.

I Talebani
La parola taleban significa in arabo "colui che cerca", sulla base dell'invito ai fedeli del pro-feta Maometto di ricercare la conoscenza. Il movimento dei talebani si caratterizza dunque come una scuola di pensiero dotata di propria autonomia culturale e filosofica rispetto al va-riegato mondo dell'ortodossia islamica.
I talebani, intesi come Movimento degli Studenti Islamici sono il prodotto di una tradizione che nasce nella regione afghana e pachistana e affonda le sue radici già nel secolo XIX con il primo impegno politico della lotta alla dominazione britannica sulla regione. Gran parte dei ta-lebani proviene dalla provincia del Pashtun.
Non si può parlare di un movimento politico organizzato nel vero senso della parola. Tuttavia in Afghanistan il movimento talebano comincia a strutturarsi negli anni Ottanta in concomi-tanza con la guerra di liberazione dal dominio sovietico. I talebani si affermano come forza religiosa e politica dominante approfittando del caos seguito alla fine del regime filo-moscovita di Najibullah e alla influenza guadagnata nel movimento dei mujaheddin.
Nel 1996 assumono il controllo di Kabul e delle aree circostanti perfezionato con il colpo di Stato che estromette il governo del presidente Buhanuddin Rabbani, capo di una coalizione di salute pubblica, costretto a riparare nel nord del paese, tra le montagne, ma ancora ricono-sciuto ufficialmente a livello internazionale e dalle Nazioni Unite. Senza più Parlamento e isti-tuzioni politiche democratiche i talebani si sono autoproclamati legittimo governo dell'Afgha-nistan.
Gli articoli:

Afghanistan, i talebani abbattono le statue Nel mirino della furia iconoclasta degli integralisti islamici anche la più alta immagine del Buddha esistente al mondo
ISLAMABAD, 27 FEBBRAIO 2001 - Il leader della milizia integralista dei Taleban che controlla gran parte dell'Afganistan, ha ordinato la distruzione di "tutte le statue" che si trovano nel paese come misura contro l'idolatria.

L'editto del mullah Mohammed Omar, leader supremo dei Taleban, mette in pericolo un pa-trimonio artistico di valore inestimabile tra cui i Buddha giganti della valle di Bamiyan, co-struiti tra il terzo e il settimo secolo dopo Cristo. "Siccome Dio è uno e queste statue sono state costruite per essere adorate, ciò è sbagliato. Esse devono essere distrutte così che non saranno adorate in futuro", afferma il mullah Omar nel decreto pubblicato dalla 'Bakhtar news agency', controllata dai Taleban.
Le due statue di Buddha - alte una 53 metri, l'altra 35 - si trovano alla periferia della città di Bamiyan, circa 240 km a ovest della capitale Kabul.

L'omonima provincia di Bamiyan è abitata dall'etnia minoritaria degli hazara, di religione mu-sulmani sciiti e nemici irriducibili dei Taleban, che sono in maggioranza di etnia pashtu e di religione musulmana sunnita. La provincia è tuttora teatro di aspri combattimenti fra Taleban e miliziani hazara del gruppo dell'Hezb-i-Wadhat.

Nelle scorse settimane alcune agenzie internazionali hanno affermato che decine di statue conservate nel museo di Kabul sono state distrutte dai Taleban. I miliziani hanno smentito ma non hanno consentito ad osservatori stranieri l'ingresso nel museo.
Il decreto del mullah Omar getta una pesante ombra sul futuro del patrimonio artistico dell' Afghanistan, dove si trovano un gran numero di momumenti e reperti frutto dell' incontro tra le civilità ellenistica, indù, buddhista e persiana che si verificò nel paese prima dell' av-vento dell' Islam, nel nono secolo dopo Cristo.

L'UNESCO è preoccupata
E intanto l'Unesco è tornata a rinnovare l'appello al regime dei Taliban. Da Parigi, dove l'A-genzia delle Nazioni Unite per la cultura ha sede, è stato emesso un comunicato nel quale si ricorda che "l'Afghanistan, situato sulla vecchia Via della Seta, ha un patrimonio unico grazie alle influenze arrivate dalla Persia, dalla Grecia, dall'induismo, dal buddismo e dall'Islam".
I tesori afghani hanno già "sofferto durante i conflitti e i disastri che hanno scosso di recente il paese" e dunque deve essere lo stesso popolo "a fermare la distruzione dei beni culturali".

E la Thailandia protesta
Ha suscitato compianti in Thailandia, uno dei grandi paesi buddisti, il leader della milizia inte-gralista dei Taleban ha ordinato la distruzione di "tutte le statue" che si trovano in Afghani-stan, inclusi i Buddha più grandi del mondo costruiti nella valle di Bamiyan tra il III ed il VII secolo dopo Cristo.
"Distruggere le statue di Buddha è una perdita per l'Afghanistan. Un giorno, quando avranno risolto tutti i loro problemi, guarderanno al turismo. Ed è allora che queste statue potrebbero aiutarli", ha commentato il portavoce del ministero degli esteri di Bangkok Pradap Pibulson-ggram.
"I Taleban non distruggono solo le statue buddiste ma anche qualcosa di immenso valore per il loro paese anche se non professano la religione buddista", ha aggiunto il portavoce nella speranza che Kabul ritorni su questa decisione che rappresenterebbe una "perdita per l'intera umanità".
In risposta alla costernazione espressa dalla comunità internazionale di archeologi ed esperti di arte il mullah Mohammed Omar, capo carismatico dei Taleban, ha giustificato la misura a-dottata contro l'idolatria affermando che "non si tratta che di rompere pietre".
Inutili tutti gli appelli internazionali I talebani abbattono le statue preislamiche2marzo2001 (Articolo messo in Rete alle 04:55 ora italiana (03:55 GMT)

Iniziata in Afghanistan la demolizione
TALEBANI, Kabul, Afghanistan (CNN) -- Noncuranti dei numerosi appelli internazionali, i tale-bani hanno dato il via alla demolizione di tutte le statue preislamiche dell'Afghanistan, tra cui i famosi Buddha giganti della provincia centrale di Bamiyan. L'annuncio è stato dato dal mini-stro della Cultura del regime di Kabul, Qadratullah Jamal, secondo cui l'opera di demolizione si svolgerà in tutto il territorio sotto il controllo dei Taleban. Jamal ha detto che i lavori di de-molizione hanno già avuto inizio nella provincia di Bamiyan, dove si ergono due storiche sta-tue di Buddha alte 53 e 35 metri, scavati in una parete rocciosa. Le immagini sacre sono state erette tra il II e VIII secolo d.C., quando l'Afghanistan occupava una posizione centrale sulla Via della Seta ed era il terreno d'incontro tra le civiltà greca, persiana e araba e di quelle indiane, buddhista ed induista. Secondo voci non confermate, inoltre, i miliziani agli ordini del ministero per la Promozione della virtù e la lotta contro il vizio avrebbero intenzione di distruggere monumenti e statue antiche anche a Ghazni e a Kabul. Preziosi monumenti si trovano anche nelle province di Herat, Jalalabad e Kandahar. Il museo di Kabul, ritenuto uno dei più ricchi dell'Asia, invece, è già stato saccheggiato negli anni scorsi dalle diverse fazioni in lotta e successivamente dagli stessi talebani. Prima che i talebani conquistassero il potere in Afghanistan - oggi controllano circa il 90 cento del Paese - le statue erano protette e considerate parte della ricchissima eredità culturale della nazione. Ma con il nuovo regime sono diventate le raffigurazioni di un culto pagano estraneo alla religione islamica, e come tale da smantellare. La distruzione di tutte le statue del paese era stata ordinata lunedì scorso dal leader supremo dei talebani, il mullah Mohammed Omar, che sosteneva di aver preso la decisione in rispetto della legge islamica, per combattere l'idolatria.
L'intervento dei governi mondiali
La decisione degli integralisti islamici rischia di compromettere ulteriormente la già delicata posizione internazionale del governo di Kabul, finora riconosciuto soltanto da tre paesi, il Pakistan, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Koichiro Matsuura, direttore generale della sede parigina dell'Unesco - l'agenzia dell'Onu per l'educazione, la scienza e la cultura - si è detto scioccato dalla notizia e ha convocato d'urgenza i rappresentanti dell'Organizzazione della conferenza islamica. "Perpetrando questi atti di vandalismo - ha detto in una dichiara-zione scritta - i talebani non appoggiano la causa dell'Afghanistan né quella dell'Islam". Ma-tsuura ha aggiunto di aver già lanciato un appello ai di alcuni paesi musulmani, tra cui l'Arabia Saudita, il Pakistan e l'Iran, che hanno appoggiato la sua richiesta di collaborare, per porre fine a questa distruzione.
"Dobbiamo lavorare insieme - ha concluso Matsuura - per cercare una soluzione. Non posso credere che non saremo capaci di trovarne una".
Il monito francese: Alla sua, si è aggiunta la voce del governo francese, secondo cui "non è con tali atti che i talebani possono avvicinarsi alla comunità internazionale", come ha sottolineato il ministero degli Esteri, aggiungendo che se Kabul non modificherà la propria posizione sul terrorismo, la droga e i diritti umani, la comunità internazionale rimarrà "ostile" al movimento. Tra gli appelli rivolti invano al mullah Omar, quello del segretario generale dell'Onu Kofi Annan, e dei governi di Stati Uniti, Thailandia, Giappone, Sri Lanka. Anche il governo dell'Iran, retto da religiosi islamici, ha ridicolizzato i talebani, affermando che ''stranamente le persone che hanno ordinato la demolizione si definiscono preti musulmani''. La Spach, infine, - un'associazione internazionale per la salvezza del patrimonio culturale afghano - si è dichiarata ''sorpresa'' dall'improvviso voltafaccia del mullah Omar, che fino alla scorsa settimana aveva impedito la demolizione dei Buddha, già minacciata in passato dai miliziani impegnati a combattere a Bamiyan contro la popolazione locale, di religione sciita ed oppositori dei talebani. Secondo alcuni diplomatici occidentali in Pakistan, l'improvvisa decisione del mullah Omar potrebbe essere la spia di una lotta tra fazioni all'interno del regime di Kabul o una rappresaglia, dopo le severe sanzioni economiche imposte dall'Onu ai taleban per la protezione da loro accordata al terrorista saudita Osama Bin Laden.




REGOLE E OBBLIGHI DELL'ISLAM
L'islamismo è una religione monoteistica fondata da Maometto, che per numero di seguaci può considerarsi tra le maggiori del mondo. I seguaci dell'islamismo si dicono "musulmani" (da muslim, credente). Il credo dei musulmani è racchiuso soprattutto nella formula dogmatica (dogma = principio incontrastabile e articolo di fede) "non esiste altro Dio al di fuori di Allah (Dio): Maometto è l'inviato di Allah" (la ilaha illa'llah Muhammad rasul Allah). Esso comporta la fede in Dio, negli angeli, nei libri ispirati, nella predestinazione divina del bene e del male, nel giorno del giudizio.
Il Corano: La base più importante dell'islamismo è il libro del Corano (ossia una lettura diretta, diversa da quella allegorica del vangelo), che per un musulmano non rappresenta la parola di un profeta, ma la parola vera e inalterata di Dio, resa intelligibile da Maometto. Il Corano originale, conservato secondo la tradizione islamica in cielo su di una tavola ben custodita, si è manifestato una sola volta in questo libro, che soltanto la persona pura può toccare e la cui lettura è occupazione elevata ed edificante. Lo stile del Corano, secondo i musulmani, è inestimabile e non contiene solo una bellezza sovrumana, ma racchiude nella disposizione dei versi e delle lettere segreti divini impensati. Il Corano è redatto in prosa ritmata, diviso in 114 capoversi (surah), ordinati in modo che dopo una breve surah iniziale i singoli capoversi si succedono in ordine decrescente, secondo la loro lunghezza.
Il contenuto del Corano è assai vario. Accanto alle lodi di Dio e alle vivaci descrizioni della sua unicità (rispetto alla Trinità cristiana), grandezza e misericordia, ci sono descrizioni impressionanti del giudizio universale, delle bellezze del paradiso e dei tormenti infernali. Al-cuni brani contengono leggende ebraiche e cristiane, spesso riportate in modo inesatto, perché il Profeta, cioè Maometto, il quale probabilmente non sapeva né leggere né scrivere, non disponeva di testi biblici ed era a conoscenza di relazioni solo orali. Molto spazio viene dato alle diverse disposizioni sul culto e sulla vita sociale e alle considerazioni sugli eventi più importanti della vita del Profeta.
I singoli versi del Corano sono chiamati ayah (segni), perché Maometto indicò questi versi come segni miracolosi di Dio, quando i suoi nemici gli chiesero dei miracoli. Alcuni versi sono superati da rivelazioni successive, ma sono rimasti nel Corano e da ciò derivano alcune con-traddizioni.
La posizione dell'uomo viene chiarita più volte nel Corano: egli è superiore a tutti gli spiriti, poiché Dio, il giorno della creazione, comandò agli angeli di prostrarsi dinanzi ad Adamo, in quanto voleva farne il suo rappresentante sulla terra; Satana, che si era rifiutato, fu precipitato nell'inferno. Il primo peccato degli uomini non è ereditario (a differenza della dottrina cristiana sul peccato originale); l'uomo è perciò buono per natura e cambia soltanto per influssi esterni.

Obblighi del musulmano
Il credente ha cinque obblighi principali, di cui il primo, la professione di fede, è in effetti il presupposto degli altri. Colui che pronuncia pubblicamente la formula "non esiste altro Dio fuori che Allah: Maometto è l'inviato di Allah" ha accettato l'Islam. Nel credo è inclusa la fe-de nei profeti precedenti; Maometto non è altro che l'ultimo di essi, colui che ne conclude la serie e che quindi ha portato la rivelazione correttrice delle rivelazioni precedenti. Gli altri quattro obblighi sono: la preghiera obligatoria (salat), le elemosine (zakar), il digiuno nel mese di Ramadan, e il pellegrinaggio alla Mecca.

La preghiera d'obbligo: Viene recitata cinque volte al giorno: all'aurora, a mezzogiorno, al pomeriggio, al tramonto e al calar della notte. Il popolo è chiamato alla preghiera dal minare-to (=torre annessa alla moschea, dalla quale il muezzin chiama i fedeli islamici alla pre-ghiera) della moschea; il richiamo, la cui parte principale è formata dalla professione di fede, risuona con lunghe cadenze sopra le case, oggigiorno amplificato dagli altoparlanti. Appena è terminato, il credente si reca a lavarsi. Egli può recitare la preghiera da solo, purché si trovi in un posto puro, o in comune nella moschea. In qualsiasi luogo è assolutamente necessaria la condizione di purezza rituale. Dopo ogni lieve contaminazione, si deve fare la piccola pulizia, in cui vengono lavati con acqua corrente, che nessuno abbia toccato, la faccia, le braccia fino al gomito e i piedi fino alle caviglie. Se il credente, tra due preghiere, non è stato esposto a nessuna contaminazione, non è obbligato a lavarsi. Dopo gravi contaminazioni (rapporti sessuali, mestruazioni e parto) è necessario un lavacro completo, in cui, a cominciare dai capelli, nessun punto del corpo deve rimanere asciutto. Solo dopo ciò è permesso recitare la preghiera o toccare il Corano.

Le elemosine: Sono una tassa ben regolata dal Corano ed i cui proventi vanno usati per i poveri, i bisognosi, gli esattori di tali tasse, per coloro che devono essere rafforzati nell'ar-dore religioso, per gli schiavi che vogliono riscattarsi, per i debitori che soffrono a causa di debiti contratti per opere buone e infine "per il volere di Dio", il che contempla scopi diversi, quali, ad esempio, l'aiuto ai viaggiatori bisognosi.
Il digiuno: E' forse l'obbligo religioso più osservato oggigiorno, benché sia forse il più duro. Nel Ramadan il nono mese dell'anno lunare islamico di 354 giorni, dall'alba fino al tramonto non è permesso mangiare né fumare né bere o godere di profumi né praticare rapporti ses-suali. I viaggiatori, i vecchi, le gestanti, le donne che devono allattare e i malati non hanno l'obbligo del digiuno, ma devono riparare digiunando in un altro periodo o con una corrispon-dente espiazione (per es. nutrire i poveri). Siccome il Ramadan può cadere in ogni stagione, dato il computo lunare dell'anno, lo sforzo è particolarmente grave d'estate, quando nella calura orientale non è permesso ingerire nemmeno una goccia d'acqua.

Il pellegrinaggio. Per il pellegrinaggio alla Mecca sono stati adottati antichi riti arabi. Esso ha luogo nell'ultimo mese lunare. E' obbligatorio che i pellegrini, a una data distanza dalla Mecca, si coprano con uno speciale indumento composto di due panni non cuciti. Tra i riti da eseguirsi vi è la sosta sul colle Arafat, il giro attorno alla Kaaba, una corsa ripetuta sette volte tra i colli Safa e Marva. Il pellegrinaggio deve essere eseguito solo quando il pellegrino sia sano e possa intraprendere il viaggio senza danno per la famiglia e senza debiti. Alla Mecca non sono ammesse le donne.

Il servizio divino: I musulmani non possiedono una vera gerarchia ecclesiastica. Le fun-zioni del servizio divino vengono affidate a un membro della comunità, considerato idoneo per la sua sapienza, oppure ad un imam (capo), designato e pagato dalla comunità. I conoscitori del Corano e della legge islamica si chiamano 'ulama'. Sebbene non formino un vero e proprio stato ecclesiastico, esercitano tuttavia una grande influenza, soprattutto attraverso i loro pareri (fetwa). L'Islam non possiede un'autorità centrale che dirima le que-stioni di fede: l'unità dello sviluppo dogmatico è garantito dall'igma (consenso) della comunità, con l'aiuto degli esperti della legge.

La legge: Secondo la concezione musulmana, il mondo si divide in due parti: il regno dell'I-slam e il regno della guerra. Quest'ultimo si chiama così perché deve essere combattuto con guerre sante (gihad), finché i pagani che vi abitano siano convertiti o i possessori delle Scrit-ture, cioè ebrei e cristiani, si impegnino a pagare un testatico. Oggi, anche nei paesi musul-mani, il diritto islamico trova applicazione soltanto in parte, perché lo sviluppo della vita mo-derna ha reso inevitabile l'applicazione di nuove norme secondo il modello occidentale. Nelle regioni civilizzate il diritto dell'uomo ad avere quattro mogli è oggi esercitato solo in misura ristretta. Il movimento d'emancipazione femminile (=liberazione dalle condizioni di inferiorità sociale, giuridica e simili, rispetto agli uomini), molto sentito negli stati progrediti, cerca di sviluppare sempre più ciò che nella legge islamica può favorire una maggiore libertà della donna (la moglie, per es., conserva, sposandosi, il suo patrimonio). Tipica religione legalitaria (=che agisce solo con mezzi consentiti dalla legge), l'islamismo ha sempre cercato di ricavare dal Corano, dalla Sunnah (tradizione) e dagli Hadith (resoconti sulle parole e azioni del Profeta) precetti aventi valore di legge. Anche la deduzione analogica è servita come fonte di legge. Poiché però non c'era accordo tra i dotti su molte questioni, sorsero quattro scuole di diritto, che presero il nome dai loro famosi maestri: l'hanafita, la malikita, la shafiita, la hanbalita, ognuna delle quali domina oggi in una determinata regione dell'Islam. Tali scuole sono ritenute tutte egualmente ortodosse e per questo si fa appello ad un detto di Maometto: "La diversità di opinioni nella mia comunità è (un segno) della misericordia divina". La legge, studiata e stabilita nei minimi particolari, ha notevolmente influenzato la vita sociale e politica del musulmano. La legge religiosa dell'Islam distingue anche fra cose pure e impure. Impuri sono per esempio la carne di maiale e il vino, di cui non ci si deve cibare. Vi sono inoltre numerose usanze universalmente diffuse, quantunque non abbiano alcun riferimento nel Corano, come la circoncisione, praticata da tempi remotissimi. Accanto poi alle norme che regolano la vita sociale e religiosa il Corano contiene una serie di precetti che il buon musulmano deve seguire.
L'etica: Sulla base di tali precetti (non uccidere senza giusto motivo, augurare al fratello ciò che si augura a se stessi, ecc.) i telogi musulmani hanno costruito tutto un sistema etico. Il presupposto per una vita morale è una retta fede, senza la quale le opere non avranno al-cun peso nel giorno della resurrezione. L'osservanza delle norme etiche si fonda sulla libertà degli uomini di scegliere tra il bene e il male; d'altra parte se Allah è onnipotente, deve provocare anche le azioni cattive. I teorici della morale islamica hanno cercato in vari modi di risolvere la contraddizione. Alcuni ammettono il libero arbitrio dell'uomo, mentre altri riconoscono alla suprema volontà di Dio la completa determinazione del destino; altri ancora sono per un compromesso, che tenga conto insieme della coscienza della responsabilità e della rassegnazione al volere divino.
La vita ultraterrena: Secondo la concezione islamica, quando un musulmano muore, gli angeli Munkar e Nakir indagano sulla sua passata esistenza, ma il defunto dovrà attendere fino alla resurrezione e al giudizio universale prima che sia stabilito il suo destino eterno. So-lamente coloro che combattono e muoiono per l'Islam vengono accolti subito in paradiso.La dottrina che concerne la rappresentazione della vita dopo la morte viene elaborata sul modello persiano-ebraico-cristiano. Il mondo procederà di male in peggio, fino a quando non arriverà un Mahdi (un guidato da Allah), che darà inizio ad un'età dell'oro; ma in seguito tutto andrà verso il disfacimento. La fine del mondo inizierà con diversi e spaventosi segni esterni, tra cui la venuta del Daggial (Anticristo) e il ritorno di Gesù. Isà (Gesù), che nell'opinione dei musulmani non morì crocifisso, ma fu assunto in cielo, abbatterà l'Anticristo, si sposerà e predicherà l'Islam. Passati 40 anni, morirà a Medina. Si avvicinerà quindi il giudizio universale. Al suono della tromba dell'angelo Israfil (Raffaele) tutti periranno e un successivo squillo darà inizio alla generale resurrezione dei morti. Seguirà il giudizio divino. I buoni andranno in paradiso, dopo aver attraversato un ponte affilato come un rasoio, i malvagi precipiteranno da esso e si avvieranno all'inferno. Il paradiso viene rappresentato con modi e immagini che richiamano più la voluttà terrestre che la beatitudine celeste. Questo luogo di godimenti è formato da giardini deliziosi, che spandono intorno ombre e profumi soavi; freschi corsi d'acqua allietano i beati, che hanno a disposizione cibi prelibati, bevande gustose e ricche vesti, nonché le bellissime Uri (fanciulle sempre vergini) dai grandi occhi.

La Moschea: Da quando Maometto ebbe la rivelazione che la qibla, la direzione verso cui i musulmani si devono rivolgere durante la preghiera, era quella della Mecca (e non Gerusalemme, come aveva creduto nei primi due anni della sua missione profetica), la struttura delle moschee fu sempre impostata in modo rigoroso su questo asse.

Mihrab: All'interno dei luoghi di culto la qibla è indicata da una nicchia detta mihrab. Quando conquistarono la Siria nel 636 i musulmani si impossessarono di numerose chiese a im-pianto basilicale erette in epoca paleocristiana e le trasformarono in moschee. Le basiliche, com'è noto, erano edifici longitudinali, solitamente a tre navate, con tetto spiovente e un altare posto all'estremità orientale. Il mihrab fu collocato sulla parete meridionale, mentre sul lato settentrionale furono aperti altri ingressi (oltre a quello principale a ovest): i fedeli pregavano disponendosi in file parallele lungo le navate.
Cortile: Quando alle basiliche così ristrutturate si aggiunse un cortile recintato e fiancheggiato da portici, le moschee acquisirono le caratteristiche essenziali della casa di Maometto a Medina. La prima moschea di al-Aqsa (anteriore al 670), a Gerusalemme, fu rimaneggiata secondo tali criteri prendendo ispirazione dalla Stoà reale di Erode, una basilica ormai in rovina. In epoche successive, a un'estremità del cortile sorsero navate più lunghe, come nella moschea grande di Cordova (VIII-X secolo), e fu abbandonata qualsiasi analogia con le chiese cristiane.

Il Minareto: La parola italiana "minareto" deriva dall'arabo "al-manarah", cioè' una torre portante una luce, cioè' un faro. La caratteristica torre della moschea, avente presso la sommità' una terrazza sporgente, da cui il muezzin invita i fedeli alla preghiera, si chiama "al-ma'zanah", cioè' il luogo da cui viene fatta "al-anzana" (la chiamata alla preghiera) da "al-mu'azzin" (il convocatore alla preghiera).Nella lingua italiana e' la parola minareto che indica la torre della chiamata alla preghiera. I Minareti furono introdotti nel VII sec. nella forma a base quadrata, tipo che, poi, ebbe diffusione anche nel Magreb e nell'Andalus. Al centro della terrazza finale si ergeva un'altra piccola torre, anch'essa a pianta quadrata con una copertura a forma di piramide o a cupola semisferica.
Il minareto a pianta ottagonale prevalse, in principio, nelle regioni iraniche; fra il 1100 e il 1200 fa la sua comparsa il minareto cilindrico a pianta circolare, esile e snello, che porta presso la sommità' una piattaforma, pure essa circolare e sporgente a sbalzo, sormontata da un altro piccolo cilindro, coperto con una cupola semisferica o con la caratteristica "cupola a bulbo". Nell'impero ottomano il minareto cilindrico acquista snellezza e lievita con ter-minazioni appuntite a cono. Interessanti sono i due esemplari di torri-minareto con scala a spirale esterna, delle quali la più' imponente si trova a Samarra in Iraq e l'altra nella mo-schea di Ibn Tulun al Cairo.
Il minareto, di solito e' unito a coppie, ma , sovente, nelle moschee se ne hanno più' di due. La posizione primitiva nelle moschee era sull'asse della navata e sul lato del cortile opposto a quello in cui era ricavato il "mihrab"; in seguito vennero posti sugli angoli del cortile (e allora furono in numero di tre o quattro), oppure ai lati del portale (minareti a coppia) per accen-tuarne la posizione e la monumentalita'. Ai tempi di Maometto, i credenti venivano chiamati alla preghiera dal tetto della casa del Profeta: questa consuetudine si consolidò presto, così come nel mondo ebraico si usava suonare lo shofar (un corno di ariete) e in quello paleocri-stiano percuotere un batacchio di legno, poi sostituito dalle campane. Pare che le origini del minareto risiedano nell'uso siriano di abbellire e rinforzare gli angoli degli edifici con quattro torrette; all'angolo del cortile della moschea - o indipendente come a Samarra, in Iraq - sorse quindi una torre da cui, sin dalla morte di Maometto, il muezzin esorta alla preghiera. La moschea degli Omayyadi o grande moschea di Damasco (705-715) è uno dei migliori e più famosi esempi di moschea delle origini: eretta intorno a un'antica basilica cristiana, presenta tuttora una corte dotata di minareto. La cupola, risalente a un periodo più tardo, copre la sala di preghiera, dando risalto al principale tra i quattro mihrab che ornano la parete della qibla.

Cupole: La forma della cupola, elemento caratterizzante dell'architettura islamica, derivò dai canoni costruttivi sasanidi e paleocristiani. La moschea più antica del mondo si trova a Gerusalemme ed è la cosiddetta Cupola della Roccia della fine del VII secolo. La costruzione non si rifà allo schema classico della moschea, bensì richiama la chiesa cristiana del Santo Sepolcro, edificata a Gerusalemme nel IV secolo: ha pianta centrale, dotata di due ambulacri o corridoi e un alto tamburo su cui poggia una cupola dorata. L'esterno e l'interno della costruzione sono decorati da un vivace mosaico di mattonelle. Tra il X e il XII secolo, l'in-fluenza dell'arte turca si fece sempre più forte in tutto il mondo islamico. Il mausoleo dise-gnato all'inizio del X secolo per il sovrano Ismail di Buhara, nell'Asia centrale (terra d'origine dei Selgiuchidi), assume da questo punto di vista un importante significato architettonico: la costruzione in mattoni, di forma cubica, era coperta da una cupola poggiante su archi ciechi (impostati sugli angoli del quadrato di base), anziché su pennacchi (triangoli concavi o sezioni di volta triangolari) come si usava nel mondo bizantino. Gli archi ciechi furono desunti dall'Iran sasanide e, poiché erano più facili da costruire rispetto ai pennacchi, si diffusero in tutto l'Islam come elementi di sostegno per le cupole di moschee, mausolei e altri edifici. Sotto gli ottomani furono innalzate molte splendide moschee, come quella (1569-1574) di Selim II a Edirne (Adrianopoli), ideata dal grande architetto turco Sinan. L'edificio culmina in un'enorme cupola ed è preceduto da una corte circondata da un portico, coperto a sua volta da cupole e semicupole. Lo schema è simile a quello della chiesa di Santa Sofia a Istanbul, l'esempio più significativo dell'architettura bizantina, poi trasformata in moschea. A questa struttura, che Sinan adottò anche per la moschea di Solimano I il Magnifico a Istanbul, si rifà gran parte dei luoghi di culto islamico in seguito costruiti in Turchia, Siria, Egitto, Arabia e Nordafrica.
Ivan: Le moschee abbasidi dell'Iran furono le prime a essere dotate di ivan, vale a dire di gallerie su due piani realizzate su ciascun lato del portico che circondava il cortile della mo-schea. Tale elemento architettonico affonda le sue radici nelle tradizioni edili della Persia sa-sanide.
Archi a sesto acuto: Sebbene nell'architettura islamica, soprattutto di epoca più antica, si noti il predominio degli archi a ferro di cavallo, anche l'arco a sesto acuto conobbe larga diffusione. Forse di origine siriana e rielaborato sotto gli Omayyadi, tale elemento caratterizzò anche le moschee abbasidi, e tra il IX e il X secolo fu esportato dall'Iraq in Egitto. Anche le moschee egiziane innalzate sotto i Mamelucchi a partire dal Duecento presentano numerosi archi a sesto acuto.
Minbar e maqsura: Il primo minbar comparse nella moschea di Medina e, se dapprima venne usato con funzione di semplice sedile, si trasformò in seguito in un vero e proprio pulpito per le prediche. Altro elemento strutturale presente in alcune moschee è la maqsura, recinto ligneo che circonda il mihrab, introdotto per isolare i capi della comunità.
La Moschea del Sommamente Misericordioso: E' la prima costruzione, definibile dal punto di vista architettonico come Moschea (con Cupola e Minareto), realizzata in Italia, dopo la demolizione della moschea Giami di Lucera dei Saraceni, nella distruzione di quella città delle Puglie e di il massacro di tutta la sua popolazione musulmana, eseguita da Carlo I d'Angiò', nel 1269, con la "crociata angioina", indetta da papa Clemente IV. Sono passati ben 719 anni! La Moschea e' stata inaugurata nel giorno 12 di Shawwal 1408 dell'Egira, corri-spondente al 28 maggio 1988. Moschea e Minareto insistono su un terreno di 658 mq, in lo-calità' Lavanderie di Segrate, al confine di Milano. La costruzione occupa una superficie coperta di 128 mq ed e' composta da un vestibolo, una sala di preghiera, un ambiente per i servizi ed il minareto. Le coperture sono a cupola, rivestite in lastre di rame.




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