Eduardo Ambrosio


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ATLANTE GLOBALIZZATO

SAGGISTICA E POLITICA

Atlante globalizzato

Interessi comuni e legami tribali ridisegnano inesorabilmente la geografia mondiale, ad esempio si parla di Repubbliche dell'Ulivo o di nuovi Ottomani, con una mappa del mondo reale diversa da quella immaginaria costruita attraverso guerre e trattati, diplomazie e accordi tra governi. Il declino delle ideologie (quale collante transnazionale) ha fatto emergere un rilievo tridimensionale nei rapporti tra le nazioni, ricongiungendosi con il Dna dei loro popoli.

Dopo il secolo delle grandi ideologie, dei totalitarismi, il pianeta è in cerca di una identità (torna attuale la storia antica) data la repentina, con la fine Guerra Fredda, disgregazione dei blocchi tradizionali: non solo di quello sovietico ma anche di quello occidentale, e perfino l'idea di Terzo mondo che era nata per definire il movimento dei <<non allineati>> si va dileguando.
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Nel mondo intero - sostiene Joel Kotkin - una rinascita dei legami tribali sta creando nuove reti di alleanze globali, più complesse. Se una volta la diplomazia (a cominciare dal Congresso di Vienna) aveva l'ultima parola nel tracciare le frontiere, oggi sono la storia, la razza, la religione e la cultura a dividere l'umanità in nuovi gruppi di movimento>>.
Mentre le élite possono essere animati da valori ambientalisti, progressisti, liberisti, al contrario, i popoli sono più decisamente attirati dal potente concetto di <<
tribù>>. Lo storico arabo Ibn Khaldun sostiene: <<Nel deserto sopravvivono solo le tribù, tenute insieme da un forte senso di appartenenza>>.

Le
potenze emergenti da circa un decennio sono Brasile, Federazione russa (con Ucraina, Armenia, Moldavia e Bielorussia sono l'Impero russo) India e Cina (il Bric per la Borsa), ma questi giganti non hanno molti valori in comune, per cui accomunarli non serve a descrivere le dinamiche geo-politiche in atto. I veri confini del nuovo mondo sono altri: tendono a essere trainanti le città-stato, non solo Singapore che è davvero un'entità politica autonoma, ma anche Londra e Parigi nonché Tel Aviv sono <<metropoli globali>>, i cui sistemi si separano da quelli delle loro province (solo nel 2010 in Italia si è legiferato per Roma-capitale).

Il Nordamerica è molto più di un'espressione geografica: tra Stati Uniti e Canada non c'è soluzione di continuità nei sistemi economici, nella cultura con immensa riserva di terre arabili e di acqua (quattro volte quelle europee e asiatiche), punto di forza delle <<guerre alimentari>> del futuro.

In
Cina è quasi del tutto ricostruita la Terra di Mezzo -"il più vasto insieme mondiale popolato da un ceppo omogeneo, gli Han"- come ai tempi dell'Impero celeste e la stessa Taiwan, oltre a Hong Kong, è sempre più attirata dall'orbita economica della madrepatria. Questo dà alla Cina e ai suoi satelliti una straordinaria coesione, ma ne fa anche un mercato di difficile penetrazione per gli stranieri.
La grande
India sta risucchiando nel suo dinamismo economico il Bangladesh e così chiude una lacerazione post-coloniale del 1947. La Cintura del Caucciù tiene insieme nazioni del sudest asiatico che hanno ricche dotazione di risorse naturali: dalla penisola indocinese (Cambogia, Laos, Tailandia, Vietnam) a Indonesia, Malaysia e Filippine.

The Wild East, l'Oriente selvaggio che include Afganistan, Pakistan e le vicine repubbliche ex-sovietiche (Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan), è una posta in palio nello scontro di potere tra Cina, India, Nordamerica.

Per l'America sette anni di guerra in Iraq non sono bastati a impedire che questo paese finisca risucchiato nell'
Iranistan (Iran), come era suo destino, insieme a Bahrein, Libano, Siria e Striscia di Gaza.

I
nuovi Ottomani dilagano da Istanbul (Turchia) fino a riprendersi l'Uzbekistan e il Turkmenistan.

La
Grande Arabia (Arabia Saudita, Kuwait, Territori palestinesi, Emirati Arabi, Yemen) spazia dal Golfo Persico fino a includere Egitto e Giordania: un'area resa compatta dal collante religioso, ma per la stessa ragione destinata ad un rapporto problematico con il resto del mondo.

L'
Arco del Maghreb corre dall'Algeria alla Libia (con Marocco, Mauritania, Tunisia) lungo le coste atlantico-mediterranee.

L
'impero sudafricano (Sudafrica, Zimbabwe, Swazland, Botswana, Lesotho, Namibia) unisce paesi che hanno simili storie coloniali, dotazioni di infrastrutture migliori rispetto al resto dell'area subsahariana (Angola, Camerun, Kenya, Congo, Etiopia, Ghana, Mali, Malawi, Senegal, Nigeria, Sudan, Zambia, Mozambico, Sierra Leone, Tanzania, Togo, Uganda, Liberia, Centrica), e la prevalenza della religione cristiana.

Anche in
America latina è possibile trovare delle faglie negli orientamenti culturali che dividono due grandi famiglie. Da una parte ci sono i Liberisti (Messico, Cile, Colombia, Costarica, Perù) campioni di una versione locale dell'economia di mercato e del pluralismo. Dall'altra le Repubbliche di Bolivariane (Cuba e Bolivia, Argentina e Venezuela, Ecuador e Nicaragua), dove i populismi in versione marxista o peronista hanno messo radici profonde.

In mezzo a queste grandi famiglie spiccano anche
gli isolati. Sono quelle nazioni che per un forte senso d'identità non possono <<sciogliersi>> in un'appartenenza più vasta: a titoli diversi questo è il destino del Brasile in Sudamerica, della Francia (e Svizzera) in Europa, del Giappone (e Corea del sud e India) Asia.

Ci sono
gruppi in bilico: per esempio le due Lucky Countries, nazioni fortunate, Australia e Nuova Zelanda, che hanno un Dna etnico-culturale anglosassone ma sentono l'attrazione economica dell'Asia con cui le loro economie sono complementari.

L'
Unione Europea si orienta verso nuovi equilibri: la Lega anseatica germanico-nordica (Germania, Danimarca, Finlandia, Olanda, Norvegia, Svezia) ritrova <<quel comune destino legato al commercio>> che lo storico Fernand Braudel le attribuì datandolo al XIII secolo (sarebbe il peculiare sviluppo della civiltà comunale d'oltralpe); oggi, con la Germania in testa e fino al Baltico, rinasce in una proiezione globale, perché sono quelli i paesi che si sono meglio inseriti nei mercati asiatici.

Le
Aree di Confine sono Belgio, Repubblica Ceca, Irlanda, Islanda, Repubbliche Baltiche, Polonia, Romania, Slovacchia e Ungheria più il Regno Unito senza Londra: sono paesi intrinsecamente instabili, in bilico tra zone d'influenza rivali, esposti talvolta alla disunione.

Le
Repubbliche dell'Olivo (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Bulgaria, Slovenia, Croazia, Kossovo, Macedonia, Montenegro), dalle nobili radici in comune nell'antichità greco-romana, sono nettamente distanziate dall'Europa settentrionale in ogni categoria: i tassi di povertà sono due volte più alti, la popolazione attiva dal 10 al 20% inferiore, i debiti pubblici più elevati, e i tassi di natalità più bassi del pianeta.
In questo scenario, la collocazione dell'
Italia, sempre meno collocabile in Eurozona o Occidente, è chiara, in quanto, per quanto possa progettare barriere per fermare i flussi migratori delle nazioni <<affini>>, non c'è verso che possa integrarsi con una Lega anseatica proiettata a distanza stratosferiche, non solo nell'Indice di Prosperità, ma anche per quanto riguarda Istruzione e innovazione tecnologica, ormai con punte avanzate impressionanti.



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