Eduardo Ambrosio


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Sintesi del primo '900

UNIVERSITA' > LEZIONI SVOLTE IN ANNI PRECEDENTI > STORIA: IL NOVECENTO


Sintesi del primo '900:
L'età giolittiana, Grande Guerra, Rivoluzione d'Ottobre, Fascismo, Nazismo e Totalitarismo

Il '900 esordisce con le grandi scoperte di Freud che apre alla psicanalisi, mentre in Italia il secolo inizia con la morte di Umberto I, un'inaugurazione nel segno del sangue quasi come premonitrice degli anni sanguinosi che inesorabilmente sarebbero arrivati.

L'età giolittiana e L'Europa nel primo Novecento
Il periodo compreso tra il 1901 e il 1913 fu dominato dalla figura dello statista Giovanni Giolitti: la modernizzazione dello stato liberale, insieme alle prime riforme di carattere sociale, nate in un clima di positivo rapporto tra governo e settori moderati del socialismo, ne fu il tratto caratterizzante. Importanti furono le posizioni riformistiche prevalse tra le fila del Partito Socialista, che posero in minoranza l'ala massimalista, fautrice di uno scontro sociale e politico senza mediazioni. La svolta nel Partito Socialista trovò giustificazione nella linea politica tenuta da Giolitti, che si caratterizzò per un nuovo atteggiamento di neutralità governativa nei conflitti di lavoro, lasciando che fossero risolti dalle parti in causa: industriali e operai. Ai governi presieduti da Giolitti risalgono le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, imperniate sul principio del credito agevolato alle imprese e riguardanti la Basilicata, la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e Napoli: in quest'ultimo caso fu possibile ultimare rapidamente il centro siderurgico di Bagnoli.
L'età giolittiana fu contrassegnata da una forte crescita economica che fece registrare notevoli tassi di sviluppo nel settore industriale, con conseguente aumento del reddito di molti italiani. Tuttavia, gli indici altrettanto elevati dell'emigrazione all'estero (circa 8 milioni di italiani lasciarono il paese in dieci anni) confermavano i radicati squilibri tra Nord e Sud, e tra città e campagna.

In
Europa tra il 1905 e il 1913 diverse crisi e guerre locali portarono la situazione al limite del conflitto generale. Due di queste (crisi marocchine) furono il risultato del tentativo tedesco di sostenere l'indipendenza del Marocco nei confronti dell'occupazione francese, questione poi risolta pacificamente dalla conferenza di Algeciras. Un'altra crisi ebbe luogo nei Balcani nel 1908 a seguito dell'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria; in questo caso la guerra fu evitata solo perché la Serbia, che coltivava mire espansionistiche sulla regione, non poteva agire senza il sostegno della Russia, che a quell'epoca non si riteneva ancora pronta per il conflitto. Approfittando del fatto che l'attenzione delle potenze maggiori era rivolta alla questione marocchina, l'Italia dichiarò guerra alla Turchia nel 1911 per annettersi la regione di Tripoli (guerra di Libia), mentre le guerre balcaniche del 1912-13 ebbero il risultato di rafforzare le tendenze aggressive del regno di Serbia nella regione, peggiorando ulteriormente i suoi rapporti con Vienna, e di suscitare desideri di vendetta e di riscatto nella Bulgaria e nella Turchia.

La Grande Guerra
La Prima guerra mondiale combattuta tra il 1914 e il 1918 da ventotto nazioni, raggruppate negli schieramenti opposti delle potenze alleate (comprendenti tra le altre Gran Bretagna, Francia, Russia, Italia e Stati Uniti) e degli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria). Causa immediata della guerra fu l'assassinio il 28 giugno 1914 a Sarajevo dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austroungarico, da parte del nazionalista serbo Gavrilo Princip; le cause fondamentali del conflitto vanno tuttavia ricercate nelle contrastanti mire imperialistiche delle potenze europee, cresciute in un clima di esasperato nazionalismo. Soprattutto a partire dal 1898, i contrapposti interessi di Francia, Gran Bretagna e Germania (e in misura minore di Austria, Russia e Giappone) alimentarono uno stato continuo di tensione internazionale che spinse i governi a mantenere permanentemente in stato di all'erta eserciti sempre più armati, e ad accrescere la potenza delle proprie marine militari. I tentativi di fermare questa corsa al riarmo ebbero scarso effetto, e non riuscirono a impedire lo strutturarsi dell'Europa attorno a due coalizioni ostili: la Triplice Alleanza tra Germania, Austria-Ungheria e Italia, e la Triplice Intesa tra Gran Bretagna, Francia e Russia.
La guerra durò 4 anni, 3 mesi e 14 giorni di combattimenti. Le vittime nelle forze di terra furo-no più di 37 milioni; in aggiunta, la guerra produsse indirettamente quasi 10 milioni di morti (tra la popolazione civile). Nonostante la speranza che gli accordi raggiunti alla fine della guerra potessero ristabilire una pace duratura, la prima guerra mondiale pose al contrario le premesse di un conflitto ancor più devastante.
La soluzione diplomatica che prevalse al termine della guerra disegnò un quadro politico dell'Europa completamente differente da quello del 1914. La scomparsa di tre imperi (russo, tedesco, austro-ungarico) fu colmata dalla creazione di nuove unità statali, entro le quali l'identità nazionale era tutt'altro che omogenea. Per di più lo spirito punitivo con cui vennero decise, da parte della Francia e della Gran Bretagna, le sanzioni contro la Germania portò ad assumere provvedimenti oltremodo pesanti. I tedeschi li percepirono come umilianti tanto più che il loro esercito non aveva mai subito una reale sconfitta nel corso della guerra. Ancor più grave fu il dissesto finanziario i cui effetti negativi si aggiunsero ai problemi derivanti dalla riconversione delle industrie dalla produzione militare a quella civile. Inoltre la guerra aveva innescato profondi e ampi sommovimenti in tutte le società coinvolte: la Rivoluzione Russa aveva indicato una meta possibile per i ceti operai e contadini, maggiormente colpiti dai costi sociali della guerra. Ma la crisi del dopoguerra travolse anche i ceti medi, predisponendoli a favorire soluzioni autoritarie con le quali liquidare i conflitti ideologici e gli squilibri sociali. La prima guerra mondiale segnò la fine dell'eurocentrismo con lo spostamento dei poteri economico-politici-mondiali negli Stati Uniti.

Rivoluzione d'Ottobre
In
Russia le timide riforme introdotte dallo zar Alessandro II avevano alimentato l'attesa e la richiesta di ulteriori interventi innovativi sul piano istituzionale e legislativo: in particolare gli organi rappresentativi di governo locale erano visti da più parti come l'embrione di un governo parlamentare nazionale, mentre la soppressione della servitù della gleba sembrò preannunciare una riforma agraria di ampio respiro. L'apertura di licei e università ai figli delle classi non nobili, inoltre, creò in breve tempo una numerosa comunità di giovani intellettuali di tendenze rivoluzionarie. Nel 1917 le tensioni russe sfociarono in una radicale rivoluzione che si compì in due fasi. La prima (rivoluzione di febbraio) portò al rovescio del regime autocratico dello zar e all'instaurazione di un regime liberale. La seconda (rivoluzione bolscevica d'ottobre), organizzata dal partito bolscevico diede vita ad uno stato comunista e successivamente all'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. La guida del nuovo stato fu affidata a Lenin che cercò di adattare il modello marxista all'URSS.

Dopoguerra: Fascismo, Nazismo e Totalitarismo
In Italia esauritosi il biennio rosso (1919-21) delle lotte operaie e contadine, la reazione dei ceti medi, degli agrari e degli industriali si indirizzò verso il movimento fascista. Mussolini riuscì a catalizzare sia le frustrazioni della piccola borghesia, disposta all'uso della violenza, sia lo spirito di rivalsa diffuso tra i grandi detentori di ricchezze, gli agrari in primo luogo. Iniziò allora il biennio nero (1921-22) segnato da continue violenze esercitate da squadre di volontari fascisti, le camicie nere, contro le sedi e gli uomini del movimento operaio e socialista. Nelle elezioni politiche del 1921 il Partito Nazionale Fascista, fondato in quell'anno, ottenne 35 deputati alla Camera, un numero ancora inferiore a quello dei socialisti ma sufficiente a segnare la sconfitta dei partiti democratici, tra loro profondamente divisi.

Nell'ottobre del 1922
Mussolini chiamò a raccolta i suoi uomini e li organizzò in formazioni di carattere militare, a capo delle quali mise un quadrunvirato composto da Italo Balbo, Cesare De Vecchi, Emilio De Bono e Michele Bianchi. Il 27 ottobre del 1922 le camicie nere si raccolsero in diverse parti d'Italia per dirigersi su Roma (marcia su Roma del 28 ottobre) e chiedere le dimissioni del governo presieduto da Luigi Facta. Questi si rivolse al re perché proclamasse lo stato d'assedio e sciogliesse la manifestazione. Ma Vittorio Emanuele III si oppose e affidò a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo. In questo modo, attraverso una sorta di colpo di stato effettuato con il sostegno degli apparati statali, Mussolini andò al governo a capo di una coalizione di liberali e popolari, che simpatizzavano per lui e di cui per altro si liberò poco dopo.
Il passaggio dallo stato parlamentare al regime totalitario avvenne nei quattro anni successivi. Diverse furono le tappe in questa direzione: nel 1922 la formazione del
Gran Consiglio del fascismo, un organismo che raccoglieva i capi del partito e che doveva rappresentare il legame tra questo e il governo; nel 1923 le leggi che limitavano la libertà di stampa, per mettere a tacere le opposizioni e utilizzare i giornali come strumenti di propaganda; nello stesso anno fu presentata la modifica del sistema elettorale per garantire alla lista governativa la maggioranza dei deputati.
L'ultima prova di forza si compì con l'assassinio di
Giacomo Matteotti, deputato socialista che aveva osato denunciare in un discorso al Parlamento le violenze e i brogli commessi dai fascisti nelle elezioni politiche del 1924. Pochi giorni dopo Matteotti veniva rapito e ucciso da alcuni fascisti. Nel paese si levò la richiesta delle dimissioni di Mussolini, mentre la maggioranza dei deputati antifascisti abbandonò per protesta i lavori del Parlamento (Aventino). Mussolini salì alla tribuna della Camera (3 gennaio 1925) e si assunse la piena responsabilità delle illegalità fasciste, dimostrando così di non temere la sfida dell'antifascismo. Contemporaneamente esautorò il Parlamento e proclamò la transizione dallo stato liberale a quello fascista.
I passi successivi comportarono l'allontanamento dal governo prima dei cattolici, poi dei liberali. Con la legislazione antiliberale del 1925-26 fu realizzato lo stato totalitario: furono sciolte le opposizioni, espulsi dalla Camera i deputati antifascisti, vietato lo sciopero, messi al bando i sindacati; fu approvata una nuova legge elettorale che prevedeva una lista unica, governativa; fu introdotta la pena di morte e istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato, incaricato di reprimere ogni forma di dissenso.
Un importante successo fu conseguito dal fascismo nel 1929 con la firma dei Patti Lateranensi, che chiudevano il conflitto tra stato italiano e Chiesa cattolica sorto nel 1870 con la conquista delle terre vaticane, lo stato italiano riconosceva il Vaticano come stato indipendente e la Chiesa otteneva che il cattolicesimo fosse dichiarato religione ufficiale.
La crisi economica, successiva al 1929, indusse il governo a contrapporre misure di difesa della produzione nazionale, all'insegna dell'autarchia. Fu varato un piano di opere pubbliche e di risanamento dell'agricoltura. Nel settore industriale si sperimentarono nuove forme di intervento statale con la fondazione dell'IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), un ente finanziato dallo stato allo scopo di salvare le banche e le industrie che erano sull'orlo del fallimento. Le relazioni sindacali e industriali furono regolate dalle Corporazioni, create nel 1933, alle quali erano obbligatoriamente associate le diverse figure della produzione. La politica sociale del fascismo ebbe in quegli anni sviluppi importanti, con le pensioni per gli operai, la settimana di quaranta ore, il sabato festivo, le ferie obbligatorie, il dopolavoro per i dipendenti, l'assistenza alla maternità e all'infanzia.
La politica culturale tentò di orientare gli italiani secondo i valori ritenuti consoni alle tradizioni nazionali e fasciste. I giovani venivano addestrati alla disciplina, all'esercizio della forza fisica e al senso dell'obbedienza, attraverso manifestazioni sportive e sfilate simili alle parate militari. Stampa, cinema e radio furono soggetti non solo alla censura passiva, con cui si vietava la circolazione di notizie che potessero danneggiare l'immagine del fascismo, ma anche a un'azione attiva condotta da un apposito organismo burocratico, il Ministero della cultura popolare. In politica estera per oltre un decennio Mussolini rispettò gli accordi di pace firmati nel 1919. Nel 1935 si verificò la svolta, con la guerra d'Etiopia, che si concluse nel maggio del 1936, e in seguito alla quale Mussolini proclamò la nascita dell'Impero dell'Africa Orientale Italiana, la cui corona fu assunta da Vittorio Emanuele III. Dopo l'impresa africana il regime fascista si trovò avversato, seppure in forme blande, dalla Società delle Nazioni e contemporaneamente fu attratto nell'orbita tedesca: con Hitler Mussolini firmò un'intesa (l'asse Roma-Berlino) che portò il governo fascista a intervenire nella guerra civile spagnola a fianco dei tedeschi.

L'avvicinamento alla Germania nazista divenne totale nel 1938, anno in cui furono emanate le leggi "per la difesa della razza": gli ebrei italiani si videro messi al bando dalla pubblica amministrazione, dalla scuola, dall'esercito. Nello stesso anno fu avviata una campagna di militarizzazione, che portò all'invasione dell'Albania.

In
Germania avevamo avuto una veloce ascesa del movimento nazionalsocialista, guidato da Hitler, che trasse forte impulso dallo scontento che si diffuse fra i tedeschi alla fine della prima guerra mondiale; ritenuta la principale responsabile del conflitto, la Germania dovette infatti accettare le vessatorie condizioni del trattato di Versailles, ed entrò in un cupo periodo di depressione economica, segnato da un'inarrestabile inflazione e da una vasta disoccupazione.
Su questo Hitler costruì la strada che lo portò velocemente a capo della
potente nazione tedesca.
L'esito della prima guerra mondiale aveva scontentato, per motivi diversi, tre grandi potenze: la Germania, principale nazione sconfitta, per le perdite territoriali e le altre pesanti condizioni imposte dal trattato di Versailles, l'Italia e il Giappone, che ritenevano insufficiente quanto ottenuto a seguito della vittoria conseguita.
La seconda guerra mondiale inizia nel 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista. In risposta all'aggressione Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra ai tedeschi e il conflitto si estese presto fino a interessare molti paesi e aree geografiche del pianeta. Più che in qualsiasi altra guerra precedente, il coinvolgimento delle nazioni partecipanti fu totale e l'evento bellico interessò in modo drammaticamente massiccio anche le popolazioni civili.


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