Eduardo Ambrosio


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Appendice dei Quaderni: 3° e 4°

TERZIGNO > CENTENARIO dell'AUTONOMIA > Pubblicazioni relative al CENTENARIO

CENTENARIO della Autonomia Comunale di TERZIGNO


Caro concittadino o, comunque, amico, Eduardo Ambrosio ti da
il benvenuto e brinda idealmente con te con

questa coppa di vino in versi


Terra mia bella e violentata, terra di leggenda, di vigneti che si spandono alle falde
del monte, con la musica dei torchi, che, d'ottobre, avverto, qual piacevole danza, dolce
me
lodia che si fonde con il liquore che, gioioso e rosso come la terra di fuoco che lo ha
generato, a fiumi scende dai tini; dai campi di pesche e crisommole, dagli odorosi
giardini di fiori d'arancio, dai vulcanici pendii d'oro coperti da profumate ginestre.
La tua aria respira con i boschi e, nelle sere d'estate, è carezzata
dal soave sapore di brezza che scende dai colli.
L' originale bel nome è l'emblema della
tua esclusività, è la tua forza di
reagire e, nonostante le tante
mortificazioni a cui
se
i costretta,
ri
sorgerai.
Resisti,
sii forte,
sei di
fuoco!
RISCOPRIRE LE PROPRIE RADICI
PER RAFFORZARE L’IDENTITA’


APPENDICE DEI QUADERNI 3° e 4°


SOMMARIO

ERMENEUTICA E TEMPO

LA CULTURA TERZIGNESE:

  • LA PARLATA TERZIGNESE
  • STROFETTE E CANTILENE POPOLARI (Ninna-nanna, Contro il malocchio)
  • FATTI E FATTERELLI ('O cunto 'e Capizza, 'o cunto d''o Vatecaro, 'o Cunvento senza penzieri)
  • USANZE E COSTUMANZE SACRE E PROFANE (La festa di S. Antonio Abate; il Mercoledì delle Ceneri; Giovedì, Venerdì e Sabato Santo; il Lunedì dopo Pasqua; la Vendemmia e la Venduta del vino; l'Ultimo giorno dell'anno)
  • CREDENZE E SUPERSTIZIONI, 'o Conneturo (conditore) de' Pern
  • I PASSATEMPI DEI GRANDI E DEI PICCOLI


DIARIO-VERBALE DEI FESTEGGIAMENTI DA APRILE 2013


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ERMENEUTICA E TEMPO


L
'Ermeneuta.
L' uomo del sud, per essere un corretto ermeneuta, non può prescindere dalla forte connotazione napoletana
(quasi del tutto separata dagli ambiti politici ed artistici) della filosofia italiana: Magna Grecia o, più recentemente, Giordano Bruno e Giovan Battista Vico.
Se Bruno spezza ogni principio gerarchico, individuando in tutti gli uomini un centro vitale di uguale dignità. Vico trasporta questa concezione dall'ambito dello spazio infinito a quello di tempo. L'intero pensiero italiano non fa che sviluppare questo principio. Lo storicismo, nella sua doppia versione, crociana e tedesca, ha messo le radici proprio a Napoli anche se la voce filosofica principale di Napoli, Cleto Carbonara,ha sentito l'influenza di Gentile più di quella di Croce.
La filosofia deve comunque sempre connotarsi come scelta individuale, indipendenza e originalità del pensiero autonomo.
Un
corretto percorso ermeneuta deve passare attraverso linee di ricerca di sapore fichtiano: la società ed il mondo non sono un insieme di individui irrelati, ma una relazione (o connessione) infinita tra singolarità distinte e collegate, espressa delle categorie di comunità e di intersoggettività, connessione che - con Platone - spoglia gli uomini della estraneità e li espone ad una condivisione costitutiva.

Il
tempo come chiave fenomenologica o "pensiero vivente" della vita più che sulla vita.
Una
lettura fenomenologica, non di timbro logico, ma innervata nella sensibilità dell'esistenza corporea: l'uomo, più che agente razionale, è soggetto passivo, o paziente, del cambiamento; ma non per questo meno attento alla vita politica e civile.
Sicuramente la
sensibilità filosofica mal si concilia con quella politica (o conquista e gestione del potere) anche se le due sfere si attraggono a vicenda. Pertanto, la democrazia ha in sé un'anima tragica, in quanto, esprime insieme una necessità e una impossibilità: l'uomo, quale centro autonomo di pensiero e di esperienza, da un lato si rapporta necessariamente con gli altri, dall'altro è concentrato su se stesso.
Tale
contrasto tra necessità e impossibilità è sintomatico nella realtà napoletana, dove la contraddizione si evidenzia nella difficoltà della filosofia di dare un contributo al superamento delle sempre più gravi difficoltà. Il nesso fra filosofia e politica, dove mancano strutture di mediazione tra i cittadini - sia sul piano delle attività culturali, sia su quello delle strutture produttive, deboli e frantumate - si fa sempre più arduo, comunque deve restare sempre viva la passione politica del filosofo.

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LA CULTURA TERZIGNESE
in ricordo di Agostino Palomba, libera elaborazione di un suo testo.

LA PARLATA TERZIGNESE

Terzigno, come ogni paese, ha una parlata tutta propria che, pur avendo avuto origine comuni alle comunità vicine, se ne differenzia per fonetica e idiotismi. Pur essendo una diramazione del popolo di Ottajano, la propaggine etnica di Terzigno, nel tempo, è andata man mano costituendosi indipendente, formando un nuovo popolo.
La stessa cosa è avvenuta nel campo glottologico: il paese è andato via via formandosi un proprio specifico vocabolario. Pertanto troviamo sulla bocca dei Terzignesi una parlata tutta propria (un terzignese, se parla "comm'ha ffatto 'a mamma, viene subito individuato nei paesi vicini), con una cadenza fonetica e con espressioni idiomatiche tutte particolari, le quali hanno una parziale corrispondenza solo con quella sangiuseppese.

La
sapienza del popolo o Folklore (parola di origine sassone, composta da folk = popolo e lore = sapere) comprende tutto ciò che schiettamente e genuinamente è stato prodotto dal popolo nelle sue più svariate manifestazioni: la prima è il linguaggio vernacolo scevro di regole grammaticali e di orpelli stilistici, espresso come il cuore e la mente dettano.
A conferma di quanto affermato alcuni esempi più notevoli:
becchiero (bicchiere), boccia (bottiglia), ), boccionciello (bottiglia grande) 'e canto (vicino, accanto), abbecìno (vicino), trappìto (talpa), polecìno (pulcino), bricichetta (bicicletta), perecìno (principio), liscialàppeso (temperamatite), 'nziccòmme (appena che), stòrdo (scemo), me scordiètte (mi dimenticai), sbangoleà (scuotere), 'o ppilàmmo (otturiamo), vitocciola (piccola vite), vetecàglie (rametti di vite per innesti o per piantare), vottazziello (barile), ficòcciola (piccolo frutto di fico), scaciòffola (carciofo), ecc., ecc.

Nella parlata popolare, per le diverse dominazioni subìte nei secoli, si riscontrano tuttora voci greche, latine, francesi, spagnole.
Il linguaggio terzignese è ricco di proverbi e detti, mediante i quali, spesso viene regolata la vita pubblica e privata, vengono giudicati fatti e azioni e, talvolta, si danno saggi insegnamenti di vita.
Il linguaggio figurato è, come ovunque, fiorente; ad esempio, due imprecazioni,
trattasi di frasi icastiche: -"
Te puozzi scoroglià (che tu possa disfarti come si disfa un cèrcine - o coruoglio, panno ravvolto a cerchio, che si mette sul capo per portare pesi)". - "Hè ave' nu truòno mbronte , comm' 'a vacca 'e copp'a' lava (devi avere un tuono in fronte come la ebbe la vacca sulla lava)". Il verbo scorogliare non è presente in alcun dialetto dei paesi vicini.
Il popolo terzignese spesso poeteggia inconsapevolmente: per sopportare la dura fatica dei campi, tradizionalmente, i contadini da un campo all'altro si scambiavano stornelli villerecci di contenuto mordace, briose strofette estemporanee e agresti componimenti di botta e risposta.

Fino a poco tempo fa, i braccianti agricoli, uomini e donne di Terzigno, ingaggiati a giornate nel periodo estivo nei campi irrigati di Poggiomarino, S. Marzano e Striano, quando a sera tornavano a casa per la strada provinciale, che dalla Valle del Sarno sale a Terzigno, camminavano a frotte, cantando rustiche canzoni, accompagnati da rozzi strumenti a percussione (come la Tammorra). Tra queste note non mancavano
canzoni religiose in onore della Madonna di Montevergine, della Foce, e di Piano ('o Chian') del Principe. Ancora nei pomeriggi estivi si improvvisavano nei cortili rustici balli al suono di fiarmoniche, cembali e "scetavajasse", cantando filastrocche e cantilene.

Altra caratteristiche del linguaggio terzignese è la pratica dello "
Strangianomm" (soprannome) tuttora in uso; tali nomignoli non sono mai offensivi e sono creati dal popolo con grande genialità e giocosità. L'appioppare un nomignolo è per lo più una nota di socialità, per non dire di familiarità.
I più estrosi sono: - Asso 'e coppe, Buggione, Cap' 'e vojo, Cerquella, Chiaccone, Cocone, Cunni cunni, Giacchinelle, Forfeciaro, Lapone, Lupariello, Mussasciutto, Scappacazone, Sciabbolella, Scioccò, Scolaglia, Sepàro, Zivolillo, 'o Can' 'e Saverio, ecc. ecc.


STROFETTE E CANTILENE

NINNA NANNA
Nonna nonnarella
'o lupo s'è mangiata 'a pecorella!
Pecorella mia, commefaciste,
quanno mmocc'a 'o te vedite?
Suonno suonno, viene e nun trecà
che 'a figlia mia no suonno se vo' fa;
s''o vo' fa' dint'a na connola bella
addo' se reposava 'a Madonnella.
Madonnella mia tu me ll'hè data,
manna 'a pruverenzia a lu patre
e pure alli pariente,
cara la tengo comme sen'avesse ciente.
Santo Nicola alla taverna jeve
pigliava 'e ccriature e ll'addurmeva
l'addurmeva dint'a na connola bella
addo' se reposava 'a Madonnella.

CONTRO IL MALOCCHIO
A nnomme d'a Santissima Trinità
sto malumore senne pozza j' 'a ccà!
Uocchie e contuocchie:
Si so' uocchi, pozzano passà!
E si chiuove sarnno, se ne pozzano j' 'a ccà!



FATTI E FATTERELLI

' O CUNTO 'E CAPIZZA

Capizza era nu guaglione che nun vuleva j a' scola senza pizza.
Pirciò 'o chiammavano accussì. Nu juorno 'a mamma nun teneva 'a pizza pe ce 'a dà e 'o guaglione nun vuleva j a' scola pe' stu fatto.
Allora 'a mamma dicette a' mazza: "
Mazza, vatte a Capizza che nun vo' j a' scola senza 'a pizza!"
'A mazza dicette: "
I nun vatto a Capizza!"
'A mamma allora dicette a 'o ffuoco: "
Fuoco, abbrucia 'a mazza che nun vo' vattere a Capizza, che nun vo' j a' scola senza 'a pizza!"
' O ffuoco rispunnette: "
Nun voglio appiccià 'a mazza che adda vattere a Capizza, che nun vo' j a' scola senza 'a pizza!"
Allora 'a mamma dicette all'acqua: "
Acqua, stuta 'o ffuoco, che nun vo' abbrucia' 'a mazza che adda vattere a Capizza, che nun vo' j a' scola senza 'a pizza!"
L'acqua rispunnette: "Nun voglio stuta 'o ffuoco, che nun vo' abbrucia' 'a mazza che adda vattere a Capizza, che nun vo' j a' scola senza 'a pizza!"
'A mamma allora, all'urdemo dicette a 'o vojo. "Vojo, vivete l'acqua che nun vo' stuta 'o ffuoco che nun vo' appiccia' 'a mazza che nun vo' vattere a Capizza, che nun vo' j a' scola senza 'a pizza!".
'O vojo, che moreva 'e sete, dicette: "
I' vevo i' vevo!"
Allora ll'acqua rispunnette: "
I' stuto i' stuto!"
'O ffuoco dicette: "
I' brucio i' brucio!"
'A mazza dicette: " "
I' vatto i' vatto!"
C
apizza vedette 'a mala parata e subbeto dicette: "I' Vaco 'a scola pure senza 'a pizza!"

'O CUNTO D''O VATECARO

Un carrettiere passò davanti ad un'osteria e. avendo fame vi entrò. Ordinò all'oste un uovo fritto ad occhio di bue (a uocchio 'e voje). Dopo aver mangiato, poiché non aveva soldi disse all'oste: "Ti pagherò la prossima volta che passerò di qui". Questo non avvenne durante un lungo periodo di tempi e allora l'oste fece una citazione in tribunale a quel carrettiere, ed in essa scrisse che non solo doveva pagare l'uovo cucinato, ma anche la gallina che da quell'uovo sarebbe nata. Nel giorno della causa, il carrettiere uscì di casa per andare davanti al giudice e per la strada diceva in soliloquio: "Come devo fare per avere un avvocato che mi possa difendere?" Un contadino, vedendolo tutto costernato, gliene chiese il motivo. Saputo ogni cosa, gli disse: "Amico, non ti preoccupare, ti difenderò io davanti al giudice".
Ambedue si presentarono davanti alla legge. Vi giunsero con un po' di ritardo sull'orario stabilito e quindi il contadino fece le sue scuse al magistrato dicendo: "Signor giudice, chiedo scusa se col mio cliente mi presento in ritardo, ho dovuto seminare un tomolo di fave cotte. Il giudice rispose: "Ma come, le fave cotte germogliano?" Il contadino riprese subito: "Signor giudice, come le fave cotte non germoglieranno, così dall'uovo cotto non sarebbe nata alcuna gallina!" Con questo espediente il carrettiere fu condannato a pagare solo l'uovo cucinato.


'O CUNVENTO SENZA PENZIERI

Un re un giorno passò davanti ad un convento e lesse sulla porta d'ingresso: "Qui si vive senza pensieri". Meravigliato di questa epigrafe, entrò e disse al superiore: "Una volta che qui vivete senza pensieri vi do io l'occasione di pensare a lungo: fra otto giorni mi dovete far sapere quanto pesa la luna, altrimenti vi farò impiccare tutti!" Andato via il sovrano, il superiore rimase angosciato. Il "picuozzo" gli chiese perché stesse così e il superiore gli disse tutto. Allora il "picuozzo" gli suggerì di rispondere al re che la luna non aveva sempre lo stesso peso: quando è piena pesa un chilo, quando è a metà ne pesa mezzo e quando è un quarto di luna pesa un quarto di chilo. Il superiore, dopo otto giorni andò da re e riferì come il fratello laico gli aveva detto. Il monarca rimase sorpreso dalla sapiente risposta e propose un altro quesito: "Quanti denari vale il re?" Il "picuozzo" trovò subito la risposta. "Se il Signore Gesù fu pagato trenta denari, il re, ne vale sicuramente ventinove!" Il padre superiore riferì al re tale saggia risposta ed anche questa volta il re rimase soddisfatto. Allora propose al religioso un'altra domanda: "Come si fa a passare da uno stato sociale ad un altro?" Questa volta "picuozzo" volle presentarsi lui stesso davanti al re vestendo, però, l'abito del superiore. Il re non si accorse del cambio di persona e, rivolta la domanda si sentì rispondere: "Ecco, io ieri ero laico ed oggi sono superiore" e così dicendo si fece riconoscere. Il monarca non ebbe nulla da eccepire e da quel giorno lasciò i frati in pace.



USANZE E COSTUMANZE SACRE E PROFANE

I terzignesi, inoltre sono molto attaccati a certe tradizioni inveterate di secoli trasmesse dagli antenati come retaggio popolare. Alcune di esse sono scomparse già da tempo ed altre sono rifiorite ai nostri giorni, come:

  • La festa di Sant'Antonio Abate, chiamato con il francesismo: "Sant'Antuono", per distinguerlo da Santo di Padova. Nella tarda sera del 17 gennaio, in piazze e cortili si accende un grande falò - 'o fucarone - con la legna offerta dai cittadini. Questo per ricordare che il Santo è patrono del fuoco, giacché, da lontano, spense con un cenno di benedizione l'incendio scoppiato ad Alessandria d'Egitto. Attorno ai falò, è tutta una festa di grandi e piccoli, vengono sparati "tricchi-tracchi e botte", rimasuglio delle feste natalizie appena trascorse.
  • Ultimo giorno di Carneale (vedi Appendice precedente).
  • Il mercoledì delle ceneri, nella mttinata di questio giorno, si appendevano fuori le case delle rozze bambole (chiamate "Quaresime"), vestite di nero, nella parte inferione pendeva un grossa patata con infilzate sette penne di gallina. Ogni domenica se ne tirava via una, così i bambini si rendevano conto di quanto tempo mancava per Pasqua. Non mancava il caso di qualche monello, che ne faceva un bersaglio da colpire con sassi, tra lo sbraittare della padrona.
  • IL GIOVEDI' santo, negli anni Trenta, un sacerdote terzigese, Don Viscardi Menzione, di felice memoria, fu il promotore di una processione detta dei "Misteri", la quale girava non solo per il paese, ma anche in Poggiomarino, Flocco, Casilli e Santa Maria La Scala, dalla tarda mattinata fino a tarda sera; si fermava in tutte le chiese ove c'era il "Sepolcro" per una visita al S.S. Sacramento e poi venivano cantate le strofette, forse arie metastasiane, sulla passione del Signore. Era un vero spettacolo di fede,offerto da uomini del popolo, profondamente crostiani. Inoltre, fino agli anni Quaranta, in piazza a Terzigno giungeva, nel pomeriggio, una processione dalla località Piano del Principe ('o Chian') detta "'e Vvirgenelle" composta in gran parte da ragazze vestite di bianco e da alcuni adolescenti vestiti da antiche soldati romani, i quali trascinavano, per così dire, un giovane che impersonava Gesù. Non mancavano le "pie donne" che accompagnavano Gesù sul Calvario. Si svolgeva un sacra rappresentazione, usando il testo scritto da Fra' Jacopone da Todi, autore del Trecento. Dopo la parte recitata, venivano eseguiti dei canti, sempre aventi come argomento la passione di Geasù.
  • IL VENERDI' santo, nel pomeriggio si tiene , nella chiesa madere, la predicazione delle " tre ore di agonia". Poi si svolge la processione di Gesù morto seguito dall Vergine addolorata.
  • IL SABATO SANTO, fino a quando la celebrazione della Resurrezione di Gesù avveniva al mattino di questo giorno, c'era l'usanza di accendere, davanti alla Chiesa, una figura femminile fatta di numerosi pezzi di fuochi pirotecnici - detta perciò " 'a quaresima 'e fuoco" - appena le campane davano il segno della Gloria.
  • IL LUNEDI' DOPO PASQUA, Da oltre un secolo si festeggia Santa Brigida nella chiesetta omonima. Fino al 1918 si mandava in aria, tra il tripudio generale, una mongolfiera, costruita da Michele Ambrosio; successivamente e fino al 1969, siccome l'Ambrosio emigra in America, la mongolfiera viene costruita da Nicola Caldarelli. Attualmente si pensa (solo, purtroppo!) di riprendere la tradizione.
  • LA VENDEMMIA E LA VENDITA DEL VINO, La vendemmia (attività da principale di Terzigno, sempre più rara) è una gran festa! Si lavora e si cantano arie agresti, talvolta anche mordaci. Quando la pigiatura si faceva con i piedi (negli anni Novanta, L'Archeo propose la pigiatura in piazza - vedi foto) avevano luogo del tutto simili a quelle dell'antico mondo romano (non a caso in Terzigno insistono numerose ville rutiche romane del suburbio pompeiano): gli operai si tingevano il volto con il mosto e sghignazzavano come tanti satiri. Al termine della vendemmia ha luogo un rituale pranzo ('a parmentata), fra tutti gli operai. Uguale convito avviene durante il travaso in damigiane di vetro o in botti piccole per la vendita ('a trafeca).
  • L'ULTIMO GIORNO DELL'ANNO vedi la frasca nell'appendice precedente.



CREDENZE E SUPERSTIZIONI


La nostra gente, nonostante la grande religiosità e nonostante il progresso sociale negli ultimi decenni, conserva ancora molte credenze e sciocche superstizioni, quasi a mo' di codice a cui ci si deve attenere . Pertanto, spesso, pur non condividendo le opinioni degli avi, il popolo le osserva per un non so che di timore e scrupolosità: "non ci credo… ma non si può mai sapere!

Tra le righe, a questo punto racconto la storiella " ro' Conneturo (conditore) de' Pern" (don Felice, parroco dei Casilli e professore di religione alla Ragioneria di San Giuseppe Vesuviano, appena vedeva un alunno un terzignese amava raccontarla); si racconta, infatti, che, data la grande povertà della società contadina, nel rione Bianchi ('e Pern') di Terzigno, le massaie, allo scopo di insaporire le modeste minestre di erbe raccolte in campagna, si consorziarono per comprare un osso di prosciutto, appunto il conditore, da usare a turno, per cui ci si rivolgeva dicendo: "'a fatt' co' Conneturo, passam' 'o Conneturo, ecc.". Dopo un certo periodo, per mascherare questa misera pratica ci si accordò nel non chiamarlo più:"'o conneturo" ma:"'o Cos". Per cui nei Pern' si sentiva:"'a fatt' co' Cos' - passam' 'o Cos'- ecc."

Di seguito una piccola raccolta delle credenze più comuni:
1. L'incontro con un gobbo è di buon auspicio, mentre con una donna gobba o un gatto nero, disgrazia in arrivo.
2. La rottura di un vetro è indice di entrata di moneta, mentre la rottura della bottiglia dell'olio è un segno premonitore di disgrazia per la famiglia.
3. Il canto della civetta di notte è di cattivo augurio: ci si alza e, in soliloquio, fuori la porta, si dice: "
Comma', comma', piglia 'a tiella e frijmmo stu male auciello!"
4. La donna incinta, se cade con il deretano per terra darà alla luce una femmina; se cade con pancia in giù, da lei, certamente nascerà un maschio. La donna in stato interesante non deve cucire altrimenti il nascituro verrebbe soffocato dal cordone ombelicale che gli si stringerebbe intorno al collo.
5. Per scacciare la scalogna si getta il ale su persone e cose. Per vedere se un progetto o un desiderio sarà realizzato, si lega del sale in un fazzoletto e lo si lancia in alto: se cadendo, il fazzoletto si rompe (crepandosi) tutto si avvererà nel modo voluto; altrimenti è segno di sfortuna.
6. Nessun contadino osa piantare alberi di alloro, perché per lui sarebbe prossima la morte. Qualora la pianta nascesse da sé non porterebbe alcuna disgrazia.
7. Camminando per le strade, si vedono spesso civette inchiodate alle porte di casa e dei corni infissi sui camini: il tutto è per allontanare malocchio e scalogna.
8. Trovare scaglie di pelle di serpe porta fortuna.
9. Alcuni contadini, durante la raccolta dei fichi, prima di salire sull'albero, fanno uno scongiuro perché ritengono che il fico sia un albero maledetto.
10. Nessuna ragazza si siede su una sedia posta nell'angolo di una tavola giacché rimarrebbe nubile (zitell') per tutta ala vita.
11. Se una donna golosa desidera un leccornia bisogna accontentarla giacché: "
'a giovane po' murì e 'a mmaritata po' abburtì".
12. Una sarta nubile non deve mai provare su di sé un abito da sposa; se lo facesse resterebbe nubile.
13. In una visita di cortesia o di dovere, l'ospite, quando va via, non deve mai riporre la sedia dove l'ha presa per sedersi; se lo facesse in quella casa non entrerebbe più.
14. Porta scalogna aprire un ombrello in casa.
15. Mai regalare fazzoletti ad una sposa; significherebbe farla piangere per tutta la vita.
16. Durante la celebrazione di un matrimonio, quando gli sposi si inginocchiano davanti all'altare, se lo sposo pone il ginocchio sinistro su un lembo della veste della sposa otterrà da lei sempre obbedienza e fedeltà.


Quante delusioni ed illusioni in tutte queste sciocche superstizioni e stolte credenze! Sol perché talvolta esse, per caso si sono avverate, il popolino ne ha fatto regola fissa da osservare.
Personalmente, da alcune donne mature, ho sentito recentemente frasi come :" …mo' sentimmo 'o ndovinator… po' decidimm'"; inoltre ho visto, nel 2013, bruciare, in piena pioggia, dei fili di paglia usati per guarire una insistente febbre di un bambino.


I PASSATEMPI DEI GRANDI E DEI PICCOLI

Da sempre, piccoli e adulti hanno avuto svaghi proporzionati all'età e variamenti organizzati secondo l'evoluzione e il progresso della società.
Nel tempo, anche Terzigno ha avuto, per movimentare la monotona vita agreste, i suoi
passatempi più o meno evoluti (oggi alquanto appannati), come il gioco delle nocciole: ci si riuniva in gruppo in un'area di terra battuta e, dopo aver scavato con le mani una piccola buca, si faceva la conta per stabilire l'ordine in cui uno per volta e da una certa distanza, i ragazzi gettavano alcune noccioline nella buca (una sorta di golf ante litteram), quelle che non entravano nella buca al primo colpo, venivano poi fatte andare in buca con un colpetto delle dita. Le noccioline entrate nella buca erano considerate vinte'.
"'A mazza e 'o pivezo": i ragazzi armati di un bastone (mazza) di legno colpivano un bastoncino molto più piccolo (pivezo) per lanciarlo verso una "base".
'O zompancuollo, era un gioco molto divertente: si formavano due squadre di ragazzi che a turno saltavano sulla schiena degli avversari, i quali dovevano sostenere il peso per un certo tempo.
Il re di tutti i giochi era "
'o strummolo" (trottola in legno massiccio).
Anche i
bottoni delle camicie e dei pantaloni servivano per giocare. I bambini ne avevano sempre le tasche piene; talvolta, non avendone perché perduti al gioco, erano capaci di strapparli dalle camicie per giocare. Nel dopoguerra sostituiti, dai ragazzi più grandi, dai soldi.
Oggi i giochi dei ragazzi sono ben diversi: si gioca, infatti,
a ping-pong, a pallacanestro, a tennis , a bigliardino.
Il gioco del c
alcio è il più comune. Basta una palla ed un po' di spazio e la partita ha inizio!
Gli anziani dei tempi passati, in verità anche gli attuali, avevano pochi svaghi:
le bocce e le carte napoletane. Trascorrevano così i pomeriggi festivi tra gli amici del rione. La posta in gioco era qualche soldino o qualche bicchiere di vino.
I giovani di oggi in genere preferiscono andare alla
partita, a cinema, a teatro; oppure trascorrono gran parte del loro tempo ad assistere a spettacoli (non sempre tali) televisivi.
Un tempo gli anziani, nelle lunghe sere d'inverno, oppure durante le giornate piovose, radunavano attorno al braciere o al focolare i bambini e, alla tenue luce del lume a petrolio, raccontavano
tante storie ('e cunti) di sapore fantastico e di argomento morale. I piccoli ascoltavano con grande attenzione le avventure fantastiche e godevano immensamente della trama, tracciata alla buona ma con icastiche espressioni popolari. Talvolta un racconto veniva narrato … a puntate e, pertanto, i bambini aspettavano con ansia il proseguimento della narrazione (le attuali fiction).



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DIARIO (VERBALE) DEI FESTEGGIAMENTI



APRILE 2013


Invitando tutta la cittadinanza a quest'alto momento celebrativo della nostra amata Terzigno, terremo nel Museo omonimo una manifestazione ( manifesto su modello fornito dagli Emblema) in:


OMAGGIO AL MAESTRO EMBLEMA

Il PREMIO TRASPARENZA




GIUGNO 2013


P
22 giugno 1913 - 22 giugno 2013 firma del decreto di Autonomia




Ai vari denigratori: speriamo che la morte vi trovi vivi! (Ungaretti)

Chi non lotta ha già perso, chi lotta può perdere!

A COSA SERVE AVERE LE MANI PULITE, SE POI SI TENGONO IN TASCA?
BISOGNA CORRETTAMENTE SPORCARSI!

DOBBIAMO AVERE IL FUTURO ALLE SPALLE E IL PASSATO DAVANTI, COME I CANOISTI.

INSOMMA DOBBIAMO ABBANDONARE OGNI PERSONALISMO E LAVORARE CON ABNEGAZIONE PER IL NOSTRO PAESE E BASTA!




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