Eduardo Ambrosio


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ANTISEMITISMO

CULTURE E RELIGIONI

L'ANTISEMITISMO (semita: discendente Sem, figlio di Noè)

Se un uomo attribuisce tutte o parte delle disgrazie del paese e delle sue proprie disgrazie alla presenza di elementi ebraici della comunità, se egli propone di rimediare a questo stato di cose privando gli ebrei di alcuni dei loro diritti o escludendoli da certe funzioni economiche e sociali o espellendoli dal territorio o sterminandoli tutti, si dice che egli è di opinione antisemita (J. P. Sartre).

DALLE ORIGINI ALLA II GUERRA MONDIALE
A partire dal III secolo a. C. , gli ebrei avevano cominciato ad emigrare dalla Palestina, per stabilirsi soprattutto in Egitto, in Grecia e in Italia. L'emigrazione continuò fin verso il 70 d. C. , quando gli ebrei di Palestina si ribellarono ai Romani. La reazione di Roma fu dura: moltissimi furono gli ebrei uccisi e fatti schiavi e il loro tempio, rico-struito dopo il ritorno da Babilonia, fu dato alle fiamme. Più violenta fu la rivolta del 132 ed ancora più dura, anzi tremenda e definitiva, la repressione romana: almeno 600mila ebrei furono trucidati e i sopravvissuti si dispersero per l'impero romano.
E' questa la cosiddetta Diaspora, cioè la definitiva dispersione degli ebrei; ed è a partire da questo momento che essi cominciano ad essere ritenuti un popolo privo di patria. Il vero e proprio antisemitismo nasce più tardi verso il IV sec.
Il Cristianesimo, divenuto religione di stato, è intollerante verso le altre religioni. Pur considerando gli ebrei come testimoni viventi delle Scritture, la Chiesa ritiene doveroso punirli in eterno attribuendo loro la colpa dell'atroce imperdonabile peccato, di aver fatto subire al Messia l'estremo supplizio: "Popolo deicida". E tale impedimento dà presto i suoi frutti: è al IV sec. che risalgono i primi incendi di sinagoghe ed è al IV sec. che risalgono i primi divieti fatti agli ebrei: di sposare donne cristiane, di accedere ai pubblici uffici, di costruire nuove sinagoghe, ecc. Fu però ventura nella sventura che verso la fine del VI sec. ascendesse al trono pontificio un personaggio - Gregorio I Magno - veramente eccezionale per altezza di ingegno e cultura. Egli affermò che, mentre non si sarebbe dovuto risparmiare alcuno sforzo pur di convertirli alla fede cristiana, si sarebbero però dovute evitare le conversioni forzate.
Non sempre i Pontefici successivi ed i pur ferventi principi cristiani si attennero a questa regola, ma certo è che la parola di Gregorio I Magno costituì almeno una remora alla degradazione degli ebrei. E' dunque a partire dai primi secoli del Cristianesimo trionfante che comincia l'antisemitismo. Le vicende successive sono quanto mai varie, complesse e alterne: a seconda dei tempi e dei luoghi, periodi di relativa tolleranza seguono o precedono periodi di persecuzione, momenti di serenità e di speranza si alternano a momenti di terrore e di disperazione. In linea generale si può dire che la motivazione religiosa tende a perdere terreno, con il trascorrere dei secoli, con raffronti di quella socioeconomica. Quale ultima grande persecuzione esaminiamo gli sviluppi di tale fenomeno nella Germania dal XVIII al XX sec.

L'ANTISEMITISMO IN GERMANIA
Per molti secoli la Germania è rimasta un espressione geografica. Il frazionamento, co-minciato all'età medioevale, si è andato aggravando fino a giungere, nel XVIII sec., ad uno spezzettamento in circa 350 fra principati, ducati, elettorati, città libere e vescovati, tra i quali l'imperatore, investito di un potere puramente onorifico, non crea alcun legame. L'unità che i tedeschi colti desiderano, alla fine del XVIII sec., è prima di tutto un'unità dello spirito; ha un carattere morale, se non mistico e poco si preoccupa delle contingenze istituzionali. Essa potrebbe benissimo realizzarsi sotto forma di federazione, gli stati conserverebbero così la loro originalità e, senza fondersi in una matrice uniforme, costituirebbero insieme una sorta di ente spirituale avente come comune denominatore lo spirito tedesco. L'impero, finalmente realizzato sotto l'egida della Prussia, è assai diverso da questo sogno, la delusione degli intellettuali influirà pesantemente sulla nascita del risentimento nazionale.
Ora bisogna vedere quale collocazione la Germania colta dà alla questione ebraica. Se da una parte i pensatori tedeschi auspicano che ogni gruppo umano conservi i propri valori, dall'altra intendono conciliare questo particolarismo con la loro visione universalistica. Quindi si propongono il problema ebraico: come considerare questi ebrei che si cristallizzano nelle tradizioni e proteggono gelosamente il loro passato. La questione ebraica diventa una delle pietre di paragone della filosofia e delle dottrine politiche tedesche, tanto che lo Stato decide di occuparsene attivamente: in Prussia e in Austria i sovrani nominano numerose commissioni di studio. La mentalità del 1750 ritiene che le religioni si equivalgano e che solo il modo di praticarle produca differenze. Ora gli ebrei in questa materia non sono liberi: sono stati relegati nel ghetto, sottoposte a restrizioni che li hanno indotti a praticare il commercio del denaro, a divenire cioè usurai. In altri termini la condizione degli ebrei sarebbe un sottoprodotto del risentimento cristiano.
Questa visione perderà credito, però, intorno al 1790 con gli albori del romanticismo e con la divisione della Polonia. La situazione degli ebrei in Polonia non giustificava questo modello comportamentale in quanto questi godevano, a differenza dei loro fratelli tedeschi, di reale libertà.
Intanto i governi tengono conto di questa situazione: in Prussia e in Austria i sovrani considerano il "giudaismo" una sopravvivenza dei tempi antichi che sarebbe ridicolo perseguitare e di cui comunque bisogna favorirne il declino. Così i sovrani progettano di assimilarli organizzando una "Commissione di riforma dello statuto degli ebrei". Negli anni a venire alcuni ebrei si sono integrati nell'alta società tedesca, ma essi rappresentano l'1,3% dell'ebraismo. L'ebreo, per i tedeschi, rappresenta comunque l'uomo del ghetto, per cui l'assimilazione di fatto non avvenne.

LA CRISI NAZIONALE
L'opinione pubblica tedesca assiste dapprima senza emozione alla Rivoluzione Francese. La conquista da parte della Francia dei territori a sinistra del Reno non tocca minimamente i tedeschi, che non hanno ancora interiorizzato il sentimento della loro unità. Ma poco dopo la classe dirigente si rende conto che l'ordine sociale tradizionale è minacciato. In un tale clima il problema ebraico assume un rilievo particolare. Gli ebrei, che sono a conoscenza dei vantaggi ottenuti dai loro fratelli d'oltre Reno, iniziano a protestare in nome dei diritti riconosciuti a questi ultimi in Francia. I soldati della rivoluzione, in attesa del regolamento diplomatico, si stanziano sulla riva destra del Reno e impongono la legislazione in vigore in Francia. I reclami ebraici si fanno sempre più forti; l'emancipazione dell'ebreo diviene il simbolo del disordine e del caos.
Infatti si sente un senso di profondo smarrimento tra i giuristi tedeschi che propongo-no soluzioni prive di buon senso, poiché se gli ebrei diventano uguali agli altri uomini, che cosa resterà della gerarchia naturale, come verranno mantenute le barrire tra le classi? In Austria il governo assume la guida della resistenza e finge di accedere alle misure francesi. Da quest'epoca appaiono alcuni stretti legami tra conservatorismo sociale e antisemitismo. La politica napoleonica scuote la Germania molto più di quella della Rivoluzione Francese; l'imperatore fa a pezzi la geografia politica del paese e pretende di imporre l'imitazione dell'impero francese. I tedeschi si persuadono così che per far sopravvivere la loro politica devono fondare un'unità durevole basata sulla lingua e sulla storia. La fedeltà al passato medioevale, la protezione dei valori peculiari del pangermanesimo, esigono l'allontanamento degli ebrei poiché, un ebreo ha storia e lingue diverse dal tedesco e quindi non può far parte della Germania. In conclusione il vero ebreo non è assimilabile, conviene rifiutargli l'uguaglianza dei diritti. A questo punto vengono presentate due soluzioni di cui una è riservata allo Stato: la "de-ebraizzazione" come estirpazione del culto e dei costumi ebraici.
L'altra soluzione è l'isolamento per mezzo di barriere sociali. Dopo il 1820 l'antisemitismo infiamma molti circoli intellettuali. Gli ebrei sono motivo di timore per i tedeschi poiché costituiscono una nazione in un'altra che sta per nascere. In Germania si tenta anche un antiebraismo economico, ma non ha un ruolo significativo.
Verso il 1840 la Germania entra in un periodo di ascesa economica.
Gli ebrei intuiscono le altre barriere liberali sono loro precluse, così cominciano a spo-starsi verso i centri urbani. Gli ebrei lavorano ovunque sono bene accetti. La mentalità degli uomini d'affari è cambiata ben poco: essi fanno affidamento sugli ebrei che non hanno niente da perdere, purché si lancino per primi nelle imprese rischiose.
Infatti gli ebrei saranno all'origine delle prime speculazioni; il commercio e la banca sono i loro settori preferiti anche se fanno investimenti nel teatro, nel giornalismo e nella politica, settori che godono di cattiva fama.
L'entrata massiccia degli ebrei nella società favorisce l'ascesa economica e la conseguente realizzazione dell'unità della Germania tanto che gli ebrei liberali reclamano a gran voce l'abolizione delle misure di discriminazione e la ottengono. I tedeschi, infatti, trascinati dalla crescita della prosperità accettano il cambiamento. L'assimilazione degli ebrei sembra di nuovo possibile.
Ma dopo la sconfitta delle rivoluzioni del 1848 la Germania attraversa un periodo di freddo realismo. Il romanticismo è morto. Il solo grande problema è l'unità, Sembra essere un periodo grigio e meschino di cui tutte le colpe si attribuiscono agli ebrei, che erano stati la causa di quel capitalismo egoista e senza patria che tanto disgustava gli intellettuali del periodo. La diffusione di questa idea accende gli animi antisemiti; questo fenomeno diventa di un'ampiezza sorprendente. Certo, gli antisemiti non sono per niente uniti, ma si riesce comunque a raggiungere un accordo. Infatti, nelle elezioni del 1881, questi presentano una lista di candidati e ottengono il secondo posto che permette l'inaugurazione dell'antisemitismo parlamentare. Si radica così l'idea di razzismo. Durante la prima metà del XIX sec., la nozione di razza diventa d'uso corrente, si precisa e si arricchisce di giudizi di valore: ci sono razze forti, inventive, e altre che lo sono meno, che cioè possono essere considerate inferiori. Le teorie razziste si inseriscono nei sogni che accompagnano la realizzazione dell'unità. A metà del XIX sec., Wagner e Legarte sviluppano una specie di biologia razziale: "La vita è una lotta in cui i potenti trionfano".
La prima ondata antisemita, quella che dilaga a partire dal 1873 e non fa appello al razzismo. Le teorie razziali cominciano a radicarsi nella letteratura antiebraica alla fine del XIX sec., e costituiscono una specie di argomento in più, invocato soprattutto quando antisemiti di destra e di sinistra non riescono a mettersi d'accordo. In Germania, aristocratici, alta borghesia, ceti medi hanno tutti paura del proletariato, ma diffidano gli uni dagli altri, così il razzismo diventa l'aition per una certa convergenza. Si comprende chiaramente che i tedeschi, fieri della loro potenza economica e militare, irritati con gli altri popoli, si sono consolati col sentimento nazista della loro superiorità.
Nel caos del XX sec. d'un tratto, appare un'idea chiara: gli ebrei non valgono niente perché sono semiti, perché provengono da un ramo dell'umanità di cui la scienza può dimostrare il carattere inferiore. L'antisemitismo, dunque, è sempre vivo in Germania. L'apparente integrazione degli ebrei, in un certo senso, non fa che aggravarlo; le reazioni sono più violente di quanto non lo siano state alla fine del XIX sec.: nel marzo del 1920, un alto funzionario, Kapp, tenta un colpo di stato; occupa la capitale per alcune ore ed espone un programma che prevede l'espulsione degli ebrei entrati in Germania dopo la guerra.
Nell'autunno 1923, a Berlino, negozi ebrei sono saccheggiati e molti israeliti dell'Europa sono malmenati. Durante la repubblica di Weimar, ogni movimento di estrema destra proclamatosi nazionale è obbligatoriamente antiebraico. Hitler, di origine austriaca, in gioventù aveva seguito la campagna di Schönerer e di Lueger; ammirava il nazionalismo esclusivista del primo, comprendeva la demagogia "socialisteggiante" del secondo e si teneva pronto ad utilizzare l'antisemitismo sia per accattivarsi i conservatori sia per accontentare i ceti medi. La sua prima relazione politica del settembre 1919, mostra una convinzione antiebraica già ben affermata: gli ebrei, scrive, sono una razza diversa; le loro preoccupazioni volgarmente materiali e puramente interessate li rendono inassimilabili e quindi conviene trattarli come stranieri. Quando, nel 1929, scoppiò la rovinosa crisi economica, Hitler e il nazismo non costituivano ancora, come forza politica, una minaccia mortale per la fragile democrazia "Weirmariana". Nell'elezione del 20 maggio 1928, i nazisti infatti, raccolsero poco più di 800mila voti su 31milioni di elettori, entrando in parlamento con soli 12 seggi su 491. I socialdemocratici conseguirono, invece, ben 9 milioni di voti: era veramente il partito - chiave della Germania. Ma già nelle elezioni del luglio del 1930, quando i tedeschi subirono i terribili contraccolpi del crollo della borsa di Wall Street, il partito di Hitler aumentò incredibilmente i suoi voti: da 800mila passò a 6.400.000, diventando, dopo i socialdemocratici, il secondo partito tedesco. Come si spiega lo sbalorditivo successo del partito nazista? La seconda crisi economica fu certamente la circostanza che favorì l'aumento dei voti nazisti, ma questo aveva profonde radici nella cultura nazionalistica e patriottica della piccola e media borghesia tedesca; in un senso profondo di frustrazione del popolo tedesco che aveva subìto la sconfitta come un tradimento dei partiti democratici; nella debolezza strutturale della repubblica di Weimar; nella sete di rivincita della carta militare; nei rimpianti e nei maneggi di generali avventurieri, come Suddendorf. Più profondamente Hitler riuscì ad utilizzare ed incanalare nel suo partito tutte le diverse aspirazioni nazionalpatriottiche di coloro i quali vedevano le proprie radici spirituali scalzate dall'industrializzazione e dall'atomizzazione dell'uomo moderno.
Hitler, figlio di un doganiere austriaco, nacque il 20 aprile 1889 a Braunau nell'Inn, sul confine austro - tedesco. Sognava di diventare un artista, un pittore. Visse gli anni della sua giovinezza a Vienna, in grande miseria, conducendo una vita da bohèmen. Nel 1913 abbandonò Vienna, non trovandosi in uno stato che aveva carattere plurinazionale e che a lui sembrava un assurdo agglomerato di razze, e passò a Mo-naco, in Baviera.
L'1 aprile del 1920 fondò il partito nazista (NSDAP) che aveva un programma nazionalista e antiebraico. Organizzò gruppi di ex combattenti in squadre d'assalto con uniforme bruna che "raccoglievano" gente considerata "diversa" come omosessuali ed ebrei. Nel novembre 1923 con l'aiuto di Rohm, che comandava i reparti d'assalto, e con l'adesione del generale Suddendorf, cercò di rovesciare il governo della Baviera ma per questo fu processato e condannato a cinque anni di reclusione, dei quali scontò solo nove mesi. Durante la prigionia scrisse il Mein Kampft, una farraginosa esposizione delle idee e del programma naziste. Qui egli sostenne la necessità per la Germania di uno "sforzo vitale", da realizzarsi attraverso l'espansione ad est, nei territori abitati da popolazioni slave. Sostenne l'instaurazione di un nuovo Reich, impersonato dalla dittatura di un Füher, espressione dello spirito del Volk (popolo). Stato razzista e fondamentalmente antiebraico: in antitesi alla concezione borghese ed ebraico-marxsista - si legge nel Mein Kampft - la filosofia del Volk ritiene che l'importanza dell'umanità è legata agli elementi fondamentali della razza. Essa vede nello Stato solo un mezzo per raggiungere un fine: la conservazione dell'uomo. Pertanto essa non crede affatto nell'uguaglianza delle razze, ma, insieme alle loro differenze, riconosce una gerarchia di valori e si sente tenuta a favorire la vittoria del migliore e del più forte, ad esigere la subordinazione dell'inferiore e del più debole in conformità dell'eterna volontà che domina l'universo(…). Abbiamo tutti il presentimento che in un lontano futuro l'umanità dovrà affrontare problemi che solo una razza superiore, divenuta padrona degli altri popoli e avente a disposizione i mezzi e le possibilità dell'intero pianeta, potrà essere in grado di risolverla (…). Lo stato nazionale (…) deve collocare la razza al centro della sua vita, deve preoccuparsi di preservarne la purezza (…).
Rimesso in libertà, Hitler riprese i suoi programmi con maggior decisione. Si dedicò ani-ma e corpo al rafforzamento del partito nazista, che vide accrescere i suoi adepti anno per anno. Il 30 gennaio 1933 Hitler prestava il giuramento di cancelliere nelle mani del vecchio generale Hindenburg, presidente della repubblica, anche se aveva bisogno di una maggioranza assoluta per governare. Infatti, nelle elezioni del 1932, il partito nazista ottenne 230 seggi al Reichstag (parlamento) su 608. Non era la maggioranza assoluta, ma ormai era impossibile governare senza i nazisti, tanto più che i socialdemocratici subirono una forte flessione perdendo dieci seggi. Quindi Hitler indisse le elezioni per il 5 marzo 1933, ma il 27 febbraio fu data alle fiamme la sede del parlamento. I nazisti accusarono dell'incendio i comunisti e si scatenò quindi la persecuzione contro questi ultimi che furono arrestati, gettati nelle prigioni e, molte volte, torturati. In questo clima di violenze e arbitri, i nazisti raccolsero 17 milioni di voti che rappresentavano il 48% dell'elettorato: non era l'attesa maggioranza assoluta, che Hitler riuscì però a raggiungere con l'appoggio dei seggi del partito conservatore. Così, Hitler, raggiunto un compromesso con l'esercito, stabilizzò il suo regime mirando a realizzare il programma espansionista e totalitario già delineato nel Mein Kompft. Dopo la conquista del potere, i nazisti diedero subito inizio al programma di discriminazione e persecuzione degli ebrei, portando, nel giro di un decennio, a divenire un piano "razionale" e "scientifico" di annientamenti di milioni di esseri umani mediante maltrattamenti, lavoro coatto, denutrizione, fucilazioni, camere a gas e forni crematori. Si trattò di un disegno tracciato con lucido fanatismo e di un processo inarrestabile punteggiato da mille episodi di razza e raffinata disumanità, tendenti alla più totale distruzione dell'uomo sia fisica che psichica. Siamo perciò costretti, in questa sede, a ricordare solo pochi episodi e dati essenziali per poter dare almeno un'idea difficilmente immaginabile e per alcuni aspetti nuovo rispetto alla pur deprimente tradizione di genocidi disseminati nel corso della storia umana.
Il primo attacco fu il boicottaggio per una giornata contro i negozi degli ebrei, fatto passare dal potere nazista, il 1 aprile 1933, come legittima reazione dei tedeschi al boicottaggio e alla campagna di istigazione degli ebrei. La fase successiva che segnò un primo salto qualitativo, si ebbe con le leggi di Norimberga, decise per acclamazione del congresso generale del partito nazionalsocialista (partito nazista) nel novembre del 1935. In base alla legge sulla cittadinanza del Reich, i tedeschi furono distinti in "cittadini del Reich" e "semplici appartenenti allo stato"; come dire cittadini di livello inferiore. La legge della salvaguardia del sangue proibì i matrimoni tra ebrei e ariani. I rapporti sessuali tra individui delle due razze furono considerati lesivi della purezza ariana e puniti severamente, perfino con la condanna a morte. Con il decreto del 14 novembre dello stesso anno, tutti gli ebrei vennero espulsi dagli uffici statali e si sentenziò che dovevano essere considerati ebrei "tutti coloro che avessero almeno tre avi di pura razza ebraica". Ma già nel novembre del 1938 si era verificato un nuovo salto qualitativo: nella cosiddetta "notte dei cristalli", erano state prese d'assalto abitazioni, scuole tenute da ebrei e soprattutto sinagoghe, ed erano stati malmenati e percossi migliaia di ebrei in tutta la Germania. Con una serie di provvedimenti nel piano economico, questi furono letteralmente spogliati delle loro sostanze e ridotti alla miseria. L'entrata in guerra diede nuovo impulso al progetto di annientamento. Con l'occupazione della Polonia, gli ebrei polacchi furono sottoposti al lavoro coatto fin dall'ottobre del 1939. A questo si diede mano all'istituzione dei ghetti recintati e sorvegliati dalle sentinelle nei quali sarebbero stati ammassati prima gli ebrei polacchi e poi quelli provenienti da ogni altra parte dell'Europa. Il primo sorse a Lods nell'aprile del 1940, e con l'aggressione all'Unione Sovietica la persecuzione degli ebrei entra in una nuova ed ultima fase: vengono costituiti dei commandos speciali delle SS e della polizia incaricati di sterminare nei territori conquistati tutti gli ebrei, i zingari e i commissari politici (comunisti). Nell'autunno del 1941 si ebbero i primi esperimenti delle camere a gas ad Auschwitz. Alla fine del dicembre del 1941 fu istituito un campo con camere a gas costantemente in funzione a Chiemno, presso Posen. Furono così eliminati ad Auschwitz da tre a quattro milioni di uomini. Questi avvenimenti sorpas-sano tanto ogni forza umana di immaginazione, dietro queste cifre scarne si nasconde una tale quantità di dolore e sofferenza, di paura e di disperazione, che ogni frase sarebbe inadeguata ad esprimere l'inesprimibile. Auschwitz era solo uno dei tanti campi di sterminio.
Occorre aggiungere ancora Belzec, Lobibor, Treblinka e Maidanek, dove saranno uccisi altri due milioni di ebrei che trovarono la morte per lo più nelle camere a gas, e il gran numero di campi di concentramento comuni, nei quali furono racchiusi uomini di tutti i paesi d'Europa e nei quali gli internati morirono a migliaia per la prigionia, per la sotto-nutrizione, per malattie e per suicidio. Il tutto venne alla luce con l'avanzamento in Germania delle truppe alleate che scoprirono i campi di concentramento con le loro attrezzature per la tortura, e i forni crematori e le camere a gas, il nome della Germania fu allora macchiato e infamato, come non era mai accaduto per nessuna nazione. Bisogna del resto ricordare che gli orrori commessi dal 1942 al 1944 sono stati perpetrati da alcune decine di migliaia di individui, e pertanto non si può attribuirne la colpa ad un popolo intero.

ANTISEMITISMO TRA NAZISMO E FASCISMO
Fascismo e Nazismo: due movimenti di massa ma con profonde differenze. Secondo Croce, il fascismo è una "parentesi", l'effetto di un'ubriacatura, addebitabile in gran parte alla guerra, una "malattia morale", uno "smarrimento di coscienza".
In senso stretto il Fascismo è il regime politico italiano nel periodo compreso tra il 1922 e il 1943 e nonostante le somiglianze con il nazismo tedesco, le differenze tra nazismo e fascismo sono profonde. Il nazismo, anzitutto, nacque razzista e antisemita, e della persecuzione contro gli ebrei e contro il comunismo fece uno dei cardini della sua politica. Il fascismo italiano non nacque antisemita, tanto è vero che molti ebrei aderirono ad esso e lo sostennero sin dalle origini. Né il fascismo italiano fu condizionato ad esaltare una razza. Antisemitismo e razzismo divennero attributi successivi del fascismo italiano, furono il tributo pagato dalla dissennata politica di Mussolini quando, dopo la guerra contro l'Etiopia, rotta l'amicizia con gli alleati e, in particolare, con l'Inghilterra, strinse la sua tragica alleanza con Hitler. Il nazismo ebbe un'ideologia coerente che affondava le sue radici culturali nella mistica del Volk, il fascismo invece non ebbe un'ideologia specifica, utilizzò brani di correnti ideologiche volontaristiche, dal nazionalismo al corporativismo, al sindacalismo rivoluzionario. Per questo il fascismo ebbe più il carattere negativo di una controrivoluzione sociale a sfondo agrario ed anti - industrialista, che quello di una reazione integrata in un'ideologia neo - romantica e razzista, come fu il nazismo. Non rifiutò, almeno fino al rovesciamento delle alleanze, i rapporti con gli alleati, in funzione anche antitedesca; si mosse per lo più nella scia delle preoccupazioni di ordine e di conservazione dei moderati. Tutti e due i movimenti però, il fascismo e il nazismo, furono movimenti di massa: mentre il primo tentò di rendere demagogicamente popolare la conservazione, come sistema dall'alto per tutelare la tranquillità sociale e le virtù tradizionali delle buone famiglie borghesi, il secondo mirò a concentrare le nazional-patriottiche in una prospettiva ideologica misticheggiante, che alla fine ruppe con la stessa tradizione conservatrice tedesca, gettando la Germania nel baratro di una guerra antieuropea e antiumanitaria.
L'antisemitista, infine, reclama il diritto di predicare ovunque la crociata antiebraica. Così, l'opinione antisemita ci appare come una molecola suscettibile di combinarsi, senza subire alterazioni, con qualsiasi altra molecola. Un uomo può essere un buon padre, un buon marito, cittadino zelante, fine letterato, filantropo e , d'altra parte, antisemita. Può amare la pesca e i piaceri dell'amore, essere tollerante in materia di religioni e, d'altra parte, detestare gli ebrei.
L'antisemitismo, anche nelle sue forme più temperate, più evolute, rimane una totalità sincretica che si esprime con discorsi di andamento ragionevole, ma esso può trascinare fino a portare delle modificazioni dello stato corporeo. Certi uomini sono colpiti repentinamente da impotenza se sanno che la donna con la quale fanno all'amore è ebrea. E non è dal corpo che nasce questa repulsione, perché tu puoi benissimo amare un'ebrea se ignori la sua razza, ma proviene al corpo dallo spirito; è una presa di posizione dell'animo, ma così profonda e totale che si estende al campo fisiologico, come nell'isterismo.
Questa presa di posizione non è provocata dall'esperienza ma dai difetti che la tradizione attribuisce all'ebreo. L'esperienza non fa sorgere la nozione di ebreo, al contrario è questa che chiarisce l'esperienza; se l'ebreo non esistesse, l'antisemita lo inventerebbe.




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