Eduardo Ambrosio


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BRIGANTAGGIO E LA QUESTIONE MERIDIONALE

STORIA > OTTOCENTO

Brigantaggio e la Questione Meridionale

Giuseppe Garibaldi è senza dubbio il personaggio più popolare del Risorgimento,
è stato sempre rappresentato come l'eroe dagli occhi azzurri, biondo, alto, coraggioso, idealista; capace di mettere a repentaglio la propria vita per la libertà altrui.
Non esiste città d'Italia che non gli abbia dedicato una piazza o una strada!


Garibaldi non era alto, era biondiccio e pieno di reumatismi, camminava quasi curvo e dovevano alzarlo in due sul suo cavallo. Portava i capelli lunghi, si dice nel sud, perché violentando una ragazza questa gli staccò un orecchio.
Nel 1833 ebbe modo di conoscere i rivoluzionari che lo affascinarono all'i
dea della fratellanza umana ed universale e all'abolizione delle classi, idee che si rifacevano al Saint Simon. Cominciò, pertanto, a pensare all'idea dell'unificazione italiana da realizzare con l'abbattimento di tutte le monarchie allora dominanti e la fondazione di una repubblica. Accrebbe codesta convinzione quando incontrò Giuseppe Mazzini nei sobborghi di Marsiglia e, affascinato dalle idee del genovese, si iscrisse alla "Giovane Italia".
Nel 1834 tentò un insurrezione a Genova contro il Piemonte; scoperto riuscì a fuggire in Francia e successivamente in Brasile, dove combatté per l'indipendenza di alcuni Stati.
Rientrato in Italia durante la prima guerra d'indipendenza, partecipò alla formazione della
Repubblica Romana che difese durante l'assedio dei Francesi. Riportò inoltre alcune vittorie nella seconda guerra d'indipendenza con i suoi Cacciatori delle Alpi.
Nel 1860 si assiste al tracollo delle forze borboniche in Sicilia, è questo il momento che vede di fronte
Garibaldi e Cavour, due uomini con un fine comune, l'Unità Nazionale, ma con mezzi diversi. Garibaldi è guidato dalla logica della rivoluzione, Cavour da quella delle riforme. Il primo ama il popolo e crede in esso, il secondo, nato dall'aristocrazia, non ama il popolo e non crede in esso. Per Garibaldi è tempo di passare all'azione, organizza la spedizione dei Mille sbarca in Sicilia, passa lo stretto, marcia su Napoli, caccia i Borbone, assalta, sconfigge, pone nelle mani di Vittorio Emanuele il Regno delle due Sicilie (con 9 milioni abitanti) ormai riscattato dall'egemonia di Francesco II.

Con l'annessione al Regno d'Italia il brigantaggio, già molto diffuso sotto i Borbone, assunse un carattere quasi popolare. Il fenomeno fu il segno più evidente della situazione di disagio sociale delle popolazioni del Mezzogiorno che non avevano risolto alcun problema con l'unificazione, anzi vedevano aumentati solo i doveri.
Nel giro di un quinquennio, circa 5 mila briganti furono uccisi in combattimento o condannati a morte e altrettanti arrestati. Gli interventi delle forze dell'ordine e dell'esercito italiano eliminarono il brigantaggio come fenomeno di massa, ma non bastarono per rimuovere le cause di quella che già da allora cominciò a chiamarsi Questione Meridionale.
I contadini meridionali che avevano sperato di migliorare le proprie condizioni di vita dopo la cacciata dei Borbone, rimasero delusi e capirono che sotto il governo dell'Italia unita le cose non erano cambiate:
i veri vincitori della rivoluzione, come già palesato a Bronte, erano ancora i ricchi proprietari terrieri. Contadini scontenti, disoccupati, soldati del disciolto esercito borbonico, giovani fuorilegge, si ribellarono contro lo Stato italiano e formarono bande armate. Furono chiamati briganti, ma la loro azione di guerriglia aveva il significato di protesta contro la miseria secolare, contro le ingiustizie e contro il nuovo Governo che sembrava pesare sul popolo in maniera anche più gravosa di quello precedente (la legge Pica farà 100 000 morti).
.

Il trapasso delle monarchia borbonica a quella piemontese diede vita a rivolgimenti storici intensi e pieni di radicali mutamenti nonché di problematiche sociali, le cui radici vanno ricercate proprio nel precedimeto e fusione del Sud col Nord d'Italia.
Una fusione forzata, per ciò che poteva essere e non fu, di ciò che poteva risollevare i destini delle popolazioni del Mezzogiorno, consolidarne le capacità di espansione economica e culturale, per imporsi nel mondo come uno dei primi stati moderni, e puntualmente mancò.

Il Mezzogiorno d'Italia ancora non ha riscattato dall'oblio generale la giusta memoria storica di un popolo da sempre massacrato e mortificato.

Furono migliaia quelli (non mancarono figure femminili come
Michelina Di Cesare) che per sfuggire alla polizia piemontese cominciarono ad emigrare o a rifugiarsi sui monti e nelle selve, diventando "briganti", gli stessi che issarono sui municipi dei comuni napoletani il giglio borbonico e distrussero il vessillo sabaudo.

Il popolo che aveva visto in Garibaldi un liberatore non riesce a risollevarsi e le sue sofferenze sembrano aumentare; sono venute meno tutte le aspettative: le terre promesse e mai date, lo spirito costituzionale e patriottico imposti con intimidazioni.

Del resto è difficile parlare di spirito patriottico in quanto l'impresa dei Mille fu finanziata e favorita con la loro presenza navale dagli Inglesi.
Marsala, dove avvenne lo sbarco, era una sorta di feudo britannico e i Mille erano sotto la protezione di due navi inglesi e proprio su una di esse fu firmata, poi, la resa dell'isola nel porto di Palermo.
In pieno clima di riformismo della Gran Bretagna quello di aiutare Garibaldi era un tentativo finalizzato a colpire il papato nel suo centro culturale agevolando così la formazione di uno stato laico.
Insomma gli Inglesi pagarono Garibaldi affinché l'Italia, tenebroso antro papista, fosse liberata dal cattolicesimo.
"E chi pagò? - il massone Giulio De Vita afferma - Una certa ritrosia ha inibito l'indagine su questa materia, quasi temendo che potessero offuscare il mito. Ciò che viene subitamente riferito è un modesto versamento di circa 25.000 £, fatto da Nino Bixio a Garibaldi in persona all'atto dell'imbarco da Quarto. Lavorando in archivi inglesi ho scoperto che in quei giorni a Garibaldi fu più segretamente versata la somma di 3.000.000 di franchi francesi".Tale versamento avvenne in piastre d'oro turche, la moneta più sprezzante di tutto il Mediterraneo. (circa 15 miliardi di lire).
"
E' incontrovertibile - afferma ancora il massone - che la marcia trionfale delle legioni garibaldine nel Sud venne immensamente agevolata dalla subitanea conversione (catalizzata dall'oro) di potenti dignitari borbonici alla democrazia liberale".
La resa di Palermo, ad esempio, fu posssibile non grazie alle gesta delle camice rosse, ma con le piastre d'oro versate al generale palermitano,
Ferdinando Lanza.
Sconcertante, inoltre, fu l'affondamento del piroscafo "l'Ercole" su cui viaggiava il poeta Ippolito Nievo che da Palermo tornava a Napoli, spiegato con l'improvvisa esplosione delle caldaie che procurò la morte per annegamento dell'equipaggio. Si sospettò subito il sabotaggio: il Nievo, come capo dell'Intendenza, amministrava i fondi segreti e aveva con se la documentazione sull'impiego che nel Sud era stato fatto di quei fondi; si pensò bene di cancellare ogni prova.

Alla luce dell'ampia diponibilità economica di Garibaldi, si può valutare meglio l'impresa dei Mille che mise in fuga un esercito numeroso al prezzo di soli 78 morti.


Il fenomeno del brigantaggio (brigante un francesismo - parlato dai piemontesi - che significa delinquente) prese le mosse dalle spontanee rivolte contadine contro l'appropriazione, da parte dei proprietari terrieri, del latifondo, contro i soprusi perpetrati da chi voleva in ogni modo spadroneggiare su terre faticosamente lavorate da braccia che spesso non riuscivano a percepire nessun guadagno dal loro lavoro, se non quello stabilito dal padrone di turno; né le cose cambiarono con l'arrivo di Garibaldi.
I contadini erano ingenuamente dominati dall'aspettativa che il nuovo ordine mutasse la loro triste condizione economica e sociale. Nei primi tempi Giuseppe Garibaldi aveva aiutato i contadini a ribellarsi ai latifondisti e aveva ignorato gli episodi di atroce vendetta dei quali essi si erano fatti promotori. Ma col tempo i contadini, ritornati necessariamente alle dure giornate di sempre, avevano perso la fiducia di poter mutare il loro stato, di veder iniziare un'epoca di giustizia sociale e di prosperità e anche il mito di Garibaldi, pur senza svanire, ne aveva risentito.

Garibaldi (che in merito allo stato del Sud, nel '62, esclamava:" Dio che abbiamo fatto!") nel 1868, da Caprera scriveva ad Adelaide Cairoli(marito e tre figli morti) in questi termini:" volgete [...] il vostro pensiero alle popolazioni liberate dai vostri martiri e dai loro eroici compagni. Chiedete ai cari vostri superstiti delle benedizioni con cui quelle infelici salutavano ed accoglievano i loro liberatori! [...] Io ho la coscienza di non aver fatto male, nonostante non rifarei la via dell'Italia Meridionale temendo d'esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della disprezzevole genìa che disgraziatamente regge l'Italia e che seminò l'odio e lo squallore dove noi avevimo gettato le fondamenta di un avvenire italiano sognato dai buoni di tutte le generazioni, e miracolosamente iniziato"

L'unificazione fu senza giustizia per la feroce tassa sul macinato, la mancata distribuzione delle terre demaniali, la volatile cartamoneta (moneta volante,lacera, tutta sporca e senza suono) rifiutata al posto dei sonanti e attraenti "tarì" di era borbonica ("E biniditti - dice nun canto popolare - l'antichi regnanti ca tinìanu li populi contenti" , ma, soprattutto, la coscrizione obbligatoria (naja fino a sette anni - una novità assoluta nel Mezzogiorno), aveva esasperato gli animi (lo Stato prendeva i figli del popolo rubando braccia al lavoro agricolo); mentre gli stessi Democratici del governo garibaldino si avvicinarono alle classi borghesi o addirittura aristocratiche, le quali, a loro volta, davanti alla furia vendicativa dei contadini videro la salvezza nell'alleanza con le nuove autorità (si consumò la scellerata alleanza tra gli Agrari del Sud, desiderosi di mantenere i vecchi privilegi, e la grassa Borghesia del Nord, desiderosa solo di colonizzare, patto che bloccò ogni tipo di sviluppo meridionale).
Nonostante tutte queste delusioni, Garibaldi tiene, ha accesso la speranza: "Garibardo" (forte come Orlando e Rinaldo dei pupi, biondo come Gesù) è un vincitore sconfitto dai "rrapaturi", i rapinatori; ed è stato ferito all'Aspromonte dai soldati dello stesso re che l'ha spinto all'avventura siciliana.

Recentemente è venuto fuori da vecchi archivi piemontesi un piano per
deportare i briganti in Patagonia o in altra terra inospitale, insomma una Guantanamo ante litteram.

La storia del periodo, quella studiata sui libri, rigurgita di retorica patriottica, identificando la patria con Garibaldi, Cavour e Casa Savoia che hanno unificato l'Italia, ignorando quasi del tutto il popolo, la sua cultura, le sue caratteristiche umane e regionali standardizzando le teste degli Italiani ad immagine e somiglianza del modello piemontese.

Dallo studio del nostro Risorgimento, emerge sempre più chiaramente che l'unificazione dell'Italia, così come si è attuata, fu voluta dalle potenze straniere ed, in Sicilia, dalla mafia.
Generali e ufficiali dell'esercito borbonico, che i soldi degli Inglesi avevano corrotto, da una parte e mafia e rivoluzionari dall'altra resero possibile a Garibaldi (nei Mille non c'era né un operaio, né un contadino) l'invasione e l'annessione della Sicilia al Piemonte.
Fatta l'Italia, quindi, la mafia, i cui affiliati vennero a volte assunti come poliziotti, fu parte integrante del potere politico, tanto che la popolazione perduto il suo re Francesco, se ne era visto imporre un altro con la forza delle armi e con la discussa leggendaria figura di Garibaldi che poi subito dopo Teano, si ritirò amaro e pensoso a Caprera, interrogandosi, forse, sulla vera gloria o sulla infame persecuzione.


Alle genti del Sud non resta che ritrovare nelle proprie salde radici, nel proprio glorioso passato, la forza per il riscatto del Mezzogiorno, spiegando a loro stessi ed agli altri, soprattutto a quelli che hanno tenuto conto più della leggenda che non della storia, che occorre ritrovare la verità per costruire un avvenire migliore: occorre avere il coraggio di dire la verità su quegli anni dell'Ottocento borbonico per comprendere appieno la rapina perpretata e smascherare gli oscuri disegni dell'oggi.
Il passato remoto, quello della Magna Grecia, invoca prepotemente il riscatto di queste terre. La presenza greca nel Sud Italia, infatti, è stato un momento di un radicale rinnovamento culturale e tecnologico. I Greci trasferiscono sulle coste italiane il loro modello di vita nettamente più avanzato rispetto alle popolazione indigene, inserendo la nostra penisola nei circuiti delle grandi civiltà del Mediterraneo.
A loro si deve l'introduzione dell'alfabeto, la prima coniazione di monete, l'introduzione in agricoltura della vite e dell'olio e la produzione artistica di ceramiche, bronzi e sculture. L'arte, la letteratura e la filosofia greche influenzarono in modo decisivo la vita di queste colonie.
In particolare, le poleis della Magna Grecia divennero centri di eccellenza, dove si raggiunse un livello di civiltà in materia di arte, architettura, ingegneria, istruzione e così via pari a quello della madrepatria. I coloni ellenici, infatti, dopo aver sottomesso le popolazione indigene, stabilirono fiorenti città con importanti biblioteche e centri di studi, che formarono i più abili filosofi e letterati di tutto il bacino del Mediterraneo, consentendo a quelle popolazione di vivere un'epoca d'oro.
Con la perdita dell'autonomia in seguito alla conquista romana inizia purtroppo il declino.
L'agricoltura razionale portata avanti dalle popolazioni locali viene sostituita dalla nascita di grandi latifondi a carattere pastorale, gestiti senza scrupoli dai liberti delle grandi famiglie senatorie romane. Le invasioni barbariche e alcune calamità naturali fanno il resto.

Finisce la storia della Magna Grecia. Inizia quella del Mezzogiorno.




"Curiosità "

Quali testimonianze delle diverse interpretazioni a cui si prestano gli avvenimenti più significativi del Risorgimento, per cogliere in essi le contraddizioni nascoste o poco palesi che ora innalzano, ora inabissano l'operato di Giuseppe Garibaldi che ha fatto la nostra storia.

Chi sono i Mille.
I volontari di Garibaldi per età andavano dai 69 agli 11 anni. Per lo più però, avevano meno di 25 anni. Molti venivano dalle Università: 150 erano già o divennero poi avvocati, 100 erano dottori, 50 ingegneri,30 capitani di mare, 10 pittori e scultori, 20 farmacisti; c'erano molti professori, 3 preti, centinaia di uomini d'affari e piccoli mercanti, centinaia di artigiani, molti operai. Non un contadino. Il 90 era del nord d'Italia, 18 erano stranieri.

"Quant'è bello Garibaldi"

Questa canzone siciliana testimonia della devozione di cui nell'isola fu soggetto il condottiero dei Mille, paragonato a San Michele Arcangelo e a Carlo Magno.

Ch'è beddu Caribardu ca mi pari
san Michiluzzo Arcancilu daveru
la Sicilia la vinni a libbirari
e vinnicari a chiddi ca muriru,
quannu Talia (guarda), Gesù Cristu pari,
quannu Cumana (comanda)
Carlo Magnu veru.



"Pater Noster"
A Garibaldi fu dedicata una parafrasi del Pater Noster, che doveva essere l'orazione giornaliera di ogni autentico garibaldini. Come un culto, si dicevano queste parole di sapore blasfemo:

Nelle caserme e sui campi di battaglia
sarà fatta la tua volontà.
Dacci le nostre munizioni quotidiane.
Non indurci nella tentazione di contare il numero dei nemici.
Ma liberaci dagli Austriaci e dai preti.




Non meno esplicito era un catechismo che non si faceva scrupolo di chiedere
Quali sono le tre distinte persone in Garibaldi?

Il padre della nazione,
il figlio del popolo
lo spirito della libertà.



I liberatori:

Mazzate sulla schiena e corne in fronte.
Questo ci ha fatto il piccolo Piemonte.

Nicola Marmo da: "Roma liberata".


"Garibaldi - scriveva Edmondo De Amicis - aveva la fiamma dell'eroismo e il genio della guerra. Combattè in quaranta combattimenti e ne vinse trentasette. Quando non combattè, lavorò per vivere o si chiuse in un'isola solitaria a coltivare la terra. Egli fu maestro, operaio, negoziante, soldato, generale, dittatore. Era grande, semplice, buono. Odiava tutto gli oppressori, amava tutti i popoli, proteggeva tutti i deboli, non aveva altra aspirazione che il bene, rifiutava gli onori, disprezzava la morte, adorava l'Italia. Quando gettava un grido di guerra, legioni di valorosi accorrevano a lui da ogni parte: signori lasciavano i palazzi, operai le officine, giovanetti le scuole per andare a combattere al sole della sua gloria. In guerra portava una camicia rossa".

Garibaldi e il canto di un usignolo.
Significativo il brano tratto dall'Enciclopedia dei Ragazzi, ediz. Mondadori.
"
Una notte del 1859 Garibaldi alla testa dei suoi Cacciatori delle Alpi, marciava tra i colli Lombardi, quando, ad un tratto si fermò in ascolto. Gli stavano di fronte dodicimila soldati austriaci mentre egli non aveva che un migliaio di uomini. Eppure ciò che lo aveva fermato in ascolto non era alcuna preoccupazione, né alcun allarme di guerra, era semplicemente il canto di un usignolo…. Il nemico s'appressa, i soldati chiamano il generale tre volte ed egli non li ode, tutto assorto nella dolce malia di quel canto che si leva dal fogliame svanendo nelle ombre della notte. E solo quando i primi colpi della moschetteria nemica ebbero messo in fuga il gentile cantore notturno, egli si riscosse e tornò alla realtà".
Tale era l'animo di Garibaldi: una fierezza da leone e una sensibilità quasi da femminuccia, un coraggio indomito e un senso di delicata pietà per i deboli. Il generale che si accendeva di sdegno se vedeva un soldato maltrattare un proprio cavallo, era quello stesso che, fanciullo, versava amarissime lacrime sopra un grillo a cui aveva strappato le ali in un momento di spensieratezza e che una notte a Caprera, si leverà già vecchio, per riportare nella stalla un agnellino che si era perduto lungo il pendio della montagna.
La speranza di un nuovo ordine sociale.


Giuseppe Garibaldi Comandante in capo le forze Nazionali in Sicilia,
in virtù dei poteri a lui conferiti, considerando che un popolo libero deve
distruggere qualunque usanza derivante dal passato servaggio:


Decreta


A
rt. 1- E' abolito il titolo di eccellenza per chicchessia.
Art. 2- Non si ammette il baciamano da un uomo a un altro uomo.
Art. 3- Il Segretario di Stato è incaricato dell'esecuzione del presente decreto.


Palermo 13 giugno 1860 -- -- Il dittatore G. Garibaldi.



Per concludere un'espressione di Indro Montanelli:
"
Legittima o bastarda, l'Italia di oggi è la figlia di quella del Risorgimento".




Art. 50 dello Statuto Albertino.<<Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione o indennità>>. Nel giugno del 1861 il Senatore Roncalli propose il rimborso del biglietto del treno per i senatori residenti lontano da Torino. La proposta fu respinta dal Senato del Regno con la seguente motivazione: "Servire il Paese è un privilegio, da vivere come un dovere. Chi lo serve in armi rischia tutto, anche la propria vita, senza nulla chiedere in cambio".



Lo sviluppo di TERZIGNO nell'Ottocento

L'AUTONOMIA SEZIONALE

Dal fascicolo "Divisione delle frazione" dell'Archivio municipale di Ottaviano si rileva il decreto del 15 novembre 1865, n. 2602, con il quale il re Vittorio Emanuele II, da Firenze capitale, stabiliva che agli uffici di Terzigno già esistenti dal 1809 (quando 101 capifamiglia con una petizione al Comune di Ottajano furono autorizzati a redigere Registri di nascita, di morte e di matrimonio sotto la responsabilità di un "Ufficiale Delegato", per Terzigno fu nominato Ferdinando Auricchio), si aggiungessero gli altri per completare l'autonomia sezionale, sancita in forma esecutiva da un altro decreto del 28 aprile 1886.
Gli uffici furono insediati in un immobile in piazza Trojano Caracciolo del Sole (fino al 7.12.1991 Vittorio Emanuele III) di proprietà di Nicola Bifulco.


LA CRISI DI FINE SECOLO

Le condizioni misere di vita, aggravate dalla miope politica unitaria, inducono molti, alla ricerca di migliori condizioni di vita, ad emigrare, è forte il mito dell'America, o a trasferirsi al nord o addirittura ad arruolarsi, le guerre non mancano.
Tutto questo ha sicuramente minato il rapporto d'amore viscerale con la propria terra fino a dimenticare quasi la sua prodigalità (la violenza al territorio con l'abusivismo successivo ne è una chiara testimonianza).




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BIBLIOGRAFIA
SMITH: "Garibaldi una grande vita in breve" edit. Ornaldo Mondadori
M. DE SANGRO "Storia di Napoli e dei Borboni (1735 - 1861) edit. Luca Torre C, BERNARDI
A. CIANO "I Savoia e il massacro del Sud" edit. Grandmelò
LUISA BASILE "I briganti Napoletani" edit. Newton
DELIA MOREA "Storia d'Italia" edit. Fratelli Fabbri VOL. X
BENEDETTO RADICE "Memorie storiche di Bronte" ediz. di Bronte VOL. II Stabilimento Tipog. Sociale
Dal Quotidiano "IL PAESE" edito a Modena il 17 ottobre 1992
Dal Quotidiano "IL MATTINO" edito a Napoli il 12 febbraio 1990
P. G. De Luca "Storia di Bronte"
"Nazione Napoletana - Due Sicilie" anno V numero I
"Il dialogo" Approfondimento Storico "Garibaldi e la Questione Meridionale"
Vari testi scolastici.


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