Eduardo Ambrosio


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SITUAZIONE POLITICA

STORIA > 1799 REPUBBLICA NAPOLETANA > GLI EVENTI

SITUAZIONE POLITICA

SOMMARIO:
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RAPPORTI TRA LA FRANCIA E LA CORTE DI NAPOLI.
- TRATTATI DI FERDINANDO IV CON L'AUSTRIA, LA RUSSIA, L' INGHILTERRA E LA TURCHIA - OCCUPAZIONE FRANCESE DI MALTA.
- BATTAGLIA DI ABUKIR.
- I NAPOLETANI INVADONO LA REPUBBLICA ROMANA.
- RITIRATA DELL'ESERCITO NAPOLETANO.
- I NAPOLETANI A LIVORNO - FINE DELLA REPUBBLICA OLIGARCHICA DI LUCCA.


RAPPORTI TRA LA FRANCIA E LA CORTE DI NAPOLI.

Fra gli stati italiani rimasti sotto i vecchi governi quello che prima di ogni altro risentì del mutamento di regime avvenuto a Roma fu il Regno di Napoli. Subito dopo proclamata la repubblica, il generale BERTHIER mandò al re FERDINANDO il generale BALAIT per chiedergli che pagasse alla Repubblica Romana, erede della Santa Sede, il tributo dovuto le come riconoscimento dell'alta sovranità, che restituisse i principati di Benevento e Pontecorvo e infine che licenziasse il ministro ACTON, nemico dichiarato della Francia. La regina CAROLINA, nelle cui mani erano le redini dello Stato, respinse sdegnosamente le richieste del Berthier e tra le due parti si sarebbe venuti ad una guerra se il Direttorio francese, cui non sembrava opportuno creare in quel momento una rottura, non avesse creduto di intraprendere trattative per un accordo.
Questo accordo, fu poco dopo fatto: Ferdinando promise di tenere un contegno amichevole verso la Francia, fece finta, di rimuovere l'Acton sostituendogli il marchese del GALLO e ottenne Benevento e Pontecorvo rinunziando ai beni farnesani di Roma e obbligandosi al pagamento di venti milioni di franchi. L'accordo concluso non fece però dissipare le reciproche diffidenze e i malumori. Questi, anzi aumentarono quando la regina Carolina vide giungere a Napoli quale rappresentante della Francia quel cittadino GARAT che aveva letto al cognato Luigi XVI la sentenza di morte alla ghigliottina. Inoltre, la flotta francese del BRUYES concentrata a Tolone per l'impresa d'Egitto rappresentava agli occhi dei sovrani napoletani una continua minaccia rivolta alla Sicilia. Temendo perciò che da un momento all'altro, era presumibile un assalto dei Francesi, e non volendo esser colto alla sprovvista, il re di Napoli, da un lato mandò truppe e navi a difesa dell'isola e radunò un esercito di sessantamila uomini negli Abruzzi e nella Terra di Lavoro, dall'altro iniziò con l'Austria trattative per una lega difensiva che ben presto fu ratificato.

TRATTATI DI FERDINANDO IV CON L'AUSTRIA, LA RUSSIA, L'INGHILTERRA E LA TURCHIA - OCCUPAZIONE FRANCESE DI MALTA.

Il trattato tra il Regno di Napoli e l'Austria fu firmato a Vienna il 19 maggio del 1798 dal ministro THUGUT e dal duca di CAMPOCHIARO. Con questo patto i due sovrani, in vista di nuovi conflitti in Europa, allo scopo di premunirsi si impegnavano a tener pronti ciascuno un esercito, di cui si fissavano gli effettivi; in tre articoli segreti si stabiliva inoltre che il "causus foederis" si sarebbe considerato avvenuto non appena la Francia avesse assalito l'Austria, la quale però prometteva di correre in aiuto dell'alleato ove questi fosse minacciato dalla Francia o dalle repubbliche satelliti. A FERDINANDO IV non piacquero le condizioni degli articoli segreti, pretendendo che si considerasse come "casus foederis" un'aggressione francese nei suoi stati, e per questo motivo il trattato non ebbe la sua ratifica. Lo stesso giorno che il re e l'imperatore stipulavano la lega difensiva, il BRUYES partiva da Tolone con tredici vascelli di linea, diciassette fregate e trecento navi onerarie. Aveva con sé diecimila marinai e conduceva trentaseimila soldati comandati dal BONAPARTE. La flotta francese si presentava il 9 giugno dinanzi a Malta e gli intimava la resa. GOZZO resistette valorosamente, salvando l'onore dell'Ordine Gerosolimitano cui apparteneva quel gruppo di isole, ma il Gran Maestro, barone FERDINANDO HOMPESCH di Brandeburgo, nulla seppe fare per difendere i domini dell'Ordine e lasciò che Malta, con una vergognosa capitolazione, cadesse il 12 giugno nelle mani dei Francesi.

BATTAGLIA DI ABUKIR.

Da Malta poi la flotta fece vela verso l'Egitto. Il 1° luglio il Bonaparte sbarcava con le sue truppe, il 2 s'impadroniva di Alessandria e, dicendo di voler liberare il paese dalla tirannide dei Mamelucchi, li sconfiggeva presso le piramidi di Gizech e il 13 luglio entrava al Cairo. A questi e ad altri rapidi successi dei Francesi doveva però ben presto seguire una grave sconfitta. Il l° agosto l'ammiraglio inglese NELSON attaccò la flotta francese ancorata nella rada di Abukir e, dopo una terribile battaglia, durata trentasei ore circa, nella quale cadde l'ammiraglio Brueys, la distrusse tutta, eccetto due vascelli e due fregate. Quando arrivò alla corte di Napoli la notizia della sconfitta francese, la gioia fu immensa. La regina Carolina chiamò il Nelson "liberatore" e quando, il 22 settembre, l'ammiraglio vincitore comparve nelle acque napoletane, Ferdinando IV gli andò incontro festante e lo accompagnò fino dentro alla capitale che gli tributò entusiastiche accoglienze. Questo contegno della corte napoletana, apertamente ostile alla Francia trovava la sua giustificazione in precedenti azioni della repubblica, e specialmente nella presa di Malta, che era una palese violazione dei diritti che su quell'isola vantava il re di Napoli. Non mancò il Direttorio francese, per mezzo del suo rappresentante, di protestare, ma usò un linguaggio molto moderato e, non volendo spingere le cose agli estremi, né fare il gioco dell'Inghilterra che stava abilmente soffiando sul fuoco, decise persino di sostituire il malvisto GARAT con il LACOMBE SAINT-MICHEL e di offrire a Ferdinando IV la cessione di Malta.

I NAPOLETANI INVADONO LA REPUBBLICA ROMANA.

A Napoli però la volontà del re non contava molto; chi comandava era la regina e questa si lasciava guidare in politica dal suo odio verso la repubblica francese e dai consigli dell'Acton, del Nelson e di Lady Hamilton. Si aggiunga che il re il 18 luglio aveva stipulato con l'Austria una "convenzione addizionale segreta" in cui si dichiarava compreso nel "casus foederis" un assalto della Fran-cia e delle repubbliche satelliti e che la coalizione europea, che allora si andava stringendo tra la Russia, l'Au-stria, l'Inghilterra e la Turchia contro la Francia, aveva propositi bellicosi anzichè pacifici. E sotto questa influen-za di propositi cadde anche la corte napoletana. La quale, difatti, il 29 novembre del 1798 a Pietroburgo conclu-deva, un trattato d'alleanza per otto anni con lo Zar PAOLO I, che s'impegnava a mandare una flotta a protezio-ne delle coste siciliane e nove battaglioni di soldati con duecento cosacchi; il 1° dicembre stipulava un altro trattato d'alleanza con l' Inghilterra e trattava intanto con la Turchia per concludere una lega che doveva essere sottoscritta nel gennaio dell'anno successivo. Ma già, prima ancora che questi trattati fossero stipulati, la corte di Napoli aveva deciso di muover guerra alla Francia; il numero dei soldati sotto le armi era stato accresciuto di parecchie migliaia; il comando dell'esercito era stato affidato al generale austriaco MACK giunto a Caserta fin dal 9 ottobre, e il 24 novembre era stato pubblicato un manifesto, che equivaleva ad una dichiarazione di guerra, nel quale Ferdinando IV, annunziando che l'occupazione francese di Malta e "le continue minacce di prossima invasione lo avevano determinato a far avanzare il suo esercito nello Stato romano fin dove l'urgenza lo avrebbe richiesto per ristabilirvi la cattolica religione, far cessare l'anarchia e metterlo sotto il regolare governo del suo legittimo sovrano", dichiarava di non voler muover guerra a nessuno ma nello stesso tempo "ammoniva i comandanti di qualunque esercito straniero a ritirare le truppe fuori dal territorio romano". Il MACK, sicuro di sbaragliare facilmente i quindicimila francesi di cui nella Repubblica Romana disponeva il generale Championnet, mosse da S. Germano il 23 novembre con un esercito di circa quarantamila soldati. Le forze del nemico, oltre che esigue, si trovavano per necessità politiche divise nelle varie province: tremila uomini, sotto il Duhesme, stavano nella Marca d'Ancona; altrettanti, sotto il Lemoine, presso Terni: il resto con lo Championnet e il Macdonald difendeva Roma e la Campagna romana. Sarebbe stato quindi agevole al Mack avere ragione degli avversari se avesse portato successivamente tutto il peso del suo esercito contro ciascuno dei vari corpi francesi. Invece il generale austriaco pensò di opporre ad settemila uomini; contro Terni inviò il colonnello S. Filippo con quattromila soldati; altri ottomila con il generale Damas, fuoruscito francese li mandò lungo la Via Appia; mentre lui e il re con il grosso dell'esercito, per la Via Latina, marciò su Roma.
All'avvicinarsi. dei Napoletani lo CHAMPIONNET mandò a chiedere al MACK ragione dell'avanzata. Il generale austriaco rispose, che il re di Napoli non riconosceva gli stravolgimenti avvenuti dopo la pace di Campoformio nelle province romane usurpate dalla Francia, e che avrebbe sospeso le operazioni di guerra solo se i Francesi si fossero ritirati dallo Stato Pontificio senza invadere alcun altro stato e in modo speciale la Toscana.
Avuta questa risposta, il generale Championnet lasciò al presidio del forte di Castel Sant'Angelo un migliaio dei suoi e, durante la notte del 25, abbandonò Roma incaricando il MACDONALD di comandare la retroguardia e proteggere le strade di accesso, infine ordinò ai consoli di trasferirsi a Perugia. La mattina del 26 un GENNARO VALENTINO assunse il titolo di commissario napoletano e il popolo assalì con furore gli ultimi carri dei francesi che attraversavano le vie della città. Dal forte furono allora sparate alcune cannonate a mitraglia e il Macdonald, rientrato subito a Roma con alcune migliaia dei suoi, vi restò parecchie ore, impegnando qua e là scaramucce con i cittadini.
La sera del 27 entrarono nella metropoli dodicimila napoletani e la mattina del 28 fece il suo ingresso in Roma FERDINANDO IV accolto dalle acclamazioni del popolo, che diede sfogo alla sua ira contro i Francesi abbattendo stemmi, insultando i patrioti e gli ebrei e demolendo il monumento marmoreo che era stato eretto poche settimane prima in memoria del generale Duphot. Ben presto però subentrò la calma per le energiche misure repressive prese dal governo provvisorio composto dal principe ALDOBRANDINI, dal principe GABRIELLI, dal Marchese MASSINI e dal cav. RICCI.

RITIRATA DELL'ESERCITO NAPOLETANO.

Il giorno stesso che i Napoletani entravano in Roma, il MICHEROUX con i suoi settemila uomini scontratosi in battaglia con i DUEHESNE a Torre di Palma, presso il Porto di Fermo, fu sconfitto da soli tremila Francesi e Cisalpini e costretto a ripassare il Tronto. Era questa la prima disfatta dei Napoletani, i quali, sebbene superiori numericamente al nemico, erano, mal addestrati alle armi oltre che essere comandati da ufficiali inetti e da un generale vanaglorioso quanto inabile a guidare in campagna un esercito.
A questa sconfitta seguì, pochi giorni dopo, quella toccata allo steso generalissimo MACK. Questi, diviso il grosso delle sue truppe in cinque colonne, il 5 dicembre si scagliò contro il Macdonald a Civita Castellana; ma fu sbaragliato e, inseguito a Nepi, a Falleri, a Vignanello e a Rignano, lasciò in mano del nemico duemila prigionieri, ventitré cannoni e quarantacinque carri di munizioni. Miglior successo non ebbero le altre imprese tentate dai Napoletani: il colonnello S. FILIPPO, che era riuscito ad occupare Rieti e muoveva incontro al Mack, a Papigno fu sconfitto e fatto prigioniero, e il 9 dicembre, a Calvi, il luogotenente METCH, assalito e circondato dal Macdonald, dopo una breve battaglia fu sconfitto e anche lui catturato con tutti i suoi. Due giorni prima Ferdinando IV si era recato ad Albano. Alle notizie delle ultime disfatte, travestitosi -"secondo quel che narra il Colletta"- partì alla volta di Caserta e intanto il Mack ordinava la ritirata generale. Le ultime truppe napoletane sgombrarono Roma il 12 dicembre e il 14 i Francesi, usciti da Castel Sant'Angelo, rioccuparono la città. Rimaneva tagliato dal grosso il generale DAMAS, che si era spinto fino a Civita Castellana non avendo ricevuto l'ordine della ritirata. Tornato indietro e trovata Roma in mano del nemico, trattò con il commissario francese WALVILLE, il quale gli promise libero passaggio attraverso la città. Ma più tardi i Francesi, avendo ricevuti rinforzi, mancando alla promessa, gli intimarono di arrendersi. Il Damas rifiutò e retrocedette per la via Cassia, molestato prima dal presidio di Roma, poi dal Kellermann, con il quale il 18 dicembre sostenne un vigoroso combattimento a Montalto. Riuscito ad entrare in Orbetello, pattuì un accordo con il nemico, che gli concesse di imbarcarsi con tutte le truppe dal porto di S. Stefano a condizione che lasciasse nelle mani del Kellermann tutte le artiglierie. Così terminava l' impresa romana: l'esercito napoletano non aveva avuto che un migliaio di morti ed altrettanti feriti; ma aveva lasciato in mano ai francesi diecimila prigionieri, trenta cannoni e numerosissime salmerie, aveva perso la riputazione di cui fino allora aveva goduto e quel che era peggio si tirava dietro, nella ritirata, le truppe Francesi che, incalzandolo, si preparavano ad invadere il Regno di Napoli e ad abbattervi il regime monarchico.

I NAPOLETANI A LIVORNO - FINE DELLA REPUBBLICA OLIGARCHICA DI LUCCA.

Il 22 novembre del 1798, un giorno prima cioè della partenza del generale MACK per l' impresa contro Roma, l'ammiraglio NELSON faceva vela per Livorno. Conduceva con sé una parte della flotta inglese e della portoghese, settemila soldati napoleta-ni e una squadra navale di Ferdinando comandata dal generale NASELLI. Il 28 novembre la flotta giunse davanti a Livorno e il generale LA VILLETTE, governatore a interim, fu costretto quello stesso giorno a firmare una ca-pitolazione e a consegnare la fortezza e la città al Naselli, il quale, ripartito il Nelson, vi rimase con le truppe del suo sovrano.
L'arrivo dei Napoletani a Livorno non poteva certamente recar piacere al Granduca di Toscana, che si stava dando da fare per salvare la sua corona con la più stretta neutralità e non voleva a nessun costo danneggiare le relazioni con i Francesi. Egli fece di tutto per allontanare la tempesta dal suo capo: comunicò ai ministri esteri residenti a Firenze una nota in cui, fra l'altro, manifestava la speranza che l'occupazione sarebbe stata di breve durata; scrisse al Re di Sicilia, che era suo suocero, proponendogli di ritirare nei suoi Presidi (neutrali) i napole-tani sbarcati a Livorno; si consigliò con il residente francese REINHARD sul partito da prendere; sollecitò l' ANGIOLINI, residente toscano a Parigi, affinché assicurasse il Direttorio a Parigi della condotta leale del gover-no granducale e infine, quando seppe che il generale VICTOR, luogotenente del JOUBERT, marciava minaccio-so verso la Toscana, a quel punto ingiunse al NASELLI di sgomberare Livorno. Il 31 dicembre il generale napo-letano ebbe con il granduca un colloquio a Pisa e, poiché aveva saputo delle prime sconfitte toccate dal suo re e non sperava di ricevere aiuti contro un prossimo attacco francese, promise di uscire dalla città con i suoi soldati a patto però che gli si mandasse un'intimazione scritta e che vi acconsentissero il De SANGRO e il WINDHAM, ministri l'uno di Napoli, l'altro d'Inghilterra. L'intimazione fu consegnata quello stesso giorno e il 1° gennaio il Naselli annunciò la propria partenza da Livorno. Il granduca di Toscana riuscì così per allora salvare la sua corona; ma una vittima dell'impresa di Livorno ci doveva essere e questa fu la vecchia repubblica oligarchica di Lucca. La quale, fin dal primo apparire in Italia degli eserciti repubblicani di Francia, era vissuta in continuo pericolo e negli ultimi due anni aveva dovuto lottare non solo contro i novatori e le minacce dei Liguri e dei Cisalpini, ma anche contro l'avidità dei generali BERTHIER e BRUNE che a più riprese le avevano estorto più di un milione e mezzo di lire tornesi, promettendo il reciproco quieto vivere. Ma il 2 gennaio del 1799 il generale francese SERRURIER entrò a Lucca con quattrocento cavalli, cui nei giorni seguenti si aggiunsero seimila fanti, e subito si fece dare cinquemila zecchini, pose sulla nobiltà una taglia di due milioni di franchi e sequestrò tutto il denaro che si trovava nelle casse pubbliche e in quelle del Monte.
Il Senato, sperando di salvare l'antica repubblica con quel sacrificio pecuniario e con qualche riforma, nell'adunanza del 15 gennaio abolì i privilegi della nobiltà e le leggi del 1556 e del 1628, dichiarando di volere restituire allo stato l'antica forma democratica, e nominò una commissione di dodici membri cui diede l'incarico di studiare una riforma popolare. Non essendo riuscita la commissione a mettersi d'accordo, il Senato invitò la nazione ad eleggere quarantaquattro deputati per la città e cinquanta per il contado, i quali, insieme con sei ex-nobili dovevano costituire gli ordini nuovi. Le assemblee elettorali ebbero luogo il 2 febbraio e le elezioni si svolsero senza incidenti, ma i patrioti forti della presenza dei "liberatori", e non soddisfatti dell'esito, accusarono i nobili di avere influito sulla votazione e stimolarono il SERRURIER affinché scegliesse egli stesso gli uomini da mettere al governo.
Il generale francese non solo scelse lui le persone più gradite ma stabilì anche la forma di governo: due assem-blee legislative, di ventiquattro seniori l'una e di quarantotto juniori l'altra, e un direttorio esecutivo di cinque membri. Il 3 febbraio riunì in una sala il vecchio Senato e in un'altra i nuovi uomini del governo. A questi egli ri-volse una breve arringa, invitandoli a bene operare e consegnando loro le redini dello stato; quindi si recò dai Senatori, lodò la saggezza e la temperanza dell'antico governo e "li invitò a cedere il potere ai nuovi governanti e a seguire i loro consigli". Appena il Serrurier finì di parlare si alzò il gonfaloniere NICOLAO MONTECATINI e con dignitoso silenzio abbandonò la sala, seguito dagli altri senatori indignati. La repubblica oligarchica lucchese era finita. Il 15 febbraio, nella piazza di S,; Michele, venne piantato l'albero della libertà, che venne inaugurato con un discorso del cittadino abate FERLONI; seguirono i soliti balli popolari e alla sera luminarie e processioni in cui si portarono in trionfo i busti del Voltaire e del Rousseau.



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