Eduardo Ambrosio


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I DUE BLOCCHI CONTRAPPOSTI

STORIA > NOVECENTO > IL DOPOGUERRA

I DUE BLOCCHI CONTRAPPOSTI E L'INIZIO DELLA GUERRA FREDDA
CORSO DI ECCELLENZA ITCGLS "L. DA VINCI" DI POGGIOMARINO A.S. 2009-10


SOMMARIO: Premessa - Guerra Fredda - La nascita dell'ONU ed i Trattati di pace - Dalla "Dottrina Truman" al "Piano Marshall" - La questione tedesca, il blocco di Berlino e la nascita delle due Germanie - La militarizzazione della guerra fredda: dal Patto Atlantico al Patto di Varsavia - Alcuni esempi del confronto militare durante la guerra fredda: Corea, La crisi di Cuba, La guerra del Vietnam.

Premessa
Con il crollo del Giappone, il 2 settembre 1945, aveva termine, dopo sei anni e un giorno, una guerra che era costata la vita a oltre cinquanta milioni di persone fra soldati, civili e dispersi. I veri vincitori risultarono essere gli Stati Uniti e l'Urss che erano stati in grado di condizionare con le proprie enormi risorse umane e materiali i futuri destini del mondo. Il contributo più alto in vite umane era stato pagato dall'Unione Sovietica con più di 13 milioni di militari, più di 6 milioni di civili e quasi 3 milioni di ebrei e con distruzioni materiali che non avevano confronto con le altre nazioni vincitrici. Più limitate, invece, furono le perdite degli Stati Uniti d'America che videro la morte di circa 50mila soldati ed un territorio e capacità produttive intatti e, da ultimo, l'esclusivo possesso di un'arma come la bomba atomica dallo spaventoso potenziale istruttivo.

Sono cifre impressionanti che documentano in modo inequivocabile quali gigantesche dimensioni avesse assunto questo conflitto, cifre che ci offrono, comunque, l'opportunità di rilevare alcune caratteristiche che differenziano la seconda guerra mondiale dalle precedenti. Per la prima volta nella storia di una guerra il numero dei morti fra i civili superava quello dei soldati: la causa va ricercata principalmente nell'uso indiscriminato dei bombardamenti aerei che rasero al suolo non poche città europee ed asiatiche, nella persecuzione razziale e nei metodi terroristici, che soprattutto i tedeschi adottarono nei confronti delle popolazioni civili. Il più alto tributo in vite umane, come precedentemente sostenuto, fu pagato dai sovietici, il che testimonia quanto la guerra combattuta sul suolo sovietico sia stata aspra e spietata. Gli americani, dal canto loro, non conobbero né bombardamenti aerei né occupazioni militari. Uno dei motivi della grande potenza economica ed industriale americana nell'immediata secondo dopoguerra va ricercata anche nel fatto che gli Usa non ebbero da risolvere il problema della ricostruzione della vita economica e civile, della riorganizzazione della vita politica e istituzionale, ponendosi quindi in posizione privilegiata, non soltanto nei confronti dei paesi sconfitti, ma anche di quei paesi che pur uscendo vittoriosi dal conflitto, come la Gran Bretagna, la Francia e l'Urss, dovevano affrontare e risolvere le drammatiche conseguenze lasciate da una guerra lunga e disastrosa.

Quando in Europa, nel maggio 1945, dopo cinque anni e mezzo di durissimo scontro armato, gli eserciti deposero finalmente le armi, ci si rese conto di quanto pesante era stata la devastazione e la perdita non solo di vite umane ma anche di beni materiali. Fu soprattutto l'Europa a pagare più pesantemente i costi della guerra e sull'Europa pesava un bilancio pesantissimo di devastazione militare e umana. Intere città erano in rovina: Varsavia, Budapest, Berlino, Amburgo, Colonia, Francoforte, Stalingrado ed altre decine e decine di città europee erano ridotte ad un cumulo di macerie.

Per milioni di persone la guerra aveva significato anche la distruzione della comunità civile e delle istituzioni politiche in cui erano vissute fino a quel momento. Se si eccettua l'Inghilterra e l'Unione Sovietica, che avevano mantenuto inalterate le loro strutture politico-istituzionali, in molti altri paesi europei tutto venne rimesso in discussione. In Francia, Italia, Jugoslavia, Grecia e nei paesi dell'Europa orientale si gettarono le basi di nuovi sistemi politici. La Germani appariva non solo distrutta ma occupata militarmente, con una popolazione smarrita ed umiliata, che aveva partecipato ad una esaltazione collettiva destinata a condurla alla catastrofe e al disinganno e che ora si ritrovava a fare i conti con una tragedia destinata a restare come marchio infamante nella storia del paese.

I paesi vincitori vollero concretamente denunziare e colpire i crimini che il nazismo aveva compiuto durante la guerra, intentando a Norimberga un processo, davanti a un tribunale militare, contro alcuni dirigenti politici, militari ed economici della Germania nazista e contro sei gruppi ed organizzazioni del Terzo Reich, accusati di crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Dopo lunghi dibattiti, che durarono dal 20 novembre 1945 al 1 ottobre 1946, venne emanato un verdetto in base al quale furono condannati alla pena di morte per impiccagione dodici imputati, tra i quali Goering, Ribbentrop, Rosemberg, Streicher, il generale Jodl e Seyss-Inquart. Gli altri imputati vennero condannati a vari anni di reclusione. I condannati a morte vennero giustiziati il 16 ottobre 1946 a Norimberga, ad eccezione di Goering, che si era suicidato nella sua cella alla vigilia dell'esecuzione.

I mesi che seguono la fine della guerra portarono, tra l'altro, in molti paesi europei un clima di vendetta aspro e violento, caratterizzato da esasperazioni ideologiche e da un atteggiamento aggressivo verso coloro che avevano collaborato con il nemico, che avevano partecipato e si erano resi complici di orrendi delitti e che subivano ora, in molti casi, processi sommari ed esecuzioni capitali.

Ma la guerra aveva anche segnato il tramonto definitivo dell'egemonia politica europea nel mondo: quella supremazia venne travolta dall'emergere impetuoso della potenza statunitense, che uscì dalla guerra notevolmente rafforzata non solo sul piano militare ma anche economico e industriale. Si può dire che la guerra aveva consentito agli Usa di superare definitivamente gli ultimi problemi che la crisi del 1929 aveva ancora lasciato. La produzione industriale americana risultava raddoppiata rispetto al 1939 ed era scomparsa definitivamente la disoccupazione. Il reddito nazionale era aumentato del 75%, gli usa producevano il 50% del carbone, il 75% del petrolio e il 50& dell'energia elettrica. Questa schiacciante potenza economica, di fronte alle difficoltà nelle quali vennero a trovarsi i paesi europei, consentì agli Stati Uniti di imporre il peso della sua presenza non solo economica, commerciale e militare ma anche politica, condizionando e guidando le scelte e gli indirizzi dei Paesi dell'Europa occidentale.

D'altra parte, emergeva anche, con il suo non trascurabile potenziale militare, la forza dell'Unione Sovietica, che chiedeva sostanziali compensi per l'enorme sacrificio sopportato nella lotta contro il nazismo. L'Urss aveva, inoltre, il vantaggio di avere sotto il proprio controllo militare tutti quei paesi dell'Europa orientale dai quali aveva ricacciato l'esercito nazista. ciò la poneva in una posizione di forza che le consentiva di far valere il peso delle sue richieste. Non solo, ma l'Unione Sovietica appariva meno preoccupata che nel passato di un isolamento diplomatico. Non a caso Stalin deciso, sin dal maggio 1943, lo scioglimento dell'Internazionale comunista, che era servita in passato, grazie all'azione svolta dai partiti comunisti nelle varie realtà politiche nazionali, come strumento di pressione e di difesa degli interessi sovietici nei paesi capitalistici. Stalin appariva orientato, proprio in virtù della forza militare raggiunta, a lasciare i singoli partiti comunisti autonomi nelle loro scelte politiche, ben sapendo, comunque, che i rapporti con la casa madre sovietica restavano ben stretti.

La diversità radicale di sistemi economici, politici, sociali ed istituzionali tra la patria del comunismo e la nazione a più avanzato sviluppo capitalistico non tardò a manifestarsi in un'aperta rottura tra i due alleati della guerra anti-nazista, inaugurando quel periodo detto della Guerra Fredda che avrebbe caratterizzato le relazioni internazionali per molti decenni.

Guerra Fredda -> un concetto composto da un sostantivo e da un aggettivo che serve a limitare e specificare il sostantivo. Si vuole cioè dire che la condizione di guerra tra le due superpotenze, Usa e Urss, non giunse mai al punto dell'esplosione perché fu raffreddata dalla consapevolezza del potenziale distruttivo degli arsenali atomici, dal fatto che ora una guerra sarebbe stata fatalmente una guerra atomica, con prospettive sconvolgenti per il futuro della vita di tutta l'umanità che impedivano di pensare a un aperto conflitto militare. Alla guerra diretta e generale si sostituirono guerre locali che potevano scoppiare in qualsiasi parte del mondo, il ricorso allo spionaggio e al controspionaggio per prevenire le mosse dell'avversario, il rischio, sempre incombente di incidenti nucleari. Quando cominciò? L'inizio può essere collocato negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale, quando usa e Urss erano ancora formalmente alleati, ma cercavano entrambi, soprattutto l'Urss, di condizionare il futuro assetto dell'Europa. La fase più acuta della guerra fredda si ebbe tra la fine degli anni Quaranta e la fine dei Cinquanta, poi la tensione si allentò anche se non definitivamente. Quando finì? Terminò con la fine della divisione in due blocchi contrapposti, rappresentata dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989.

In questo clima, il principale problema che i paesi vincitori della guerra dovevano risolvere riguardava la ricerca di un nuovo assetto internazionale che, se doveva garantire un futuro di pace per il mondo, doveva anche soddisfare le ambizioni egemoniche nello scacchiere internazionale che le grandi potenze alleate non nascondevano. Questo problema fu al centro di diversi incontri e contatti tra i rappresentanti di Stati Uniti, Urss e Gran Bretagna sin dal 1943, quando cominciò ad apparire evidente che la coalizione antinazista aveva concrete possibilità di concludere vittoriosamente il conflitto. Da quella data in poi, pur contenuti dall'esigenza comune di sconfiggere il nemico, cominciarono ad emergere anche chiare divergenze di interessi politici e strategici.

Nel corso del 1943, con gli incontri di Casablanca tra Roosevelt e Churchill (gennaio 1943) e durante la Conferenza svoltasi a Mosca (ottobre 1943) con la partecipazione dei tre ministri degli esteri, cominciarono a delinearsi alcuni indirizzi generali per il dopoguerra. In primo luogo la volontà di imporre alla Germania una "resa incondizionata", l'esigenza di punire i crimini di guerra e la realizzazione di una cooperazione internazionale basata sul disarmo generale. Fu, tuttavia, a Teheran (novembre-dicembre 1943) che si ebbe il primo significativo incontro al vertice, con la partecipazione di Roosevelt, Stalin e Churchill.

Il primo accordo raggiunto a Teheran riguardò la Polonia: in base ad esso l'Urss poteva conservare i territori polacchi ottenuti grazie al patto nazi-sovietico, mentre la Polonia veniva compensata ad occidente con lo spostamento della frontiera con la Germania sino all'Oder. Il secondo punto in discussione riguardava la Germania e la decisione sovietico-britannica di operare un suo smembramento. Anche Roosevelt aderì a questa soluzione indicando l'ipotesi di dividere la Germania in cinque zone indipendenti. Alcuni territori strategici come il canale di Kiel, il porto di Amburgo, la regione della Ruhr e quella della Saar avrebbero dovuto essere posti sotto il controllo internazionale. Stalin rivendicò, inoltre, l'annessione all'Unione Sovietica degli Stati baltici.

Un secondo e significativo momento di discussione tra i vertici alleati fu la Conferenza di Mosca, tra Stalin e Churchill, svoltasi tra il 9 e il 19 ottobre 1944. Nel corso di questi incontri avvenne un episodio narrato dallo stesso Churchill: il premier britannico sottopose a Stalin un'indicazione percentuale dell'influenza che Urss e Gran Bretagna avrebbero potuto esercitare in alcuni paesi dell'Europa orientale. Nell'appunto che Churchill mostrò a Stalin erano indicate le seguenti percentuali: "Romania: Urss 90% e gli altri 10%; Grecia: Gran Bretagna e Usa 90% e Urss 10%; Jugoslavia e Ungheria 50%; Bulgaria: Urss 75% e gli altri 25%". Aggiunge ancora Churchill: "passai il foglietto attraverso il tavolo a Stalin, che ne frattempo aveva udito la traduzione. Ci fu una piccola pausa. Poi prese la sua matita blu e con essa tracciò un grosso segno di "visto" sul foglio", che quindi ci restituì. La faccenda fu così completamente sistemata in men che non si dica". Questo momento è generalmente indicato come un momento di cinica divisione dei Balcani in zone di influenza.

I tre grandi tornarono a riunirsi a Yalta, in Crimea, dal 4 all'11 febbraio 1945. Le decisioni adottate riguardavano in primo luogo la sorte della Germania, che doveva essere divisa in quattro zone di occupazione (Usa, Gran Bretagna, Urss e Francia). Le forze militari tedesche dovevano essere sciolte e distrutta l'industria di guerra. L'Urss si impegnò ad entrare in guerra contro il Giappone, due o tre mesi dopo la capitolazione tedesca, ma richiese quale compenso la parte sud dell'isola si Sachalin, le isole Kurili, la restituzione di tutte le perdite subite dopo la guerra russo-giapponese del 1904-1905. Infine, a Yalta venne definita una "Dichiarazione sull'Europa liberata", che prevedeva la presenza di rappresentanti delle tre potenze a tutti i consigli di controllo e all'amministrazione dei vecchi nemici. Si affermava poi "il diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo sotto la quale dovranno vivere e la restaurazione dei diritti sovrani e dell'autonomia per i popoli che ne sono stati privati con la forza dai paesi aggressori". A Yalta venne anche stabilito che la futura organizzazione delle Nazioni Unite sarebbe stata governata da un Consiglio di sicurezza composto da cinque membri permanenti (Usa, Gran Bretagna, Urss, Francia e Cina) con diritto di veto.

L'ultima delle conferenze tra i "tre grandi" ebbe luogo a Potsdam, città tedesca del Brandeburgo, nei pressi di Berlino, dal 17 luglio al 2 agosto 1945, quando ormai da due mesi era terminata la guerra in Europa e mentre era in corso l'ultimo atto della guerra contro il Giappone. Le risoluzione adottate riguardavano, tra l'altro, il disarmo e la democratizzazione della Germania, il controllo sull'economia tedesca, la confisca, a titolo di riparazione, di una parte dell'attrezzatura industriale tedesca e la spartizione della marina da guerra tra i tre alleati. Inoltre, veniva ceduta all'Urss la città di Konisberg e della parte settentrionale della Prussia orientale; la cessione alla Polonia, fino alla firma dei trattati di pace, dei territori tedeschi situati a est della linea Oder-Neisse; l'espulsione delle popolazioni tedesche da Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania e il loro trasferimento in Germania. L'Austria veniva esonerata dalle riparazioni. Infine a Potsdam vennero fissate le norme per l'avvio dei negoziati di pace, attraverso un organismo composto dai ministri degli esteri dei paesi vincitori (Council of Foreign Ministers), che si sarebbe riunito a Londra a partire dal 1 settembre.

A Potsdam cominciarono comunque ad emergere con chiarezza i segni del contrasto tra occidentali e Unione Sovietica. Non mancarono infatti proteste anglo-americane per come stava gestendo la vita interna di alcuni paesi dell'Europa orientale, quali la Romania e la Bulgaria, e numerosi contrasti che evidenziarono, tra l'altro, la saldatura delle posizioni anglo-americane per fronteggiare e contenere le richieste sovietiche. Va inoltre ricordato che in rappresentanza degli Stati Uniti partecipò alla Conferenza il nuovo Presidente Hanry Truman, che aveva sostituito Roosevel morto il 12 aprile 1945.

Anche Churchill, proprio nel corso della Conferenza venne sostituito dal nuovo primo ministro, il laburista Clement Attlee. Truman apparve rispetto a Roosevelt molto più fermo ed intransigente verso l'Unione Sovietica. Non pochi americani, che avevano accusato Roosevelt di debolezza e di scarsa determinazione nell'affrontare i delicati problemi che stavano emergendo a livello internazionale, salutarono con favore la rigidità delle posizioni di Truman. D'altro canto, proprio nei giorni della Conferenza di Potsdam, il 6 e il 9 agosto, erano state lanciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Il possesso di un'arma così micidiale poneva gli Stati Uniti in una posizione di forza rispetto all'Unione Sovietica, che si vedeva, per altro verso, sempre più convinta dell'esigenza di sfruttare i successi militari in Europa orientale, attraverso il controllo politico di quei paesi, costruendo una specie di "cordone sanitario" difensivo, che prese poi il nome di "cortina di ferro", destinata a costruire un blocco ideologicamente compatto da contrapporre allo schieramento occidentale.

Il progressivo accentuarsi delle diffidenze e dei contrasti reciproci tra i paesi che avevano condotto vittoriosamente la lotta contro il nazifascismo, era destinata a produrre negli anni del secondo dopoguerra l'emergere di due blocchi contrapposti, che erano anche espressione di due diversi modelli, di due ideologie, di due "civiltà", destinate a dar vita ad un contrasto, che pur non assumendo mai il carattere di scontro armato diretto, tenne il mondo in ansia e non mancò di manifestarsi in conflitti limitati e circoscritti.

La nascita dell'ONU ed i Trattati di pace
Già nella Dichiarazione di Washington sulle Nazioni Unite, il 1 gennaio 1942, si era ribadito, oltre il comune intento della lotta contro le potenze dell'Asse, anche la creazione, alla fine del conflitto, di un ampio e permanente sistema di sicurezza generale. Il 30 ottobre 1943, a Mosca, Gran Bretagna, Cina, Usa e Urss, si impegnavano a "creare al più presto possibile un'organizzazione internazionale generale, basata sul principio dell'uguaglianza sovrana tra tutti gli Stati amanti della pace e aperta all'associazione di tutti quegli Stati, grandi o piccoli, per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali".

La fase conclusiva di questo processo di preparazione si ebbe nella Conferenza di Dumbarton Oaks (agosto-ottobre 1944), svoltasi in una casa di campagna vicino a Washington, nel corso della quale vennero definite le linee del nuovo organismo internazionale, che trovò la sua sanzione ufficiale nel corso della Conferenza di San Francisco (aprile-giugno 1945) alla quale parteciparono 51 paesi. La prima riunione ufficiale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite si svolse a Londra il 10 gennaio 1946, ma in seguito la sede permanente dell'Onu fu fissata a New York.

La nuova organizzazione si basava su un'Assemblea generale, composta da tutti i membri con diritto di voto, e convocata in sessione annuale. La funzione più importante era però riservata al Consiglio di Sicurezza, cui era conferito il compito del mantenimento della pace nel mondo. La composizione del Consiglio prevedeva cinque membri permanenti di diritto (Francia, Gran Bretagna, Usa, Urss e Cina a partire dal 1971) e cinque membri eletti ogni 2 anni dall'Assemblea e non rieleggibili. Ai membri permanenti era riservato il diritto di veto, che consentiva di bloccare qualsiasi decisione non gradita, in quanto le decisioni del Consiglio di Sicurezza dovevano avere l'unanimità dei membri di diritto per essere approvate. Organo esecutivo dell'ONU era il segretario generale eletto dall'Assemblea su indicazione del Consiglio di Sicurezza, per la durata di 5 anni. Lo Statuto dell'ONU, approvato a San Francisco, fissava anche le finalità dell'organizzazione, ispirate alla difesa del valore e delle dignità della persona umana, al rispetto degli organi internazionali, allo sviluppo del progresso sociale ed economico, al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e al ripudio della forza.

Negli stessi mesi in cui si venne delineando la fisionomia del nuovo organismo internazionale sovranazionale, furono avviati i negoziati per la definizione dei trattati di pace. Cominciati a Londra nel settembre 1945 e proseguiti a Mosca e Parigi, i negoziati conobbero la loro fase conclusiva con la Conferenza della pace, che si svolse nella capitale francese dal luglio all'ottobre 1946, nel corso della quale vennero definiti i trattati con i paesi che erano stati alleati della Germania (Italia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Finlandia).

Italia. Sul piano internazionale, la conclusione del conflitto lasciava l'Italia non solo in una situazione di isolamento ma anche di diffidenza da parte degli alleati i quali, pur non volendo smantellarla e realmente punirla, pretendevano comunque tutti qualcosa dal trattato di pace. Il paese, le forze politiche, l'opinione pubblica attendevano, quindi con preoccupazione, quindi, di conoscere le condizioni imposte all'Italia dal Trattato di pace, ben sapendo che si trattava di un pesante costo da pagare per gli errori del passato, ma anche l'unico modo per uscire da una sorta di limbo e riacquistare autonomia e rispetto in seno alla comunità internazionale.

La Conferenza dei 21, come venne chiamata, concesse alla delegazione italiana la possibilità di partecipare al dibattito al solo scopo di esporre il proprio punto di vista sul Trattato di pace, ma senza alcuna possibilità di discuterlo. De Gasperi si assunse questo compito ingrato ed il 10 agosto del 1946, alla Conferenza della pace di Parigi, al Palazzo del Lussemburgo, salì sul palco tra il freddo ed ostile atteggiamento dei rappresentanti delle potenze vincitrici. Il suo discorso fu fermo e dignitoso, indicando le nuove linee della politica estera italiana in termini democratici ed europeistici. Non nascose la sua difficile posizione in quella solenne assemblea internazionale, precisando la sua intenzione di separare la responsabilità morale del popolo italiano da quella del regime fascista, chiedendo una pace giusta, non punitiva, fondata sui valori della libertà politica e della democrazia.

Ma l'appello di De Gasperi non ebbe l'esito sperato. Il Trattato di pace, sottoscritto dai rappresentanti italiani il 10 febbraio 1947, prevedeva clausole pesanti: la riduzione dell'esercito, dell'aviazione e della marina, pesanti riparazioni in termini economici, successivamente ridotte e delicatissimi problemi relativi ai confini. Infatti, alla fine della guerra, la Jugoslavia aveva richiesto Trieste, la Venezia Giulia, Zara, Fiume e l'Istria. Successivamente, in base ad un accordo tra jugoslavi e forze militari alleate, Trieste venne posta sotto il controllo alleato ed alla Jugoslavia venne assegnata, come zona d'occupazione, l'Istria, esclusa la città di Pola e buona parte della Venezia Giulia.

Di lì a qualche mese, la difficile questione conobbe una specie di diversivo con la proposta, emersa nel corso di un incontro tra Togliatti e Tito nel novembre 1946, che prevedeva la rinuncia della Jugoslavia a Trieste in cambio di Gorizia. Era evidente il tentativo di Togliatti di trovare una soluzione che, salvando l'italianità di Trieste, ponesse fine ad una controversia che recava forti imbarazzi in seno ai comunisti italiani. Alla Conferenza della pace la posizione dell'Unione Sovietica favorevole alla difesa degli interessi jugoslavi si contrapponeva a quella di Inghilterra e USA, più vicine alle posizioni italiane. Si giunse, quindi, ad una soluzione di compromesso che prevedeva un regime provvisorio in base al quale il territorio libero di Trieste veniva diviso in due zone: la zona A, con prevalenza di abitanti italiani, affidata all'amministrazione anglo-americana, e la zona B, ad est di Trieste, comprendente tutta l'Istria, con prevalenza di popolazione slovena, affidata all'amministrazione jugoslava. I costi umani di questa decisione non furono irrilevanti. In particolare, dalla zona assegnata alla Jugoslavia e da Pola, ove gli abitanti erano per circa tre quarti italiani, cominciò un esodo di circa trentamila profughi che abbandonarono case e d averi, trovando rifugio in varie province italiane pur di non essere sotto il dominio jugoslavo.


Il problema dei confini con l'Austria ed, in particolare, la delicata questione dell'Alto Adige e della minoranza etnica tedesca del Sud Tirolo fu oggetto di trattative nel settembre '46 a Parigi tra De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco Karl Gruber. Si giunse ad un accordo che venne trasmesso alle grandi potenze e inserito nel Trattato di pace. Tale accordo riconosceva agli abitanti di lingua tedesca l'integrità della frontiera del Brennero e assicurava agli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano la salvaguardia del carattere etnico e dello sviluppo culturale ed economico, il bilinguismo e scuole di lingua tedesca e l'autonomia amministrativa, che venne realizzata nel '48 con la costituzione della regione del Trentino Alto-Adige.

Il Trattato di pace impose all'Italia anche la revisione dei confini occidentali con la Francia. L'atteggiamento francese fu particolarmente duro nei confronti dell'Italia, con l'obiettivo di punire l'aggressione compiuta da Mussolini nel giugno del 1940 (la pugnalata alle spalle). Il confine italo-francese venne modificato con la cessione alla Francia dei territori di Briga e Tenda e della zona del Moncenisio, territori che, oltre a un rilievo strategico-militare, avevano anche un'importanza economica in quanto vi si trovavano importanti centrali idroelettriche che fornivano energia al Piemonte e alla Liguria. L'unica concessione che ottenne l'Italia fu il diritto d'uso di queste risorse idroelettriche.

Infine, il Trattato di pace stabilì il destino delle colonie italiane, in realtà rinviato al 1949 a causa degli interessi contrastanti tra le potenze: l'Italia perdeva la Libia, ora sotto amministrazione delle Nazioni Unite, perdeva l'Eritrea, ma acquisiva l'amministrazione fiduciaria della Somalia.


Altri paesi. Gli altri paesi subirono significative menomazioni territoriali a vantaggio prevalentemente dell'Unione Sovietica, che tra l'altro usufruì anche di pesanti riparazioni economiche. In particolare, la Romania fu costretta a cedere la Bessarabia e la Bucovina settentrionale all'Urss e la Dobrugia meridionale alla Bulgaria; dal canto suo, l'Ungheria doveva cedere la Transilvania alla Romania, la Rutenia all'Urss, la Slovenia meridionale ed il Banato alla Jugoslavia. Pesanti furono anche le condizioni imposte alla Finlandia, costretta a cedere all'Urss parte della Carelia, etc. Va anche detto che l'Unione Sovietica godette di altre acquisizioni territoriali: mantenne il possesso dei territori baltici conquistato nel 1940, acquisì dalla Polonia la Bielorussia e si vide restituita quella parte dell'Ucraina che aveva perduto nel 1921, dopo il conflitto russo-polacco; ottenne poi anche una parte della Prussia orientale. La Polonia venne compensata delle perdite subite ad Oriente con ingrandimenti territoriali in occidente ai danni della Germania, ottenendo la Pomerania, la Slesia, parte della Prussia orientale fino alla linea Oder-Neisse, come già stabilito durante la Conferenza di Potsdam. L'altro punto fissato a Potsdam trovò esecuzione alla Conferenza di pace, vale a dire l'espulsione forzata delle minoranze tedesche da paesi quali la Cecoslovacchia, la Polonia e l'Ungheria. Si trattò di circa nove milioni costretti a trasferirsi in Germania.

Dalla "Dottrina Truman" al "Piano Marshall"
La Conferenza di Parigi fu l'ultimo atto della cooperazione post-bellica fra Urss e potenze occidentali. I paesi occidentali e soprattutto gli Stati Uniti, sin dal 1946, cominciarono a temere la politica sovietica, non solo per quanto riguardava la delicata questione tedesca e la tendenza a sovietizzare i paesi dell'Est europeo, ma anche per la pressione che Mosca esercitava anche in molti settori geografici, quali la Turchia e la Grecia, una pressione che sembrava quasi richiamare alla memoria l'espansionismo degli Zar verso l'Europa balcanica e gli Stretti. Fu Churchill il primo a denunciare il pericolo dell'espansionismo sovietico. In un discorso tenuto a Fulton, negli Stati Uniti, il 15 marzo 1946, denunciò il "sipario di ferro" che era calato sul continente europeo, "da Stettino , nel Baltico, a Trieste, nell'Adriatico".

Quanto alla tendenza sovietica a "sovietizzare", appunto, i paesi dell'Est europeo, questa strategia si sviluppò secondo linee e modalità simili ma in tempi diversi. Furono sette i paesi dell'Europa orientale che tra il 1945 e il 1948 entrarono sotto il controllo militare e politico dell'Unione Sovietica: si tratta di Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Romania e Ungheria. Attraverso l'assunzione di posizioni chiave (Ministero dell'Interno e della Giustizia) nei governi di coalizione con gli altri partiti di democrazia borghese, il partito Comunista seguì un capillare controllo della vita pubblica. Si accompagnò a questo un'epurazione politica più estesa che nei Paesi dell'Europa occidentale, dal momento che essa coinvolse non solo figure compromesse con i regimi autoritari del passato, ma anche - basandosi su sospetti e fragili prove, esponenti delle nuove formazioni politiche. Il consenso popolare fu, invece, conquistato con l'adozione di riforme agrarie, che fecero balenare nelle masse il sospirato miraggio della terra ai contadini. I comunisti riuscirono, poi, con pressioni sostenute dalle forze sovietiche d'occupazione, con alterazioni dei risultati elettorali e con la violenza, a esautorare i partiti di democrazia liberare e ad instaurare, a partire dal 1947-48, sistemi politici sostanzialmente a partito unico, dando immediatamente avvio a provvedimenti di nazionalizzazioni e collettivizzazioni.

Tranne, forse, in Bulgaria, dove esisteva da tempo un largo consenso all'azione del Partito Comunista, questo processo avvenne, dunque, in tutti gli altri paesi in forme traumatiche. Particolarmente drammatico fu il caso della Cecoslovacchia, paese che aveva una lunga tradizione di democrazia liberale ed una struttura industriale forte e che aveva coltivato, con il vecchio leader Benes, una politica estera di amicizia con l'Urss. Qui, per sopraffare, appunto, la consistente presenza di figure e forze della democrazia liberale, i comunisti organizzarono un colpo di Stato nel febbraio 1948 che portò al suicidio (forse all'omicidio) del ministro degli Esteri Jan Masaryk, figlio di quel Tomas Masaryk che era stato tra i fondatori della Repubblica cecoslovacca, e al successivo allontanamento di Benes.

Un caso a sé fu quello della Jugoslavia, dove l'Armata Rossa era giunta tardi e la liberazione del paese era avvenuta principalmente grazie alla lotta partigiana, condotta da movimenti di ispirazione politica diversa, ma nella quale dominante era stato il ruolo dei comunisti e del loro leader Tito. Il prestigio e la forza di Tito portarono, non senza resistenza e violenti contrasti, ad adottare misure economiche a carattere socialista - nazionalizzazioni dell'apparato industriale, riforma agraria, etc. - e a superare anche gli accordi tra le grandi potenze che avevano previsto per la Jugoslavia il mantenimento di una quota per l'influenza britannica. Proprio il consenso interno che ne sorreggeva l'azione permise a Tito di opporsi a Stalin nel momento in cui apparve chiaro che il rapporto con l'Urss implicava la subordinazione delle economie dei paesi satelliti al potente alleato. Ne derivò lo scisma del giugno 1948, in virtù del quale la Jugoslavia, pur rimanendo un paese ad economia socializzata e a regime di partito unico, non entrò a far parte del sistema sovietico. Questo le attirò immediatamente, da parte di Stalin e di tutti gli altri paesi comunisti europei, l'accusa di deviazionismo e di tradimento dei principi del socialismo.

Per quanto riguarda la Turchia, i sovietici chiedevano di partecipare al controllo comune degli Stretti, mentre in Grecia non mancavano di fornire un consistente sostegno politico e militare alle forze comuniste. In Grecia, infatti, dopo la liberazione dall'occupazione nazista, avvenuta grazie all'esercito britannico, era seguita una decisa reazione da parte delle sinistre che, anche grazie all'aiuto sovietico, scatenarono una guerriglia armata nel paese, fronteggiata principalmente dalle truppe britanniche. Tuttavia, gli inglesi, alle prese con la nuova politica laburista, che mirava alla creazione di un ampio sistema di Welfare State, e con una pesante crisi economica, non erano in grado di sostenere uno sforzo economico e militare sia in Grecia che in Turchia, nelle quali si comunicava l'intenzione britannica di ritirare le proprie truppe dai due paesi.

In sostanza, la decisione britannica offriva agli Stati Uniti l'occasione per assumere la guida della coalizione occidentale, al fine di frenare le intenzioni espansionistiche dell'Unione Sovietica. La nuova politica americana, guidata dal presidente Truman e dal Segretario di stato George C. Marshall, ebbe tra i maggiori sostenitori il vicesegretario di Stato Dean Acheson, che non aveva mancato di manifestare preoccupazione circa le tendenze espansionistiche dell'Unione Sovietica. Furono questi tre uomini a formulare quella che prese il nome di "Dottrina Truman", e che venne spiegata agli americani in un messaggio del Presidente al Congresso il 12 marzo 1947, in occasione della presentazione di un progetto di legge per lo stanziamento di 400 milioni di dollari per finanziare l'invio di aiuti militari ed economici alla Grecia e alla Turchia il discorso del presidente enunciava i principi e le linee direttive che dovevano ispirare la politica americana nei confronti dell'espansionismo sovietico: veniva messa fine ad ogni eccessiva acquiescenza alle mire espansionistiche dell'ex alleato sovietico e si annunciava, come direttiva della politica estera americana, "quella di sostenere i popoli liberi che resistano ai tentativi di coercizione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne".

La politica di intervento degli Stati Uniti non si limitava al problema della Grecia e della Turchia, ma assumeva una visione più ampia che investiva non solo l'Europa ma tutto il mondo. Inoltre il concetto di sostegno da dare ai popoli liberi abbracciava sia il settore economico che quello militare. L'obiettivo era quello di impedire ulteriori erosioni della sfera di influenza occidentale. Si trattava, in altre parole, di impegno difensivo che mirava non tanto ad estendere la zona di influenza occidentale quanto a conservare lo status quo esistente. In sostanza, l'enunciazione della "Dottrina Truman" sanciva definitivamente l'accettazione della divisione del mondo in due sfere di influenza e può essere interpretata come il vero e proprio inizio della "Guerra Fredda".

Il fondamento teorico-filosofico e politico-militare della "Dottrina Truman" fu ulteriormente specificato e precisato in un articolo dell'ambasciatore americano a Mosca, George Kennan che, sulla rivista "Foreign Affairs" del luglio 1947, enunciò il principio del containment (contenimento), precisando che la politica americana doveva mirare a un "paziente ma fermo e vigilante contenimento delle tendenze espansioniste sovietiche". Questa scelta della diplomazia statunitense segnava la fine della politica del roll back, dell'arretramento dell'Urss da alcune delle posizioni occupate dopo la guerra mondiale, fondata sull'idea che fosse possibile modificare, appunto, la fisionomia dei regimi che stavano nascendo nei paesi dell'Europa orientale. In altre parole, il quadro interno tendeva a cristallizzarsi nell'ottica dei due blocchi contrapposti, un orientamento che anche l'Urss sembra tacitamente accettare, non ostacolando il consolidamento dell'influenza occidentale in Grecia e Turchia e i condizionamenti che la politica americana esercitò negli sviluppi politici di altri paesi europei, quali l'Italia e la Francia.

Nella logica del containment si colloca anche il varo del piano promosso dal Segretario di Stato americano George Marshall, che nel giugno 1947, in un discorso all'Università di Harvard, dichiarò che gli Stati Uniti erano pronti ad aiutare l'economia del mondo, la cui vitalità era garanzia di stabilità politica e di pace. Certamente alla base dell'iniziativa di Marshall non erano assenti motivazioni di carattere politico, tendenti a favorire la leadership statunitense nella politica mondiale e a condizionare le scelte dei paesi europei. Tuttavia è indubbio l'effetto benefico che gli aiuti americani ebbero nella ricostruzione economica e nella modernizzazione degli apparati industriali dei paesi europei.

Il piano era diretto non solo a favore di quei paesi che rientravano nell'orbita occidentale ma anche dell'Unione Sovietica, che in precedenza aveva accettato aiuti americani attraverso l'UNRRA (la precedente fase di aiuti americani essenzialmente di prima assistenza - United Nations Relief and Rehabilitation Administration). Tuttavia i sovietici e gli altri paesi che gravitavano nella zona di influenza Urss (nonostante la Cecoslovacchia e la Polonia si fossero dimostrate favorevoli) rifiutarono, assieme alla Finlandia, l'offerta statunitense. In particolare, il ministro degli esteri sovietico Molotov, recatosi a Parigi alla fine di giugno 1947 pose due condizioni alla partecipazione sovietica: che le liste dei bisogni fossero redatte separatamente dalle diverse nazioni e che la Germania fosse esclusa dall'elenco dei beneficiari degli aiuti. Il rifiuto degli occidentali ad accettare queste condizioni comportò il ritiro dell'Urss e dei paesi satelliti, costringendo la delegazione cecoslovacca, presente a Parigi per la Conferenza sulla cooperazione economica europea, a rientrare in patria. Poco dopo, nell'ottobre 1947, la risposta sovietica all'iniziativa americana fu la nascita del Cominform (ufficio di informazione dei partiti comunisti), organismo di collegamento dei partiti comunisti europei che veniva a colmare il vuoto lasciato, nel 1943, dallo scioglimento del Comintern, reintroducendo il coordinamento e il controllo da parte di Mosca sui partiti comunisti degli altri paesi.

Il programma di aiuti previsto da Marshall prese il nome di Piano ERP - European Recovery Program -, l'amministrazione del programma venne affidato ad un organismo, l'ECA - Economic Administration Cooperation - con sede a Washington, che nel 1951 venne sostituito dal Mutual Security Agency. I paesi europe aderenti al Piano Marshall risposero con la creazione di un organismo internazionale, l'OECE - Organizzazione europea di cooperazione economica - che aveva il compito non solo di ripartire gli aiuti militari tra i diversi paesi, ma anche di promuovere la liberalizzazione degli scambi in ambito europeo.

Tra il 1948 ed il 1952 i paesi europei ottennero oltre 13 milioni di dollari. La ripresa e lo sviluppo dell'economia europea fu possibile anche grazie a questo non trascurabile aiuto americano, che d'altra parte, consentiva agli Stati Uniti di far sentire il peso della propria influenza politica ed economica sul vecchio continente. Alla base di questi aiuti esisteva la convinzione degli Usa che la rinascita economica dei paesi europei li avrebbe messi al riparo dalle suggestioni del comunismo e avrebbe consentito il consolidamento delle istituzioni democratiche, creando, in tal modo, un gruppo di stati che condividevano comuni valori e progetti. Gli aiuti americani ebbero anche altre destinazioni extraeuropee. Tra il 1945 ed il 1964 l'aiuto economico e militare al Medio Oriente e all'India raggiunse quasi i 14 miliardi di dollari, all'Africa andarono quasi due miliardi, all'Estremo Oriente 14 miliardi, all'America Latina 5 miliardi. Si trattava di aiuti economici che avevano, anche in questo caso, l'obiettivo di influenzare psicologicamente questi paesi, allontanandoli dal comunismo.

La questione tedesca, il blocco di Berlino e la nascita delle due Germanie
La Germania era uscita dalla guerra stremata e distrutta, non solo materialmente ma anche psicologicamente. Gli errori del passato, i crimini nazisti e le responsabilità della guerra pesavano sul popolo tedesco, che appariva smarrito, ansioso di cancellare il passato, respingendo la tesi della colpa collettiva e scaricando su Hitler e sui vertici del nazismo colpe e responsabilità. L'avvenire appariva incerto, condizionato com'era dalle decisioni che le quattro potenze vincitrici avrebbero adottato circa il destino della Germania. A differenza del primo dopoguerra, quando il territorio tedesco non era stato invaso dagli eserciti nemici, nel 1945 gli alleati avevano occupato l'intero territorio tedesco e non avevano consentito - come era avvenuto con l'avvento della repubblica di Weimar nel 1919 - la formazione di un nuovo Stato tedesco. Anzi le autorità militari alleate non avevano riconosciuto il governo di Karl Doenitz, che aveva firmato la resa senza condizioni della Germania, dichiarandola decaduto il 22 maggio 1945, e affermando che avrebbero esercitato direttamente il potere.

Sulla base degli accordi di Potsdam, la Germania venne divisa in 4 zone di occupazione, russa, americana, inglese e francese, mentre Berlino, che si trovava nella zona russa, veniva amministrata da una commissione quadripartita, senza che tra le tre zone di occupazione occidentale della Germania e le tre zone occidentali di Berlino ci fosse alcuna continuità territoriale. Sul piano territoriale, la Germania perdeva la Prussia orientale, la Pomerania e la Slesia, che venivano annesse all'Urss e alla Polonia, mentre tutte le minoranze tedesche (circa 9 milioni) dell'Est e del Sud-Est europeo, espulse dai rispettivi paesi furono costrette a trasferirsi in Germania, creando ulteriori problemi di natura economica e sociale.

Nelle diverse zone di occupazione le autorità militari alleate, ad eccezione dei francesi, cercarono di stabilire rapporti con interlocutori tedeschi giudicati affidabili anche in relazione al loro orientamento politico. Per cui mentre i sovietici tendevano ad appoggiarsi ad esponenti comunisti, gli inglesi preferivano coinvolgere rappresentanti della socialdemocrazia e gli americani esponenti liberali o cattolici. Solo i francesi apparivano restii a favorire una ripresa della vita politica, economica ed amministrativa del paese, mirando principalmente a staccare dalla Germania territori come la Saar o la Renania, rivendicando il controllo o l'internazionalizzazione della ripresa produttiva della Ruhr. Di fronte a questa situazione venne meno l'ipotesi che le quattro zone fossero amministrate in modo uniforme, anche perché da parte sovietica si cercò di trarre da questa situazione vantaggi politici ed economici, sia favorendo l'ascesa dei comunisti alla guida del paese, sia attraverso una serie di riforme radicali sul piano economico, quali la nazionalizzazione delle banche, gli espropri dei monopoli e la riforma agraria, che operò confische senza indennizzo, realizzando aziende gestite dallo stato. Inoltre alcune industrie vennero smantellate e trasferite in Unione Sovietica in conto riparazioni.

La questione tedesca diventava uno dei punti nevralgici nel rapporto tra le potenze e nel braccio di ferro tra Usa e Urss. In questo clima caratterizzato da diverse prospettive ed interessi, apparve ben presto inattuabile un progetto elaborato dal segretario di Stato americano Byrnes, che aveva proposto un trattato di pace tra gli alleati e la Germania come premessa alla riunificazione tedesca, ma con la garanzia della neutralizzazione e smilitarizzazione della Germania, controllata da una Commissione che aveva il compito di reprimere qualsiasi tentativo di rivincita da parte dei tedeschi. L'Urss respinse questa proposta presentandola come il tentativo americano di voler mortificare la Germania tenendola sotto controllo. Probabilmente i sovietici temevano che il progetto di Byrnes avrebbe impedito loro di continuare ad usufruire delle riparazioni imposte alla Germania e avrebbe ostacolato il disegno tendente a porre sotto il controllo comunista la zona da essi occupata.

Di fronte all'atteggiamento francese e alle resistenze sovietiche, Byrnes il 12 settembre 1946 manifestò la volontà degli Stati Uniti di sostenere al ripresa e l'autonomia politica della Germania, mentre il 1 gennaio 1947 Gran Bretagna e Stati Uniti decidevano l'unificazione delle due rispettive zone di occupazione (la cosiddetta "bizona" ed il 9 febbraio 1948 decidevano di permettere la nascita di un Governo provvisorio tedesco. Successivamente, il 2 giugno 1948, la Conferenza dei Ministri degli Esteri svoltasi a Londra decideva che nella bizona si riavviasse una normale vita politica, consentendo, tra l'altro, l'elezione di un'Assemblea costituente per redigere una nuova costituzione tedesca. Inoltre, a partire dal 1948, anche la Germania cominciò ad usufruire degli aiuti del Piano Marshall, che favorì notevolmente la ricostruzione del paese ed il rilancio della vita economica, favorita, nel giugno 1948, anche da una riforma monetaria che introduceva un nuovo marco più solido e sorretto dall'aiuto americano.

Di fronte all'iniziativa statunitense, Stalin reagì con particolare fermezza, decidendo il 23 giugno 1948 il "blocco di Berlino" per isolare la zona occidentale e impedirne l'accesso via terra, essendo la città collocata nel cuore della zona controllata dai sovietici. Gli alleati risposero realizzando un ponte aereo che ruppe l'isolamento della zona ovest di Berlino consentendo il rifornimento della città, rendendo quindi inefficace il blocco, tanto che nel maggio 1949 i sovietici decisero di rimuoverlo.

La reazione sovietica convinse gli alleati sull'opportunità di procedere alla unificazione della Germania occidentale, favorendo la formazione di un governo tedesco. Queste decisioni vennero raggiunte a Washington l'8 aprile 1949, ed il 13 maggio trovarono la loro realizzazione con l'approvazione della nuova costituzione che prese il nome di "Legge fondamentale" che sanciva la nascita della Repubblica Federale Tedesca, composta da 11 Lander. Nel mese di settembre venne eletto alla presidenza della Repubblica il liberale Theodor Heuss, mentre la carica di cancelliere venne assunta dal leader cristiano democratico Konrad Adenauer, cui si deve, assieme al ministro dell'economia Ludwig Erhard la realizzazione del "miracolo economico" tedesco del dopoguerra.

La risposta sovietica alla nascita della Repubblica Federale Tedesca fu la creazione, il 7 ottobre 1949 della Repubblica Democratica Tedesca, con capitale Pancow nei pressi di Berlino. Una svolta significativa sul piano politico si ebbe nel 1946 con la fusione dei partiti comunista e socialdemocratico, che diedero vita al Partito Socialista Unificato Tedesco (SED), che assunse il controllo della vita politica dopo la nascita della DDR, che vide la presidenza di Piek e la guida del governo affidata a Grotewohl, anche se un ruolo significativo venne svolto dal leader comunista Walter Ulbricht, fedele esecutore della politica sovietica.



La militarizzazione della guerra fredda: dal Patto Atlantico al Patto di Varsavia
Alla fine degli anni Quaranta si assiste anche all'avvio del processo di costruzione dell'integrazione economica e politica europea. Il primo passo viene compito a Bruxelles, il 17 marzo 1948 con la firma di un patto tra Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, che prese il nome di "Unione Occidentale" e che stabiliva una stretta collaborazione in campo economico, sociale, culturale e militare. Di fronte a questa situazione che stava emergendo nel continente europeo e di fronte al massiccio aiuto economico fornito all'Europa, Truman volle verificare l'affidabilità militare dell'alleanza tra i paesi dell'Europa occidentale, avviando una serie di colloqui esplorativi, svoltisi dal luglio 1948 al marzo 1949, ai quali parteciparono i rappresentanti dei paesi dell'Unione occidentale, gli Usa e il Canada. Nel corso di questi colloqui, che presero in esame i complessi problemi politici internazionali ed in particolare la questione tedesca, si addivenne alla decisione di procedere alla firma di un trattato militare che garantisse la comune difesa dei paesi europei e dell'America del Nord da possibili attacchi armati.

Uno dei problemi discussi nell'ultima fase del negoziato, nel marzo 1949, riguardava le sorti dell'Italia, la cui posizione era al centro di profonde diffidenze. Anche gli Usa, con in testa Truman, e gli altri paesi europei, ad eccezione della Francia, manifestarono una netta opposizione ad un coinvolgimento italiano nella costituenda alleanza militare. Questa intransigenza, determinata anche dalla scarsa fiducia che si dava all'Italia circa la sua fedeltà ai patti sottoscritti e al permanere dell'immagine di paese nemico e sconfitto, venne superata, grazie al sostegno della Francia e all'opera di mediazione compiuta dal nuovo segretario di stato americano Acheson nei confronti di Truman. L'adesione italiana, tra l'altro, avrebbe consentito all'alleanza di assumere una condizione più continentale uscendo da un carattere "marittimo", ancorato cioè ai soli paesi che si affacciavano sull'Atlantico.

La firma del trattato segnò la nascita della NATO - North Atlantic Treaty Organization - o Patto Atlantico il 4 aprile 1949 a Washington, con l'adesione di 12 paesi: Usa, Canada, Gran Bretagna, francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Portogallo, Italia, Norvegia, Islanda e Danimarca. Il Trattato aveva la durata di 20 anni, tacitamente rinnovabili, si ispirava all'esigenza di "salvaguardare la libertà, l'eredità comune e la civiltà" dei paesi partecipanti, "fondata sui principi della democrazia, della libertà individuale e del rispetto della legge"; precisava, poi, all'art. 5 che, in caso di attacco armato contro uno o più paesi firmatari, gli altri sarebbero intervenuti per ristabilire e mantenere la sicurezza. L'art. 9 del Trattato stabiliva la costituzione di un Consiglio di rappresentanti permanenti e di un Comitato di difesa. Negli anni successivi la partecipazione alla NATO si estese con l'ingresso, nel 1951, della Turchia e della Grecia, e nel 1954 della Germania federale. La Spagna, pur non aderendo formalmente all'alleanza, stipulò nel 1953 un accordo militare con gli Stati Uniti.

Alle trattative che dovevano portare alla firma del Patto Atlantico non era mancata una precisa risposta sovietica, con al creazione, il 25 gennaio 1949, di un consiglio di mutua assistenza economica, il COMECON, sottoscritto da Urss, Bulgaria, Ungheria e Polonia e, in seguito da Albania, Repubblica Democratica tedesca, Mongolia, Romania e Cecoslovacchia. Non si trattava, come per la NATO, di una accordo militare, ma di un sistema economico sulla base del modello sovietico. Sul piano politico il COMECON introdusse un rigido monolitismo e una profonda trasformazione economico-sociale dei vari paesi, imponendo non solo la collettivizzazione in agricoltura e l'imposizione di un'industria pesante, ma anche l'avvio di una sorta di rivoluzione culturale, attraverso la scolarizzazione massiccia, che favorì l'alfabetizzazione, imponendo una comune ideologia alle popolazioni di questi paesi.

Fu l'ingresso della Germania nella NATO, nel 1955, ad offrire l'occasione ai sovietici per contrapporre un'organizzazione militare del blocco orientale all'alleanza atlantica. Infatti, il 14 maggio 1955, venne firmato dall'Unione Sovietica e dagli altri paesi dell'Est europeo il Patto di Varsavia. Si trattava di una convenzione militare, ispirata all'esigenza di difesa della "zona di sicurezza sovietica". Il comando unico delle forze armate del Patto di Varsavia veniva assunto dall'Unione Sovietica.


Alcuni esempi del confronto militare durante la guerra fredda
La
Corea è stata proprio l'emblema della localizzazione dei conflitti. La Corea era stata occupata dai sovietici durante la guerra nella sua parte settentrionale e dagli americani in quella meridionale. Analogamente a quanto era accaduto in Germania, nell'impossibilità di giungere ad un accordo furono costituite una Repubblica popolare (comunista) guidato da Kim Il Sung a nord ed una democratica (filoamericana) a sud. Dopo una settimana di incidenti di frontiera, in un clima di crescente tensione dovuta al fatto che entrambi gli stati rivendicavano la sovranità sull'intero territorio, il 25 giugno 1950 le forze nordcoreane, armate dai sovietici e dai cinesi, invasero la linea di divisione con il Sud posta al 38° parallelo, tentando l'unificazione sotto il proprio governo dell'intera penisola coreana.

La risposta americana fu immediata e si temette che dalla guerra fredda si passasse - come d'altronde richiedeva la parte più intransigente dell'opinione pubblica americana, sollecitata dalle più aggressive prese di posizione del generale MacArthur - ad un aperto conflitto armato tra gli Stati Uniti ed il mondo comunista. MacArthur fu, però, richiamato in patri dall'assai più cauto presidente Truman e l'iniziativa militare fu assunta dall'ONU (sia pure con il prevalente supporto delle forze armate americane) dopo che la Corea del Nord era stata condannata quale paese aggressore.

La guerra si trascinò così per circa tre anni, imponendo alla popolazione locale il sacrificio di ben due milioni di morti e la completa distruzione delle sue risorse produttive. La conclusione, rimasta sempre provvisoria, si ebbe con la firma dell'armistizio di Panmunjon, il 27 luglio 1953, che confermò al 38° parallelo la frontiera tra le due Coree.

La crisi di Cuba. Salito al potere nel novembre 1960, John Fitzgerald Kennedy non fu molto fortunato nella realizzazione delle sue prime mosse in politica estera. Innanzitutto, il progressivo deteriorarsi dei rapporti con della comunista e filosovietica Cuba dopo l'instaurazione del regime di Fidel Castro - che aveva seguito a quella del dittatore Fulgencio Batista - portò Kennedy alla decisione di appoggiare una spedizione militare di esuli anti-castristi, sbarcati nell'isola alla Baia dei Porci, ma presto uccisi o catturati dalle milizie cubane. Fu un fallimento che non giovò certo alle residue possibilità di intesa tra Cuba e gli Stati Uniti né, soprattutto, al prestigio internazionale del giovane presidente.

L'insuccesso cubano compromise pure la politica innovatrice dell' "Alleanza per il progresso", ossia un accordo tra Usa e stati dell'America Latina lanciato da Kennedy nel marzo 1961 con l'obiettivo di favorire il decollo economico dei paesi latinoamericani. Anche la questione di Berlino, caratterizzata dalle continue fughe di cittadini dalla Germania dell'Est attraverso Berlino Ovest, fece passi avanti dopo l'incontro a Vienna nel giugno 1961 tra Kennedy e Krusciov. Anzi, in una notte dell'agosto 1961, per mettere fine alle continue fughe verso l'ovest, le autorità della Germania orientale fecero alzare tra Berlino est e Berlino ovest un muro militarmente controllato per impedire ogni passaggio da una zona all'altra. Rimasto per circa trent'anni nel cuore dell'Europa a simboleggiare l'impossibilità di una libera circolazione di uomini e idee tra le due parti del continente, il muro di Berlino, il "muro della vergogna", diede una repentina conclusione alla questione dell'ex capitale tedesca, aggiungendo, com'è ovvio, nuovi motivi di tensione internazionale ai precedenti.

Inoltre, il 6 ottobre 1962 l'amministrazione Kennedy ebbe prove sicure che i sovietici avevano installato a Cuba missili in grado di raggiungere il territorio degli Stati Uniti. Dopo sei giorni di laboriose consultazioni, il presidente americano decise per un atteggiamento di assoluta fermezza. Denunciando la violazione sovietica dello status quo e la minaccia che ne derivava alla sicurezza del suo paese, Kennedy annunciò il blocco navale di Cuba per impedire il previsto arrivo di nuovo materiale bellico e lanciò all'Urss un inequivocabile ultimatum nel caso in cui non fossero state smantellate rapidamente le rampe missilistiche già installate. Di fronte alla realistica minaccia di un conflitto atomico, dopo 4 giorni nei quali il mondo visse nella tensione acuta di una guerra nucleare imminente, Krusciov ordinò alle navi sovietiche di fare marcia indietro, impegnandosi al ritiro dei missili e ricevendone come contropartita la garanzia Usa di non appoggiare più alcun tentativo militare contro Cuba e Castro e, come contropartita di facciata, egli ottenne il ritiro di alcuni missili Usa da Italia e Grecia.

La guerra del Vietnam. Questo paese del Su-Est asiatico era da anni oggetto delle attenzioni di Washington. Durante i primi anni Cinquanta, nel quadro della alleanze della guerra fredda, gli Stati Uniti avevano appoggiato - e di fatto quasi interamente finanziato - il regime coloniale francese, posto sotto pressione dalla guerriglia indipendentista guidata dal comunista Ho Chi-Minh. A dispetto degli aiuti, nel 1954 la Francia fu sconfitta dai vietnamiti, e il paese venne diviso tra il Nord direttamente controllato dai comunisti, e un Sud dove era stato creato un governo fantoccio filoccidentale, erede del governo coloniale. Gli Stati Uniti rifiutarono di consentire elezioni nazionali (che avrebbero sicuramente dato la vittoria a Ho Chi-Minh) e decisero si sostenere massicciamente il Vietnam del Sud, finendo con riproporsi come nuovi dominatori.

Il Nord comunista intraprese allora una guerra di "liberazione" finalizzata a conquistare il sud e unificare la nazione. Il Vietnam era un paese remoto, sconosciuto alla quasi totalità degli americani, ma Kennedy decise che doveva essere "salvato", vedendo nel Vietnam come un sotto-insieme dello scontro con il comunismo. Per questo, accanto agli aiuti economici, il presidente diede il via ad un diretto intervento militare; i soldati americani in Vietnam vennero portati a 16mila, con ruoli via via più operativi. Quando Kennedy venne assassinato nel 1963 le basi per un pieno coinvolgimento bellico degli Stati Uniti era ormai già state poste.

Lyndon Johnson proseguì in questa direzione, intraprendendo una rapidissima escalation dell'intervento militare Usa. Prendendo come pretesto una scaramuccia tra imbarcazioni nord vietnamite e americane nel Golfo del Tonchino, nel 1964 egli ottenne dal Congresso poteri speciali per "prevenire future aggressioni". Su questa base, senza che una formale dichiarazione di guerra venisse mai pronunciata, gli Stati Uniti entrarono nella guerra più lunga e sanguinosa della loro storia. Nel 1965 le truppe Usa erano salite a più di 180mila uomini e nel 1969 raggiunsero il massimo: 500mila.

Nel tentativo di contrastare la spinta militare dell'esercito comunista che premeva dal vietnam del Nord e le azioni di guerriglieri comunisti operanti nel Sud (i cosiddetti Vietcong), gli stati Uniti impiegarono tutto il loro enorme potenziale bellico. Durante la Vietnam War furono sganciate più bombe che in tutta la seconda guerra mondiale; volumi di fuoco mai visti, defolianti, napalm, armi chimiche produssero enormi danni, oltre che a città e villaggi, anche alle colture e alle foreste; le ostilità degenerarono in una spirale di brutalità ed i soldati americani si resero responsabili di atroci massacri di civili come quello del villaggio My Lai, dove furono trucidati centinaia di contadini indifesi, tra cui moltissime donne e bambini.
La guerra dilagò in Cambogia ed in Laos, che gli americani sottoposero ad azioni devastanti, mentre Washington sostenne ad oltranza un regime sudvietnamita via via sempre più parassitario e corrotto. I costi materiali ed umani del conflitto furono terrificanti; milioni di persone morirono in Vietnam e negli altri paesi dell'Indocina coinvolti, altri milioni di persone rimasero ferite o dovettero sfollare; il Vietnam fu completamente devastato mentre le vittime americane furono circa 58mila.
Nonostante l'enorme sforzo militare ed economico, gli Stati Uniti furono sconfitti. Animati da uno spirito incontrollabile in cui la fede comunista si fondeva a un nazionalismo di antichissima origine e sorretti da cospicui aiuti bellici di Urss e Cina, nordvietnamiti e vietcong non furono mai piegati e alla fine costrinsero gli americani ad abbandonare il paese. Nel 1975 il Vietnam del Sud cadde e l'intera nazione venne unificata sotto un governo comunista.
Per gli Stati Uniti non si trattò soltanto dell'unica sconfitta militare della loro storia, ma fu molto di più. In Indocina vennero inviati complessivamente 3 milioni di giovani americani. Tra questi moltissimi riportarono traumi permanenti; per quasi tutti il contatto con la violenza e con l'assurdità della guerra portò dubbi e disillusione riguardo alla superiore missione dell'America. Le autorità politiche gestirono il conflitto in modo disastroso, dettando strategie confuse, basate su informazioni incomplete e determinate da una complessiva incapacità di comprendere la realtà con cui avevano a che fare. Non solo, il governo mentì sistematicamente al paese, e anche allo stesso Congresso, cercando di nascondere e minimizzare le difficoltà, tenendo sotto silenzio parte delle iniziative più brutali, ingannando e ingannandosi sulle possibilità di vittoria.
Soprattutto a partire dal 1965 si formò nel paese un vasto movimento di protesta contro la guerra, che ben presto divenne terreno comune per le tante anime della contestazione giovanile e sociale. Marce di protesta si susseguirono in tutti gli Stati Uniti, decine di migliaia di giovani si rifiutarono di prestare servizio militare. L'opposizione al conflitto, la denuncia delle sue brutalità insensate si diffusero anche tra i reduci che tornavano dal Vietnam, mentre tra le truppe al fronte si moltiplicarono i casi di tensione razziale e di insubordinazione, le risse, il consumo di droghe e di alcool.
Il punto di svolta venne nel gennaio 1968, quando con l'offensiva del Tet (il capodanno vietnamita) la guerriglia comunista conquistò posizioni in tutto il Vietnam del sud, giungendo ad attaccare l'ambasciata militare a Saigon. Anche se l'offensiva fu respinta, le scene dei vietcong all'attacco viste alla televisione da milioni di cittadini contrastavano drammaticamente con i proclami del governo secondo cui la vittoria finale era vicina. Da allora il consenso alla guerra si sgretolò rapidamente. Pressato dalle proteste ed incapace di condurre il conflitto a conclusione, Johnson non si ricandidò alle elezioni presidenziali del 1968, che furono vinte da Richard Nixon.
Nixon nominò suo Segretario di Stato Henry Kissinger, professore all'università di Harvard ed esperto di questioni internazionali. Dalla loro collaborazione nacque la politica del "linkage", cioè del collegamento, in base alla quale tutte le questioni andavano considerate in modo complementare, giovando contemporaneamente sulla dissuasione militare, sulla possibilità di accordi economici e sull'interscambiabilità delle intese diplomatiche. Essi puntarono, poi, ad una "vietnamizzazione" del conflitto, cioè a un rafforzamento delle capacità militari dell'esercito del Sud Vietnam, al quale doveva essere lasciato per intero il peso della lotta con i vietcong e con il Nord Vietnam. Si disponeva, quindi, il progressivo ritiro delle truppe americane, ma al contempo intensificando drammaticamente i bombardamenti al nord e promuovendo l'invasione della Cambogia.
Decisiva, sul piano strategico internazionale, fu la normalizzazione delle relazioni con al Cina comunista, avvenuta con un viaggio di Nixon a Pechino nel febbraio 1972. Questo era reso possibile anche dalle mutate condizioni interne della Cina dove, esauritasi la spinta della rivoluzione culturale e morto in circostanze particolari l'intransigente Lin Piao, il potere era ora nelle mani del moderato Chou En-Lai. L'avvio dei rapporti con la Cina - che Nixon tenne abilmente paralleli a una intensificazione del dialogo con l'Urss - facilitò ovviamente le trattative di pace che si trascinavano a Parigi senza risultati dal 1969. Nel marzo 1973 Nixon poté annunciare il ritiro definitivo delle truppe americane dal Vietnam. La guerra durò ancora - come effetto della vietnamizzazione - due anni e si concluse il 30 aprile 1975 con la caduta del governo sudvietnamita e l'unificazione dei due Vietnam.






















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