Eduardo Ambrosio


Vai ai contenuti

Menu principale:


LE FASI DEL CONFLITTO (dramma italiano)

STORIA > NOVECENTO > LA II GUERRA MONDIALE

LA SECONDA GUERRA MONDIALE 1939-1945
Le fasi del conflitto con particolare riferimento al dramma italiano


Nel 1939, a ventuno anni dalla conclusione della prima guerra mondiale, scoppiò il secondo conflitto mondiale. Esso fu combattuto per terra, sui mari e nell'aria. Coinvolse l'Europa, l'Asia, l'Africa, l'America e l'Oceania ed ebbe effetti sconvolgenti sul destino di popoli e di continenti.

Questo conflitto non sarebbe mai accaduto per motivi futili. Decine e decine di milioni di uomini non sarebbero andati al massacro, immani ricchezze non sarebbero state sacrificate e buttate nella "fornace" della guerra, senza ragioni e interessi profondi.

Per studiare le cause del conflitto è necessario analizzare quale era la situazione internazionale e, soprattutto, come vivevano il mutato clima di relazioni internazionali gli stati che ad esso parteciparono.
Le eco del primo dopoguerra rimanevano ancora profonde era ovunque evidente la difficoltà di ritornare a una condizione economa di normalità e di pace: bilanci disastrati dalle spese di guerra con conseguente fortissima inflazione, difficile riconversione industriale da bellica a pacifica, inquietudini per i trattati di pace che risultarono una mancata occasione per dare all'Europa e al mondo una pace duratura e un amichevole sistema di relazioni internazionali, si diffondeva sempre più l'idea che si era combattuto per nulla.

I regimi fascisti di Germania, Giappone e Italia sostennero che a base della guerra c'erano una missione civilizzatrice da realizzare e un nuovo e più razionale ordine da stabilire nel mondo. In realtà, combatterono, anzi si assunsero la responsabilità di accendere la guerra, per i loro forti e incontenibili appetiti imperialistici e per l'ambizione di distruggere le grandi potenze mondiali e sostituirsi ad esse.

Francia, Inghilterra e Stati Uniti dissero di combattere in difesa della democrazia e della libertà dei popoli; in sostanza, affrontarono la guerra per conservare la loro supremazia nel mondo, per difendere i propri imperi, per contenere l'espansionismo della Germania, del Giappone e dell'Italia.

L'URSS si presentò come il baluardo del socialismo; in realtà, puntò sulla guerra per ricostituire i confini del vecchio impero zarista, per riottenere i territori perduti in Europa, per riprendere la marcia di espansione nell'Estremo Oriente.

In pratica la guerra fu combattuta per la spartizione del mondo.

Il terreno per lo scoppio della guerra fu offerto dall'Europa e dall'Estremo Oriente, dove più precario era l'equilibrio internazionale, maggiori erano i vecchi conti da saldare e più forti le spinte espansionistiche.
Vere e profonde ragioni ideali maturarono durante la guerra e spinsero i popoli ad impegnarsi in rivendicazioni e in lotte significative per il loro riscatto.
Per l'Europa è da mettere in risalto che s'impose la scelta morale di un'alleanza antinazista , dettata dall'estrema gravità del pericolo d'un predominio tedesco, il quale intendeva consacrare la superiorità di un popolo sugli altri che avrebbero dovuto divenire letteralmente schiavi o, quanto meno, rassegnati servitori. Certamente la storia ha conosciuto e conosce tirannidi e ha registrato e registra violenza: solo l'astratta speculazione può immaginare un mondo immerso in un'utopistica tranquillità e immobilità, ma è pur vero che, almeno nei tempi moderni, nessun sistema politico, al di fuori di quello nazista, si era imposto come il sistema del dominio di una razza costituzionalmente "superiore" per le sue caratteristiche biologiche.

Come la prima , anche la seconda guerra mondiale fu all'inizio solo un conflitto europeo; ma nel giro di due anni i suoi confini si dilatarono fino ad interessare tutti i continenti. La guerra coinvolse, ben più dell'altro conflitto mondiale, le popolazioni civili con distruzioni, bombardamenti, azioni partigiane, rappresaglie, rastrellamenti . Creò campi di concentramento per milioni di persone e mise in atto la distruzione di intere razze in maniera organizzata e programmata.

Dell'intero conflitto, che si protrasse per sei anni (dal 1 settembre 1939 al 2 settembre 1945) con molteplici teatri: Atlantico, Mediterraneo, Pacifico, ecc., si possono distinguere due momenti di pressoché uguale durata:
- il primo , fino al novembre 1942, vide l'assoluta prevalenza della Germania e del Giappone;
- Il secondo, apertosi con la controffensiva inglese in Egitto, lo sbarco alleato in Africa settentrionale francese, la disfatta tedesca a Stalingrado, la vittoria navale americana nel Pacifico, presso le isole Salomone, segnò la riscossa degli Alleati e si concluse con la liberazione dell'Europa, la cacciata dei Nipponici dall'Asia Orientale, la resa della Germania e quella del Giappone.

L'Italia, entrata in guerra nel giugno del 1940 a fianco della Germania, passò, dopo la caduta del Fascismo, dalla parte delle Nazioni Unite (Alleati).

Il 22 maggio 1939, l'Italia e la Germania avevano stipulato, in seguito ai colloqui di Roma del nuovo ministro degli esteri tedesco Von Ribbentrop con Ciano e Mussolini dell'ottobre 1938, il cosiddetto Patto d'acciaio, che impegnava le due nazioni ad un reciproco aiuto militare sia difensivo che offensivo (Mussolini, però, in tale occasione dichiarò che l'Italia non sarebbe stata pronta per un conflitto prima di tre anni, cioè nel 1942). Con tale patto l'Italia si legava al carro tedesco vincolandosi alle decisioni di Hitler senza alcuna precisa garanzia. Anzi, in base all'art.3, qualora la Germania avesse voluto intraprendere un'azione militare, l'Italia si doveva "porre immediatamente come alleata al suo fianco" e sostenerla "con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e nell'aria". Probabilmente, sottoscrivendo questo patto, Mussolini ritenne assicurarsi una copertura nelle rivendicazioni verso la Francia, riguardo la Tunisia, Gibuti, Nizza e la Savoia. Ma l'impreparazione militare e l'arretratezza industriale, in realtà, posero l'Italia in una condizione di sudditanza politica, economica e militare nei confronti del più forte ed agguerrito alleato.
Contemporaneamente vennero avviate trattative, nel giugno 1939 a Mosca, tra Inghilterra e Urss, poi anche Francia al fine di garantire unilateralmente Polonia e Romania da possibili aggressioni. Le reciproche diffidenze non portarono ad alcuna definizione: Francia e Inghilterra temevano che l'Urss potesse profittarne per estendersi verso oriente e Stalin non dimenticava di essere stato escluso dall'incontro di Monaco e immaginava che i paesi occidentali volessero ancora utilizzare l'espansionismo hitleriano in senso antisovietico; le trattative si interruppero il 21 agosto per la insistente richiesta sovietica di avere il consenso al passaggio delle proprie truppe sul territorio della Polonia che, temendo un'invasione, fu intransigente. La sterilità dei colloqui convinsero Stalin che maggiore convenienza poteva derivare prestando attenzione alle offerte intesa che intanto giungevano dalla Germania. Il 23 agosto, superando ogni pregiudiziale ideologica, fu sottoscritto dai ministri degli esteri il sovietico Molotov e il tedesco Ribbentrop un patto di non aggressione, che, oltre a recare stupore e indignazione in tutto il mondo, assicura ad ambo le parti notevoli vantaggi: l'Urss non solo allontanava momentaneamente la minaccia tedesca dai sui territori, guadagnando tempo prezioso per la sua preparazione militare, ma, con un protocollo segreto, otteneva un riconoscimento delle sue aspirazioni territoriali nei confronti degli Stati Baltici di Lettonia, Estonia e Lituania, della Romania e della Polonia (di cui si prevedeva la spartizione). Dal canto suo Hitler era costretto a modificare la sua strategia di fondo , rinviando lo contro con il suo nemico storico, ma intanto poteva risolvere la questione polacca senza correre il rischio della guerra su due fronti. Il Patto Molotov-Ribbentrop, esemplare applicazione della brutale ragion di stato, quindi, fu la causa immediata dello scoppio del secondo conflitto, dal momento che consentiva a Hitler di invadere la Polonia sicuro di non incontrare opposizioni sovietiche, cosa che subito puntualmente accadde: il 1 settembre 1939.

Per unire la Prussia orientale al resto della Germania, Hitler chiedeva il ritorno di Danzica alla Germania ed agitava la questione dei confini e delle minoranze etniche. Alle intransigenze polacche e alla debole opposizione di Francia e Inghilterra (con la quale, il 25 agosto, la Polonia stringeva un patto di difesa in caso di attacco tedesco), In questo clima eccitato, Hitler emanava per l'esercito tedesco (la Wehrmacht) la "Istruzione n. 1 per la condotta della guerra", che prevedeva l'attacco alla Polonia per le ore 4.45, del 1 settembre 1939. Seguirono giorni di febbrili quanto inutili tentativi di mediazione, cui parteciparono anche l'Italia e il Vaticano, ma il 3 settembre 1939, onorando le loro garanzie di protezione, Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania.

Mussolini, nonostante il Patto d'acciaio, il 1 settembre del 1939 dichiara la "non belligeranza", una strana formula che sta ad indicare che l'Italia prende tempo. Ma con la capitolazione della Francia e di fronte alle rapide vittorie naziste, Mussolini, nonostante la perplessità di Badoglio e le esitazioni di Ciano e Bottai, ritiene che è giunto il momento di entrare in guerra ("servono alcune migliaia di morti per sedere al tavolo della pace" a fianco di Hitler, per non perdere la propria parte in un bottino che si annunciava sostanzioso e soprattutto imminente) e così, il 10 giugno 1940, dal balcone di piazza Venezia a Roma , in un "adunata oceanica" , annuncia la dichiarazione di guerra alla Francia e all'Inghilterra, "una lotta (dell'Italia proletaria e fascista) dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra".
L'esercito italiano, composto da 300.000 uomini, si mise in movimento il 21 giugno (quando da parte francese era già stato chiesto l'armistizio alla Germania) contro le fortificazioni francesi delle Alpi occidentali, dove per la scarsa preparazione e le cattive condizioni atmosferiche non riportò alcun successo; comunque, la Francia ormai allo stremo (divisa in una parte settentrionale amministrata direttamente dai tedeschi e in una meridionale, con capitale Vichy, con il governo collaborazionista del maresciallo Pétain) si vide costretta a firmare l'armistizio con l'Italia il 24 giugno.

La guerra, per Mussolini: "guerra parallela" a quella tedesca finalizzata a realizzare tutti gli obiettivi precedentemente invocati, metterà a nudo tutte le debolezze del fascismo e l'Italia pagherà un prezzo altissimo per questa avventura militare. L'impreparazione dell'esercito risulta evidente già nell'attacco alla Francia , la "pugnalata alla schiena", come venne definito, perché i francesi erano stati già sconfitti dai generali tedeschi; gli Italiani riescono ad occupare faticosamente solo pochi chilometri di suolo francese.
Il 28 ottobre 1940 Mussolini ordina di invadere la Grecia , ma quella che doveva essere una marcia trionfale ("spezzare le reni alla Grecia") fino ad Atene si trasformò in un grande disastro.
La nostra flotta, inoltre, attaccata da aerosiluranti inglesi subì gravi perdite nelle acque di Taranto, prima ancora di poter dispiegare la sua forza nel Mediterraneo. Ci volle l'intervento dei tedeschi per tirare fuori dai guai gli italiani: il 6 aprile 1941, la truppe naziste assalirono la Jugoslavia , la occuparono poi, insieme alle forze italiane, invasero la Grecia.
Non miglior prova fornirono gli Italiani in Africa (dove, alla fine del 1940; con Graziani erano penetrati dalla Libia in Egitto per circa 80 Km, sino a Sidi Barrani, poi, costretti dagli inglesi al ritiro da Bendasi e dalla Pirenaica), non per mancanza di coraggio ma per impreparazione militare e le sorti dell'esercito italiano furono risollevate solo con l'arrivo in Africa del generale tedesco Rommel , soprannominato "la volpe del deserto".

Rimane da osservare che nel corso del difficilissimo anno 1940-'41 era naufragato il progetto mussoliniano di condurre una guerra autonoma e parallela e si delineava, ormai, la prospettiva di quella "guerra subalterna" (evidenziando sempre più la sudditanza sul piano politico e militare) che avrebbe travolto l'Italia nella tragedia nazista.

Roosevelt, prima con il Cash and Carry (paga e porta via), poi con la legge Lend and Lease Act (affitti e prestiti) che fece approvare dal Congresso alla fine del 1941, estesi al materiale bellico, aveva favorito lo sforzo militare delle democrazie occidentali, facendo così degli USA "l'arsenale delle democrazie".
Mentre si profilava l'ipotesi anche di un intervento ufficiale degli USA, il mattino del 7 dicembre del 1941, aerei siluranti giapponesi distrussero flotta americana di stanza nel Pacifico ancorata a Pearl Harbor, nelle Hawaii. Seguirono la dichiarazione di guerra giapponese all'Inghilterra e l'11 dicembre anche Germania e Italia entravano in guerra contro gli USA. La guerra ora poteva dirsi davvero mondiale.

Una delle più immediate conseguenze, spesso taciuta (gli stessi protagonisti non ne hanno parlato per accelerare l'integrazione) o nascosta (gli archivi sono stati aperti solo grazie al decreto di Bill Clinton del novembre 2000 n. 2442 "Legge sulle violazioni dei diritti civili degli italo - americani in tempo di guerra), fu la grossolana persecuzione che l'Amministrazione Roosevelt scatenò contro gli oriundi italiani della West Coast: 600000 immigrati italiani classificati come "stranieri nemici", sottoposti a vigilanza speciale, coprifuoco ed espropri; 10000 espulsi dalle loro case; 3500 detenuti in carcere o deportati in campi di isolamento. Tutti accusati di appoggiare l'Italia fascista, nonostante le prove di fedeltà agli Stati Uniti - molti degli internati avevano i figli al fronte, che combattevano nell'esercito americano.
Anche coloro che non erano deportati dovevano subire dure condizioni di vita:

  • esibire continuamente la carta di identità con il marchio infamante "enemy alien",
  • non allontanarsi da casa per più di 5 miglia senza permesso,
  • vietato il possesso di radio o apparecchi fotografici e neppure torce elettriche,
  • coprifuoco alle otto di sera (era forte la paura di un attacco giapponese dal pacifico).

Sicuramente risale a quell'epoca l'abbandono generalizzato della lingua italiana: i manifesti di propaganda bellica diffidavano dal parlare come il nemico: tedesco, giapponese, italiano; i nostri smisero di insegnare la lingua materna ai figli.

Nel frattempo in Italia la situazione peggiorava dal punto di vista sociale, perché essa , con le sue sconfitte e l'insufficienza del potenziale bellico, assumeva un ruolo marginale nel panorama europeo; inoltre le controffensive nemiche avevano portato distruzione e morte e nelle fabbriche e nei campi la manodopera diminuiva sempre di più, per cui l'economia subì un forte regresso.
Quando Hitler, convinto che eliminata l'ultima grande potenza militare del continente la "fortezza Europa" sarebbe diventata impenetrabile, scatenò, nel maggio 1941, l' "operazione Barbarossa" contro l'URSS , Mussolini offrì la sua partecipazione all'impresa e così fu organizzato un corpo di Spedizione Italiano in Russia: l' "ARMIR" forte di 220.000 uomini.

All'inizio i successi delle armate naziste furono immensi, ma l'URSS non crollò e, dopo una tenace resistenza a Stalingrado, i sovietici iniziarono una lunga controffensiva sul fiume Don che li portò, nel dicembre 1941, a riconquistare la città e a distruggere l'armata tedesca. Cominciò così per il corpo di Spedizione Italiano il calvario della ritirata dalla Russia.
Il calcolo hitleriano si rivelò, quindi, errato anche per quanto riguardava l'Inghilterra che, dal giugno 1940 al maggio 1941, nonostante fosse rimasta praticamente da sola a sostenere lo scontro, visse, come disse Churchill, "la sua ora più bella".
Nel frattempo in Africa gli Inglesi nella battaglia decisiva di "El Alamein" sconfissero l'esercito italiano (difesosi strenuamente con i paracatutisti della Folgore, la corazzata Ariete e i granatieri di Sardegna), e l'"Afrika Korps" di Rommel che si erano spinti fino in Egitto.

In seguito a queste vittorie e lo sbarco americano in Africa, gli Alleati approntarono nuove strategie militari in una prospettiva di politica generale. Presero avvio con il 1943 le conferenze interalleate nelle quali, oltre alle discussioni imminenti sul conflitto, si cominciava a definire le rispettive posizioni sull'assetto a venire dell'Europa e del mondo.
Nella prima di queste conferenze che si tenne a Casablanca, in Marocco, nel gennaio 1943, emerse la questione del secondo fronte che avrebbe dominato i rapporti fra gli Alleati per tutto il conflitto. In particolare: nel maggio '43, Roosevelt e Churchill formulano i termini della "resa incondizionata" e decidono lo sbarco in Italia (terzo fronte); liberare, con massicci bombardamenti, subito Napoli dove doveva trasferirsi da Algeri il comando alleato del fronte sud, per poi pensare al nord; uno sbarco alleato in Sicilia e non un attacco alla Sardegna, ciò, per Churchill, significava colpire "il morbido basso ventre dell'Asse con forza effettiva e nel più breve tempo", e avrebbe reso più sicure le linee di comunicazione del Mediterraneo, alleggerito la pressione tedesca su fronte russo, accentuato la pressione sull'Italia in modo da procurarne il crollo.

Nel novembre-dicembre 1943, poi, si tenne la Conferenza di Teheran con Churchill, Roosevelt e Stalin, dove fu decisa l'apertura di un secondo fronte con uno sbarco in grande stile sulle coste della Normandia, che avvenne il 6 giugno 1944 e fu la più gigantesca operazione militare mai vista nella storia (ciò avrebbe comportato il declassamento del fronte italiano a teatro secondario di operazioni, a offrire all'Urss il controllo, avanzando verso la Germania, dell'Europa centro-orientale).
A Teheran si cominciò a parlare anche del futuro assetto dell'Europa: Germania divisa in più stati, Polonia con nuovi popoli e territori, a spese della Germania, per lasciare all'Urss (ormai consacrata potenza mondiale) le regioni polacche occupate in seguito al patto Ribbentrop-Molotov.

A partire dalla fine del '42 a Napoli ed in altre città si intensificarono i bombardamenti degli Alleati, producendo il fenomeno dello sfollamento, in parte cominciato già nel '41.
Il 2 dicembre 1942 Mussolini tenne un importante discorso alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel quale affrontava il problema delle distruzioni causate dai bombardamenti e il conseguente problema dello sfollamento, cioè l'abbandono coatto di una città sempre più duramente colpita dagli incursori nemici, invitando i Napoletani a sfollare la città soprattutto dalle donne e dai bambini in esodi serali in modo che nella città ci fossero solo i combattenti.

Sul fronte interno la situazione peggiorava dal punto di vista sociale con il conseguente calo del consenso a causa dell'impreparazione militare, del ruolo marginale rispetto all'alleato tedesco, delle pesanti perdite umane, della distruzione delle fabbriche con i bombardamenti alleati, della riduzione della mano d'opera in agricoltura, del forte regresso economico. Il colpo di grazia venne con la partecipazione alla scellerata campagna di Russia con due corpi militari (A.R.M.I.R.).
I primi cedimenti si avvertirono con gli scioperi degli operai delle fabbriche settentrionali del marzo 1943 mentre la sconfitta sul fronte africano e l'insediamento anglo-americano su tutto il litorale dell'Africa settentrionale minacciava direttamente l'Italia, a causa delle coste troppo lunghe da essere controllate contro tentativi di sbarco alleato.
Questi furono i primi scioperi in cui i dimostranti non furono condannati poiché Mussolini aveva disposto che chiunque mostrasse anche il minimo dissenso (bastava affermare "Abbasso il duce" o "Abbasso il re") venisse mandato al Confino, nonostante fosse meno dura, questa procedura evitava il processo ed un eventuale dibattito sul fascismo.

Le rivendicazioni operaie erano prevalentemente economiche (riduzione a 48 ore settimanali e aumento delle razioni alimentari), non mancarono, però, chiari dichiarazioni contro il fascismo e soprattutto contro la guerra.

La pressione delle armate alleate e la minaccia del risorto movimento operaio lasciava intravedere un'imminente crisi del regime. Ad aumentare ancora di più la crisi contribuì la presa alleata, l'11 giugno 1943, dopo una settimana di fuoco violento e ininterrotto, di Pantelleria e, soprattutto, lo sbarco alleato in Sicilia del 9-10 luglio 1943 che portò all'occupazione dell'isola in soli 40 giorni, grazie anche alle vaghe promesse americane al movimento separatista veniva siciliano.

Sotto l'incalzare degli eventi, nonostante un inutile incontro del 19 luglio tra Hitler e Mussolini (che non seppe o non volle utilizzare per tentare una pace separata dell'Italia), la notte tra il 24 e 25 luglio, il Gran Consiglio del Fascismo si ribellò al duce. Nell'ordine del giorno presentato da Grandi (con Ciani e Bottai) si faceva appello al re per il ripristino della legalità costituzionale e la riassunzione da parte della Corona delle proprie prerogative, fu votato a grande maggioranza (19 voti contro 7); ciò equivaleva alla richiesta di dimissioni da parte di Mussolini.

Quando il duce i recò a villa Savoia per conferire con il re che cercava di trovare una via d'uscita alla guerra, cogliendo la palla al balzo, fece arrestare Mussolini relegandolo sotto stretta custodia in un albergo sul Gran Sasso. Il governo fu affidato al generale Pietro Badoglio nel quale incarico fu aiutato dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Ambrosio. Badoglio dichiarò sciolto il partito fascista e la continuazione della guerra a fianco dell'alleato tedesco.

Con la caduta di Mussolini la classe dirigente italiana si rinnova riciclando personaggi dissenzienti col duce dal '42 e quelli che gli votarono la sfiducia. Il periodo '42-'43 è il processo inverso a quello del '22-'24, la volontà è quella di uscire in modo indolore dalla guerra.


Badoglio, mentre confermava l'alleanza con i nazisti, trattava segretamente la resa con gli Anglo-americani che erano sbarcati in Sicilia.

La principale preoccupazione di Badoglio era quindi quella di arrivare quanto prima ad una pace tanto desiderata dagli italiani in un'Italia ormai a pezzi tra l'incudine tedesca e il martello alleato. L'arrivo all'armistizio non sarà facile. Le trattative, segretissime, cominceranno solo una ventina di giorni dopo, quando il 12 agosto il generale Giuseppe Castellano partirà per Lisbona dove incontrerà l'ambasciatore inglese Campbell, pur senza una vera e propria base per la trattativa per una snervante lentezza e molte incomprensioni

Intanto gli Anglo-Americani, ritenendo la campagna d'Italia di estrema importanza, passano dalla Sicilia alla Calabria Napoli ed il Sud dovevano essere il centro strategico nella conduzione del conflitto, cercheranno di metterci alle strette per accelerare l'armistizio e l'intensificarsi dei bombardamenti nel mese di agosto avrà proprio quest'obiettivo.

Gli Alleati non si fidavano né del governo né della monarchia dal momento che Badoglio era stato generale con il fascismo e il Re aveva appoggiato per vent'anni il governo di Mussolini.

Con l'incontro di Lisbona, l'Italia ottenne solo una radio ricetrasmittente e il relativo codice cifrato per comunicare con il quartiere generale di Eisenhower, ad Algeri.

Il 31 agosto dopo che Badoglio si mise in comunicazione con Algeri, il generale si recherà in Sicilia, a Cassibile, vicino Siracusa, per definire l'armistizio. Il risultato più importante ottenuto era che l'esercito italiano si sarebbe schierato dalla parte delle truppe alleate, quindi che l'Italia da paese sconfitto sarebbe divenuto paese cobelligerante.
Il generale Castellano riuscì ad avere anche l'assicurazione che truppe aviotrasportatici alleate sarebbero sbarcate vicino Roma per liberarla subito dopo l'annuncio dell'armistizio. Lo Stato Maggiore Italiano sapeva bene che Roma non poteva essere tenuta, la cosa più importante,però,era garantire la via della fuga al Re.
Il 1° settembre Castellano riferì a Badoglio le condizioni dell'armistizio. Il 3 settembre Castellano con il generale Walter Bedell Smith sottoscriveranno l'armistizio: saranno restituiti i prigionieri di guerra, la flotta italiana dovrà consegnarsi agli Alleati a Malta e tutti i veicoli dovranno raggiungere le basi meridionali.

Il 6 settembre i due inviati di Eisenhower, che dovevano accordarsi con il governo italiano sulle modalità dello sbarco romano, aspetteranno invano di incontrarsi con Ambrosio che intanto era in vacanza a Torino.

Gli Alleati, stanchi di aspettare, si recheranno direttamente da Badoglio che, colto nel sonno, dichiarerà l'impossibilità dell'invio dell'82° divisione aviotrasportata poiché ingenti truppe tedesche erano già alle porte della capitale, in più l'esercito italiano non avrebbe potuto fornire alla divisione statunitense neanche mezzi e carburante.
Eisenhower accetterà di non affrontare i tedeschi intorno alla capitale ma rifiuterà di rinviare l'annuncio (fu anticipato al 7 da radio New Jork), minacciando pesanti ritorsioni nel caso in cui gli italiani non avessero rispettato gli accordi.
Gli Alleati nel pomeriggio dell'8 settembre annunceranno al mondo intero l'armistizio con l'Italia.
La sera, ore 19.45, Badoglio si precipiterà all'Eiar e informerà il paese che
"il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle Forze alleate anglo-americane".

Per gli Alleati l'Armistizio è da utilizzare anche come baluardo antisovietico.

La notizia della firma dell'armistizio, definito il 3 settembre, venne resa pubblica, quindi, l'8 settembre 1943, preceduto da un annuncio americano del 7, e subito l'esercito tedesco occupò i principali centri del Paese.

L'8 settembre fu una delle date più tristi e drammatiche della storia italiana. Badoglio non aveva dato alcuna indicazione nel caso prevedibilissimo di un attacco tedesco, né alcuna indicazione venne data ai comandi militari sparsi sui teatri di guerra di mezza Europa.
Avendo rinunciato alla difesa di Roma si lascerà campo libero a Kesserling ), il capo delle truppe tedesche in Italia, vanamente contrastato da poche truppe italiane e dalla resistenza di una parte della popolazione scesa spontaneamente in piazza (Alla difesa di Roma parteciparono ai combattimenti, a Porta San Paolo, la divisione Granatieri di Sardegna e un gruppo di civili insorti ma i tedeschi non ebbero alcuna difficoltà a travolgerli).

I giorni successivi all'8 settembre fecero, quindi, registrare lo sbandamento dei nostri soldati, incalzati dai tedeschi con l'unica speranza di riuscire in qualche modo a raggiungere le proprie case. Molti di loro, circa 600.000 vennero fatti prigionieri dai tedeschi; altri si opposero strenuamente all'ex alleato, scrivendo pagine di forte e sfortunato eroismo.

Lo scollamento delle forze militari dal fascismo è totale, i capi non riuscirono a far meglio che raccomandare l'ordine formale della divisa e di tenere il copricapo al suo posto: la piazza di Augusta in Sicilia (roccaforte della marina) viene abbandonata prima dell'arrivo degli Alleati, l'invio di coscritti siciliani a difesa della Sicilia, estremo tentativo del fascismo di difendere l'isola sfruttando l'elemento emotivo, si rivelò un fallimento in quanto i militari, appena misero piede in Sicilia, si diressero verso le loro case.
Il fascismo cade per il cedimento del fronte interno anziché per le perdite militari.
Il 10 luglio, dopo l'occupazione in giugno di Pantelleria, con molto potenziale bellico sbarcarono in Sicilia, il 17 l'isola è completamente occupata, dal 3 al 14 inizio e si completa l'occupazione della Calabria, il 10 e 11 è la volta di Sardegna e Corsica, nella notte tra l'8 e il 9 settembre mentre avvenne lo sbarco anglo-americano a Salerno, il re e Badoglio abbandonavano Roma per rifugiarsi con il governo a Pescara per poi passare a Brindisi (una delle prime province libere), lasciando colpevolmente l'esercito abbandonato a se stesso ed esposto alla rappresaglia tedesca.

L'erede al trono, Umberto II (bello e regale ma di personalità sbiadita: né troppo fascista, né troppo antifascista, oscurato da una moglie - Maria José - travolgente, schiacciato da un padre ingeneroso, forse anche un tantino invidioso - recentemente, però, sulle tracce << di ciò che è rimasto inesplorato dietro la muraglia del passato>> si registra una interessante riabilitazione) era il più riottoso della famiglia a lasciare la capitale in quei frangenti, <<disperato>>, <<nero>> di rabbia. <<Dio mio che figura! Che figura!>> urlava al suo attendente manifestando la volontà di rimanere a Roma per difendere dignità e buon nome dei Savoia. Versione confermata anche dal cameriere di corte, che ricorda anche che la madre - Regina Elena - intima al coniuge: <<Se rimane Beppo (così chiamavano Umberto), rimango anche io>> scatenando la decisione definitiva di Vittorio Emanuele III di scappare da Roma.
Beppo (che aveva 39 anni, non proprio un imperbe) era stato abituato a obbedire e ubbidì; ancora negli anni '70, però, pur nella fedeltà alla memoria paterna, confermava che <<era sbagliato fuggire in quel modo>>, ma non si poteva fare altro. Lo sguardo smarrito, la risatella nervosa, l'espressione irrisolta di chi è abituato a cedere. Signorile e reticente. Indole mite, sensibile al fascino delle donne che lo ricambiavano - il padre ne troncò la relazione con la soubrette Milly - il principe Umberto era estraneo alle liturgie littorie, sempre più scettico sulla validità del connubio tra monarchia e fascismo, diffidente verso il patto italo-tedesco, partecipò - pur defilato e prudente - alle trame del partito contrario alla guerra. Sia il diario del cugino Amedeo d'Aosta - viceré dell'Africa Orientale - che le pagine di Zanotti Bianco, intellettuale antifascista legato a Maria José, documentano sul finire degli anni Trenta un fitto complottare contro il duce. L'esito fu fallimentare, l'Italia partecipò alla guerra. E lo stesso principe contribuì al "colpo di pugnale alla schiena". Anche Mussolini non amava Umberto: troppo bello e troppo poco fascista.


Intanto in seguito allo sbarco di Salerno l'esercito italiano andò in briciole e le truppe italiane dopo l'armistizio erano completamente allo sbando. Nel giro di due o tre giorni le caserme si svuotarono. I primi a scappare furono gli alti gradi, i generali, i colonnelli. I soldati, quando potevano, gettavano la divisa alle ortiche, si procuravano abiti borghesi e sparivano.
Questi furono giorni in cui vigeva la legge "si salvi chi può".

Alla notizia dell'armistizio, l'esercito tedesco occupò i principali centri del Paese e catturarono, rastrellarono, arrestarono i soldati italiani che riuscirono a trovare e caricandoli su treni piombati per mandarli nei campi di concentramento.
Non potremo mai dimenticare la strage di Cefalonia in cui la divisione Acqui (11.000 uomini), dopo alcuni giorni di aspra battaglia, giunse alla resa e i tedeschi massacrarono quasi tutti i superstiti, circa settemila uomini.

Per tantissimi italiani l'8 settembre significò un giorno di festa segnato da un inatteso ritorno alla guerra.

Dopo l'8 settembre l'Italia risultava così divisa: a sud della "linea Gustav", linea difensiva tedesca che andava dal Tirreno (Linea Viktor sul Volturno), attraverso Montecassino, all'Adriatico , vi erano gli Anglo- americani e il governo Badoglio; a nord, invece, si contrapponeva un nuovo governo fascista sotto la protezione tedesca: era il governo di Mussolini, con sede a Salò sul lago di Garda - Mussolini, liberato dai tedeschi, aveva rifondato il programma del Fascismo e aveva creato un nuovo regime, che si chiamò: "Repubblica Sociale Italiana".

I tedeschi in Italia erano circa 700.000, verso il Sud erano concentrati soprattutto giovani (20 anni i sottotenenti e 40 anni i colonnelli) speranzosi di far carriera che cercavano la guerra per dimostrare quanto valessero, al Nord invece veterani della prima guerra mondiale, più moderati, meno spinti da quel desiderio inarrestabile di gloria. L'esercito era seguito da un apparato burocratico di controllo civile ed amministrativo per l'organizzazione degli uffici: il controllo esclusivamente militare si limitava al raggio di 30 Km di profondità. Al Nord grazie alla Repubblica di Salò la formula fu applicata del tutto invece al Sud, a causa dei tempi ristretti e dei martellanti bombardamenti, l'organizzazione fu solo militare con gravi conseguenze per la popolazione come le deportazioni indiscriminate di italiani maschi in Germania per sostituire gli operai tedeschi in guerra nelle fabbriche, secondo l'ordine del 17.09.43 le deportazioni previste erano 3.000.000 ma ne furono realizzate 700.000.

I primi rastrellamenti tedeschi si avvalsero del valente aiuto di uomini senza scrupoli, pronti ad indicare il rifugio dei propri compaesani, o di podestà che avevano il compito di raccogliere tutti gli uomini, soprattutto, giovani nella piazza del paese per essere, di lì a poco, caricati sui camion e concentrati a Sparanise, in provincia di Caserta, da dove poi sarebbero stati deportati in Germania.

Lo sbarco alleato a Salerno tra l'8 e il 9 e le difficoltà di vigilanza e di trasporto indussero i tedeschi a privilegiare il rastrellamento di beni di consumo e a incendiare tutto quello che erano impossibilitati a portare con sé nonché la distruzione di tutto il possibile come l'incendio dell'Archivio di Stato e dei documenti nascosti a San Paolo Belsito.
Napoli fu vittima dell'insicurezza tedesca della prima occupazione.

La Resistenza del territorio napoletano fu animata non dall'alto ideale della libertà o dall'amor patrio ma da un forte istinto di conservazione, di insofferenza alla fame e dal rifiuto dei giovani ai rastrellamenti, che indussero i napoletani a scagliarsi contro i tedeschi non come oppressori ma come alleati dei fascisti che dovevano pagare per averli condotti in quel pietoso stato.

La Resistenza non interessò solo la città di Napoli ma anche la provincia, come testimoniano i moti di Acerra, causati dal tentativo della popolazione di impedire ai tedeschi il rastrellamento delle macchine, quelli di Ponticelli, nati dal rifiuto giovanile dei rastrellamenti tedeschi ("se dobbiamo essere deportati e morire è meglio morire combattendo").

La Resistenza di questo territorio ha salde radici nella paura e nelle privazioni, nella fame e nella violenza patite dalla guerra in atto, nei bisogni inappagati e nelle necessità legate alla sussistenza, nelle ingiustizie sofferte e negli attacchi subiti alle proprie cose, povere e poche che esse siano, ai propri affetti strappati.

L'opposizione dei Napoletani ai tedeschi cominciò subito, il 10 settembre era già battaglia ma quel moto soffocato allora esploderà di nuovo il 28, quando contemporaneamente, all'insaputa dell'uno e dell'altro, si accenderanno numerosi focolai di rivolta che determineranno le Quattro Giornate di Napoli.

In quei giorni, senza che nessuno lo dirigesse, il moto collettivo individuò una strategia spontanea: bloccare le arterie di collegamento della città e i nodi viari. Gli insorti innalzarono barricate e vi concentrarono le forze. I tedeschi non potevano più entrare né muoversi nella città. Il percorso della rivolta attraversò quartieri bene e quartieri proletari, era inarrestabile. Hitler il 12 settembre aveva dato l'ordine che "Napoli fosse fango e cenere" ma l'ordine non fu eseguito. Prima dell'arrivo degli Alleati Napoli era libera non senza aver pagato il suo contributo di vite umane ben 4828 tra partigiani e civili.
Gli scontri di Scafati, di Terzigno, di Torre del Greco e soprattutto delle quattro giornate porteranno in novembre alla liberazione dell'intera Campania e al formarsi della linea Gustav a Cassino che produrrà ben 350.000 mila morti (un bilancio molto più grave delle 200.000 mila vittime causate a Hiroshima dalla bomba atomica).

Con la relativa stasi successiva alla liberazione della Campania, i tedeschi si organizzano con maggiore lucidità, badano a mantenere la calma nella popolazione trasformando le deportazioni in sfruttamento sul posto della popolazione e delle risorse (nel '44 furono deportati solo alcuni scioperanti) il tutto con notevoli contrasti tra il più moderato potere civile e il radicale potere militare (policrazia).
Il diverso atteggiamento dei tedeschi nel Nord, da un lato ritardò fortemente l'organizzazione della Resistenza, dall'altro fece registrare un risposta diversificata della popolazione:
di collaborazione con i 500 mila militarizzati di Salò;
di cooperazione, per evitare il peggio, degli apparati produttivi e burocratici;
di rifiuto totale con la Resistenza che, annunciata nel marzo '43, si sviluppò dopo l'armistizio, data l'immediata presenza tedesca, con un organico di 230 mila partigiani, 70 mila caduti e 40 mila feriti gravi e, oltre alla lotta armata, si proponeva di promuovere un processo di rinnovamento politico e sociale.

La battaglia di Montecassino (17 gennaio - 18 marzo '44) vedrà la distruzione:
dell'abbazia, il 15 febbraio '44, ad opera di 229 bombardieri (partivano da Terzigno) con un carico si 454 tonnellate di bombe;
della città, il 15 marzo, con un bombardamento a tappeto di quattro ore effettuato da 775 aerei da bombardamento appoggiati da 250 caccia, che sganciarono 1376 tonnellate di bombe, dopo i bombardamenti entrarono in azione 856 pezzi di artiglieria. Si è calcolato che in 11 ore di bombardamento su Cassino e sui resti dell'abbazia il 15 marzo siano stati sparati dagli alleati non meno di 200.000 proiettili di cannone di vario calibro.

Le forze in campo:
- effettivi tedeschi della Decima Armata con il XV° corpo blindato multinazionale:
40 mila uomini, 290 carri armati, 82 semoventi, 410 pezzi di artiglieria più 200 pezzi leggeri, nessun aereo, comandati dal capo supremo in Italia Kesserling;
da Frido von Senger und Utterlin, comandante del 14° corpo corazzato;
da Heingrich comandante delle forze tedesche a Cassino, da Schrank comandante della Quinta divisione fanteria, da Heil-mann, comandante forze tedesche arroccate su Montecassino;
da Foltin comandante, 2° bat-taglione paracatutisti.
- effettivi alleati dell'Ottava Armata britannica, comandata da Alexander, e della Quinta Armata americana, comandata sul campo da Truscott;
nonché della Quarta divisione fanteria indiana e della Seconda neozelandese, comandate da Freyberg;
della Nona brigata esploratori australiani;
del Primo reggimento fanteria scozzese;
del Primo corpo spedizione francese, comandato dal capo Juin e dal comandande suk campo Guillaime;
del Secondo polacco, comandato da Anders l'Ottavo canadese,
la Prima brigata Israele,
e persino il Trentesimo reggimento bulldozer corazzati: 345 mila uomini, 2000 cannoni, 2300 carri armati, 5000 mezzi blindati, 10000 autocarri, almeno 950 bombardieri pesanti e 400 caccia.
I morti furono 22 mila tedeschi; 230000 alleati, di cui 107000 americani e 1375 polacchi.

Attualmente nell'area ci sono i cimiteri di guerra: polacco, sulla collina di Montecassino all'ombra dell'Ab-bazia, insieme ai suoi soldati riposa anche il generale Anders morto dopo la guerra; tedesco nella frazione Caira a gradoni concentrici che finiscono con un'altissima croce di ferro; inglese al rione Colosseo, con il tradizionale e caratteristico prato all'inglese.

Nel napoletano non si è verificata una vera e propria Resistenza anche per il breve periodo di permanenza degli occupanti tedeschi ma nonostante ciò la rivolta napoletana rappresenta un evento esemplare ed eccezionale perché in queste ore di confusione, non conoscendo la lotta partigiana del CLN, i napoletani guidati dal proprio istinto e dal desiderio di riscattare la propria condizione di miseria scelsero subito la "strada giusta" quella filoalleata e non filotedesca, che portò nel Nord del Paese, il 27 settembre, alla costituzione della Repubblica Sociale di Salò, indicando la giusta direzione da seguire verso la Liberazione Nazionale.

Con la liberazione della Campania e la risalita delle truppe alleate dalla Calabria, l'Italia risultava divisa in tre Italie:
- il Mezzogiorno caratterizzato dalla ricostituzione dello stato monarchico, il Regno del Sud;
- il Centro dalla presenza minacciosa dei tedeschi e dall'organizzazione politica e militare dei partigiani a Firenze che porterà alla liberazione delle due città avvenuta nel 1944;
- il Nord dalla ricostituzione dello stato fascista della Repubblica Sociale di Salò interamente interdipendente dai nazisti - che nasce nel settembre '43 sul lago di Garda; nel gennaio '44, condanna e fucila i cinque gerarchi, tra cui Ciano, che votarono contro Mussolini; nel settembre '44, a Mazabotto uccide 1800 civili; nel dicembre '44, nel teatro lirico a Milano, Mussolini tiene il suo ultimo discorso: "Chi ha tradito? Chi subisce le conseguenze del tradimento? Per arrivare all'8 settembre bisognava realizzare il 25 luglio"; nell'aprile '45, la fuga di Mussolini, che, scoperto, viene catturato e facilitato ed il suo cadavere viene esposto a piazzale Loreto in Milano.
An recentemente ha presentato un disegno per il riconoscimento dello status di "militari belligeranti" ai repubblichini di Salò.
Nel febbraio 1944, come abbiamo visto, mentre i tedeschi combattevano per bloccare o, meglio, rallentare l'avanzata alleata su Roma, il governo Badoglio si trasferì a Salerno, capitale (in attesa della liberazione di Roma) di quello che fu il "Regno del Sud".
Fu un governo soprattutto formato da tecnici strettamente legato alla corona e tenuto in piedi dall'Inghilterra di Churchill.
Gli intellettuali di quel tempo, la stampa e i giornalisti giudicavano il re troppo compromesso con il fascismo e chiedevano la sua abdicazione.
Il 22 gennaio 1944 truppe alleate sbarcarono ad Anzio, presso Roma e tentarono di dirigersi verso la capitale, ma vennero bloccati dai tedeschi dopo pochi chilometri. Frattanto nelle città dell'Italia Settentrionale scoppiò lo sciopero generale, a lungo preparato dalle organizzazioni clandestine della Resistenza, che bloccò la produzione delle principali industrie; mentre gli alleati, con la conquista della fortezza di Cassino e la distruzione dell'Abbazia benedettina, costrinsero i tedeschi a ritirarsi più a Nord, nella cosiddetta " Linea Gotica" (lungo l'Appennino Tosco - Emiliano), aprendosi così la via verso Roma.
Intanto i partiti antifascisti del CLN, nel congresso tenutosi a Bari, chiesero l'abdicazione di Vittorio Emanuele III , ritenuto colpevole delle sciagure del Paese e perché troppo compromesso con il fascismo; il re rifiutò mentre Badoglio chiedeva le dimissioni.
Il 22 agosto 1944 proseguendo la loro avanzata verso il Nord gli Alleati occuparono Firenze dopo aspri combattimenti cui parteciparono le formazioni partigiane che avevano l'appoggio dei partiti antifascisti, usciti ormai dalle clandestinità.

I 6 partiti (comunista, socialista, d'azione, liberale, democristiano e democratico del lavoro) formarono il "Comitato di liberazione nazionale(CLN)", con il compito di coordinare la lotta partigiana, che operava con azioni di sabotaggio con : " Gruppi di azione patriottica (GAP)" nell'Italia del nord.
Il 10 giugno 1944 venne costituito un governo di unità nazionale guidato dal socialista Bonomi e venne formato il "Corpo volontario della libertà (CVL)" , che univa tutte le forze partigiane . Diffusi ormai in tutto il territorio nazionale i CLN tennero un congresso a Bari con il proposito di svolgere una funzione di riorganizzazione della vita politica.
La Resistenza, quindi non intendeva essere soltanto guerra di liberazione, ma anche processo di rinnovamento politico e sociale.
Il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) lanciò l'ordine dell'insurrezione generale. Mentre le truppe alleate dilagarono nella pianura padana, le formazioni partigiane scesero dalle montagne e liberarono le principali città dell'Italia settentrionale. Le truppe alleate completarono l'occupazione della pianura padana, mentre Mussolini veniva catturato a Dongo e fucilato a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, da un gruppo di partigiani mentre cercava di fuggire in Svizzera con la sua compagna Claretta Petacci.
Il 29 aprile le forze tedesche si arresero incondizionatamente nelle mani del vescovo di Milano , Schuster.

A Bari, nel gennaio 1944 dopo essere stato precedentemente vietato a Napoli nel dicembre '43 dal comando alleato che lì, in seguito allo sbarco di Salerno, si era trasferito, il Congresso del CLN aveva chiesto l'immediata abdicazione e la formazione di un governo democratico di guerra, ponendo le basi della futura svolta di Salerno.
Nell'aprile 1944 Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista, rientrato da poco in Italia in seguito a 18 anni di esilio, dopo un incontro con Stalin mutò il suo atteggiamento di chiusura completa nei confronti del re e del governo diventando più morbido: il re si doveva impegnare a delegare i suoi poteri al figlio, il principe Umberto, al momento della liberazione di Roma.

Il compromesso avrebbe garantito la concentrazione di tutte le forze nazionali, dai monarchici ai comunisti, nella guerra di liberazione. A "guerra vinta", un referendum avrebbe sciolto il dilemma monarchia o repubblica.
La corona accettò il compromesso istituzionale e, dopo lunghe trattative, il 22 aprile 1944, fu composto quello che fu il secondo governo Badoglio e il primo governo dell'unità nazionale antifascista (svolta di Salerno).
Al governo accanto a Badoglio c'erano liberali, azionisti, cattolici, socialisti e tra i comunisti lo stesso Togliatti. Nel suo programma il ministero pose come primo punto l'impegno di chiamare gli italiani, dopo la fine della guerra, ad eleggere con suffragio universale l'Assemblea Costituente che avrebbe definito le forme istituzionali del nuovo stato.

In pochi mesi gli alleati riconobbero il CLNAI il cui comando fu affidato al generale Cadorna.
Il progetto di apertura di un secondo fronte sollecitato da Stalin per alleviare il lungo sforzo sopportato dai Russi, fece diminuire l'attenzione per quello italiano rallentando la liberazione.
Solo nel maggio 1944 fu sferrata la controffensiva che portò alla presa di Roma nel 4 giugno e successivamente di Firenze nell'11 agosto. Qui gli alleati trovarono la città già controllata dai partigiani e la vita pubblica organizzata dal CLN toscano.
I tedeschi costretti ad abbandonare l'Italia centrale si ritirarono a Nord di Firenze dove costituirono la linea Gotica che correva da Viareggio, sul Tirreno, a Cattolica, sull'Adriatico, ove si attestarono duramente.
Il 25 giugno 1944 in seguito alla liberazione di Roma il re Vittorio Emanuele III rispettando gli accordi presi con il CLN, trasferì i suoi poteri al figlio Umberto che fu nominato Luogotenente del Regno.
A Badoglio successe il riformista Bonomi che costituì un governo di unità nazionale appoggiato da tutti i partiti del CLN. Parteciparono al governo come ministri senza portafoglio personalità antifasciste come: il liberale Benedetto Croce, il democratico Alcide De Gasperi, il socialista Giuseppe Saragat, il comunista Palmiro Togliatti, l'indipendente Carlo Sforza.

Nell'autunno del 1944 il generale inglese Alexander invitò i partigiani a sospendere le operazioni questo, purtroppo, facilitò la repressione nazifascista che fu durissima.
Nei primi giorni dell'aprile 1945 mentre gli Americani varcavano il Reno entrando in Germania e la Russia liberata Varsavia, puntava su Berlino e su Vienna anche il fronte italiano si mise in movimento. Gli alleati sicuri della vittoria puntarono sulle grandi città della Pianura Padana.
Mentre Mussolini, travestito da soldato tedesco, cercava di attraversare il confine svizzero, ve-niva catturato e fucilato insieme ad altri gerarchi, Genova, Modena, Reggio, Parma, Cuneo, Torino, Biella, Vercelli, Novara, Milano venivano liberate dalle forze liberali popolari decretando il 25 aprile 1945 avvenuta la Liberazione d'Italia.
Nel maggio del 1945 i sovietici entravano a Berlino ridotta a sole macerie e dove il 30 aprile Hitler ed alcuni gerarchi nazisti già si erano suicidati insieme alle loro famiglie.

A Yalta, in Crimea, dal 4 all'11 febbraio 1945, si tennero degli incontri (come precedentemente a Teheran), fra Stalin (URSS), Roosevelt (USA) e Churchill (Gran Bretagna) per definire principalmente il futuro polacco con il vago risultato di rimandare il tutto alla volontà degli elettori e della Germania con la conferma della completa smilitarizzazione e l'occupazione alleata.
Al momento della Conferenza l'Armata Rossa era già in possesso di tutti i territori contestati, rendendo inutile il problema delle frontiere: per di più, stava intervenendo massicciamente nelle istituzioni interne di tutti i paesi occupati.
Churchill era ansioso di discutere le sistemazioni politiche del dopoguerra, ma fu sopraffatto dai suoi due colleghi, ciascuno dei quali seguiva un proprio ordine del giorno. Roosevelt, molto malato, dopo un faticoso viaggio da Malta, mirava un accordo sulle procedure di voto alle Nazioni Unite e ottenere la partecipazione sovietica alla guerra contro il Giappone (contro cui fu la decisione del nuovo presidente USA Truman di usare la bomba atomica, evento che determinò la fine del conflitto), Stalin non si opponeva alla trattazione di questi argomenti perché il tempo necessario alla dissertazione non sarebbe stato impiegato in discussioni sull'Europa orientale.

Alla fine di questi incontri risultò che, dopo la seconda guerra mondiale, due "super potenze" avrebbero dominato il mondo - Stati Uniti e Unione Sovietica - diviso in due grandi sfere di influenza.
Inizia una nuova Guerra non calda ma Fredda o Terza guerra mondiale, quella non combattuta o combattuta per procura.

Dopo sei anni finiva un conflitto (ideologico, una gigantesca partita a tre: liberali e democratici, nazismo, comunismo) che, cominciato europeo, diventò mondiale, fu una sorta di incubo: ciò che doveva accadere era accaduto (lo sterminio degli ebrei); conclusione contro o al di là delle aspettative di tutti, fino al punto che uno dei grandi vincitori, ossia l'Inghilterra (con il passaggio del governo dai conservatori ai laburisti), vide drasticamente ridotto il suo ruolo nel mondo post-bellico, dato l'emergere di due sole grandi potenze planetarie: Usa e Urss.


Menu di sezione:


Torna ai contenuti | Torna al menu