Eduardo Ambrosio


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POLITICA DAL 1960

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POLITICA ITALIANA DAL 1960

Sommario:
DAL 1961 AL 1967: VERSO I GOVERNI DI CENTRO-SINISTRA - LA POLITICA DEL CENTRO-SINISTRA - LA QUINTA LEGISLATURA ED IL GOVERNO MORO - LA CONGIUNTURA ECONOMICA - LA CRISI DEI PARTITI degli anni Sessanta - RIFORME, RAPPORTI INTERNAZINALI E TERRORISMO ALTOATESINO - GLI SCANDALI.
DAL 1968 AL 1973: I CAMBIAMENTI POLITICI ' 68 - LA FORZA UNITARIA DEL SINDACATO - L'ORIENTAMENTO POLITICO DEL '71 (Andreotti) - L'OPPOSIZIONE MORBIDA DEL PCI - DALLA FINE DEGLI ANNI SETTANTA AGLI ANNI NOVANTA - IL VOLTO NASCOSTO DELLA POLITICA analisi del ventennio 1970 -1990 -


DAL 1961 AL 1967

VERSO I GOVERNI DI CENTRO-SINISTRA

Il terzo governo Fanfani, il cui programma riguardava la normalizzazione della situazione politica e l'attuazione dei provvedimenti lasciati in sospeso di governi precedenti (piani per la scuola, sviluppo dell'agricoltura, legge antimonopolio), incontrò - sul piano dell'apertura a sinistra - tra l'ottobre del '60 e il febbraio del '62 essenzialmente due difficoltà: quella cosiddetta delle "giunte difficili", dovuti agli esiti delle elezioni provinciali del novembre '60, che si risolse, infine, con un accordo a livello nazionale che garantiva la formazione di una quarantina di giunte di centro-sinistra (la prima a Milano il 21 gennaio '61) - DC, PRI, PSI, PSDI, Radicali - in vista di un'analoga intesa a livello governativa; e quella del possibile scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica Gronchi, che, ambendo al rinnovo del mandato e non essendo sicuro che - dopo l'episodio Tambroni - il Parlamento in carica glielo avrebbe riconfermato, avrebbe potuto, in caso di fallimento nell'allestimento di una compagine governativa di centro-sinistra, sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, sperando in un Parlamento a lui più favorevole. Per questi timori la crisi del terzo governo Fanfani, che secondo i piani che avevano condizionato il suo sorgere avrebbe dovuto preludere ad un governo di centro-sinistra, fu rinviata in attesa del Congresso del gennaio '62 della DC, in quanto, a partire dal novembre '61 iniziando l'ultimo semestre del mandato di Gronchi, anche in caso di fallimento nell'allestimento di un governo di centro-sinistra, costituzionalmente Gronchi non avrebbe potuto sciogliere le Camere (il semestre bianco).
IL Congresso DC di Napoli del gennaio '62, accuratamente preparato (tra l'altro il settembre '61 aveva visto lo svolgimento di un Convegno a San Pellegrino sui temi economici del centro-sinistra e sulla programmazione, presentata da Pasquale Saraceno, l'economista del partito, come l'unico mezzo per superare gli squilibri settoriali del paese) ratificava l'incontro tra cattolici e socialisti: pertanto, Gronchi nel febbraio '62 attribuiva al Primo Ministro Fanfani l'incarico di formare un governo che contasse direttamente su DC, PSDI e PRI e sull'appoggio parlamentare dei Socialisti.
Da parte sua il PSI aveva provveduto a prepararsi all'apertura, pur tra mille difficoltà, soprattutto da parte della sinistra interna lombardiana, accettando un'impostazione riformista all'interno e gli squilibri internazionali esistenti all'esterno (riconoscimento sia pure "difensivo" della NATO).
Il programma del quarto governo Fanfani si articolava sui seguenti punti:
1) Impegno democratico interno per una più vasta partecipazione delle masse all'esercizio del potere;
2) Unificazione del sistema produttivo nazionale dell'energia elettrica - la nazionalizzazione del settore;
3) Istituzione di un Comitato Nazionale per la Programmazione economica;
4) Attuazione dell'ordinamento regionale;
5) Esecuzione del "piano verde" per lo sviluppo agricolo;
6) Piano per lo sviluppo e la democratizzazione della scuola.
Con questo programma il Governo otteneva la fiducia con l'astensione del PSI - per l'irrigidimento della sinistra interna, che due anni dopo uscirà dal Partito - che si riservava di votare a favore in sede legislativa sui singoli provvedimenti, il voto favorevole di DC, PRI, PSDI; voto contrario di PCI, PLI, PDIUM e MSI.
Il nuovo Governo durava poco più di un anno per le elezioni politiche del '62: si riusciva, co-munque, a portare a compimento la nazionalizzazione dell'energia elettrica (nasceva l'ENEL), ad insediare la Commissione Nazionale per la Programmazione economica, ad istituire una tassa sui dividenti azionari e sui profitti immobiliari, all'approvazione di una legge di miglioramento dei livelli pensionistici e una sulla riorganizzazione della scuola che portava l'obbligo scolastico a 14 anni e istituiva la "SCULA MEDIA UNICA". Non venivano, però, attuati gli istituti regionali, cosa che provocava una tensione politica ddi una certa gravità.


LA POLITICA DEL CENTRO-SINISTRA

Il voto delle elezioni politiche del '63, pur costituendo un'indicazione non completamente inattesa delle reazioni dell'elettorato italiano al centro-sinistra, non costituiva una prova definitiva. Il PSI reggeva abbastanza bene compensando a destra quel che perdeva a sinistra, la DC aveva in prospettiva buone probabilità di riassorbire i voti fuggiti a destra.
Il decennio '52-'62 aveva visto l'economia italiana in una fase di nuovo decollo: in valori assoluti gli aumenti di reddito erano superiori a quelli del primo mezzo secolo. Il maggior contributo era dato dall'attività industriale, ma anche la produzione agricola aumentava nonostante la grave crisi del settore e la drastica diminuzione della manodopera. Dal punto di vista economico il dato più vistoso del BOOM era rappresentato dal fortissimo squilibrio tra ritmo di sviluppo dell'industria e quello dell'agricoltura. Nel giro di dieci anni avveniva un completo rovesciamento nella composizione per settori degli addetti alla produzione: l'economia da agricola diveniva industriale. Ma l'esodo dalle campagne, specialmente dal Mezzogiorno verso il Nord industriale, vanificava in gran parte la politica agricola per la valorizzazione fondiaria e creava enormi problemi amministrativi. Se agli effetti economici di questa migrazione interna si sommano quelli sociali ed umani derivati dalle difficoltà di adattamento all'urbanesimo (ghetto meridionale a Torino, prezzemolo nella vasca da bagno, ecc.), si ha un'idea, in termini di spreco di ricchezza e di sofferenze individuali, di quanto sia costato il "
MIRACOLO ECONOMICO".



LA QUINTA LEGISLATURA ED IL GOVERNO MORO

Il 16 maggio '63, due settimane dopo le elezioni politiche, con la riunione della Camere aveva inizio la Quinta Legislatura, contemporaneamente il Governo Fanfani rassegnava le dimissioni ed il 25 maggio Segni (che era subentrato a Gronchi nella Presidenza della Repubblica) incaricava l'on. Moro di formare il nuovo Governo. Ma le trattative procedettero con difficoltà dovute all'interpretazione moderata del centro sinistra da parte della DC, in seguito alla perdite nell'area dell'elettorato moderato e al travaglio interno del PSI dove la sinistra al Comitato Centrale del 16 giugno impediva la ratifica dell'accordo raggiunto con la DC e gli altri alleati che Nenni e De Martino proponevano. Nuovo presidente designato fu l'on. Leone il cui Governo ottenne la fiducia alla Camera l'11 luglio su un programma di ordinaria amministrazione, come l'adesione dell'Italia al trattato per la sospensione parziale degli esperimenti nucleari e la ripresentazione del disegno di legge sulle aree fabbricabili per l'edilizia popolare.
Il 3 novembre, secondo gli impegni presi all'atto della sua formazione, il Governo Leone rassegnava le dimissioni.
Il nuovo incarico fu affidato a Moro che varò la prima coalizione organica di centro sinistra, ma se la destra democristiana, pur dopo una ventilata scissione, anche per le influenze vaticane si accodava alla linea del partito, non così avvenne per il PSI: al voto di fiducia del 17 dicembre, se il ritorno dopo 17 anni del PSI al Governo assicurava al Gabinetto Moro una delle maggioranze più larghe del dopoguerra (350 voti favorevoli, 233 contrari), 25 deputati della sinistra socialista si astennero, innescando un processo di scissione per cui si costituiva a sinistra del PSI il PSIUP (PSI di Unità Proletaria), cui aderirono 7 membri della direzione, 35 del CC, 25 deputati su 87 e 12 senatori su 35 altre a varie decine di migliaia di iscritti e molti tra i leader socialisti più rappresentativi della CGIL, cosa che indeboliva ulteriormente la componente socialista nel sindacato.


LA CONGIUNTURA ECONOMICA

Uno dei primi problemi del governo Moro fu la mutata congiuntura economica: ai primi sintomi a livello finanziario delle incipienti difficoltà economiche, seguirono regressioni nei settori produttivi con un aumento della disoccupazione e una conseguente contrazione dei consumi. Il 22 febbraio '64 il Consiglio dei Ministri prendeva misure tendenti a limitare i consumi: esse comprendevano una tassa sull'acquisto delle automobili, l'aumento del prezzo della benzina e restrizioni sugli acquisti a rate. Fu introdotta una tassa del 20% sui fabbricati di lusso e un aumento del 20% dell'IGE per tre anni. Tali provvedimenti rivelavano al paese la difficile congiuntura economica, paese che era passato da un radicale pessimismo all'illimitata fiducia negli anni del BOOM sulle possibilità espansive del sistema, e sortiva in una polemica aspra da parte degli esponenti della destra economica che accusavano il centro-sinistra di aver contribuito a determinare l'inflazione con una serie di provvedimenti demagogici e costose riforme. La polemica si trasferiva a livello della coalizione governativa tra la DC, che sosteneva il ritorno ad una politica economica più tradizionale accantonando costose riforme sia per non gravare sui bilanci dello stato sia per ristabilire negli ambienti imprenditoriali, e il PSI, che insisteva sulla necessità delle riforme chiedendo che se ne caricasse il peso sulle classi abbienti. La polemica raggiunse i toni più accesi il 30 maggio, quando, suggerendo misure contro l'inflazione, il Governatore della Banca d'Italia Guido Carli chiese l'applicazione della "politica dei redditi", che comportava il blocco dei salari e la sospensione della scala mobile, suscitando così la reazione del sindacato e della sinistra socialista e aprendo la strada alla crisi di Governo che si ebbe nel giugno '64 in seguito ad un voto socialista per la scuola privata in cui il Governo si trovò in minoranza e Moro rassegnò le dimissioni. La formazione di un nuovo Governo si presentava di conseguenza ancora più faticosa delle precedenti e si tornò ad un quadripartito organico con Moro Presidente e un programma essenzialmente antirecessivo.
Al varo del nuovo Governo seguirono una grave infermità del Presidente della Repubblica Segni e la morte di Togliatti a Yalta, per cui Longo gli succedeva alla guida del PCI e si apriva una nuova fase del Comunismo italiano. Intanto, l'instabilità di Segni, portava a nuove elezioni presidenziali dove il contrasto fra due esponenti della DC, Leone e Fanfani, aprì la strada all'elezione di Saragat, esponente dei Socialisti, Socialdemocratici e Repubblicani, per cui, come per Gronchi, furono di nuovo condizionanti i voti del PCI sollecitati da Amendola.


LA CRISI DEI PARTITI degli anni Sessanta

A partire dagli anni Cinquanta, ma soprattutto dopo il BOOM economico, quasi tutti i partiti italiani - specie quelli di massa - denunciano una notevole crisi organizzativa dovuta a massicce defezioni di iscritti e all'indebolimento delle organizzazioni collaterali, con un progressivo distacco, quindi, dei vertici dei partiti dalle masse. In più si afferma, accentuandosi, il fenomeno delle correnti interne, che spesso fanno plitica al di là dell'unità istituzionale dei partiti.
Lo stesso PCI, che sembrava il più ideologicamente agguerrito ed unito, subisce un notevole travaglio interno, segnato da n mutato atteggiamento verso l'URSS in seguito alla crisi ungherese del '56 e alla destalinizzazione di Kruscev e, infine, dall'accettazione di un pluralismo di partiti che fossero disposti a collaborare alla costruzione alla costruzione di una società socialista. Con il '64 e '65 anche all'interno del PCI si apriva un notevole dibattito interno e nelle riunioni del 21-23 giugno '65 il CC rilanciava ai partiti della sinistra l'invito di una nuova maggioranza democratica. La proposta rifletteva il contrasto tra le tesi di Ingrao, favorevole all'approfondimento del dialogo con la sinistra cattolica, e quella di Amendola per la formazione di un partito unico della sinistra italiana.
Il "superpartito" proposto dai comunisti risulterà nient'altro che una confederazione dei partiti di sinistra, in cui ciascuna forza politica avrebbe mantenuto la propria identità. PSI e PSDI respingeranno la proposta come un tentativo camuffato di rilanciare il Fronte Popolare, cosicché il PCI - davanti alla scelte tra le tesi di Amendola e quelle di Ingrao - finirà per seguirle tutte e due non mancando di cercare ogni possibile terreno di convergenza con la maggioranza, puntando ora sulla componente cattolica ora su quella socialista. Questa politica darà al PCI innegabili successi ma farà spazio, alla sua sinistra, a gruppi dissidenti tanto che alla fine del '66 una piccola frazione di dissidenti dava vita al PCMLI (P.C. Marxista Leninista I.).
Il problema più pressante per la DC era quello di ritrovare l'unità interna dopo la clamorosa spaccatura in occasione della elezioni presidenziali del '64: il segretario, Rumor, cercherà di promuoverla con una direzione (febbraio '65) in cui entreranno a far parte tutti i più qualificati esponenti delle quattro correnti del partito, ma l'unità fu solo momentanea in vista ella unifica-zione socialista, e già il 10° Congresso dimostrerà la sua precarietà.
Quanto ai Socialisti la quinta legislatura vedeva il processo di unificazione di PSDI e PSI, già in parte avviato quanto all'azione politica dalla comune partecipazione al Governo e dall'elezione di Saragat alla Presidenza della Repubblica. Il processo di unificazione si iniziava ufficialmente col XXVI Congresso del PSI (novembre '65), da cui usciva un preciso invito (favorito da Nenni, restrittivamente interpretato da De Martino, osteggiato da Lombardi) al PSDI di unificazione politica a livello nazionale e locale: la nuova formazione, Partito Socialista Unificato (simbolo: i due simboli rotondi in un cerchio: la bicicletta) PSU, sorgeva ufficialmente a Roma il 30 ottobre '66 con Nenni Presidente e Tanassi e De Martino Cosegretari. Ma la speranze di Nenni di una potenziale alternativa socialista a PCI e DC naufragavano dopo un anno di inutili tentativi riformistici in seno al governo e di rivalità interne tra le sue componenti, con un mezzo disastro elettorale alle Politiche del '68.


RIFORME, RAPPORTI INTERNAZINALI E TERRORISMO ALTOATESINO

Nel gennaio '66, intanto, il Governo Moro andava in minoranza ancora in una votazione sulla scuola, e fu lo stesso Moro a formare un nuovo Gabinetto con un programma che prevedeva l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario, la riforma burocratica ed ospedaliera, l'approvazione del piano quinquennale di sviluppo economico, un piano organico di aiuti all'agricoltura, e, in politica estera, la fedeltà alle alleanze e "comprensione" per la posizione e le responsabilità degli USA in Vietnam.
Nell'estate del '66 c'era una recrudescenza terroristica in Alto Adige, cui rispondeva una politica possibilista del Governo, ma dovranno passare anni prima dell'accordo con l'Austria sul problema altoatesino. Ma il tema centrale della politica estera di questi anni (che vedevano un aumento dell'interscambio con l'URSS e lo scoppio della guerra del '67 tra arabi e israeliani) sarà quello della presenza italiana nella NATO e dei rapporti con gli USA. Nel '67 Saragat compiva un viaggio in USA, riaffermando la fedeltà alle alleanze, ma in privato avanzando riserve sull'operato americano in Vietnam che aveva notevoli ripercussioni sull'opinione pubblica. Sarà in seguito alla cessazione dei bombardamenti americani sul Nord Vietnam che si concluderà dopo anni di trattative tra USA e Paesi Europei.

GLI SCANDALI

In politica interna, a parte la congiuntura economica sfavorevole, il centrosinistra vedeva agitazioni, scandali, disastri naturali che contribuirono all'indebolimento della formula di Governo. Gli scandali più gravi furono quelli del ministro Trabucchi su una faccenda di concessioni illegali a società di tabacchi esteri, quello Fanfani su un'improvvisata iniziativa per il Vietnam e soprattutto lo scandalo SIFAR, che vedeva coinvolti i generali De Lorenzo, Allavena e Viggiani, per le deviazioni dai compiti istituzionali del servizio (spionaggio interno), scandalo che si aggravò quando vennero alla luce documenti di un progetto golpista del '64 in cui era implicato De Lorenzo. L'incertezza del Governo e la negazione di un'inchiesta parlamentare sull'operato del SIFAR ampliavano le dimensioni dello scandalo.



DAL 1968 AL 1973


I CAMBIAMENTI POLITICI ' 68

Il voto delle Politiche del '68 segnava lievi progressi della DC e del PCI (su cui convergeva in misura eguale il voto giovanile), un calo sostanziale dell'elettorato socialista del PSU, una conferma della forza elettorale del PSIUP, un guadagno del PRI, ed un arretramento del MSI.
La sconfitta del PSU segnava un punto di svolta della politica italiana: attribuita in parte all'inerzia del Governo Moro di cui ne provocava la caduta, e la sostituzione con un monocolore democristiano "d'attesa" presieduto da Leone, con larga partecipazione di "notabili" democristiani, l'impegno a dimettersi a Congresso Socialista concluso, che avrebbe dovuto permettere ai So-cialisti di chiarire la loro posizione rispetto ad un Centosinistra organico, dopo il "disimpegno" dal governo seguito alla sconfitta elettorale del maggio '68.
Il Congresso Socialista invece di un rafforzamento dell'unità gettava le basi per la rottura con la presenza di 5 correnti: una maggioranza con il 35% di autonomisti ed il 15% di tanassiani, poi i demartiniani al 34%, i lombardiani al 7,6% e i giolittiani al 5,3%.
Nel novembre si dimetteva il Governo Leone ed il nuovo Gabinetto, presieduto da Rumor, riceveva la fiducia in dicembre con De Martino Vicepresidente, Nenni agli Esteri, Mancini ai LL.PP. e Tanassi all'Industria.

Il '68 e il '69 vedevano anche in Italia il propagarsi della contestazione giovanile, su cui ebbero notevoli influssi i fatti del maggio francese '68 e della Primavera di Praga '69, contestazione che contribuiva a creare a livello politico e sindacale un ampio spazio alla sinistra del PCI.

IL SESSANTOTTO (approfondimento in capitolo riportato a parte)

L'influenza americana sullo stile di vita degli anni Cinquanta coinvolse immediatamente i giovani, tra i quali simboli consumistici come il chewinggum, la musica jazz e rock and roll, il juke box, i blue jeans fecero subito presa anche perché gli adulti allentarono la loro influenza sia per il forte impegno nel lavoro sia per il desiderio di migliorare a tutti i costi e subito il tenore di vita dei figli, per cui salirà la scolarizzazione e il periodo di dipendenza e senza responsabilità dei giovani. il tutto si tradusse in una forte espan-sione dei consumi che ebbe notevoli influenze sulla società e sull'economia, la domanda di beni stimolò la produzione e, quindi, la produzione industriale del Paese.
In questo contesto si accentuarono i contrasti tra l classi sociali che alimentarono i fe-nomeni di ribellione già presenti nel mondo giovanile. L'aumento dei "bisogni", la ricerca di una fisionomia culturale e sociale nettamente distinta da quella degli adulti furono alla base di una forte contestazione alla società borghese, che animò il mondo giovanile sul finire degli anni Sessanta: entravano in crisi i valori politici e culturali sui quali si e-rano costruite le società occidentali del dopoguerra e aumentarono gli squilibri sociali provocati dall'industrializzazione.
La contestazione giovanile fu un fenomeno condiviso da molti , ma animato, in realtà, da una parte dei giovani: gli studenti (prevalentemente universitari), che disponevano del tempo e delle risorse culturali necessarie per organizzare un vasto movimento di protesta.
Le rivolte studentesche scoppiano nel 1964 nelle università degli USA, non solo come una risposta ad un desiderio di ribellione, ma, soprattutto, come forte presa di posizio-ne contro la discriminazione razziale, che ancora caratterizzava la società americana, le regole di comportamento presenti nelle università (retrograde e non adatte alla nuova generazione), i corsi di studio e il comportamento del corpo docente (autoritario e spesso retrogrado) e contro i comportamenti dei soldati americani nel Vietnam.
La protesta si propagò in tutta Europa dal 1967 ed esplose nel 1n68, quando in Italia e in Francia i movimenti studenteschi diedero vita ad accese manifestazioni, durante i quali si verificarono violenti scontri con la polizia.
Il 1968 è stato l'ultimo grande revival marxista rivoluzionario, condito con le idee di Herbert Marcuse, che immaginavano un futuro tanto ricco e tanto sicuro che si poteva-no, anzi si dovevano lasciar liberi gli istinti troppo compressi dall'etica del profitto e del lavoro. La società aveva bisogno di libertà sessuale, di emancipazione, di tempo libero, di gioco.
Da semplice contestazione in alcuni luoghi si ebbe una vera e propria rivolta: come a Parigi, dove si temette nel "maggio francese" una nuova "rivoluzione" quando la capitale fu circondata dall'esercito pronto ad intervenire con i carri armati. Scontri durissimi tra dimostranti e polizia che andranno a coinvolgere anche l mass oprai delle grandi fabbriche paralizzando la Francia. Studenti e professori occuparono l'Università di Nanterre e la Sorbona di Parigi, proclamarono lo sciopero generale poiché il Ministero della Pubblica Istruzione voleva limitare il numero degli studenti universitari con una rigida selezione e utilizzare la ricerca universitaria per risolvere i problemi dell'industria.
Anche in Italia il primo obiettivo contro cui si scagliava la protesta studentesca era la scuola, nella quale le differenze nella quale le differenze sociali si riflettevano e si amplificavano. La protesta si allargò dalla scuola a tutta la società, ai governi nazionali incapaci di una vera azione democratica, e al sistema economico capitalista, colpevole, secondo i movimenti studenteschi di ispirazione marxista, di sottoporre l'uomo alla schiavitù dei consumi.
L'impegno politico fu una caratteristica costante degli studenti, così come la ricerca dei modi per esprimere la propria "diversità" (e quindi il proprio dissenso) dal mondo "per-bene" degli adulti. Si impose un abbigliamento volutamente trasandato, che doveva cancellare le differenze di classe tra i giovani, furono apertamente criticate la moralità e le consuetudini "borghesi" e si diffuse l'ideologia marxista (di orientamento leninista), non mancarono neanche convinti sostenitori degli ideali cattolici e gruppi di destra.
Le proteste studentesche del '68 non riuscirono a realizzare del tutto i cambiamenti sociali, talvolta troppo utopistici e ambiziosi, per cui i giovani combattevano. Alcuni risultati concreti si ebbero nel decennio successivo quando alle proteste studentesche si unirono le lotte operaie e la protesta del movimento femminista: dal 1969 (autunno caldo) è partito il grande movimento sindacale che ha prodotto il nuovo potentissimo sindacato unitario, la triplice, dominatore della vita economica-politica italiana fino ad oggi. Il movimento studentesco e il movimento sindacale di quegli anni erano il prodotto del grande sviluppo economico del dopoguerra, dell'enorme arricchimento dell'Occidente.
La contestazione studentesca si è riaccesa episodicamente negli anni seguenti con pun-te nel '77 e, in tono minore nel 1985 (i ragazzi dell'85 con 200 mila a Napoli) e nel 1990 (la pantera), dopo il silenzio per l'opprimente "omologazione" borghese (di pasoliniana memoria); un certo risveglio può essere riscontrabile nella protesta antiglobalizzazione del "popolo si Seattle" della fine degli anni Novanta e inizio III Millennio.
Le lotte studentesche comunque diedero una spallata alle arretrate strutture scolastiche (accademiche) e universitarie (baronali) e lasciarono dietro di sé un patrimonio di azioni collettive animate da motivazione generose; nell'attivo del loro bilancio va iscritto anche il fatto che esse acuirono la sensibilità collettiva nei confronti di alcune contraddizioni di fondo della società occidentale contribuendo a modificare le relazioni dell'individuo con le istituzioni, nel segno di un rifiuto dell'autoritarismo gerarchico privo di reali giustificazioni intrinseche.
In conclusione si può affermare che la rivolta studentesca è stata, almeno per il mondo occidentale, uno dei segni più clamorosi ed emblematici della crisi profonda che ha in-vestito le strutture capitalistiche ed economiche delle società capitalistiche ed ha rivelato l'incapacità dei ceti dirigenti di gestire un meccanismo divenuto troppo vasto e complesso. Vero è che il movimento studentesco non fu proprio solo dei Paesi a capitalismo avanzato ma si riprodusse anche nelle democrazie socialiste dove gli studenti levarono la loro voce non tanto per mettere sotto accusa l'ordinamento statale quanto per denunciare la degenerazione di un sistema che nel complesso ritenevano ancora valido. Per essi il comunismo che dominava nei Paesi dell'Est europeo non era da distruggere ma da correggere.
Il problema di questo ultimo periodo, però, non è più la liberazione dai tabù del passato, l'emancipazione femminile, la libertà sessuale, la ricerca dell'eccesso e dell'avventura, come negli anni Settanta, ma il bisogno di certezze e di sicurezza attra-verso la costruzione di un ordine mondiale, di un apparato dello Stato rigoroso ed effi-ciente, di una economia solida, di un ethos pubblico e privato . la società postmoderna, liquida, anarchica, permissiva è al tramonto.



Il
Governo Rumor si distingueva solo per una riforma che migliorava lievemente i livelli pen-sionistici ed assicurava poca cosa agli anziani senza pensione sotto forma di sussidio. Ma la sua attività risentiva della scissione Socialista. Il Partito Socialista riassumeva il nome PSI con De Martino segretario e Mancini vice dopo appena tre anni dall'unificazione. La conseguente crisi del Governo Rumor dell'estate '69, veniva superata con un governo di notabili democristiani presieduto da Rumor in attesa che si verificassero le condizioni per il ritorno al centrosinistra organico.
Intanto, all'interno del PCI si organizzava una dissidenza contro la gestione Longo-Berlinguer che, contro gli schemi organizzativi del centralismo democratico, si organizzava in corrente, premendo per azione politica più decisamente rivoluzionaria e rappresentativa delle classi subalterne. Tale dissidenza si organizzò nel gruppo del Manifesto, espulso dal Partito; contemporaneamente sorgevano altri gruppi intorno al lavoro teorico di alcune riviste (Quaderni rossi, Quaderni Piacentini, Classe Operaia) e alla militanza politica soprattutto delle giovani generazioni studentesche ed operaie.

LA FORZA UNITARIA DEL SINDACATO

Alla crisi de i Partiti di massa tradizionali, faceva da contraltare la realizzazione dell'unità sin-dacale con all'avanguardia le federazioni metalmeccaniche CGIL-CISL-UIL, che faceva del Sin-dacato il punto di coagulo, in ampia autonomia dei partiti, dei fermenti sociali sia a livello di ri-vendicazione salariale sia di rivendicazioni di migliori condizioni di vita, dovute ad uno scadimento della condizione operaia, chiusa da una logica produttivistica e dallo squallore di un'urbanizzazione disordinata a connessa a fenomeni speculativi; nel '68 il Sindacato divenne il centro propulsore per la richiesta di quelle riforme che il centrosinistra non aveva saputo fare. In ciò, oltre che una strategia per contenere le spinte più rivoluzionarie, si volle vedere un preciso tentativo del Sindacato i sostituirsi, al centro del sistema, ai partiti, per questi motivi il problema del Sindacato era ed è quello di trovare i luoghi e le forme in cui, sfruttando appieno la sua enorme capacità rappresentativa e di mobilitazione, di contro alla sclerosi burocratica dei partiti, possa esercitare un dialogo efficace con gli altri organi di potere reale del sistema. Se l'azione sindacale registrava notevoli conquiste, nell'autunno del '69, si determinava un calo di produzione anche in seguito alle agitazioni sindacali, ma quel che era più grave il sorgere della "strategia della tensione" con le bombe di Piazza Fontana, l'assassinio del Commissario Calabresi, vari atti terroristici.
Il monocolore Rumor si rivelava poco adatto a gestire la difficile situazione interna, ma perché si giungesse ad un centrosinistra organico si doveva aspettare, sempre con Rumor, l'aprile del '70, dopo mesi estenuanti di trattative dello stesso Rumor, Moro e Fanfani. Il nuovo Governo approvava la legge per le Regioni a Statuto Ordinario, lo Statuto dei Lavoratori e il Referendum sul divorzio in clima di campagna elettorale per le elezioni amministrative di Regioni, Province e Comuni del '70. A tali elezioni che segnavano una flessione del PCI e ella DC del PSIUP del PLI, una stabilizzazione del PSI, PSU, ed un progresso del PRI del MSI, il Governo Rumor sopravvisse poche settimane, dimissionario com'era in luglio quasi in coincidenza con lo sciopero generale proclamato dai sindacati, con cui questi passavano alla seconda fase della loro azione, quello dell'impegno politico per le riforme e i servizi sociali. Nella compagine governativa il PSI da una parte portava avanti una linea di apertura a sinistra, dall'altra quella di un rapporto preferenziale con la DC, mentre il PSU accentuava il suo anticomunismo e nella DC si erodeva il potere doroteo grazie all'azione di Andreotti, la cui candidatura a primo ministro falliva per l'opposizione del PSU. il Governo veniva costituito da Colombo, titolare in vari Gabinetti del Ministero del Tesoro, destinato a durare in carica un anno e mezzo e di intonazione riformista in cerca di un accordo con i sindacati per l'attuazione delle riforme; perse, però, notevolmente di capacità operative, limitate alla legge sul divorzio e all'approvazione da parte di un solo ramo del Parlamento della legge per la casa e di quella per la riforma fiscale, per l'ostruzionismo di vasti settori con-servatori della DC e per l'indebolimento dello stesso potere sindacale.

L'ORIENTAMENTO POLITICO DEL '71 (Andreotti)
L'attività politica in generale subì un notevole rallentamento per le elezioni presiden-ziali che videro un ennesimo scontro all'interno della DC sui nomi di Fanfani e di Moro e si conclusero con l'elezione Leone, per cui furono determinanti, almeno come sbandierava il leader del MSI Almirante, i voti della destra.
Superata l'elezione presidenziale, le difficili condizioni del paese, connesse al voto delle amministrative del '71 caratterizzate da un notevole voto di protesta a favore del MSI, portarono alla crisi del Governo Colombo (complicata dal problema del referendum abrogativo del divorzio), che sfociò nelle elezioni anticipate previo lo scioglimento delle Camere, cui si arrivò, favorevoli il PCI (per evitare il referendum e confermare la politica di apertura alla DC) e la DC (per recuperare i voti perduti a favore della destra), con un governo monocolore Andreotti.
La consultazione elettorale ebbe a protagonisti la DC, che si presentava nella veste di garante del quadro istituzionale contro le spinte rivoluzionarie della sinistra e quelle eversive di destra, il MSI, e il PCI impegnato sia dalla polemica con le formazioni alla sua sinistra, sia più diplomaticamente alla sua destra nel tentativo di rimanere aperte le porte per un rapporto costruttivo con le forze progressiste dell'elettorato cattolico. I risultati ridimensionarono il pericolo neofascista, ristabilivano l'autorità della DC e liquidavano, almeno a livello amministrativo, la dissidenza a sinistra del PCI.
Dalle elezioni si uscì con un quadripartito DC-PLI-PSDI-PRI guidato da Andreotti con un programma di ordine pubblico, rilancio economico, riforma per l'Università, la casa, l'assistenza ospedaliera e mutualistica. MA IL Governo Andreotti, accettato come una soluzione di necessità all'interno del suo stesso partito da parte delle sinistre in una situazione economica interna ed internazionale notevolmente difficile, con una politica di dilatazione della spesa pubblica, aggravò l'inflazione e la svalutazione della lira; le difficoltà economiche e la mutata congiuntura politica con il Congresso del PSI che vedeva, nel novembre '73, il pronunciarsi dei questo partito per il ritorno al centrosinistra, segnarono la sua caduta, quando l'opposizione al Governo dal Parlamento si trasferì al Paese. La classe operaia otteneva importanti successi con l'inquadramento unico operai/impiegati e con aumenti salariali, ma inflazione ed aumento dei prezzi minacciavano di annullare queste conquiste, e l'incapacità del Governo a fronteggiare questa situazione inflativa ne determinò la caduta, facendone affrettare la crisi da parte di forze della stessa maggioranza.
Col quarto Governo Rumor si tornava al centrosinistra organico con un programma incentrato essenzialmente su misure economiche e finanziarie, di cui era sintomatica la creazione di un direttorio di tre ministri, la cosiddetta TROIKA, per la politica economica (Colombo alla Finanza, Giolitti al Bilancio, La Malfa al Tesoro). Gli obiettivi pronunciati dal programma governativo si possono riassumere nella lotta all'inflazione tramite il controllo dei prezzi e del credito, nel rafforzamento della lira rispetto alle più forti monete CEE e in un più rigido controllo della spesa pubblica e del deficit di bilancio. Inoltre ci si riprometteva provvedimenti per l'Università e l'edilizia abitativa, scolastica ed ospedaliera: un programma di emergenza, quindi, per difendere la capacità di acquisto per i ceti più deboli e per creare nuovi posti di lavoro per la disoccupazione meridionale.

L'OPPOSIZIONE MORBIDA DEL PCI
La novità più importante del Quarto Governo Rumor era, oltre alle prospettive di collaborazione dei sindacati, la conferma di un'opposizione diversa da parte del PCI, che preannunciava un nuovo rapporto con la maggioranza e lo ufficializzava in una formula (il compromesso storico). Di fronte al centrosinistra di Rumor che prometteva una politica diretta a tutelare i bassi redditi e a creare nuovi posti di lavoro nel Meridione, secondo le richieste del sindacato, il PCI manteneva gli impegni e preannunciava un'opposizione "morbida" e un occasionale sostegno ad alcune delle misure legislative del Governo. Tale linea, oltre che dalla tradizionale strategia del PCI, era suggerita dal timore di uno spostamento a destra dell'asse politico nazionale e di una ripresa delle attività neofasciste favorite da un peggioramento della crisi economica e si accompagnava ad una presa di posizione europeistica del PCI, che preludeva a sostanziali cambiamenti di linea politica estera.
Anche se il governo Rumor realizzava velocemente parte dei suoi punti programmatici tramite un rigido blocco dei prezzi che decellerava l'inflazione, la situazione economica peggiorava con lo scoppio della crisi energetica, conseguente alle misure restrittive prese dai paesi produttori di petrolio, complicata dalla crisi arabo-israeliana dell'ottobre '73, che metteva in crisi la politica dei consumi perseguita dai paesi occidentali, rivelando la debolezza strutturale dell'economia italiana che ora aveva di fronte ampi problemi di ristrutturazione e di riconversione industriale.

DALLA FINE DEGLI ANNI SETTANTA AGLI ANNI NOVANTA
Da De Gasperi a Berlusconi, passando per Berlinguer Moro Craxi, il centrismo, il centrosinistra, la solidarietà nazionale, e poi Tangentopoli, il collasso della Prima Repubblica, l'incerto e preoccupante emergere di un diverso sistema politico. Il tutto di seguito è valutato con l'ausilio di due protagonisti: Ciriaco De Mita (politico e filosofo della Magna Grecia, segretario della DC, ministro e Presidente del Consiglio dei Ministri) e Biagio De Giovanni (comunista, filosofo, professore universitario, parlamentare europeo).
Alla considerazione se il '68 fu il movimento un nuovo inizio della politica o piuttosto l'inizio della sua fine? De Mita, richiamando Moro, afferma che fu un grande fatto di libertà; De Giovanni, in antitesi, afferma che fu l'anticamera della crisi dei partiti di massa e dunque della crisi della politica legata a quel sistema e a quelle culture.
Per quanto riguarda la solidarietà nazionale del 1976, De Mita, ricorrendo a Moro, afferma che essa non fu la fase preliminare per un governo con i comunisti, ma un percorso da fare insieme per ricomporre o consolidare le condizioni della vita democratica, che poi potesse all'alternanza; tale esperienza e possibilità furono, però, brutalmente stroncate dal sequestro e assassinio di Moro ad opera delle Brigate Rosse. De Giovanni, in disaccordo, ritiene che quella strategia, che avrebbe dovuto favorire l'incontro delle grandi culture promotrici dell'Italia del dopoguerra, era fatalmente destinata all'esito cui giunse, non solo perché il processo di modernizzazione in atto all'epoca non poteva essere governato dall'asse cattolico - comunista ma anche perché si fondava sulla stabilità a lungo termine del quadro mondiale, proprio quando questa ipotesi diventava sempre più fragile e inconsistente. Non sarà dunque la morte di Moro a determinare il fallimento: quella strategia non conduceva da nessuna parte.
Infine, il trauma di
Tangentopoli che aprirà la strada all'incerto e preoccupante emergere di un diverso sistema politico apparso con la vittoria di Berlusconi, De Mita, con ricchezza di particolari e un certo distacco, ricostruisce il confuso e drammatico snodo politico e giudiziario degli anni 1992/94, lamenta il venir meno dell'impegno a riforme istituzionali condivise e l'impossibilità, oggi, di un vero dibattito parlamentare rifiutando, nel contempo, di esprimere un giudizio complessivo sull'operato della magistratura. De Giovanni, invece, pur senza sottovalutare il fenomeno della corruzione, giudica con asprezza l'operato dei giudici, che, nel 1992, in presenza dei primi scricchiolii sistemici, poterono consentirsi di dettar legge alla classe politica, rompendo gli argini entro i quali il loro ruolo è legittimo. Argini non ristabiliti più. Per salvare la politica e colpire i colpevoli: il Nostro ritiene che Craxi (discorso in Parlamento del 1993) pose il problema nella sua forma più giusta - Ma nessuno attese che i legittimi tentativi si esercitassero, che i tutori della legalità e quelli della legittima politica trovassero un punto di confronto. Si andò cosi alla caduta verticale del sistema e alla vittoria di Berlusconi, rappresentante del radicalismo del ceto medio italiano e del suo strisciante sovversivismo istituzionale.
Sicuramente il decadimento della politica va oltre il caso italiano e il pericolo è (con il conforto filosofico) quello dell'imperante legalismo che tende a soffocare l'autonomia della sfera politica, confermando la crisi drammatica che la politica attraversa in Occidente e in Europa.


IL VOLTO NASCOSTO DELLA POLITICA analisi del ventennio 1970 -1990

La storia recentissima, dalla metà degli anni Settanta (anni di fuoco, dove la politica predominante è quella imprenditoriale/clientelare - un soggetto controlla molti voti), ci viene dall'analisi degli atti processuali (consultabili solo dopo che il Pubblico Ministero ha formulato il Rinvio a Giudizio), per cui la Magistratura diventa punto di riferimento, da notare che i verbali spesso non rivelano solo un arido linguaggio tecnico ma anche spunti socio - politici.
L'indagine, presa in esame, è stata svolta a Napoli e Milano con, principale riferimento, il Processo Cusani (il più nazionale).

I processi si possono dividere in quelli relativi a:
-
Tangentopoli che induttivamente partono da fatti banali per poi allargarsi, qui si esalta il rapporto con-cusso/corrotto, dove mentre gli imprenditori si dichiarano costretti a elargire tangenti, i politici dichiarano pari responsabilità per l'interesse comune;
-
mafia politica e camorra politica che deduttivamente partono sempre dalle dichiarazioni di pentiti - i teoremi - vere e proprie rappresentazioni complete dei rapporti politico - affaristici.
Comunque, dai processi in corso che conducono tutti agli inizi degli Anni Ottanta (Testimoni di eventi incisivi: rapimento Moro, caso Sindona, ecc.), è difficile fare una storia della corruzione perché non si arriva mai alla persona ma al sistema partiti, eccezione è il caso Craxi. Per cui, attraverso la Magistratura, è possibile solo svelare il
SISTEMA della corruzione.

Cosa avviene dalla metà degli Anni Settanta? Quali trasformazioni?
Inizia la erosione del sistema - partito con la progressiva affermazione della personalizzazione della politica (CAF - Craxi, Andreotti, Forlani). Il collaudato sistema - partito del PCI viene, fino agli Anni Settanta, riproposto anche dalla DC che, con l'apertura continua di sezioni, si diffonde e si organizza sul territorio. Il gruppo dominante è quello Doroteo che, liberatosi con discrezione e, di quel tanto che basta, del controllo clericale, costruisce un partito clientelare di massa utilizzando le risorse pubbliche (i politici dal sabato al lunedì ricevevano gli elettori del proprio collegio per ascoltare e appuntarsi le richieste - ho visto un politico DC che, nel ricevere Coltivatori Diretti, annotava le richieste su un taccuino con voci pre-stampate del tipo: persona da favorire ..., provenienza..., presentato da...., favore che chiede ..., ecc.).
Il sistema incomincia mostrare crepe con l'avvento delle Regioni ('70) che insieme a USL e Province assorbono, in chiave locale, molte delle risorse gestite prima solo da Roma.
In questi anni, con il "compromesso storico" si legalizza la prassi in atto di un sotterraneo accordo DC - PCI, i progetti di legge più importanti avevano sempre l'assenso dell'opposizione, per cui non esisteva una vera opposizione ma un sostanziale "consociativismo": perdura quel tanto bistrattato "trasformismo" ottocentesco. Il tutto ha portato ad un blocco dell'alternanza, ancora molto attuale, nella politica italiana, a causa delle infinite mediazione: D'Alema cerca consensi presso Berlusconi per ridurre le pretese di Bertinotti.
Alcuni politologi parlano di vicolo cieco della politica italiana.
La magistratura, negli anni Novanta, si è sostituita all'incapace politica italiana (il Procuratore di Napoli Cordova disse che la magistratura può, adesso, operare perché, contrariamente a prima, ha il consenso della gente).
A Napoli, alcuni giovani pretori iniziano, contro pressioni sia di politici che di alte sfere della magistratura, indagini sul voto di scambio e, partendo dalle accuse camorristiche a Gava (già condannato per corruzione con l'accusa di De Rosa), arrivano a politici come De Lorenzo (nel suo studio si scoprono programmi computerizzati con schedati 20 mila nomi), Vito, ecc.
Nella sentenza Romeo si legge di tangenti elargite a tutti compresa l'opposizione (il segretario del PCI di Napoli, Berardo Impegno, confesserà in TV - trasmissioni: Milano-Napoli e PERDENTI - di aver preso danaro) come prassi acquisita, addirittura con tariffe per i livelli di importanza.
Insomma il circolo della corruzione voto/favore/tangente/politico/imprenditore/ecc. era perfettamente chiuso, con un infinito numero di persone coinvolte.
A Milano, pur registrando lo stesso tasso di corruzione, si osserva che le persone coinvolte sono meno e che i processi riescono ad individuare e condannare.

Una lettura della trasformazione politica:
- Si conclude il sistema impersonale partitico (persino Andreotti e Gava si erano affermati controllando il partito, non comparendo in prima persona, una sorta di burattinaio).
- A Napoli, al vecchio rappresentato da Gava e dal suo partito macchina (Vito, ecc.), si sostituisce il nuovo con Pomicino, De Lorenzo e Di Donato i quali, spesso si alleano fra di loro anche al di fuori dei partiti che rappresentano, imprimono una interpretazione personalistica della politica, dove, figurando in prima persona, abbandonano la matrice ideologica e sviluppano una politica trasversale fatta di notabili (visione di sapore ottocentesca) e utilizzo del proprio patrimonio (opportunamente poi rimpinguato dal danaro pubblico) in quanto questo tipo di politica è sempre più costosa.
- Sulla stessa linea personalistica sono: il fenomeno Craxi che, grazie al suo carisma, sostituisce il media-tore instancabile DC con una figura autonoma-forte (si individua chi decide - decisionismo) e riesce a determinare uno dei governi più lunghi con successi importanti come il Concordato, difatti Fiat e Medio-banca, quelli che determinano la politica dietro le quinte, non amano Craxi, il suo protetto Gardini fallirà; e i fenomeni Berlusconi, Di Pietro e, in parte, Bassolino che fanno leva sul populismo.

Insomma si assiste ad una
AMERICANIZZAZIONE della politica con la sola differenza che mentre in USA la cosa è prassi acclarata da noi si fa ma non si dice, perciò il processo non è ancora compiuto in quanto, mentre i nuovi politici sanno dialogare direttamente con il popolo elettore (Di Pietro, nei processi, si faceva capire con un linguaggio "normale" da tutti, da qui il consenso), i vecchi che resistono (parlano di rifondare partiti, ecc.) hanno difficoltà e sono ancora a riproporre l'obsoleto consociativismo, per cui non si determina una visione politica di due distinti poli alternativi, non si riesce a far politica per la mancanza di autonomia del Parlamento, infine, necessitano, per il nuovo, adeguamenti istituzionali.
Il consociativismo e tutto quanto resiste al nuovo non può essere spiegato solo dalla politica visibile ma bisogna indagare nell'ambito della cosiddetta "società civile", quell'esercito di notabili, professionisti, ecc., supporter di partiti e politici, che sopravvivono, proprio perché nascosti, a tutti i tentativi di trasformazione ed assicurano una sostanziale continuità.
A conclusione, contro ogni forma di controllo sotterraneo della politica che tutto deteriora e corrompe, ci si auspica il passaggio deciso alla accennata "americanizzazione" dove la politica rappresenta direttamente e dichiaratamente le varie lobby che, nella competizione politica, rischiano in proprio, con vittorie o sconfitte.




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