Eduardo Ambrosio


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Incontri- lezioni A.A. 2012-2013

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Uni3 a.a 2012.13

Filosofia Per i testi vedi tutte le lezioni

Colloquio del 31 gennaio 2013 all'UNI3 di Pompei

IL PENSIERO FILOSOFICO

Nascita, evoluzione, pratica (allenamento) ed utilità (insegnamento).

Hegel riteneva il pensiero nomadico che, nato nelle remote distese asiatiche, approdava dopo millenni in Europa, e in particolare nella Germania del XIX secolo:<<La storia del mondo va da Oriente ad Occidente, l'Europa infatti è la fine della storia del mondo, così come l'Asia ne è il principio... Qui nasce il sole esteriore, fisico, che tramonta a Occidente; ma qui nasce anche il sole interiore dell'autocoscienza>>.

Correggendo in qualche modo Hegel, Max Weber affermò che non c'è nulla che non sia stato pensato, sotto qualche forma, in Asia. Qui, nella parte meridionale, si sviluppò intorno al V secolo a. C. un pensiero filosofico senza l'ausilio della scrittura: si trattava per lo più di versi della dottrina Yoga che contenevano riflessioni astratte e complesse, facilmente memorizzabili. Soltanto in seguito i sutrani (il nome che presero questi componimenti orali) furono messi per iscritto. Ma è in Africa, secondo Holenstein, che il pensiero filosofico,sotto forma di letteratura sapienziale, sarebbe nato. In alcune zone del Kemet (l'odierno Egitto), più di tremila anni fa, vennero elaborate le prime massime etiche fondate non tanto su un ordine etico o religioso quanto filosofico.

Si mette così in discussione l'idea che la filosofia sia nata in Grecia come passaggio dal Mito al Logos. I Presocratici, Platone, Aristotele avrebbero dunque degli antecedenti (o dei contemporanei) in altre parti del globo. Ma perché alla fine è il modello ellenico a prendere il sopravvento? La risposta è tutta iscritta nel destino che l'Europa svolgerà nel millennio successivo. Certo anche la cultura filosofica non sarà estranea alle contaminazioni.
Già con le conquiste di Alessandro il pensiero ellenico si apre al contributo asiatico (sciamanico e religioso) e in seguito tutta la tradizione greca troverà un appoggio fondamentale in quegli scrittori arabi (soprattutto medici e matematici) che si faranno carico di tradurre e conservare le opere filosofiche più importanti: uno dei pilastri della cultura occidentale (Aristotele) è stato salvato e arricchito da quel pensiero islamico che vide nei nomi di Al Farabi, Al Ghazali, Avicenna, Averroè i protagonisti di una storia che seppe illuminare i secoli bui dell'Europa.
La filosofia ha viaggiato nel mondo, spostandosi a volte da un continente all'altro. Come i venti e le correnti, così il pensiero non conosce veri confini.
Cercando di sciogliere i ghiacci della metafisica occidentale per diluirli nei mari dei valori interculturali, ci si augura un sano confrondo culturale in quanto si può giungere ad uno stesso grado di consapevolezza della verità seguendo metodi differenti: è giusto affermare che niente è così centrico e autoreferenziale da pretendere di escludere ciò che nel resto del mondo è stato pensato.
Il mondo descritto da Tolomeo su un piano orizzontale determinò - molto prima che pensiero occidentale tra Cinque e Seicento (la rivoluzione scientifica e Cartesio) si appropria di ciò che fino a quel momento era stato di dominio divino, cioè il mondo, e ne fa una rappresentazione sia scientifica che filosofica: l'astratto prevale sul concreto, l'universale prevale sul dettaglio - il sistema delle coordinate (latitudine e longitudine) e lo spazio moderno e, nonostante Copernico e Keplero, noi continuiamo ad avere una percezione tolemaica del mondo. La Terra anche se scientificamente non è più al centro del nostro Universo continua ad esserlo di fatto (filosoficamente). E per secoli l'Europa ne rappresentò idealmente il cardine. Almeno fino a quando Nietzsche vide nel vecchio continente un malato incurabile.

La filosofia è l'allenamento (pratica) per migliorare lo stratificato essere umano(Freud raffigura l'anima come un regione su tre piani: nel solaio, al primo piano, abita il super-io; nel pianoterra c'è l'io; nello scantinato c'è l'es) volto ad una tensione verticale: l'uomo sente una tensione verso l'alto, una competizione a essere migliore rispetto ai propri simili e a sé stesso. I primi a incarnare questo modello, in Occidente, sono stati gli atleti, poi si è generalizzato ed è diventato un'ambizione di vita che ha formato il nucleo della concezione filosofica dellapaideia, l'educazione: una sorta di democratizzazione delle pretese atletiche(Platone conia philo-sofia sul modello più antico di philo-timia, che designava la virtù degli atleti a lottare per amore della gloria). Nel cristianesimo, i primi monaci orientali erano denominati gli atleti di Cristo, e vivevano nell'asketeria, cioè luogo di allenamento, poi monastero: i primi cristiani si allenavano a imitare Cristo, l'essere umano che ha raggiunto la cima della autoperfezione divenendo il figlio di Dio, sviluppando la facoltà di vincere la morte e realizzare così l'ascensione verso il cielo. In questo senso la verticalità è l'idea più radicale della nostra storia: imitare il Cristo è partecipare ad un gigantesco esercizio di antigravitazione (arte di cui erano discepoli i primi cristiani) umana. Insomma una naturalizzazione del concetto di religione, quale primo sistema immunitario dei gruppi umani, in funzione della salvezza, a sua volta frutto di un'attività permanente, uno sforzo continuo di solidarizzazione collettiva; solo così, con l'allenamento, ci si può immunizzare contro la paura della morte e della dannazione eterna.
Il potenziale umano (frutto di pratiche ed esercizi) rappresenta laantropotecnica, che nasce nella sfera politica durante la rivoluzione russa, dove Trotsky voleva creare un'umanità con un livello medio più alto: l'idea del superuomo asservita all'ideologia rivoluzionaria. L'ideologia cattolica, invece, predicando la modestia - l'uomo è così com'è; anzi, meglio che vi rimanga più a lungo possibile - prospetta un atletismo piatto, uno sport di massa senza vere ambizioni, annullando, così, antigravitazione e tensione verticale dell'età classica.

Si possiede veramente una conoscenza solo quando si è in grado di trasmetterla ad altri, non come un postino, ma spiegandola. Hermes, il messaggero degli dèi, non era un sapiente, perché si limitava a consegnare agli uomini i messaggi degli divini, senza capirli.
La differenza tra il sapere (umanistico o scientifico) e la magia consiste nel fatto che il primo può essere divulgato, la seconda no. Sia perché non avrebbe senso spiegare in parole povere cosa vuol dire "abracadabra", sia perché per i maghi è necessaria la non chiarezza.
Le condizioni di sopravvivenza di una scienza necessitano della divulgazione del sapere, ancora più profondamente dalle lotta contro l'esoterismo, per cui il sapere ha bisogno di essere scritto per poter creare quel processo di accumulo, e di progresso, senza il quale non si ha la scienza. Ma, soprattutto, deve essere compreso, e compreso da un numero sufficiente di persone, altrimenti sulla scienza graverebbe sempre il rischio di scomparsa, o della mistificazione, o della perdita di senso.
Il sapere, dunque, deve essere, almeno idealmente, per tutti. Fra tutti i saperi ce ne è uno, la filosofia, che, con il manifesto caratteristico istinto enciclopedico, si qualifica come una sorta di "sapere di tutto". Da qui il nuovo genere "dizionario filosofico" che, partendo da un caso, aiuta a trovare il concetto nascosto, forse ancora inespresso: un gioco molto serio e creativo [in filosofia come nelle scienze si può giocare con i concetti senza banalizzarli], che, per Umberto Eco, è la divulgazione creativa (un'arte da Platone in poi).
MAGNA GRECIA

La Magna Grecia (Megàle Hellàs) è il nome dell'area geografica situata nella parte meridionale della penisola italiana che, a partire dall'VIII secolo a.C., fu colonizzata di greci. Furono gli stessi Elleni d'Occidente presumibilmente a coniare questa denominazione ver-so il III secolo a.C. per mostrare la loro grandezza in campo economico, politico ed artistico rispetto alla nazione di origine. In realtà, per gli antichi greci, la Magna Grecia si limitava alle sole colonie dell'Italia meridionale continentale.
Furono successivamente gli storici romani ad ampliare i confini geografici finendo per includere anche le colonie greche della Sicilia.

La prima colonia greca d'Occidente è Cuma. Viene fondata intorno al 730 a.. da coloni calcidesi provenienti dall'emporio commerciale della vicina Ischia per fondare una colonia di popolamento oppure per conquistare un avamposto sulla costa e meglio controllare le rotte commerciali verso l'Alto Tirreno.

Secondo la leggenda, invece, i fondatori di Cuma avrebbero seguito una rotta indicata dal dio Apollo, che nel suo aspetto solare indica la via per l''Occidente, sotto forma di una colomba bianca. resta il fatto che, da allora in poi, le coste meridionali dell'Italia assistono ad un continuo via vai di navi greche.

La colonizzazione "storica" si svolge tra l'VIII e il V secolo a.C. sulla scia di precedenti navigazioni micenee.
I motivi dell'emigrazione sono essenzialmente la crescita demografica e l'espulsione di gruppi sociali per motivi politici nonché lo sviluppo dei commerci.

La presenza greca nel Sud Italia è un momento di un radicale rinnovamento culturale e tecnologico. I Greci trasferiscono sulle coste italiane il loro modello di vita nettamente più avanzato rispetto alle popolazione indigene, inserendo la nostra penisola nei circuiti delle grandi civiltà del Mediterraneo.

A loro si deve l'introduzione dell'alfabeto, la prima coniazione di monete, l'introduzione in agricoltura della vite e dell'olio e la produzione artistica di ceramiche, bronzi e sculture. L'arte, la letteratura e la filosofia greche influenzarono in modo decisivo la vita di queste colonie. In particolare, le poleis della Magna Grecia divennero centri di eccellenza, dove si raggiunse un livello di civiltà in materia di arte, architettura, ingegneria, istruzione e così via pari a quello della madrepatria.
I coloni ellenici, infatti, dopo aver sottomesso le popolazione indigene, stabilirono fiorenti città con importanti biblioteche e centri di studi, che formarono i più abili filosofi e letterati di tutto il bacino del Mediterraneo, consentendo a quelle popolazione di vivere un'epoca d'oro.

La fine della Magna Grecia coincide con la conquista romana. L'ultima città dell'Italia continentale, Taranto, cade in mano romano nel 272 a.C. Siracusa, in Sicilia, nel 212 a.C.

Con la perdita dell'autonomia inizia il declino. L'agricoltura razionale portata avanti dal-le popolazioni locali viene sostituita dalla nascita di grandi latifondi a carattere pastorale, gestiti senza scrupoli dai liberti delle grandi famiglie senatorie romane. Le invasioni barbariche e alcune calamità naturali fanno il resto.

Persino l'unità d'Italia, per il Sud, risulterà negativa, infatti, verso fine secolo comincia ad emergere una quasi rassegnazione alla naturale e fisiologica arretratezza per la diffusa convinzione, di matrice positivista e darwinista, che le cause del ritardato progresso fossero particolarmente da ricercare nella correlazione tra le condizioni di clima e di suolo e il grado di sviluppo fisico e morale di un popolo, che la nuova nazione fosse formata da due stirpi originariamente dissimili, divise dal parallelo di Roma, bionda e di alta statura al Nord, bruna e di viso ovale al Sud, sottoposte a ineguale vicenda di nascita, di vita e di morte, ad un diverso atteggiamento nello spirito e nell'intelletto.
Di matrice lombrosiana (misurando crani, confrontando orecchie, e calcolando pelosità, Cesare Lombroso, era convinto di prevenire delitti, individuando i potenziali soggetti a rischio e le circostanze che ne scatenano l'animosità - soprattutto dei briganti meridionali), invece, è la distinzione tra brachicefali - la razza superiore, evoluta, nordica - e dolicocefali - quelli dal cranio lungo, la razza inferiore, mediterranea o che il clima si è cristallizzato nei tessuti degli individui, per cui ogni forma sociale è impossibile.


Finisce la storia della Magna Grecia. Inizia quella del Mezzogiorno.

Un auspicabile e tremendamente necessario sviluppo del Sud non può non passare per la "Magna Grecia", anche grazie al recente ddl (disegno di legge) del luglio 2008 che prevede fondi per il recupero e la fruibilità degli edifici storici, il potenziamento delle infrastrutture (strutture turistiche e ricettive), la promozione di attività di studio e comunicazione dei siti coinvolti, la formazione e riqualificazione della forza lavoro locale.
Nel disegno si prospettano, infatti, interventi (anche con risorse Ue) concreti finalizzati alla salvaguardia e alla valorizzazione culturale, storica, archeologica, museale e turistica della Magna Grecia (ampliata fino a comprendere avamposti elleni sorti in epoca antica nelle Marche e nel Veneto: Ankon e Adria),
In tutto l'intervento interesserà 56 comuni distribuiti in sette regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Puglia, Sicilia e Veneto. In particolare per la Campania ci sono: Ascea (Elea - Velia), Bacoli, Capaccio (Poseidonia - Paestum), Ischia, Napoli, Policastro e Pozzuoli.


L'acropoli dell'antica Elea - Velia (patria di Parmenide e Zenone) ad Ascea , con grande acume e intelligenza, viene sempre più frequentemente utilizzata per spettacoli a contenuto filosofico.

"Le cavalle che mi portano fin dove l'animo desidera giungere mi trasportavano, dopo che partirono conducendomi verso la via delle molte voci, che appartiene alla divinità, che porta in tutti i luoghi l'uomo che sa; là ero portato; là infatti le accorte cavalle mi portavano tirando il carro, e fanciulle mostravano la strada".
Là dove"si trova la porta che divide i sentieri della Notte e del Giorno", in una piccola città nel golfo di Salerno chiamata Hyele (attuale Velia-Ascea), cinque secoli prima di Cristo si poteva "scorgere una figura che non era persona, ma pensiero di un uomo" assorto nel "Poema sulla natura". Era Parmenide, sofista raffinato, che viveva i suoi giorni meditando circa l' ESSERE E IL NON ESSERE,dando inizio, come afferma Hegel, alla vera filosofia, "dove l'uomo si libera dalle rappresentazioni sensibili e dalle inquietudini".

La città posta alla foci dell'Alento, in uno scenario di paesaggio sereno - una collina ospitava il tempio di Minerva, figlia di Metis, protettrice e maestra di tutte quelle arti in cui l'intelligenza si contrapponeva la forza bruta; intorno alla città, altre alle poderose mura, era un fiorir di sacri ulivi portatori di quei succhi dorati che condivano pietanze di un antico ma già mediterraneo mangiare - crebbe e si espanse grazie ai commerci, ma soprattutto grazie la sua scuola filosofica, tra le più importanti del mondo greco.
I fondatori Focesi avevano portato dalla patria Focea in Asia Minore la lingua greca, lo stile di fare, i loro dèi cantati da Omero ed Esiodo, contrastati da Senofane da Colofonie, grande esule e giramondo, che di questa nuova città fu fautore di pensiero, di leggi e di governo. Scriveva: "uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza … tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente … senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero … sempre nell'identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qua e là".
Fu l'oracolo della Pizia che suggerì ai Focesi la fondazione di Elea alle foci del fiume Alento.
Per gli uomini di civiltà greca era impensabile partire per una fondazione coloniale senza responso oracolare. Il luogo era un promontorio sul mare: lì posero l'Acropoli, a guardia della quale vi erano le isolette di Pontia e Isacia, a pochi metri dall'estuario dell'Alento. Di fronte era il pelago dell'ampio golfo delle Sirene, quel mare antico di miti leggende, eroi. Qui, infatti, Leucosia cantava, e canta ancora, melodiosi miraggi ai naviganti e Virgilio lasciò che Palinuro, col sonno, consegnasse al mare il suo corpo e alla storia il suo ricordo.
Erodoto racconta che i Focesi acquistarono dagli Enotri un pezzo di terra tra Palinuro ed Acropoli. Il calendario pone la fondazione al 545 a. C., epoca della sessantesima olimpiade e inizio di una storia durata 1600 anni.

Qui era la filosofia che emoziona, quella che alimenta il pensiero, la filosofia che è scienza del fare. "La ragione, non l'occhio, vede il vero". Il "viaggio" della vita è inteso come cammino di conoscenze e di ri-conoscenze. Così Parmenide avanza tra le strade acciottolate, si ferma di fronte all'infinito mare della sua Elea e si domanda cosa è l'Essere. "... Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono le vie della ricerca che sole sono da pensare: l'una che "é" e che non è possibile che non sia, l'altra che "non é" e che è necessario che non sia ... Infatti lo stesso è pensare ed essere".
E incede Zenone, discepolo prediletto di Parmenide, che semplifica il pensiero del maestro con i suoi paradossi, quei logoi di Achille e la tartaruga o il chicco di grano che cadendo non fa rumore, mentre un sacco di grano fa rumore. Ecco la domanda: Come può una somma di silenzio dare origine ad un rumore?
Quindi la verità e non l'opinione, il ragionamento e non il riferimento ai dati della sensibilità.

Nelle calde sere di mezza estate, sull'ampia, sacra spianata della Stoà alta si eleva ancora la Voce di Parmenide e, come allora, sui discepoli di ogni tempo, scende il pensiero:"è, e non è possibile che non sia". Allora "anche le cose lontane, per mezzo della mente, diventano sicuramente vicine".



Cresce la città non solo per pensiero e per leggi ma anche per disegnato costrutto urbano. Sorgono ordinate addizioni di case, su terrazze servite da un'unica strada che conduceva diretta al porto ed altre di scambio. Sorge il teatro, il tempio a Minerva e, nella parte bassa, l'area porticata con le infinite botteghe pullulanti di quei tanti mercanti che da ogni parte del Mediterraneo giungevano nel suo porto per commerciare. Vengono allestite terme e mura a difesa, sulle quali si aprono Porta Arcaica, Porta Marina sud e la splendida Porta Rosa (nome dato dallo scopritore, nel 1964, Mario Napoli in omaggio alla moglie Rosa), con arco a tutto sesto, che ancora oggi resta uno degli più antiche esempi di tale architettura. Costruita in un punto molto stretto di una gola naturale, questa porta consentiva il passaggio dal quartiere meridionale a quello settentrionale della città.


L'idea del filosofo e del filosofare, riflettendo sulla figura di Socrate, il discepolo Platone delinea i tratti essenziali della figura del filosofo, che non vende le sue conoscenze come merci, al pari del sofista, né affida alla scrittura un presunto sapere immutabile, offerto a destinatari impersonali, di cui egli nulla sa. Il filosofo procede invece attraverso un'interrogazione incessante (ironia) - che produce effetti equiparabili alla scossa prodotta dalla torpedine di mare, porta i suoi interlocutori a liberarsi delle credenze erronee o dalla convinzione di essere possessori di sapere e fa loro partorire (metafora della levatrice - maieutica) il sapere che è occultato nelle loro anime. In tal modo egli libera se stesso gli altri dalle catene (mito della caverna) che legano al mondo sensibile, per indirizzare (seguendo il daimon interiore) alla ricerca della verità e del bene (il male è solo ignoranza).

Per Socrate l'uomo è caratterizzato dal daimon (demonio) per cui tende alla autodeterminazione.
Per Heidegger , invece, l'uomo dipende dall'ambiente (qui ed ora).

La violenza - la giustizia, il retore Gorgia (sofista) pratica la violenza "dolce" della parola che persuade, senza preoccuparsi della verità e bontà di quanto dice, ma facendo leva soltanto sulle emozioni degli ascoltatori che egli con la sua abilità oratoria sa portare nella direzione voluta. A convincere un malato ad affrontare una grave cura Gorgia si era dimostrato superiore a suo fratello, che pure era medico. In un crescendo di violenza anche nel modo in cui gli interlocutori rispondono via via alle domande di Socrate, si arriva alla posizione estrema di Callicle, discepolo di Gorgia, il quale finisce per esaltare un altro tipo di violenza, ancora più radicale, quella della tirannide del più forte che mira a soggiogare i più deboli e a prevaricare su di essi.

L'eros, durante un banchetto in cui i presenti intessono le lodi dell'amore sotto vari punti di vista, Socrate fa emergere nella figura di Eros, - demone indigente, figlio di povertà, e quindi pieno di desiderio di raggiungere ciò che non possiede, la bellezza; ma anche, in quanto figlio di Poros, dotato delle risorse per muoversi alla ricerca di essa, - i tratti decisivi della figura del filosofo come appunto amante del sapere (che soltanto la divinità possiede nella sua pienezza), è mosso dall'amore del sapere e quindi dal desiderio di raggiungerlo e dedica pertanto la sua vita a questa ricerca.

Il teatro - l'arte, dopo la lettura, da parte dell'aedo Ione, dei versi dell'Iliade che piangono la morte di Ettore, Platone fa pronunciare a Socrate un severo giudizio contro il teatro e la poesia epica, suscitatrici di passioni e quindi lontane dal controllo della ragione. La poesia ha la sua sorgente nell'ispirazione divina, ma proprio per questo non è in grado di rispondere alle domande che vertono sul suo contenuto. La poesia, il teatro, la pittura e in genere le arti fondate soltanto sull'imitazione della vera realtà e produttrici di immagini puramente apparenti, non possono pretendere, secondo Platone, di svolgere la funzione educatrice primaria nella città e pongono quindi il problema della loro compatibilità con una città ideale fondata sulla giustizia. Alla posizione platonica si oppone con forza Nietszche che accusa Socrate di aver ucciso la poesia tragica, che aveva il suo nucleo portante nella indistinguibile unione di parole e musica.



LA SAGGEZZA

Nobilissima virtù dianoetica, quale mezzo per un nuovo
"UMANESIMO"
Espone Eduardo, legge Maria Grazia

Eduardo
Per comprendere il nostro tempo - oltre alla ricerca dell'esistenza autentica (da authos = se stesso) - bisogna fare i conti con il significato della parola verità, il quale è mutato con il passare dei secoli e sembra oggi essere indefinibile.
I greci consideravano la verità come "essere nascosto" atto a svelare la phyisis. Con l'avvento della latinità cristiana (che sostituisce lo scenario greco) la Natura è ens creatum (creatura di Dio) pensata in antitesi alla sopranatura.

Questa Natura - in antitesi a ciò che pensavano i Naturalisti Greci, per i quali la physis è l'essere nel suo originale manifestarsi - lasciata a se stessa, attraverso le passioni, produce la rovina dell'uomo ed è proprio per questo necessario sottometterla.
Come il Cosmo (ORDINE), non è stato creato né da un Dio né dall'uomo, può essere a disposizione dell'uomo?

Con Platone abbiamo una deviazione del concetto di verità che non è più manifestazione ma si indirizza verso la ricerca della causa prima, da cui tutto dipende.
A questo punto la verità non è la manifestazione di ciò che non si nasconde ma è la corretta corrispondenza tra il mondo sensibile che si percepisce e l'idea corrispondente nell'Iperuranio dominato dall'Agathon (Sommo Bene).
Se la corrispondenza è giusta avremo la verità al contrario no.
Con Aristotele e S. Tommaso il concetto di verità continua a cambiare ed è inteso come perfetta corrispondenza tra l'intelletto e la cosa, cioè correttezza del giudicare umano. Questa trasformazione ha fatto sì che l'uomo si trovasse al centro dell'essere e ha ridotto lo stesso essere ad oggetto del suo dominio.

Per Heidegger la tecnica, che doveva essere parte del destino della verità come manifestazione, è dimenticata perché su di essa prevale la provocazione della Tecnica della Natura determinata dal dominio della stessa natura, dal suo assoggettamento in cui la terra diviene materia prima e l'uomo materia prima più importante in quanto è impiegato nell'apparato tecnico.

A questa concezione si è giunti a partire dall'età moderna con Cartesio che da una nuova interpretazione della verità non più corrispondenza tra intelletto e cosa ma come sintesi dell'ideazione matematica, la certude, che il cogito anticipa. Cartesio, infatti, è l'anticipatore della scienza moderna dove l'uomo, definendosi soggetto attraverso le anticipazioni matematiche, svolge il ruolo di presentazione dell'ente che, prima della rappresentazione platonica, era svolto dall'essere.
In questo caso il pensiero umano si svolge in calcolo e l'essere in deposito su cui si esercitano i calcoli.


Maria Grazia UNA PAG
Eduardo
Questo cambiamento della concezione di verità, il passaggio dall'essere all'umano calcolare, diventa esplicito nella rivoluzione copernicana di Kant il quale afferma che la ragione non si deve mostrare alla natura come scolara ma come giudice (vedi Antonio) e interrogare i testimoni costringendoli a rispondere alle domande che ad essi si rivolgono.
La scienza moderna per la sua progettazione dell'ente e della tecnica, in sintonia per Heidegger con la metafisica dell'Occidente, ha separato l'ente dal suo naturale fondamento l'essere affidandolo prima al superente, che la speculazione medievale ha chiamato Dio, e poi a quell'ente soggetto o uomo, che ha ridotto la totalità dell'ente a sua rappresentazione divenendo rappresentante dell'ente risolto in oggetto.
Per Heidegger dimenticare l'essere e promuovere l'ente è nichilismo(assenza di valori e nullità del vivere, esistenza priva di senso).

Il primo a denunciare il nichilismo dell'Occidente è Nietzsche. Heidegger ritiene inoltre che non basta smascherare la futilità dei valori derivanti dalla deviazione platonica: "Dio è morto", ma occorre smascherare anche l'infondatezza della volontà di sopraffazione dell'ente sull'essere tipica della cultura occidentale.
Eppure in quest'epoca dominata dal nichilismo la verità non scompare ma si trattiene nel suo nascondimento come legge nascosta della terra. Hidegger, infatti, ritiene che pur se la tecnica raggiunga altissimi livelli essa non può rendere possibile l'impossibile dunque la verità non può essere colta e si cade nell'errore che non è falsità ma produttore degli enti, che sono la dimenticanza dell'essere.

Dal XVII secolo, dopo la crisi del sistema aristotelico (o "universali medioevali"), da Galileo Galilei in poi, nel mondo occidentale l'uomo viene sempre di più superato dall'interesse verso l'oggetto dettato dalla logica scientifica mentre, nel mondo orientale, l'umano, portato all'esasperazione, arriva agli eccessi sfociando negli integralismi e fondamentalismi religiosi. Nel primo caso l'uomo è sempre meno presente, privo di personalità, è un vero "animale razionale" che finisce per perdere il controllo della sua stessa conoscenza, come Internet, e trasforma il mezzo in fine, il sapere non è più unitario ma diviso in specializzazione ( compartimenti autonomi in cui si tende alla pura oggettività - la cultura americana fortemente specializzata si accorge che i suoi esperti mancano di qualsiasi educazione umanistica sono impersonali, automi). Ciò comporta ad un certo interessamento degli occidentali vero l'Oriente come le medicine alternative.
Quindi entrambe le culture esprimono due eccessi differenti la cui integrazione è necessaria grazie ai loro valori positivi, affermando in qualche modo il giusto mezzo aristotelico che rende lo Stagirita ancora più attuale.

Il razionalismo occidentale ha mirato sempre alla conoscenza dell'oggetto raggiungendo alti livelli specialistici ma ha necessariamente perso l'umano che deve essere rivalutato perché la tecnologia, capacità di riprodurre dopo la scoperta i meccanismi naturali, può permetterci di costruire una nave immensa (tecnica e razionalità) ma nonostante ciò, le onde saranno sempre in grado di muoverla e farle cambiare direzione. Però se la leghiamo ad una cima (l'umano) anche piccola la direzione sarà la stessa.

Come Aristotele piegò al metodo logico l'intera conoscenza - per poterla utilizzare e governare, pur sacrificando la sperimentazione del resto allora molto immatura: la filosofia è attiva perché diretta e costruita dall'uomo, la biologia, ad esempio, è passiva in quanto solo scoperta - così oggi l'uomo deve rimettersi in cammino mediando nella giusta proporzione la necessità scientifica con quella etica. La scienza non può, come purtroppo accade, oggettivare tutto, anche la vita(clonazione, manipolazione genetica), ma deve porsi un limite etico che rappresenti l'ATTRACCO umano, alimentando addirittura dei tabù (una sorta di dogma), ad esempio, i tabù della guerra, dell'incesto, ecc.: non si fa e basta.
Maria Grazia UNA PAG
Eduardo
Con la rivalutazione di Aristotele ci auspichiamo che l'oggetto-strumento sia sottomesso al soggetto-uomo e non viceversa; ciò comporta una ripresa dei valori e dei punti di riferimento, quei paletti indispensabili per la ricerca della causa prima e quella finale; quella stessa causa, che in modo assoluto e certo, ci riconduce al bisogno dell'autenticità, che secondo Heidegger non può essere raggiunto mediante il calcolo occidentale poiché esso non offre alcuna salvezza a differenza del pensiero: non è inquietante che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica ma è profondamente inquietante che l'uomo non sia preparato a ciò.

SAGGEZZA E POLITICA QUELLA FRATTURA TRA L' ANTICO E IL MODERNO.
La nostra civiltà presenta drammaticamente un ordine scientifico completamente indipendente dai valori etici ed esistenziali, ciò preclude l'affermarsi di una saggezza, di un sapere, di una coscienza non legati agli oggetti del conoscere ma alla vita nel suo vissuto quotidiano, nel modo di vivere, di esistere.
Nel mondo antico con saggio e saggezza (sophos e sophia) si indicavano sia l'abilità tecnica che l'eccellenza nell'arte, nella filosofia, nella poesia, che alludono ad una competenza o all'insegnamento di un maestro, depositario di una lunga esperienza grazie ad una divina ispirazione - Atena ispira l'arte del costruire al carpentiere, le Muse suggeriscono parole e musica a poeta - infatti, costante della dottrina dell'antica saggezza, essa è a totale appannaggio degli dèi, il segno della distanza che separa gli dèi dagli uomini.
I termini sophos e sophia si applicavano anche per la competenza politica.
I Sette Savi, figure storiche del VII e VI secolo a. C., divenute leggendarie, possiedono contemporaneamente la competenza tecnica e politica.
Sono legislatori ed educatori, come Solone.
Sono attribuite alla loro saggezza le massime visibili a Delfi - "Conosci te stesso", "Nulla di troppo", "Riconosci il momento favorevole", "La misura è la cosa migliore", "L'esercizio è tutto" - destinate a rendere gli uomini consapevoli dell'inferiorità del loro sapere rispetto agli dèi, dunque saggi - il più sapiente è colui che, come Socrate, si sia reso conto di "sapere di non sapere".
Maria Grazia UNA PAG
Eduardo:


Felicità o libertà?

La felicità è un'aspirazione antica come l'uomo che ha impegnato innumerevoli pensatori ed artisti, ma essa può entrare in conflitto con le libertà fondamentali?

Per Nietzsche, la felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa.

La Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America del 4 luglio 1776
figlia di quella terra, uno sterminato territorio da riempire,
e di quel tempo, l'ottimista Settecento illuminista caratterizzato, insieme ad altri grandi temi, dalla ricerca della felicità dal punto di vista morale e politico
inizia:
Esistono verità "per se stesse evidenti": che tutti gli uomini sono creati uguali e che sono dal Creatore dotati di alcuni inalienabili diritti. Tra questi, oltre alla vita e alla libertà, c'è la ricerca della felicità
(pursuit of happiness).

Nell'Ottocento, invece, si afferma che il diritto "americano" di cercare la felicità, come meta della vita individuale e collettiva, è in realtà la condanna all'infelicità date le inquietudini e le aspirazioni mai stabilmente soddisfatte per l'individuo o le forze distruttive, operanti su larga scala, per le società.


Maria Grazia DUE PAG
Eduardo, conscio che Dalla vita non se ne esce vivi,
espone il Sommario di
Gemme di Saggezza
Massime e aforismi, e … a Napoli
- Vocabolarietto
- la favola: "CHE SIGNIFICA ESSERE POVERI"

Maria Grazia, con tanta pazienza, OTTO PAG
Con amicizia a tutti gli amici dell'UNI3 di Pompei, Eduardo


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