Eduardo Ambrosio


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5- La Rivoluzione napoletanea del 1799

UNIVERSITA' > LEZIONI SVOLTE IN ANNI PRECEDENTI > LE COSTITUZIONI

LA RIVOLUZIONE NAPOLETANA del 1799

Nel grande progetto utopico civile della Storia che si traduce nella formula "critica di ciò che è e progetto di cosa deve essere", la Rivoluzione Napoletana (o PARTENOPEA) del 1799 rappresenta senz'altro un momento forte e dirompente per la storia del Mezzogiorno anche se la conclusione fu amara: la drammatica fine non permise il passaggio dal vecchio al nuovo e la condizione di arretratezza si prolungò pari pari fino all'Unità. Lo Stato unitario, poi, pur riconoscendo le problematiche della "Questione meridionale" non è stato capace di risolverla nemmeno in minima parte. Oggi possiamo affermare che QUEI MORTI PESANO ANCORA: il feudalesimo impera tuttora ed è visibile nella MENTALITA' DELEGANTE, nell'assenza di una classe imprenditrice, il politico resta ancora l'esclusivo punto di riferimento, ecc.

Il problema delle terre, in seguito alla forte carestia del 1764 si dibatte sulla ridistribuzione della proprietà. Sulla necessità di una diffusa istruzione tecnico-agronomica, sulla ristrutturazione globale della società abolendo la feudalità.

17 GENNAIO. La città è in preda all'anarchia. IL popolo riconosce come suoi capi Michele Marino (detto O' Pazzo) e Giuseppe Piaggio. 19 GENNAIO. I giacobini penetrano in Castel Sant'Elmo. 21 GENNAIO. Proclamazione della Repubblica.
1 GIUGNO. Mejan firma la capitolazione. Secondo i patti i combattenti repubblicani usciranno con l'onore delle armi e verranno imbarcati per essere esiliati in Francia.

PROGETTO DI COSTITUZIONE Gran passi aveva già dati l'America in questa, diremo, nuova scienza, formando le Costituzioni de' suoi liberi Stati.
La più egregia cosa, che si ritrova nelle moderne Costituzioni, è la dichiarazione de' dritti dell'Uomo: la Costituzione Francese. L'uguaglianza è un rapporto, e i dritti sono facoltà per la Legge di natura. Da tal rapporto d'uguaglianza di natura, deriva l'esistenza, e l'uguaglianza de' dritti: essendo gli Uomini simili, e però uguali tra loro, hanno le medesime facoltà fisiche, e morali: e l'uno ha tanta ragione di valersi delle sue naturali forze, quanto l'altro suo simile. Donde segue, che le naturali facoltà indefinite per natura, debbano essere preferite per ragione. Ecco dunque come dalla somiglianza ed eguaglianza della natura scaturiscono i dritti tutti dell'Uomo, e l'uguaglianza di tali dritti.

La libertà è la facoltà dell'Uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche, come gli piace, colla sola limitazione di non impedire agli altri di far lo stesso.

Da quel primo fonte di tutti i dritti deriva altresì quello della proprietà.

Ma i dritti non garantiti dalla forza sono come disegni senza esecuzione, come delle idee non realizzate.
Come dunque segnare quel giusto punto tra la passiva pazienza, fase del dispotismo, e l'anarchica insorgenza?

La Costituzione.
La ripartizione, ed armonica corrispondenza de' poteri nella Costituzione Francese eccellentemente fu stabilita; onde abbiamo esattamente camminato per le sue tracce, eccetto poche mutazioni. Ci arresteremo soltanto su di quelle che meritano maggiore attenzione, e passeremo le più leggiere, che si possono ravvisare nella stessa lettura.

Ci è sembrato necessario di lasciar sussistere le due partizioni del Corpo Legislativo; checché si sia detto, e si possa pur dire in contrario. Un tale stabilimento fuor di ogni dubbio arresta la naturale rapidità del Corpo Legislativo, e dà la necessaria maturità alle Leggi, delle quali la moltiplicazione e la precipitanza inviluppa e sconvolge la Repubblica.

Per sì fatte considerazioni nel nostro progetto di Costituzione un Senato di cinquanta Membri prepara la Legge, e la propone, e l'Assemblea, e il Consiglio di centoventi Membri fa le veci de' Comizj, e delle Agore delle antiche Repubbliche, con tanto maggior vantaggio, che mentre conserva la generalità della discussione, va pur esente dai tumulti e dalla confusione, che di necessità porta con se numerosa, ed inquieta popolare Assemblea.
Nel Potere Giudiziario un Tribunale Civile diviso in quattro Sezioni di cinque Giudici l'una, abbiamo stabilito, che si porti l'appello dall'una all'altra Sezione. Per tal modo si assicura la giustizia, né vengono disagiati i litiganti. Il Tribunale Criminale ha ricevuta eziandio una leggiera modificazione.
Ad imitazione delle antiche Repubbliche abbiamo richiamata la censura alle sue nobili funzioni di emendare i costumi, correggendo i vizi. Perciocché si è stabilito un Collegio di Censori da crearsi in ogni anno in ciascuno Cantone coll'incarico d'imporre le pene della privazione del diritto attivo, o passivo de' Cittadini a coloro, che non vivessero democraticamente.
Questi, che possiamo chiamare i Sacerdoti della Patria, verranno eletti tra le persone le più savie, e le più probe del Cantone, e dell'età assai matura di anni 50, nella quale è spento l'ardore delle passioni, ma non è mancata l'energia necessaria a stendere la mano ardita per curare le piaghe della Repubblica.
La censura più che spegnere il male, lo deve prevenire. Fondare i buoni costumi è il metodo più proprio per estirpare i corrotti. Quindi ella deve vegliare sulla privata, e pubblica educazione. La pubblica morale, tanto coltivata dagli antichi, quanto negletta dai moderni, le Istituzioni Repubblicane esser debbono il principale oggetto delle sue cure.

I principi delle Leggi tutte, e particolarmente di quelle che riguardano l'educazione, convien che formino parte integrale della Costituzione. Ella deve contenere i germi dell'intera Legislazione, e deve rassomigliare il tronco dell'albero, da cui sbucciano i rami, che sono segnati nei suoi modi.
La Libertà non è minacciata soltanto dalle usurpazioni dei Poteri costituiti, ma benanche dai privati Cittadini, e dalla pubblica corruzione..
La Costituzione pertanto deve innalzare un argine altissimo contro la corruzione dei costumi non meno, che contro l'eccessivo potere de' Funzionarj. Ciò, che non si può altrimenti conseguire, che per mezzo dell'educazione, e delle Istituzioni Repubblicane.

L'Uguaglianza politica non deve far sì, che venga promosso all'esercizio delle pubbliche funzioni colui, che non ne ha i talenti per adempirle.
Il dritto passivo di ogni Cittadino è, secondo la nostra veduta, ipotetico, vale a dire che ogni Cittadino, posto che si renda abile, acquista il diritto alle pubbliche cariche. Un tal dritto si risolve nella facoltà di acquistare il dritto di eligibilità. Quindi la Legge deve definire le qualità morali del Cittadino, che può essere eletto. Primieramente portiamo opinione, che qualsiasi Cittadino non possa esercitare il dritto di eleggere, se non abbia servito almeno nella Milizia Sedentaria, che abbia apprese le prime lettere e '1 Catechismo Repubblicano.

Il Potere Esecutivo deve dar conto solo al Corpo di Rappresentanti del Popolo, che sia come un Tribunale Supremo, il quale tenga in mano la bilancia de' Poteri e li rinchiuda ne' loro giusti confini: che abbia in somma la custodia della Costituzione, e della Libertà.

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI E DOVERI
DELL'UOMO, DEL CITTADINO, DEL POPOLO, DE' SUOI RAPPRESENTANTI.

L'immobile base di ogni libera Costituzione è la dichiarazione de' dritti, e doveri dell'Uomo, del Cittadino, e quindi del Popolo. Perciocché il principale oggetto d'ogni regolare Costituzione dev'essere di garantire si fatti dritti, e di prescrivere tali sacri doveri. Perciò la Provvisoria Rappresentanza della Repubblica Napoletana alla presenza dell'Essere Supremo, e sotto la sua garanzia, proclama i dritti, e i doveri dell'Uomo, del Cittadino, del Popolo:
Diritti dell'Uomo
1. Tutti gli uomini sono eguali, e in conseguenza tutti gli uomini hanno diritti eguali. Quindi la Legge, nelle pene e nei premi, senza altra distinzione che delle qualità morali, gli deve egualmente considerare.
2. Ogni uomo ha diritto di conservare, e migliorare il suo essere, e perciò tutte le sue facoltà fisiche, e morali.
3. Ogni uomo ha diritto di esercitare tutte le sue facoltà fisiche, e morali, come più gli attalenta colla sola limitazione, che non impedisca agli altri di far lo stesso, e che non disorganizzi il corpo politico, cui appartiene.
4. La Libertà di opinare è un diritto dell'uomo. La principale delle sue facoltà è la ragionatrice. Quindi ha il diritto di svilupparla in tutte le possibili forme; e però di nutrire tutte le opinioni, che gli sembrano vere.
5. La libertà delle volizioni è la conseguenza del libero dritto di opinare. La sola limitazione della volontà sono le regole del vero, che prescrive la ragione.
6. I1 sesto diritto dell'uomo è la facoltà di adoperare l'azione del suo corpo secondo i suoi bisogni, purché non impedisca agli altri di far lo stesso.
7. Quindi deriva il diritto di estrinsecare colle parole, cogli scritti, ed in qualunque maniera le sue opinioni, e volizioni, purché non si turbino i dritti degli altri, e quelli del corpo sociale.
8. Nasce benanche dal sesto diritto quello della proprietà. L'uomo, che impiega le sue facoltà nella terra, la rende propria. Perciocché il prodotto delle facoltà è così proprio di ciascuno, come le facoltà medesime.
9. La resistenza a colui, che impedisce il libero esercizio delle proprie facoltà è un dritto dell'uomo. Senza di questa è precario ogni altro diritto.
Diritti del Cittadino
10. Ogni Cittadino ha il diritto di essere garantito dalla pubblica forza in tutti i suoi diritti naturali, e civili.
11. Ogni Cittadino dev'essere premiato, o punito, a proporzione de' meriti, e de' delitti, senza distinzione alcuna di persone.
12. Ogni Cittadino ha il diritto di eleggere, e di essere eletto pubblico Funzionario, purché abbia le qualità morali richieste dalla Legge.
Diritti del popolo
13. Il fondamentale diritto del Popolo è quello di stabilirsi una libera Costituzione, cioè di prescriversi le regole, colle quali vuol vivere in corpo politico.
14. Quindi deriva il diritto di potersi cangiare, quando lo stimi a proposito, la forma del Governo, purché si dia una libera Costituzione: poiché niuno ha il diritto di fare ciò che gli nuoce. La Sovranità è un diritto inalienabile del Popolo, e perciò o da per sé, o per mezzo de' suoi Rappresentanti può farsi delle Leggi conformi alla Costituzione, che si ha stabilita, e può farle eseguire, da che senza l'esecuzione le Leggi rimangono nulle.
15. Il Popolo ha il diritto di far la guerra. Questo diritto scaturisce da quello della resistenza, ch'è il baloardo di tutti i diritti.
16. Ha il diritto d'imporre le contribuzioni necessarie alle pubbliche spese. Gli uomini, unendosi in società, siccome hanno ceduto l'esercizio delle loro forze fisiche per la conservazione della medesima, così hanno ipotecata quella parte de' loro beni, che sia necessaria al mantenimento dell'ordine, che la fa sussistere.
Doveri dell'Uomo
17. Il fondamentale dovere dell'uomo è di rispettare i diritti degli altri. L'uguaglianza importa, che tanto valgono i nostri, quanto i dritti degli altri.

18. Ogni uomo deve soccorrere gli altri uomini, e sforzarsi di conservare e migliorare l'essere de' suoi simili; perciocché per la somiglianza di natura ciascun uomo dev'essere affetto verso gli altri, come verso se stesso.
19. Quindi è sacro dovere dell'uomo di alimentare i bisognosi.

20. È obbligato ogni uomo d'illuminare, e d'istruire gli altri.
Doveri del Cittadino: la volontà generale, o legge, deve dirigere le volontà individuali.
21. Ogni Cittadino deve ubbidire alle leggi emanate dalla volontà generale, o da' legittimi Rappresentanti del popolo.
22. Ogni Cittadino deve ubbidire alle autorità costituite dal popolo.
23. Ogni Cittadino deve conferire colle opere, e colle contribuzioni al mantenimento dell'ordine sociale.
E perciò ogni Cittadino dev'essere militare.
24. Ogni Cittadino deve denunziare alle autorità costituite i tentativi degli scellerati contro la pubblica sicurezza, e proporre le accuse de' delitti commessi innanzi ai Magistrati competenti.
Doveri de' pubblici Funzionarj
25. I pubblici Funzionarj debbono garantire ogni Cittadino contro l'interna, ed esterna violenza.
26. Ogni pubblico Funzionario deve consecrare sé, i suoi talenti, la sua fortuna, e la sua vita per la conservazione e per lo vantaggio della Repubblica.
LEGGE ANTIFEUDALE DEL 25 APRILE 1799.
CONSIDERAZIONI SUL DIBATTITO AL CONSIGLIO LEGISLATIVO DELLA RIVOLUZIONE NAPOLETANA

"Il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare: "questo è mio", e trovò persone abbastanza semplici per crederlo, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, omicidi, quante miserie ed orrori non avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pivoli e colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: "Guardatevi dall'ascoltare questo impostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti, e che la terra non è di nessuno!" (J.J. Rousseau, Discorso sull'origine della disuguaglianza).

Nel Nord d'Italia situazione dell'agricoltura migliore - novali (terre a riposo), rotaggio, tecniche agricole nuove, bonifica. Nel Meridione agricoltura arretrata, legata al sistema feudale: il problema più urgente da risolvere era proprio l'eliminazione del sistema feudale.
La lotta antifeudale, per gli illuministi non consisteva nell'eliminare l'istituto della proprietà, ma nel confiscare le terre baronali e nel mutare la distribuzione fondiaria.


V. Cuoco, storiografo napoletano, nel suo Saggio storico sulla Rivoluzione napoletana del 1799, dice che le masse contadine parteciparono o superficialmente o furono ostili ai patrioti, perché coinvolte in una rivoluzione che non era stata iniziata da loro, ma quasi imposta dall'esterno da pochi intellettuali e patrioti; perciò il Cuoco parla di rivoluzione passiva.

Tra gli uomini che daranno vita dal gennaio fino al giugno 1799 alla Repubblica, ricordiamo: Mario Pagano, ispiratore ideale e politico del movimento; Eleonora De Fonseca Pimentel, che diresse una rivista giacobina (il Monitore napoletano), interessata al programma di riforma fondiaria; Vincenzo Russo, rappresentante delle tendenze radicali e, tra gli altri giacobini, ricordiamo il Cestari e Cesare Parabelli.
La legge antifeudale del 25 aprile prevedeva l'abolizione dei privilegi baronali, lasciando ai baroni alcune terre già in loro possesso, attribuendo ai Comuni soltanto i demanî feudali, cioè quelle parti del feudo, come boschi e pascoli di cui facevano uso comune le popolazioni.

Il momento cruciale della rivoluzione ruota intorno al dibattito fra i suoi artefici sull'abolizione del sistema feudale.
… era ferma intenzione del Governo che nessun cittadino "soffrisse più un vergognoso giogo figlio dell'usurpazione, né i posteri dei feudatari rimanessero esposti ad una tale indigenza".
La Pimentel fa un'importante riflessione, sostenendo che "la servitù dei terreni è stata un'implicita conseguenza della servitù della Nazione".

Su questo problema rifletté anche il rappresentante Cestari, del cui discorso la Pimentel riportò alcune parti nel suo giornale: "Governo feudale e governo monarchico, qual fu il passato che ci oppresse, non differiscono che nel nome [...] Gli uomini non saranno giammai repubblicani, se non quando saranno distrutte le servitù di qualunque genere e siano restituite le proprietà a quello stato in cui erano prima che il feudo esistesse".

La Pimentel sintetizzò in 3 punti i pareri emersi nel corso del dibattito al Consiglio legislativo circa l'approvazione della legge antifeudale, nell'articolo sopracitato della sua rivista:
1) alla Nazione si deve sempre un compenso;
2) i baroni che non sono riusciti a dimostrare il loro titolo, devono essere spogliati di quel titolo;
3) provare quel titolo avrebbe condotto in liti complicate e dispendiose.




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