Eduardo Ambrosio


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DIETE MEDITERRANEE (storia)

STORIA

LE DIETE MEDITERRANEE NELLA STORIA
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UN PRIMATO DELLA CAMPANIA

La biodiversità campana, e ciò che ne deriva in campo alimentare, in particolare quella del Napoletano, è forse l'unica al mondo a vantare testimonianza molto antiche: radici nel mondo greco, ad esempio, le offerte votive ritrovate a Paestum; ma sono gli affreschi e i reperti rinvenuti nelle aree archeologiche vesuviane, così accurati nell'illustrazione a fornirci vere e proprie "diete". Uno straordinario numero di fonti greco-romane testimoniano una ricchezza di varietà. La "Dieta mediterranea", quindi, ha avuto la sua culla nel mondo greco e romano.


IL MONDO GRECO ROMANO

Nell'antica Grecia l'agricoltura e la pastorizia favorirono la nascita e lo sviluppo dalla civiltà greca: in particolare la coltura dei cereali e dei legumi, specie caratterizzate da un ciclo vegetativo annuale e dalla possibilità di conservare a lungo i prodotti, e l'allevamento ovi-caprino, fonte primaria di lana e di latte per la produzione di formaggi freschi e stagionati. Altrettanto importante era la coltura della vite e dell'olivo, per molteplici e diversissimi usi che vino ed olio avevano nella vita quotidiana e quella dei fiche che, essiccati, diventano una importante fonte di energia per i mesi invernali.
In Magna Grecia la vite, che i greci introdussero nel Sud Italia attraverso il Metapontino, fu, insieme all'olivo, ai legumi ed ai cereali, alla base dell'alimentazione degli abitanti delle nuove colonie: la loro coltura era così importante da regolamentata con leggi molte severe. L'alimentazione si completava con il consumo di prodotti ittici, di carni ovine e suine, soprattutto nelle contrade dell'interno, di diverse qualità di formaggi, di verdure sia coltivate che raccolte nei campi e anche di dolci. Il cetriolo era particolarmente apprezzato: veniva consumato crudo o si accompagnava con formaggio e olive oppure affettato, si conservava per l'inverno immerso in salamoia o lasciandolo seccare al sole.
Il mondo Romano, con il passaggio dal periodo arcaico a quello imperiale, conobbe una grande evoluzione sia in termini tecnici che colturali, questi ultimi caratterizzati soprattutto dell'introduzione di nuove specie e qualità.
L'antica Pompei dove gli affreschi e i reperti confermano quanto scritto dagli Autori classici.
Nel periodo arcaico e poi repubblicano l'alimentazione non era molto dissimile da quella delle colonie greche: ci fu un incremento nelle varietà, ma l'esigenza maggiore rimaneva quella di avere prodotti facilmente conservabili e frutti che richiedessero poca coltura. Il prodotto forse più noto e diffuso era il garum, un condimento ottenuto facendo fermentare le parti di scarto del pesce azzurro con il sale. Successivamente l'estensione dell'Impero portò ad un notevole incremento di nuove specie provenienti dalle province che via via venivano conquistate come il pesco, l'albicocco, il melone. Il diffondersi del "grano tenero" favorì processi di lievitazione del pane dei dolci e il diffondersi delle panetterie, divenne sempre più comune la pratica della coltura in serra, e quella della selezione degli ortaggi, come ad esempio quella degli asparagi e il diffondersi del vetro a stampo rivoluzionò il modo di conservare frutta e verdura. La cucina frugale degli avi viene pian piano sostituta, soprattutto presso i ceti sociali più alti, da ricette sempre più elaborate, in cui venivano anche ingredienti esotici, e presentate in tavola con spettacolari artifici. A parte il famoso ricettario di Aspicio, l'esempio letterario più compiuto in tal senso rimane la descrizione della "cena di Trimalcione" fatta da Petronio Arbitro nel Satiricon.


DAL MEDIOEVO ALLA SCOPERTA DELL'AMERICA

Le testimonianza storiche, letterarie o iconografiche relative a questo arco di tempo sono piuttosto scarse: per quanto concerne il Medio Evo sono i dettami della Scuola medica Salernitana a lasciare intravedere quali erano le culture più comuni (come, ad esempio, quella araba), seppure mediate dall'uso dei loro prodotti in medicina.
Alla Corte Angioina. Napoli tornò ad essere capitale del regno: fu proprio alla corte di Carlo II d' Angiò che un cuoco rimasto anonimo introdusse alcune ricette "straniere", come quelle di altre città italiane e poi francesi, tedesche e spagnole usandole insieme a quelle locali, trascrisse in un manoscritto, il liber de angioino, che rimane in assoluto il primo ricettario italiano "moderno" e quello più cosmopolita.
Alla Corte Aragonese, qualche decennio dopo, ebbero fortuna altri testi di cucina, di cui uno attribuito a Ruperto da Nola, forse vissuto alla corte di Ferrante D'Aragona, e altri due anonimi, in cui venivano introdotte ricette più marcatamente spagnole, come la "podrida", zuppa di verdure, legumi e carni, da cui sarebbe derivato il "pignato maritato" Così come per gli Angioini, la cucina aragonese sembra essere per la complessità delle ricette, per il numero degli ingredienti e artifici nel presentare le pietanza ancora in continuità con la Roma Imperiale, seppure successivamente contaminata dal rapporto con Bisanzio e con il mondo arabo. Rimaneva frugale se non di sopravvivenza la cucina delle classi popolari più basse.
La scoperta dell'America Dal Nuovo Mondo arrivano nuovi prodotti, primi fra tutti: patate e pomodori, ma anche arachidi, tabacco, ecc.


TRA '500 E '600

La ricchezza degli orti. Non essendo ancora a pasta prodotta industrialmente, e quindi a basso prezzo, ed essendo scarsissimo l'uso di carni, l'alimentazione del tempo era basata soprattutto sull'uso di legumi e verdure, da cui il soprannome di "mangia foglie" dato ai Napoletani del tempo. Le nuove specie introdotte dell'America erano viste come curiosità scientifica e non essendo loro riconosciuta loro alcuna valenza alimentare, non venivano raffigurate nelle nature morte di moda in quel periodo. Sorprende, tuttavia, nelle descrizioni di G.B. Del Tufo, la grande varietà di ortaggi che giungevano giornalmente nei mercati cittadini dalle campagne del circondario, i broccoli, le cicorie, le scarole, i cavoli, i carciofi, le zucche in numerosissime varietà. Ad esempio, la sola insalata mista servita nelle tavole comprendeva ben dodici diverse erbe!

I mercati cittadini erano traboccanti di merci, molto frequentate le numerose taverne

La vita culturale: la cultura scientifica e il museo di Ferrante Imperato.
Napoli in questo periodo era una città ricca di fermenti culturali, soprattutto nel campo delle Scienze Naturali che annoverava personalità quali quelle di F. Colonna e G. B. Della Porta: in questo particolare clima si formò Ferrante Imperato, che abilitato ad esercitare l'arte dello speziale - l'attuale farmacista - aprì una bottega nella zona di Santa Chiara, dove aveva la sua abitazione, e presso la quale allestì anche un orto pensile e un "teatro di natura". In essi raccolse piante, animali e minerali provenienti dall'Europa, dall'Oriente, e dalle Americhe da poco esplorate: le spedizioni verso il Nuovo Mondo furono infatti promosse dalla Spagna ed il Viceré del tempo fu ben felice di incrementare le collezioni dell'Imperato con le nuove specie importate. La fama del "teatro della natura" divenne tale, che esso divenne motivo di specifico viaggio per i contemporanei: primo museo naturalistico del mondo, costituisce un primato per la cultura napoletana.

Napoli, capitale del Viceregno Spagnolo, ampliata e rinnovata nelle architetture e nelle arti figurative, diventa meta di visitatori stranieri: ad essa nel i589 dedica un guida in versi G. B. Del Tufo dal titolo "ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli" in cui vengono descritte le ricchezza ambientali e culturale di Napoli ed il suo territorio, le tradizioni dei suoi abitanti e le prelibatezze della sua cucina.
I frutti. Non meno sorprendente è la grandissima varietà di frutti, molte delle quali oggi purtroppo perse. Del Tufo ricorda tra i tanti le ciliegie del Vesuvio, la pera bergamotta e quelle moscarella, il fico gentile e il bergamotto, l'uva cornicella, le lazzeruole e le corniole, la pesca spaccarella, i melloni del Capuano e pecoche di Terra di Lavoro. Le carni molto varie anche nei tagli, molto diffusa quelli di volatili catturati con le reti.
I prodotti ittici numerosissimi e descritti nella coeva "Canzone del Guarracino".

Nella suggestiva cornice di Via Santa Chiara, nel cuore del centro storico napoletano, dal 23 al 26 Maggio 2013, avrà luogo il "Festival della Dieta Mediterranea in tour 2013 - Mercato del '600 Napoletano", il Festival che animerà un racconto del tutto particolare della Dieta Mediterranea.
Via Santa Chiara, con la Chiesa di san Francesco delle Monache, saranno il palcoscenico naturale per quattro giorni di incontri tra eventi , cultura e spettacolo, artigiani e artisti, cibo e produttori, latte e formaggi in una rappresentazione storica in cui il palcoscenico è la strada.
Nelle Sale della Chiesa, curata dall'Associazione "Oltre il Giardino", sarà inaugurata la Mostra sulla Storia dell'Alimentazione mediterranea.
Nello stesso luogo, in strada e nei locali de la Taverna a Santa Chiara si vivranno quattro giornate di esaltazione del gusto con cucina di strada, cene storiche con accompagnamenti teatrali e musicali, menù dedicati alla cultura enogastronomica del territorio.
In Via Santa Chiara, per quattro giorni i visitatori varcheranno una immaginaria porta del tempo, si troveranno immersi in un Mercato napoletano seicentesco animato da strutture che riproducono fedelmente quelle dell'epoca, e attraverseranno spazi dove le presenze in costume saranno tantissime: nobili e popolani, curati e armigeri, scugnizzi e contadini, artigiani e giocolieri, e dove potranno fare incontri impossibili, magari passeggiando potranno riconoscere Caravaggio o Giordano Bruno e altri personaggi storici, o personaggi delle Fiabe ovvero del Cunto de li Cunti e di altre narrazioni del '500 e del '600 napoletano.
E vivendo queste emozioni, si avvicineranno all'emozione ancora più grande: poter scegliere dalle bancarelle del Mercato il meglio dell'artigianato artistico erede di antichi mestieri, dei formaggi da latte di animali da pascolo e dei prodotti di eccellenza del territorio, veri protagonisti della Dieta mediterranea.



TRA '700 E '800

I mercati napoletani nella descrizione di W. Goethe
"
A Santa Lucia le varie qualità di pesci -gamberi, ostriche, cannolicchi, piccoli crostacei - vengono presentate di solito ciascuna in una bella cesta pulita e su uno strato di foglie verdi. Le botteghe di frutta secca e di legumi sono decorate con fantasiosa varietà distese d'arance e di limoni di tutte le specie, con le verdi fronde che sporgono piacevolmente frammezzo. … Sui banchi dei beccai i quarti di bue , di vitello, di castrato non sono mai esposti senza abbondanti dorature, sia sulle parti grasse, sia sul fianco della coscia. Quanto ai cibi a base di farina e di latte, la gente di qui, preferendo evitare complicazioni e non avendo cucine bene attrezzate, ricorre a due risorse: anzitutto i maccheroni, specie di pasta cotta di farina sottile, morbida e ben lavorata, che viene forgiata in diverse forme; dappertutto se ne può acquistare d'ogni genere per pochi soldi:si cuociono di solito in semplice acqua e il formaggio grattugiato unge il piatto e nello stesso tempo lo condisce. A quasi tutti gli angoli delle maggiori vie stanno i friggitori con le padelle piene di olio bollente, pronti a preparare su due piedi, specie nei giorni di magro, pesci fritti e frittelle a seconda della richiesta dei passanti".

La diffusione alimentare della piante del Nuovo mondo: prima fra tutte è quella del pomodoro con caffè e cacao, ed il peperoncino sostituì il pepe per il blocco navale francese.

La cucina aristocratica e popolare di Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino , che nel 1837 pubblicò la prima edizione de "La cucina teorico-pratica" destinata a nobili e borghesi, ricco di annotazioni relative ai pranzi di gala, in cui il tocco di internazionalità era dato dalle numerose ricette straniere, dai diversi modi di apparecchiare le "tavole di parata" e dall'uso di molti termini francesi. Inoltre, arricchì la seconda edizione del suo ricettario di una "Cucina casereccia in dialetto napoletano", che ricalcava la struttura del testo precedente, ma in cui riportò in dialetto i piatti della cucina popolare, in realtà della piccola borghesia del suo tempo. Fecero così, ad esempio, il loro trionfale ingresso ricette come quelle dei "puparuoli gruosi 'mbttunati" o della "frettata co le cipolle"; talvolta annotate con divertenti osservazioni, che certo non facevano rimpiangere gli "ovi in sublisi" o le "cipolle a grigliè"

Fanno anche testo i ricettari innovativi di Vincenzo Corrado
L'alimentazione del popolo minuto. Sarà uno studio del 1863, compilato quindi dopo l'Unità d'Italia, a rivelare la vera condizione dell'alimentazione nei ceti più poveri: " Il popolo basso di Napoli meno agiato si nutrisce nell'inverno soltanto di pane, aggiungendovi rare volte pochi legumi, e nella stagione estiva di pane e frutta; i meglio agiati accoppiano al pane ed ai legumi un po' di cacio. La carne è adoperata da pochissimi."
Il brodo di trippa, di maruzze o di polpo, la zuppa di soffritto, un piatto di vermicelli appena conditi o una pizza venduti all'angolo delle strade permettevano di mangiare un piatto caldo con pochi soldi e di risparmiare sulla legna, che rendeva impossibile ai più poveri di cuocere anche solo un uovo in casa. Le patate erano pochissimo usate, cavoli e broccoli costituivano una risorsa, soprattutto d'inverno, mentre i pomodori venivano mangiati crudi in estate.


Alla vigilia del XX secolo.

La fine del XIX secolo vede l' introduzione, questa volta dall'Estremo Oriente, di alcune specie che cambieranno ancora una volta il paesaggio agricolo campano: il mandarino, il nespolo e il kaki. La rivoluzione industriale meccanizzerà la produzione pastaia e conserviera permettendo la diffusione di prodotti che altrimenti sarebbero stati confinati nell'ambito strettamente locale e tutto al più regionale, ad esempio il pomodoro S. Marzano, ma creerà anche le premesse per un'agricoltura sempre meno tradizionale e sempre più povera in termini di biodiversità, con la perdita di un gran numero di varietà locali.



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