Eduardo Ambrosio


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LA GUERRA MONDIALE (testo completo)

STORIA > NOVECENTO > LA GUERRA MONDIALE

LA SECONDA GUERRA MONDIALE 1939-1945

Nel 1939, a ventuno anni dalla conclusione della prima guerra mondiale, scoppiò il secondo conflitto mondiale. Esso fu combattuto per terra, sui mari e nell'aria. Coinvolse l'Europa, l'Asia, l'Africa, l'America e l'Oceania ed ebbe effetti sconvolgenti sul destino di popoli e di continenti.
Questo conflitto non sarebbe mai accaduto per motivi futili. Decine e decine di milioni di uomini non sarebbero andati al massacro, immani ricchezze non sarebbero state sacrificate e buttate nella "fornace" della guerra, senza ragioni e interessi profondi.
Germania, Giappone e Italia sostennero che a base della guerra c'erano una missione civilizzatrice da realizzare e un nuovo e più razionale ordine da stabilire nel mondo. In realtà, combatterono, anzi si assunsero la responsabilità di accendere la guerra, per i loro forti e incontenibili appetiti imperialistici e per l'ambizione di distruggere le grandi potenze mondiali e sostituirsi ad esse.
Francia, Inghilterra e Stati Uniti dissero di combattere in difesa della demo-crazia e della libertà dei popoli; in sostanza, affrontarono la guerra per conservare la loro supremazia nel mondo, per difendere i propri imperi, per contenere l'espansionismo della Germania, del Giappone e dell'Italia.
L'URSS si presentò come il baluardo del socialismo; in realtà, puntò sulla guerra per ricostituire i confini del vecchio impero zarista, per riottenere i territori perduti in Europa, per riprendere la marcia di espansione nell'Estremo Oriente.
In pratica la guerra fu combattuta per la spartizione del mondo.
Il terreno per lo scoppio della guerra fu offerto dall'Europa e dall'Estremo Oriente, dove più precario era l'equilibrio internazionale, maggiori erano i vecchi conti da saldare e più forti le spinte espansionistiche.
Vere e profonde ragioni ideali maturarono durante la guerra e spinsero i po-poli ad impegnarsi in rivendicazioni e in lotte significative per il loro riscatto. Per l'Europa è da mettere in risalto che s'impose la scelta morale di un'alleanza antinazista , dettata dall'estrema gravità del pericolo d'un predominio tedesco, il quale intendeva consacrare la superiorità di un popolo sugli altri che avrebbero dovuto divenire letteralmente schiavi o, quanto meno, rassegnati servitori. Certamente la storia ha conosciuto e conosce tirannidi e ha registrato e registra violenza: solo l'astratta speculazione può immaginare un mondo immerso in un'utopistica tranquillità e immobilità, ma è pur vero che, almeno nei tempi moderni, nessun sistema politico, al di fuori di quello nazista, si era imposto come il sistema del dominio di una razza costituzionalmente "superiore" per le sue caratteristiche biologiche.
Come la prima , anche la seconda guerra mondiale fu all'inizio solo un conflitto europeo; ma nel giro di due anni i suoi confini si dilatarono fino ad interessare tutti i continenti. La guerra coinvolse, ben più dell'altro conflitto mondiale, le popolazioni civili con distruzioni, bombardamenti, azioni partigiane, rappresaglie, rastrellamenti . Creò campi di concentramento per milioni di persone e mise in atto la distruzione di intere razze in maniera organizzata e programmata.
Dell'intero conflitto, che si protrasse per sei anni (dal 1 settembre 1939 al 2 set-tembre 1945) con molteplici teatri: Atlantico, Mediterraneo, Pacifico, ecc., si possono distinguere due momenti di pressoché uguale durata:
- il primo , fino al novembre 1942, vide l'assoluta prevalenza della Germania e del Giappone;
- Il secondo, apertosi con la controffensiva inglese in Egitto, lo sbarco alleato in Africa settentrionale francese, la disfatta tedesca a Stalingrado, la vittoria navale americana nel Pacifico, presso le isole Salomone, segnò la riscossa degli Alleati e si concluse con la liberazione dell'Europa, la cacciata dei Nipponici dall'Asia Orientale, la resa della Germania e quella del Giappone.
L'Italia, entrata in guerra nel giugno del 1940 a fianco della Germania, passò, dopo la caduta del Fascismo, dalla parte delle Nazioni Unite (Alleati).
Mussolini, dopo aver stipulato con la Germania il Patto d'acciaio, cioè un'alleanza militare che lo vincolava alle decisioni di Hitler, il 1 settembre del 1939 dichiara la "non belligeranza", una strana formula che sta ad indicare che l'Italia prende tempo. Ma con la capitolazione della Francia e di fronte alle rapide vittorie naziste, Mussolini ritiene che è giunto il momento di entrare in guerra e così, il 10 giugno 1940, dal balcone di piazza Venezia a Roma , in un "adunata oceanica" , annuncia la dichiarazione di guerra alla Francia e all'Inghilterra.
La guerra metterà a nudo tutte le debolezze del fascismo e l'Italia pagherà un prezzo altissimo per questa avventura militare. L'impreparazione dell'esercito risulta evidente già nell'attacco alla Francia , la "pugnalata alla schiena", come venne definito, perché i francesi erano stati già sconfitti dai generali tedeschi; gli Italiani riescono ad occupare faticosamente solo pochi chilometri di suolo francese.
Il 28 ottobre 1940 Mussolini ordina di invadere la Grecia , ma quella che doveva essere una marcia trionfale fino ad Atene si trasformò in un grande disastro.
La nostra flotta, inoltre, attaccata da aerosiluranti inglesi subì gravi perdite nelle acque di Taranto, prima ancora di poter dispiegare la sua forza nel Mediterraneo. Ci volle l'intervento dei tedeschi per tirare fuori dai guai gli italiani: il 6 aprile 1941, la truppe naziste assalirono la Jugoslavia , la occuparono poi, insieme alle forze italiane, invasero la Grecia.
Non miglior prova fornirono gli Italiani in Africa, non per mancanza di coraggio ma per impreparazione militare e le sorti dell'esercito italiano furono risollevate solo con l'arrivo in Africa del generale tedesco Rommel , soprannominato "la volpe del deserto".
Rimane da osservare che nel corso del difficilissimo anno 1940-'41 era naufragato il progetto mussoliniano di condurre una guerra autonoma e parallela e si delineava, ormai, la prospettiva di quella "guerra subalterna" che avrebbe travolto l'Italia nella tragedia nazista.
Il mattino del 7 dicembre del 1941, un attacco a tradimento dell'aviazione giapponese contro la flotta americana di stanza nel Pacifico, a Pearl Harbor, estese il conflitto in Oriente e provocò l'entrata in guerra degli USA.
Una delle più immediate conseguenze, spesso taciuta (gli stessi protagonisti non ne hanno parlato per accelerare l'integrazione) o nascosta (gli archivi sono stati aperti solo grazie al de-creto di Bill Clinton del novembre 2000 n. 2442 "Legge sulle violazioni dei diritti civili degli italo - americani in tempo di guerra), fu la grossolana persecuzione che l'Amministrazione Roosevelt scatenò contro gli oriundi italiani della West Coast: 600000 immigrati italiani classificati come "stranieri nemici", sottoposti a vigilanza speciale, coprifuoco ed espropri; 10000 espulsi dalle loro case; 3500 detenuti in carcere o deportati in campi di isolamento. Tutti accusati di appoggiare l'Italia fascista, nonostante le prove di fedeltà agli Stati Uniti - molti degli internati avevano i figli al fronte, che combattevano nell'esercito americano.
Anche coloro che non erano deportati dovevano subire dure condizioni di vita: esibire conti-nuamente la carta di identità con il marchio infamante "enemy alien", non allontanarsi da casa per più di 5 miglia senza permesso, vietato il possesso di radio o apparecchi fotografici e nep-pure torce elettriche, coprifuoco alle otto di sera (era forte la paura di un attacco giapponese dal pacifico). Sicuramente risale a quell'epoca l'abbandono generalizzato della lingua italiana: i manifesti di propaganda bellica diffidavano dal parlare come il nemico: tedesco, giapponese, italiano; i nostri smisero di insegnare la lingua materna ai figli.
Nel frattempo in Italia la situazione peggiorava dal punto di vista sociale, perché essa , con le sue sconfitte e l'insufficienza del potenziale bellico, assumeva un ruolo marginale nel panorama europeo; inoltre le controffensive nemiche avevano portato distruzione e morte e nelle fabbriche e nei campi la manodopera diminuiva sempre di più, per cui l'economia subì un forte regresso.
Quando Hitler scatenò la "operazione Barbarossa" contro l'URSS, Mussolini offrì la sua partecipazione all'impresa e così fu organizzato un corpo di Spedizione Italiano in Russia: l' "ARMIR" forte di 220000 uomini . All'inizio i successi delle armate naziste furono immensi, ma l'URSS non crollò e, dopo una tenace resistenza a Stalingrado , i sovietici iniziarono una lunga controffensiva sul fiume Don che li portò a riconquistare la città e a distruggere l'armata tedesca. Cominciò così per il corpo di Spedizione Italiano il calvario della ritirata dalla Russia. Nel frattempo in Africa gli Inglesi nella battaglia decisiva di "El Alamein" sconfissero l'esercito italiano e l' "Afrika Korps" di Rommel che si erano spinti fino in Egitto.
In seguito a tali dolorose sconfitte, la situazione in Italia peggiorò: vennero a mancare i generi di primi necessità e i prezzi salirono alle stelle. Tutto questo provocò un malcontento generale nei confronti della guerra ed in questo contesto si ebbero i primi scioperi che finirono con l'arresto di duemila persone . Ma il malcontento generale serpeggiava anche nella classe dirigente e così il "Gran Consiglio del Fascismo" , nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943 dichiarò la propria sfiducia a Mussolini. Il 25 luglio il Re lo fece arrestare e nominò il maresciallo Badoglio Capo del governo.
Badoglio , mentre confermava l'alleanza con i nazisti, trattava segretamente la resa con gli Anglo-americani che erano sbarcati in Sicilia.
La notizia della firma dell'armistizio, definito il 3 settembre, venne resa pubblica l'8 settembre 1943, preceduto da un annuncio americano del 7, e subito l'esercito tedesco occupò i principali centri del Paese.
Dopo l'8 settembre l'Italia risultava così spaccata in due:
- a sud della "linea Gustav", linea difensiva tedesca che andava dal Tirreno, attraverso Montecassino, all'Adriatico , vi erano gli Anglo- americani e il governo Badoglio - Il Re e Badoglio, il 9 settembre abbandonarono Roma e fuggirono prima a Pescara, poi a Brindisi, liberata dagli Alleati e futura sede del governo del "Regno del Sud", lasciando colpevolmente l'esercito abbandonato a se stesso ed esposto alla rappresaglia tedesca.
- a Nord, invece, si contrapponeva un nuovo governo fascista sotto la protezione te-desca: era il governo di Mussolini, con sede a Salò sul lago di Garda - Mussolini, liberato dai tedeschi, aveva rifondato il programma del Fascismo e aveva creato un nuovo regime, che si chiamò: "Repubblica Sociale Italiana".
Il 22 gennaio 1944 truppe alleate sbarcarono ad Anzio, presso Roma e tentarono di dirigersi verso la capitale, ma vennero bloccati dai tedeschi dopo pochi chilometri. Frattanto nelle città dell'Italia Settentrionale scoppiò lo sciopero generale, a lungo preparato dalle organizzazioni clandestine della Resistenza, che bloccò la produzione delle principali industrie; mentre gli alleati, con la conquista della fortezza di Cassino e la distruzione dell'Abbazia benedettina, costrinsero i tedeschi a ritirarsi più a Nord, nella cosiddetta " Linea Gotica" (lungo l'Appennino Tosco - Emiliano), aprendosi così la via verso Roma.
Intanto i partiti antifascisti del CLN, nel congresso tenutosi a Bari, chiesero l'abdicazione di Vittorio Emanuele III , ritenuto colpevole delle sciagure del Paese e perché troppo compromesso con il fascismo; il re rifiutò mentre Badoglio chiedeva le dimissioni. Il 22 agosto 1944 proseguendo la loro avanzata verso il Nord gli Alleati occuparono Firenze dopo aspri combattimenti cui parteciparono le formazioni partigiane che avevano l'appoggio dei partiti antifascisti, usciti ormai dalle clande-stinità.
I 6 partiti (comunista, socialista, d'azione, liberale, democristiano e democratico del lavoro) formarono il "Comitato di liberazione nazionale(CLN)", con il compito di coor-dinare la lotta partigiana, che operava con azioni di sabotaggio con : " Gruppi di azione patriottica(GAP)" nell'Italia del nord. Il 10 giugno 1944 venne costituito un governo di unità nazionale guidato dal socialista Bonomi e venne formato il "Corpo volontario della libertà (CVL)" , che univa tutte le forze partigiane . Diffusi ormai in tutto il territorio nazionale i CLN tennero un congresso a Bari con il proposito di svolgere una funzione di riorganizzazione della vita politica. La Resistenza, quindi non intendeva essere soltanto guerra di liberazione, ma anche processo di rinnovamento politico e sociale. Il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) lanciò l'ordine dell'insurrezione generale. Mentre le truppe alleate dilagarono nella pianura padana, le formazioni partigiane scesero dalle montagne e liberarono le principali città dell'Italia settentrionale. Le truppe alleate completarono l'occupazione della pianura padana, mentre Mussolini veniva catturato a Dongo e fucilato a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, da un gruppo di partigiani mentre cercava di fuggire in Svizzera con la sua compagna Claretta Petacci. Il 29 aprile le forze tedesche si arresero incondizionatamente nelle mani del vescovo di Milano , Schuster.
Nel 1945, a Jalta, in Crimea, si tennero degli incontri, preceduti da altri consulti (come Teheran), fra Stalin (URSS), Roosevelt (USA) e Churchill (Gran Bretagna).
Al momento della Conferenza, che iniziò il 4 febbraio e durò una settimana, l'Armata Rossa era già in possesso di tutti i territori contestati, rendendo inutile il problema delle frontiere: per di più, sta interve-nendo massicciamente nelle istituzioni interne di tutti i paesi occupati. Churchill era ansioso di discutere le sistemazioni politiche del dopoguerra, ma fu sopraffatto dai suoi due colleghi, ciascuno dei quali seguiva un proprio ordine del giorno. Roosevelt, molto malato, dopo un faticoso viaggio da Malta, mirava un accordo sulle procedure di voto alle Nazioni Unite e ottenere la partecipazione sovietica alla guerra contro il Giappone. Stalin non si opponeva alla trattazione di questi argomenti perché il tempo necessario alla dissertazione non sarebbe stato impiegato in discussioni sull'Europa orientale.
Alla fine di questi incontri risultò che, dopo la seconda guerra mondiale, due "super potenze" avrebbero dominato il mondo - Stati Uniti e Unione Sovietica - diviso in due grandi sfere di influenza.

L 'Italia dal 1940 al 1945
La seconda guerra mondiale durò sei anni e un giorno, iniziò il primo settembre 1939 con l'invasione nazista della Polonia e terminò il 2 settembre 1945 con la resa della Germania e del Giappone.
Nonostante il patto d'Acciaio con la Germania l'Italia preferì dichiarare la non belligeranza; determinante per questa scelta era stata la consapevolezza dell'impreparazione militare, inoltre il duce pensava di risolvere la pericolosa alleanza con la Germania e orientarsi verso le convenienti offerte dell'Inghilterra. Ma, i numerosi e rapidi successi tedeschi, ed il crollo della Francia nella primavera del 40, fecero maturare la confusa decisione di Mussolini (servono alcune migliaia di morti per sedere al tavolo della pace) ad intervenire a fianco di Hitler, anche per non perdere la propria parte in un bottino che si annunciava sostanzioso e soprattutto imminente.
Il 10 giugno 1940 l'Italia dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna; il 27 settembre fir-mò insieme alla Germania e al Giappone il Patto Tripartito. Il duce, nonostante l'impreparazione delle truppe italiane, attaccò la Francia, e gli Inglesi sul fronte africano, non riuscendo a ottenere alcuna vittoria a cui poi si aggiunse la clamorosa sconfitta della campagna in Russia che svuotò le riserve italiane di armi.
A partire dalla fine del '42 a Napoli ed in altre città si intensificarono i bombardamenti degli Alleati, producendo il fenomeno dello sfollamento, in parte cominciato già nel '41. Il 2 di-cembre 1942 Mussolini tenne un importante discorso alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel quale affrontava il problema delle distruzioni causate dai bombardamenti e il conseguente problema dello sfollamento, cioè l'abbandono coatto di una città sempre più duramente colpita dagli incursori nemici, invitando i Napoletani a sfollare la città soprattutto dalle donne e dai bambini in esodi serali in modo che nella città ci fossero solo i combattenti.
Sul fronte interno la situazione peggiorava dal punto di vista sociale con il conseguente calo del consenso a causa dell'impreparazione militare, del ruolo marginale rispetto all'alleato tedesco, delle pesanti perdite umane, della distruzione delle fabbriche con i bombardamenti alleati, della riduzione della mano d'opera in agricoltura, del forte regresso economico. Il colpo di grazia venne con la partecipazione alla scellerata campagna di Russia con due corpi militari (A.R.M.I.R.). I primi cedimenti si avvertirono con gli scioperi degli operai delle fabbriche settentrionali del marzo 1943 mentre la sconfitta sul fronte africano e l'insediamento anglo-americano su tutto il litorale dell'Africa settentrionale minacciava direttamente l'Italia, a causa delle coste troppo lunghe da essere controllate contro tentativi di sbarco alleato. Questi furono i primi scioperi in cui i dimostranti non furono condannati poiché Mussolini aveva disposto che chiunque mostrasse anche il minimo dissenso (bastava affermare "Ab-basso il duce" o "Abbasso il re") venisse mandato al Confino, nonostante fosse meno dura, questa procedura evitava il processo ed un eventuale dibattito sul fascismo.
Le rivendicazioni operaie erano prevalentemente economiche (riduzione a 48 ore settimanali e aumento delle razioni alimentari), non mancarono, però, chiari dichiarazioni contro il fascismo e soprattutto contro la guerra.
La pressione delle armate alleate e la minaccia del risorto movimento operaio lasciava intravedere un'imminente crisi del regime. Ad aumentare ancora di più la crisi contribuì lo sbarco alleato in Sicilia del 9 luglio 1943 che portò all'occupazione dell'isola in soli 40 giorni, grazie anche alle vaghe promesse americane al movimento separatista veniva siciliano
(vedi scheda specifica: 6.2 Lo sbarco in Sicilia, i retroscena).
Sotto l'incalzare degli eventi, la notte tra il 24 e 25 luglio, il Gran Consiglio del Fascismo si ribellò al duce. Nell'ordine del giorno presentato da Grandi si faceva appello al re per il ripristino della legalità costituzionale e la riassunzione da parte della Corona delle proprie prerogative, fu votato a grande maggioranza (19 voti contro 7); ciò equivaleva alla richiesta di dimissioni da parte di Mussolini.
Quando il duce i recò a villa Savoia per conferire con il re che cercava di trovare una via d'uscita alla guerra, cogliendo la palla al balzo, fece arrestare Mussolini relegandolo sotto stretta custodia in un albergo sul Gran Sasso. Il governo fu affidato al generale Pietro Badoglio nel quale incarico fu aiutato dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Ambrosio. Badoglio dichiarò sciolto il partito fascista e la continuazione della guerra a fianco dell'alleato tedesco.
Con la caduta di Mussolini la classe dirigente italiana si rinnova riciclando personaggi dissenzienti col duce dal '42 e quelli che gli votarono la sfiducia. Il periodo '42-'43 è il processo inverso a quello del '22-'24, la volontà è quella di uscire in modo indolore dalla guerra.
La principale preoccupazione di Badoglio era quindi quella di arrivare quanto prima ad una pace tanto desiderata dagli italiani in un'Italia ormai a pezzi tra l'incudine tedesca e il martello alleato. L'arrivo all'armistizio non sarà facile. Le trattative, segretissime, cominceranno solo una ventina di giorni dopo, quando il 12 agosto il generale Giuseppe Castellano partirà per Lisbona dove incontrerà l'ambasciatore inglese Campbell, pur senza una vera e propria base per la trattativa.
Intanto gli Anglo-Americani, ritenendo la campagna d'Italia di estrema importanza, Napoli ed il Sud dovevano essere il centro strategico nella conduzione del conflitto, cercheranno di metterci alle strette per accelerare l'armistizio e l'intensificarsi dei bombardamenti nel mese di agosto avrà proprio quest'obiettivo. Gli Alleati non si fidavano né del governo né della monarchia dal momento che Badoglio era stato generale con il fascismo e il Re aveva appoggiato per vent'anni il governo di Mussolini.
A Casablanca, nel magggio '43, Roosevelt e Churchill formulano i termini della "resa incondi-zionata" e decidono lo sbarco in Italia (terzo fronte).
Con l'incontro di Lisbona, l'Italia ottenne solo una radio ricetrasmittente e il relativo codice cifrato per comunicare con il quartiere generale di Eisenhower, ad Algeri. Il 31 agosto dopo che Badoglio si mise in comunicazione con Algeri, il generale si recherà in Sicilia, a Cassi-bile, vicino Siracusa, per definire l'armistizio. Il risultato più importante ottenuto era che l'esercito italiano si sarebbe schierato dalla parte delle truppe alleate, quindi che l'Italia da paese sconfitto sarebbe divenuto paese cobelligerante. Il generale Castellano riuscì ad avere anche l'assicurazione che truppe aviotrasportatici alleate sarebbero sbarcate vicino Roma per liberarla subito dopo l'annuncio dell'armistizio. Lo Stato Maggiore Italiano sapeva bene che Roma non poteva essere tenuta, la cosa più importante,però,era garantire la via della fuga al Re. Il 1° settembre Castellano riferì a Badoglio le condizioni dell'armistizio. Il 3 settembre Castellano con il generale Walter Bedell Smith sottoscriveranno l'armistizio: saranno restituiti i prigionieri di guerra, la flotta italiana dovrà consegnarsi agli Alleati a Malta e tutti i veicoli dovranno raggiungere le basi meridionali.
Il 6 settembre i due inviati di Eisenhower, che dovevano accordarsi con il governo italiano sulle modalità dello sbarco romano, aspetteranno invano di incontrarsi con Ambrosio che intanto era in vacanza a Torino. Gli Alleati, stanchi di aspettare, si recheranno direttamente da Badoglio che, colto nel sonno, dichiarerà l'impossibilità dell'invio dell'82°divisione aviotrasportata poiché ingenti truppe tedesche erano già alle porte della capitale, in più l'esercito italiano non avrebbe potuto fornire alla divisione statunitense neanche mezzi e carburante. Eisenhower accetterà di non affrontare i tedeschi intorno alla capitale ma rifiuterà di rinviare l'annuncio (fu an-ticipato al 7 da radio New Jork), minacciando pesanti ritorsioni nel caso in cui gli italiani non avessero rispettato gli accordi. Gli Alleati nel pomeriggio dell'8 settembre annunceranno al mondo intero l'armistizio con l'Italia. La sera, ore 19.45, Badoglio si precipiterà all'Eiar e infor-merà il paese che "il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, co-mandante in capo delle Forze alleate anglo-americane".
Per gli Alleati l'Armistizio è da utilizzare anche come baluardo aantisovietico.
Avendo rinunciato alla difesa di Roma si lascerà campo libero a Kesserling, il capo delle truppe tedesche in Italia.
Lo scollamento delle forze militari dal fascismo è totale, i capi non riuscirono a far meglio che raccomandare l'ordine formale della divisa e di tenere il copricapo al suo posto: la piazza di Augusta in Sicilia (roccaforte della marina) viene abbandonata prima dell'arrivo degli Alleati, l'invio di coscritti siciliani a difesa della Sicilia, estremo tentativo del fascismo di difendere l'isola sfruttando l'elemento emotivo, si rivelò un fallimento in quanto i militari, appena misero piede in Sicilia, si diressero verso le loro case.
Il fascismo cade per il cedimento del fronte interno anziché per le perdite militari.
Il 10 luglio, dopo l'occupazione in giugno di Pantelleria, con molto potenziale bellico sbarcarono in Sicilia, il 17 l'isola è completamente occupata, dal 3 al 14 inizio e si completa l'occupazione della Calabria, il 10 e 11 è la volta di Sardegna e Corsica, nella notte tra l'8 e il 9 settembre mentre avvenne lo sbarco anglo-americano a Salerno, il re abbandonava Roma per rifugiarsi con il governo a Pescara per poi passare a Brindisi (una delle prime province libere).
Alla difesa di Roma parteciparono ai combattimenti, a Porta San Paolo, la divisione Granatieri di Sardegna e un gruppo di civili insorti ma i tedeschi non ebbero alcuna difficoltà a travolgerli.
Intanto in seguito allo sbarco di Salerno l'esercito italiano andò in briciole e le truppe italiane dopo l'armistizio erano completamente allo sbando. Nel giro di due o tre giorni le caserme si svuotarono. I primi a scappare furono gli alti gradi, i generali, i colonnelli. I soldati, quando potevano, gettavano la divisa alle ortiche, si procuravano abiti borghesi e sparivano. Questi furono giorni in cui vigeva la legge "si salvi chi può". Intanto i soldati tedeschi catturarono, rastrellarono, arrestarono i soldati italiani che riuscirono a trovare e li caricarono su treni piombati per mandarli nei campi di concentramento. Non potremo mai dimenticare la strage di Cefalonia in cui la divisione Acqui ,dopo alcuni giorni di aspra battaglia, giunse alla resa e i tedeschi massacrarono quasi tutti i superstiti, circa settemila uomini. Per tantissimi italiani l'8 settembre significò un giorno di festa segnato da un inatteso ritorno alla guerra.
I tedeschi in Italia erano circa 700.000, verso il Sud erano concentrati soprattutto giovani (20 anni i sottotenenti e 40 anni i colonnelli) speranzosi di far carriera che cercavano la guerra per dimostrare quanto valessero, al Nord invece veterani della prima guerra mondiale, più moderati, meno spinti da quel desiderio inarrestabile di gloria. L'esercito era seguito da un apparato burocratico di controllo civile ed amministrativo per l'organizzazione degli uffici: il controllo esclusivamente militare si limitava al raggio di 30 Km di profondità. Al Nord grazie alla Repubblica di Salò la formula fu applicata del tutto invece al Sud, a causa dei tempi ristretti e dei martellanti bombardamenti, l'organizzazione fu solo militare con gravi conseguenze per la popolazione come le deportazioni indiscriminate di italiani maschi in Germania per sostituire gli operai tedeschi in guerra nelle fabbriche, secondo l'ordine del 17.09.43 le deportazioni previste erano 3.000.000 ma ne furono realizzate 700.000.
I primi rastrellamenti tedeschi si avvalsero del valente aiuto di uomini senza scrupoli, pronti ad indicare il rifugio dei propri compaesani, o di podestà che avevano il compito di raccogliere tutti gli uomini, soprattutto, giovani nella piazza del paese per essere, di lì a poco, caricati sui camion e concentrati a Sparanise, in provincia di Caserta, da dove poi sarebbero stati deportati in Germania. Lo sbarco alleato a Salerno tra l'8 e il 9 e le difficoltà di vigilanza e di trasporto indussero i tedeschi a privilegiare il rastrellamento di beni di consumo e a incendiare tutto quello che erano impossibilitati a portare con sé nonché la distruzione di tutto il possibile come l'incendio dell'Archivio di Stato e dei documenti nascosti a San Paolo Belsito.
Napoli fu vittima dell'insicurezza tedesca della prima occupazione. La Resistenza del territorio napoletano fu animata non dall'alto ideale della libertà o dall'amor patrio ma da un forte istinto di conservazione, di insofferenza alla fame e dal rifiuto dei giovani ai rastrellamenti, che indussero i napoletani a scagliarsi contro i tedeschi non come oppressori ma come alleati dei fascisti che dovevano pagare per averli condotti in quel pietoso stato.
La Resistenza non interessò solo la città di Napoli ma anche la provincia, come testimoniano i moti di Acerra, causati dal tentativo della popolazione di impedire ai tedeschi il rastrellamento delle macchine, quelli di Ponticelli, nati dal rifiuto giovanile dei rastrellamenti tedeschi ("se dobbiamo essere deportati e morire è meglio morire combattendo").
La Resistenza di questo territorio ha salde radici nella paura e nelle privazioni, nella fame e nella violenza patite dalla guerra in atto, nei bisogni inappagati e nelle necessità legate alla sussistenza, nelle ingiustizie sofferte e negli attacchi subiti alle proprie cose, povere e poche che esse siano, ai propri affetti strappati. L'opposizione dei Napoletani ai tedeschi cominciò subito, il 10 settembre era già battaglia ma quel moto soffocato allora esploderà di nuovo il 28, quando contemporaneamente, all'insaputa dell'uno e dell'altro, si accenderanno numerosi focolai di rivolta che determineranno le Quattro Giornate di Napoli.
In quei giorni, senza che nessuno lo dirigesse, il moto collettivo individuò una strategia spon-tanea: bloccare le arterie di collegamento della città e i nodi viari. Gli insorti innalzarono barri-cate e vi concentrarono le forze. I tedeschi non potevano più entrare né muoversi nella città. Il percorso della rivolta attraversò quartieri bene e quartieri proletari, era inarrestabile. Hitler il 12 settembre aveva dato l'ordine che "Napoli fosse fango e cenere" ma l'ordine non fu esegui-to. Prima dell'arrivo degli Alleati Napoli era libera non senza aver pagato il suo contributo di vite umane ben 4828 tra partigiani e civili. Gli scontri di Scafati, di Terzigno, di Torre del Greco e soprattutto delle quattro giornate porteranno in novembre alla liberazione dell'intera Campania e al formarsi della linea Gustav a Cassino che produrrà ben 350.000 mila morti, un bilancio molto più grave delle 200.000 mila vittime causate a Hiroshima dalla bomba atomica.
Con la relativa stasi successiva alla liberazione della Campania, i tedeschi si organizzano con maggiore lucidità, badano a mantenere la calma nella popolazione trasformando le deportazio-ni in sfruttamento sul posto della popolazione e delle risorse (nel '44 furono deportati solo al-cuni scioperanti) il tutto con notevoli contrasti tra il più moderato potere civile e il radicale po-tere militare (policrazia). Il diverso atteggiamento dei tedeschi nel Nord, da un lato ritardò fortemente l'organizzazione della Resistenza, dall'altro fece registrare un risposta diversificata della popolazione: di collaborazione con i 500 mila militarizzati di Salò; di cooperazione, per evitare il peggio, degli apparati produttivi e burocratici; di rifiuto totale con la Resistenza che, annunciata nel marzo '43, si sviluppò dopo l'armistizio, data l'immediata presenza tedesca, con un organico di 230 mila partigiani, 70 mila caduti e 40 mila feriti gravi e, oltre alla lotta arma-ta, si proponeva di promuovere un processo di rinnovamento politico e sociale.
La battaglia di Montecassino (17 gennaio - 18 marzo '44) vedrà la distruzione: dell'ab-bazia, il 15 febbraio '44, ad opera di 229 bombardieri (partivano da Terzigno) con un carico si 454 tonnellate di bombe; della città, il 15 marzo, con un bombardamento a tappeto di quattro ore effettuato da 775 aerei da bombardamento appoggiati da 250 caccia, che sganciarono 1376 tonnellate di bombe, dopo i bombardamenti entrarono in azione 856 pezzi di artiglieria. Si è calcolato che in 11 ore di bombardamento su Cassino e sui resti dell'abbazia il 15 marzo siano stati sparati dagli alleati non meno di 200000 proiettili di cannone di vario calibro.
Le forze in campo: effettivi tedeschi della Decima Armata con il XV° corpo blindato multinazionale: 40 mila uomini, 290 carri armati, 82 semoventi, 410 pezzi di artiglieria più 200 pezzi leggeri, nessun aereo, comandati dal capo supremo in Italia Kesserlinga; da Frido von Senger und Utterlin, comandante del 14° corpo corazzato; da Heingrich comandante delle forze tedesche a Cassino, da Schrank comandante della Quinta divisione fanteria, da Heil-mann, comandante forze tedesche arroccate su Montecassino; da Foltin comandante, 2° bat-taglione paracatutisti. Effettivi alleati dell'Ottava Armata britannica, comandata da Ale-xander, e della Quinta Armata americana, comandata sul campo da Truscott; nonché della Quarta divisione fanteria indiana e della Seconda neozelandese, comandate da Freyberg; della Nona brigata esploratori australiani; del Primo reggimento fanteria scozzese; del Primo corpo spedizione francese, comandato dal capo Juin e dal co-mandande suk campo Guillaime; del Secondo polacco, comandato da Anders l'Ottavo canadese, la Prima brigata Israele, e persino il Trentesimo reggimento bulldozer corazzati: 345 mila uomini, 2000 cannoni, 2300 carri armati, 5000 mezzi blindati, 10000 au-tocarri, almeno 950 bombardieri pesanti e 400 caccia. I morti furono 22 mila tedeschi; 230000 alleati, di cui 107000 americani e 1375 polacchi.
Attualmente nell'area ci sono i cimiteri di guerra: polacco, sulla collina di Montecassino all'ombra dell'Ab-bazia, insieme ai suoi soldati riposa anche il generale Anders morto dopo la guerra; tedesco nella frazione Caira a gradoni concentrici che finiscono con un'altissima croce di ferro; inglese al rione Colosseo, con il tradizionale e caratteristico prato all'inglese.
In quest'ora di rinascita e di riscossa, in quest'ora grave e decisiva, questo popolo ha da guardarsi da un pericolo, mortale pericolo: niente di più facile e funesto che confondere, al bivio, il viottolo che porta al burrone, col sentiero che conduce alla vetta!…" Nel napoletano non si è verificata una vera e propria Re-sistenza anche per il breve periodo di permanenza degli occupanti tedeschi ma nonostante ciò la rivolta napoletana rappresenta un evento esemplare ed eccezionale perché in queste ore di confusione, non co-noscendo la lotta partigiana del CLN, i napoletani guidati dal proprio istinto e dal desiderio di riscattare la propria condizione di miseria scelsero subito la "strada giusta" quella filoalleata e non filotedesca, che portò nel Nord del Paese, il 27 settembre, alla costituzione della Repubblica Sociale di Salò, indicando la giusta direzione da seguire verso la Liberazione Nazionale.
Con la liberazione della Campania e la risalita delle truppe alleate dalla Calabria, l'Italia risultava divisa in tre Italie:
- il Mezzogiorno caratterizzato dalla ricostituzione dello stato monarchico, il Regno del Sud;
- il Centro dalla presenza minacciosa dei tedeschi e dall'organizzazione politica e militare dei partigiani a Firenze che porterà alla liberazione delle due città avvenuta nel 1944;
- il Nord dalla ricostituzione dello stato fascista della Repubblica Sociale di Salò interamente interdipendente dai nazisti - che nasce nel settembre '43 sul lago di Garda; nel gennaio '44, condanna e fucila i cinque gerarchi, tra cui Ciano, che votarono contro Mussolini; nel settembre '44, a Mazabotto uccide 1800 civili; nel dicembre '44, nel teatro lirico a Milano, Mussolini tiene il suo ultimo discorso: "Chi ha tradito? Chi subisce le conseguenze del tradimento? Per arrivare all'8 settembre bisognava realizzare il 25 luglio"; nell'aprile '45, la fuga di Mussolini, che, scoperto, viene catturato e facilitato ed il suo cadavere viene esposto a piazzale Loreto in Milano; An recentemente ha presentato un disegno per il riconoscimento dello status di "militari belligeranti" ai repubblichini di Salò, in quanto, con Tremaglia, ciò non comporta alcun stravolgimento: sono fatti -, dalla lotta senza quartiere nelle file della Resistenza armata antifascista guidata dal CLNAI (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia), fino alla grande insurrezione di Milano del 25 aprile 1945 nella quale si uniranno i tre tronconi in solo corso storico di nuovo unitario.

Nel febbraio 1944 mentre i tedeschi combattevano per bloccare o, meglio, rallentare l'avanzata alleata su Roma, il governo Badoglio si trasferì a Salerno, capitale di quello che fu il Regno del Sud. Fu un governo soprattutto formato da tecnici strettamente legato alla corona e tenuto in piedi dall'Inghilterra di Churchill. Gli intellettuali di quel tempo, la stampa e i giornalisti giudicavano il re troppo compromesso con il fascismo e chiedevano la sua abdicazione. A Bari, nel gennaio 1944 dopo essere stato precedentemente vietato a Napoli nel dicembre '43 dal comando alleato che lì, in seguito allo sbarco di Salerno, si era trasferito, il Congresso del CLN aveva chiesto l'immediata abdicazione e la formazione di un governo democratico di guerra, ponendo le basi della futura svolta di Salerno. Nell'aprile 1944 Palmiro Togliatti, leader del partito comunista, rientrato da poco in Italia in seguito a 18 anni di esilio, dopo un incontro con Stalin mutò il suo atteggiamento di chiusura completa nei confronti del re e del governo diventando più morbido: il re si doveva impegnare a delegare i suoi poteri al figlio, il principe Umberto, al momento della liberazione di Roma.
Il compromesso avrebbe garantito la concentrazione di tutte le forze nazionali, dai monarchici ai comunisti, nella guerra di liberazione. A "guerra vinta", un referendum avrebbe sciolto il di-lemma monarchia o repubblica. La corona accettò il compromesso istituzionale e, dopo lunghe trattative, il 22 aprile 1944, fu composto quello che fu il secondo governo Badoglio e il primo governo dell'unità nazionale antifascista (svolta di Salerno). Al governo accanto a Badoglio c'erano liberali, azionisti, cattolici, socialisti e tra i comunisti lo stesso Togliatti. Nel suo pro-gramma il ministero pose come primo punto l'impegno di chiamare gli italiani, dopo la fine della guerra, ad eleggere con suffragio universale l'Assemblea Costituente che avrebbe definito le forme istituzionali del nuovo stato.
In pochi mesi gli alleati riconobbero il CLNAI il cui comando fu affidato al generale Cadorna. Il progetto di apertura di un secondo fronte sollecitato da Stalin per alleviare il lungo sforzo sop-portato dai Russi, fece diminuire l'attenzione per quello italiano rallentando la liberazione. Solo nel maggio 1944 fu sferrata la controffensiva che portò alla presa di Roma nel 4 giugno e successivamente di Firenze nell'11 agosto. Qui gli alleati trovarono la città già controllata dai partigiani e la vita pubblica organizzata dal CLN toscano. I tedeschi costretti ad abbandonare l'Italia centrale si ritirarono a Nord di Firenze dove costituirono la linea Gotica che correva da Viareggio, sul Tirreno, a Cattolica, sull'Adriatico, ove si attestarono duramente. Il 25 giugno 1944 in seguito alla liberazione di Roma il re Vittorio Emanuele III rispettando gli accordi presi con il CLN, trasferì i suoi poteri al figlio Umberto che fu nominato Luogotenente del Regno. A Badoglio successe il riformista Bonomi che costituì un governo di unità nazionale appoggiato da tutti i partiti del CLN. Parteciparono al governo come ministri senza portafoglio personalità antifasciste come: il liberale Benedetto Croce, il democratico Alcide De Gasperi, il socialista Giuseppe Saragat, il comunista Palmiro Togliatti, l'indipendente Carlo Sforza.
Nell'autunno del 1944 il generale inglese Alexander invitò i partigiani a sospendere le operazioni questo, purtroppo, facilitò la repressione nazifascista che fu durissima. Nei primi giorni dell'aprile 1945 mentre gli Americani varcavano il Reno entrando in Germania e la Russia liberata Varsavia, puntava su Berlino e su Vienna anche il fronte italiano si mise in movimento. Gli alleati sicuri della vittoria puntarono sulle grandi città della Pianura Padana. Mentre Mussolini, travestito da soldato tedesco, cercava di attraversare il confine svizzero, ve-niva catturato e fucilato insieme ad altri gerarchi, Genova, Modena, Reggio, Parma, Cuneo, To-rino, Biella, Vercelli, Novara, Milano venivano liberate dalle forze liberali popolari decretando il 25 aprile 1945 avvenuta la Liberazione d'Italia.

Lo Sbarco in Sicilia del 1943: I Retroscena
Abbiamo già osservato l'enorme impatto che ebbe la fulminea conquista da parte degli Alleati della Sicilia e di come questa abbia rappresentato un punto di svolta nello svolgimento dell'intero conflitto, ma in effetti colpisce la disarmante facilità con cui avvenne il fatto, dovuta ai numerosi accordi sottobanco portati a termine prima dell'azione bellica, che consentirono ai militari di avere supporto ed informazioni una volta giunti sull'isola.
Lo sbarco degli Americani fu preparato sul modello della spedizione garibaldina del 1860 la quale, nonostante fosse protetta dagli Inglesi, si preoccupò di assicurarsi il favore delle organizzazioni della delinquenza locale e la "compiacenza" di alcuni generali napoletani. Analogamente lo sbarco anglo-americano in Sicilia avvenne non senza aver preventivamente stipulato solidi rapporti tra mafia siciliana e mafia americana. In entrambi gli avvenimenti la mafia ebbe dei compiti rilevanti: quello di influire sugli umori della popolazione, spingendola prima a favorire lo sbarco e poi a collaborare con l'occupante, mentre per attirare il favore di una certa borghesia fu fatta intravedere la possibilità di un'eventuale indipendenza dell'isola.
I contatti dello spionaggio americano con la mafia siciliana furono assicurati da Lucky Luciano, boss della delinquenza di New York, con l'appoggio del presidente Roosevelt e del ministro della marina Knox. Importantissimo fu anche il contributo di Mayer Lansky, boss indiscusso del gangsterismo ebraico negli U.S.A. Proprio quel Lansky che nel dopoguerra, insieme a Luciano, controllerà il mercato mondiale degli stupefacenti tra Medio Oriente, Sicilia, Cuba e Stati Uniti. I due furono abilmente manovrati dal loro avvocato Allen Dulles, che diresse durante tutta la guerra le operazioni di spionaggio in Europa e che dopo divenne il capo della CIA. Luciano e Lansky, ai quali evidentemente fu promesso in cambio ogni tipo di copertura per i loro traffici, mobilitarono per lo sbarco in Sicilia tutti i capi mafiosi degli U.S.A.: Adonis, Costello, Anastasia, Profaci. Costoro fecero sbarcare clandestinamente in Sicilia moltissimi loro emissari che, accolti fraternamente dai mafiosi locali, organizzarono rapidamente una vasta rete di "uomini d'onore" a disposizione dei "liberatori".
Lo sbarco statunitense fu, lo ripetiamo, di una facilità estrema. Gli americani conoscevano non solo la dislocazione delle batterie e dei reparti italiani, ma anche i nomi degli ufficiali che li comandavano. La popolazione civile, ancora prima dell'armistizio, accolse con applausi e fiori gli invasori, dei quali quasi il 15% era di origine siciliana. I soldati italiani catturati se erano siciliani venivano liberati e inviati alle loro case, mentre gli "altri" furono destinati ad una lunga prigionia in Africa o negli Stati Uniti. La difesa dell'isola, in realtà, non era sicuramente in grado di contrastare efficacemente gli invasori, ma a facilitare lo sbarco delle truppe anglo-americane contribuì fortemente la rinuncia ad inviare la flotta italiana contro le navi alleate nonostante i servizi segreti italiani fossero a conoscenza della data e delle località dello sbarco. Un vero e proprio tradimento che permise alle navi inglesi ed americane di appoggiare tranquillamente con micidiali cannoneggiamenti le opera
azioni di sbarco e di avanzata delle truppe lungo tutta la costa fino a Messina. Anche in quest'invasione l'altro fattore importante fu quello della "compiacenza" d alcuni generali italiani, altrimenti sarebbe veramente inspiegabile il mancato uso della flotta. Come avvenne con l'invasione garibaldina, anche in questo caso i più importanti mafiosi locali, Genco Russo e Calogero Vizzini, accolsero gli americani e da essi vennero scelti per la carica di sindaco. Non ebbero nessuna importanza i cinquantuno delitti di cui erano accusati e il fatto che erano analfabeti; anche gli oltre cinquecento mafiosi confinati ad Ustica furono immediatamente liberati e tra essi il governatore americano Charles Poletti scelse i suoi più validi collaboratori, intorno a quali incominciarono a ruotare altri personaggi, i "politici", pur essendo vietata nell'isola qualsiasi attività politica. Questi erano i "separatisti" che organizzavano liberamente pubbliche riunioni cui partecipavano anche ufficiali americani in divisa. Intanto incominciò a crescere l'interesse del capitale americano per la Sicilia, anche in seguito alle sollecitazioni del capo del movimento separatista (nato il 28 luglio 1943, il cui simbolo era giallo/rosso con tre gambe) Andrea Aprile Finocchiaro, il quale millantava appoggi alleati inglesi e francesi, poi rivelatisi infondati in quanto non era ben vista un indebolimento dell'Italia, mentre il movimento era molto ben visto in America, soprattutto fra gli emigranti. Vi erano anche dei comitati italo-americani, diretti da Fiorello La Guardia e dal giornalista Max Johnson, che appoggiavano il Movimento per la quarantanovesima stella,guidato in Sicilia da Calogero Vizzini e dal gangster Vito Genovese, ufficiale dell'esercito americano.


Napoli nel 1943
Quando la città di Napoli insorse erano oramai passati già tre anni dall'entrata in guerra dell'Italia, spinta dal Regime Fascista a partecipare ad un evento al quale era assolutamente impreparata, al fianco di un alleato potentissimo ed intenzionato sottomettere tutta l'Europa e cancellare dalla faccia della terra tutti i popoli non ariani. Fu inevitabile quindi, dopo le prime, effimere, vittorie, che il nostro esercito finisse allo sbando e che il nostro territorio, situato di una posizione strategica, venisse preso di mira dai poderosi bombardamenti degli alleati, ai quali non si avevano batterie di contraerea da opporre.
Una delle città più bersagliate fu Napoli, che aveva uno dei porti più grandi del Mediterraneo, dal quale partivano i rifornimenti per le truppe dell'Asse di stanza in Africa. A partire dalla seconda metà del 1942 gli Alleati iniziarono il lancio aereo degli ordigni, nel 1943 il porto era ridotto ad un ammasso di rovine, gli impianti della stazione ferroviaria semidistrutti, così pure le industrie; ma le bombe non cadevano solo sugli obiettivi militari: gli aerei alleati le sganciavano a tappeto su tutta la città, senza tema di mietere vittime tra i civili, compresi donne e bambini. Il risultato fu un'ecatombe: migliaia di morti, feriti, mutilati, ancora oggi in alcuni quartieri popolari si notano le cicatrici delle incursioni ed anche i danni al patrimonio artistico furono ingenti. Anche i mezzi di trasporto erano stati danneggiati e non funzionavano e, per ripararsi dagli attacchi aerei, gli unici rifugi degni di tale nome erano le gallerie della metropolitana, di Fuorigrotta e della Vittoria, dove migliaia di persone vivevano in condizioni igieniche orribili. In città mancava tutto a partire da viveri ed acqua, e molti preferirono allontanarsene cercando riparo nelle campagne e nei paesi della provincia, anche se furono moltissimi coloro che restarono a Napoli.
Il 2 dicembre 1942 Mussolini tenne un importante discorso alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel quale affrontava il problema delle distruzioni causate dai bombardamenti e il conseguente problema dello sfollamento, cioè l'abbandono coatto di una città sempre più duramente colpita dagli incursori nemici, invitando i napoletani a sfollare la città soprattutto dalle donne e dai bambini in esodi serali, in modo che nella città ci fossero solo i combattenti. Mussolini con questo discorso non fece altro che ufficializzare il fenomeno, che era già cominciato allo scoppio della guerra, della ricerca di una possibile sistemazione alla periferia di Napoli presso parenti, amici, di un tetto di fortuna: due stanze pagate a caro prezzo, o una soffitta, o addirittura una cava tufacea. Naturalmente le vittime dello sfollamento furono principalmente i ceti più disagiati: i proletari e i sottoproletari. Per non trasformare lo sfollamento in un esodo caotico le autorità attraverso una trama di disposizioni e di divieti cercarono di dare ordine a ciò che non poteva che essere disordinato: le strade che uscivano dalla città erano piene di carrette e di camion; per avere il "libero transito" bisognava procurarsi un permesso da esibire e molti non ebbero il tempo o la calma di procurarselo; i treni della Circumvesuviana erano affollatissimi e procurarsi un biglietto era un'impresa non facile. Lo sfollamento produsse il pendolarismo, che costrinse le autorità a garantire corse giornaliere di treni da e per la città e di corriere e di vaporetti che mettessero in comunicazione le innumerevoli località costiere e le isole. Molti furono gli uomini che intimoriti dal rischio di tornare in città si assentavano dal proprio lavoro rallentando il ritmo generale della produzione. Sfollare significava anche sottoporsi alle speculazioni di alcuni proprietari, le quali non terminarono neanche dopo l'imposizione di un calmiere dei fitti, infatti erano molte le persone che nonostante avessero pattuito un fitto formale erano costrette a cedere la catenina d'oro o il portagioie di madreperla. Lo sfollamento coincise con il cedimento del fronte interno, infatti i cittadini sfollati presenti nella provincia fascista produssero i primi sentimenti provinciali antifascisti, anche grazie all'ignoranza dei contadini.
Oramai tutti erano stanchi della guerra e la odiavano, lo stesso valeva per il Regime che, dopo aver trascinato un'intera nazione sul baratro, non era più in grado neanche di adoperarsi affinché i cittadini avessero almeno l'indispensabile per sopravvivere. Nel frattempo gli Alleati occuparono Pantelleria e poi la Sicilia, il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo pose in minoranza Mussolini, oramai divenuto incapace di gestire la situazione, e Vittorio Emanuele III fece arrestare il duce ed affidò il governo al maresciallo Badoglio. A Napoli, appena giunta la notizia, ci fu un'esplosione di gioia, tutti credevano che, finito il fascismo, la pace sarebbe stata imminente ed iniziarono i festeggiamenti nelle piazze e nelle strade. Ma la felicità durò poco: Badoglio dichiarò il prosieguo della guerra e gli Alleati, per spingerlo a staccarsi dalla Germania, intensificarono la pioggia di bombe. Napoli e la Campania divennero l'avamposto del nuovo fronte militare e le incursioni divenivano sempre più martellanti e violente: il 4 agosto ci furono centinaia di vittime, il crollo di numerosi fabbricati e la quasi completa distruzione della basilica di Santa Chiara, che fu un duro colpo al patrimonio artistico. Il popolo, che già aveva dato segni di insofferenza dopo il discorso del 25 luglio, iniziò ad organizzare numerose manifestazioni di protesta, che furono represse dalle forze dell'ordine per espresso comando di Badoglio. A Napoli ed in numerosi paesi limitrofi, a Castellammare di Stabia, a Pozzuoli, a Torre Annunziata migliaia di cittadini, studenti, operai, donne, ricchi e poveri, si scontrarono con la polizia perché erano scesi in strada per la pace. Nel giro dei quarantacinque giorni dal 25 luglio all'8 settembre il movimento pacifista ed antifascista si espanse a macchia d'olio, trovando sempre l'opposizione dell'autorità, come il 20 agosto a San Giacomo dei Capri ed il primo settembre a Napoli.
Arriva poi l'armistizio dell'8 settembre, e tale notizia provocò in città un fremito ribellione: provato da sofferenze e privazioni, dopo centocinque bombardamenti che avevano provocato ben ventiduemila morti e la distruzione di duecentotrentaduemila vani abitativi, il popolo napoletano non ci stette a rassegnarsi ed ebbe inizio quella resistenza ai tedeschi che sarebbe culminata con le Quattro Giornate, che diedero il via al cosiddetto "Nuovo Risorgimento". Mentre i civili erano scesi in campo, al contrario, i militari, che erano stati tanto zelanti pochi mesi prima nel reprimere tutte le manifestazioni pacifiste, restavano completamente inerti. I reparti tedeschi presenti a Napoli ed in tutta la Campania erano meglio equipaggiati ma sicuramente meno numerosi di quelli italiani, ma i generali Del Tetto e Pentimalli non se la sentirono né di intervenire direttamente né di accettare la richiesta del Comitato dei Partiti Antifascisti, che domandava di distribuire le armi al popolo napoletano; la loro unica preoccupazione fu quella di non irritare i tedeschi, dandogli così il tempo di organizzarsi. Ci furono comunque dei militari che si distinsero dalla massa per i propri atti eroici: il generale Ferrante Gonzaga, comandante di una divisione stanziata a Salerno, il quale si rifiutò di ordinare ai suoi la resa venendo trucidato; il colonnello Ferraiolo, ucciso a Villa Literno; dieci ufficiali del 12° e 18° reggimento fucilati a Nola; infine ricordiamo i numerosi gruppi militari che a Napoli si oppongono ai tedeschi, tra i quali cade il tenente Farneti ed alcuni altri tra sottufficiali e soldati semplici. Nel frattempo i civili prendono sempre più coraggio, addirittura fanno prigioniero un drappello di nemici, salvo poi liberarlo onde non scatenare rappresaglie che però avvengono lo stesso, come la cattura e la fucilazione l'11 settembre di quattordici carabinieri i quali volevano salvare dalla distruzione il palazzo dei telefoni in Via Depretis. Il giorno dopo i tedeschi compiono l'atto di massimo furore verso un popolo che, pur disarmato, tenta di difendersi strenuamente: i nazisti credono che incendiando l'Università possano annientare i valori di libertà e civiltà che animano la gente, ma purtroppo per loro non era così.
La Resistenza del territorio napoletano fu animata, tranne che in pochi casi, non dall'alto ideale della libertà o dall'amor patrio ma da un forte istinto di conservazione, di insofferenza alla fame e dal rifiuto dei giovani ai rastrellamenti, che indussero i napoletani a scagliarsi contro i tedeschi non come oppressori, ma come alleati dei fascisti che dovevano pagare per averli condotti in quel pietoso stato.
Con l'incendio del 12 settembre si chiuse il primo periodo dell'occupazione nazista: se fino ad ora i tedeschi erano indecisi sul da farsi e non avevano organizzato un governo stabile nel capoluogo, adesso, vista l'ignavia dell'Esercito Italiano e constatato che i napoletani non rappresentavano una grossa minaccia (e qui sta l'errore di valutazione), avevano stabilito che Napoli sarebbe stata la loro roccaforte contro gli Alleati sbarcati a Salerno. Nel giorno stesso il colonnello Scholl assunse il comando assoluto della città partenopea e fece pubblicare da tutti i giornali un proclama come quello riportato a seguito. Si può notare dalla rabbia delle sue parole e dalle minacce come sia spaventato ed insieme stupito dal modo in cui il popolo, nonostante le sue condizioni di disperazione, continui un'aspra resistenza. La città doveva essere punita, Hitler stesso diede ordine che Napoli divenisse "fango e cenere": iniziò la distruzione programmatica di opere militari, ma anche produttive e civili, e venne dato il via libera al saccheggio dei depositi di viveri e vestiario ed alla deportazione di massa degli uomini.
A queste operazioni presero parte anche alcuni gruppi di fascisti, che erano scomparsi dalla scena il 25 luglio e vi tornavano solo adesso dando man forte agli occupanti oltre che con le gesta anche con la delazione. L'ultimo federale fascista, Domenico Tilena, fece affiggere un manifesto col quale chiamava a raccolta tutti i camerata, infervorati anche dalla fondazione della Repubblica di Salò. Essi si distinsero anche durante le quattro giornate, piazzandosi un po' ovunque sui tetti di numerosi palazzi e sparando a vista.
Tutte le industrie, dall'Alfa Romeo alla Cellulosa Cloro Soda, passando per le Cotoniere Meridionali, i cantieri Vigliena, le Industrie Navali Aeronautiche Meridionali e tutti gli opifici minori vennero dapprima private di tutti i macchinari ed utensili smantellabili e trasportabili, per poi essere rase al suolo col fuoco. Poi fu la volta del porto, di cui si credeva di aver salvato almeno i macchinari più delicati della Navalmeccanica, che erano stati messi al sicuro, o almeno così si pensava, nelle capienti grotte di Villa Gallotti a Posillipo, ma a causa dei soliti delatori vennero scoperti e distrutti. Il pontile di Bacoli ed il ponte di S. Rocco a Capodimonte saltarono in aria il 20 settembre, seguiti da tanti altri luoghi di fondamentale importanza per la città. Ma la dominazione tedesca non si mostrò oppressiva solo nei riguardi degli impianti produttivi o delle infrastrutture: la collera teutonica si scatenò anche sulla stessa popolazione. Il primo passo in questo senso fu il proclama nel quale si inoltrava la richiesta della consegna di tutti i militari alleati liberati dalla prigionia dopo l'armistizio, i quali erano tenuti nascosti nelle abitazioni. Tale ordine rimase inascoltato, ma non si poté fare lo stesso con quello di abbandonare tutti gli edifici della fascia costiera, i cui abitanti furono costretti a vivere in rifugi di fortuna oppure negli scantinati delle case abbattute. Seguì poi il proclama col quale tutti gli uomini appartenenti alle classi dal 1910 al 1925 venivano chiamati a presentarsi per il servizio obbligatorio del lavoro. Quest'ultimo decreto era firmato dal prefetto Soprano e, sulle stimate trentamila persone, se ne presentarono solo centocinquanta, scatenando così la rappresaglia nazista. I soldati misero a ferro e fuoco la città alla ricerca dei disertori, ma in molti casi le donne riuscirono a salvarli circondandoli in massa, oppure riuscendo ad informarli in anticipo, altri ancora scapparono durante il trasporto. Nonostante tutto ciò ben ottomila napoletani furono catturati e deportati nei campi di con-centramento. Come se non bastasse gli americani avanzavano e la città era tra i due fuochi ma, nono-stante le nuove privazioni ed i nuovi lutti, si continuava a rifiutare la consegna delle armi, a nascondere i giovani ai rastrellamenti, ad organizzare una riscossa che ora stava diventando l'unica possibilità di non morire di stenti.
Il dato di fondo importante è la stretta unione che venne a crearsi tra i napoletani di tutte le classi sociali e tutti i censi. Fu proprio questa coesione totale che sopperì alla mancanza di organizzazione politica e militare che la Resistenza ebbe il tempo di darsi nel resto d'Italia: a combattere insieme per le strade c'erano comunisti, socialisti, cattolici, liberali, azionisti, operai, contadini, impiegati, nobili ed industriali, la liberazione della città era sentita come impegno civile per la libertà e l'indipendenza del Paese dallo straniero, ma soprattutto come liberazione dalle sofferenze, dall'orrore e dalla fame.

Le Quattro Giornate di Napoli
Come abbiamo visto l'opposizione dei Napoletani ai tedeschi cominciò subito, il 10 settembre era già battaglia, ma quel moto soffocato allora esploderà di nuovo il 28, quando contempora-neamente, all'insaputa l'uno dell'altro, si accenderanno numerosi focolai di rivolta che deter-mineranno le quattro giornate di Napoli. Non è facile determinare dove e perché iniziarono gli scontri con i tedeschi, la scintilla della rivolta furono il perseverare dei rastrellamenti, la notizia che altri impianti civili erano sul punto di essere distrutti e che i serbatoi d'acqua siti in Capo-dimonte erano stati minati. Non ci fu nessun ordine o segno convenuto, gli uomini uscirono dai rifugi portando con sé le armi e le munizioni nascoste nei giorni precedenti e presero a costruire barricate ed a scontrarsi coi tedeschi: il 28 settembre da Piazza Nazionale a Fuorigrotta, da Via Foria a Piazza Carlo III, da Chiaia a Capodimonte fino a Soccavo ed al Vomero, la città era tutta pervasa da un fremito rivoluzionario.
Quella mattina al Vomero un gruppo di giovani attaccò una truppa di tedeschi, la scaramuccia degenerò e si espanse a tutto il quartiere. Gli occupanti non tardarono ad azionare una rappre-saglia, a seguito della quale caddero alcuni civili e vennero fatti prigionieri e rinchiusi nel campo sportivo in quarantasette tra giovani, donne ed anziani. Intanto al Liceo Sannazzaro si costituì un comando guidato da Antonio Tarsia ed Edoardo Pansini, tale comando coordinerà l'insurrezione in tutta la zona. Inizia poi l'assedio del presidio tedesco nei pressi dello stadio, i giovani napoletani si battono come leoni e costringono il nemico prima ad asserragliarsi nell'impianto di gioco, poi alla fuga anche da questo luogo. Dal suo comando in Corso Vittorio Emanuele il colon-nello Scholl autorizza i suoi a trattare la resa e questi liberano gli ostaggi e lasciano le proprie posizioni, ma gli scontri al Vomero non sono terminati: nei giorni 29 e 30 si scatenano duri scontri alla Pigna, in località Pezzalonga; qui i tedeschi lanciarono il contrattacco aiutati da un gruppo di fascisti, ma alla fine, nonostante le perdite tra i civili, nonostante la caduta di eroi del calibro di Adolfo Pansini (cui oggi è dedicato un liceo), furono costretti alla fuga, e durante la loro ritirata verso i Camaldoli sfogarono la loro furia su degli innocenti. Così, come sul Vomero, in tutta la città il popolo combatté per il raggiungimento di questo obiettivo comune, tutti facevano qualcosa: c'era chi impugnava le armi, chi procacciava le munizioni, chi fungeva da vedetta e così via. Dall'alba del 28 gli scontri si accesero via via più intensi e si diffusero in tutta Napoli: a Salvator Rosa i tedeschi ed i fascisti vennero assediati e cacciati dal comando siste-mato nella scuola "Vincenzo Cuoco" e dal distaccamento di Gesù e Maria, grazie ai quali le milizie popolari si assicurarono il controllo delle importanti vie di collegamento verso Piazza Leonardo e Conte della Cerra. Continuarono a nascere in queste ore i centri di coordinamento: abbiamo già parlato di quello sorto al Vomero, cui seguirono uno nella scuola "Vincenzo Cuoco", dove si organizzavano le azioni di guerriglia e la distribuzione dei viveri, uno a S. Gaetano ed uno al Parco Cis, sempre a Salvator Rosa, dove Eugenio Mancini, oltre all'organizzazione bellica, curò anche quella post-liberazione, per favorire l'immediato inizio di una vita democratica dopo la cacciata degli oppressori. Queste forme di organizzazione favorirono l'accentrarsi delle forze insurrezionali in alcuni punti strategici: al Vasto, in Piazza Nazionale, in Piazza Carlo III ed a Via Foria, nei pressi del Museo Nazionale. Intanto nelle zone alte da Capodimonte a S.Teresa si combatteva già dal 27, dapprima per impedire ai guastatori tedeschi di minare l'acquedotto, poi per coprire le spalle ai combattenti del resto della città, togliendo agli occupanti le posizioni sulle colline, da dove potevano colpire dall'alto indisturbati. Altro punto caldo era il Museo, dove si incrociano Via Foria, che porta all'aeroporto di Capodichino, e la strada che conduce a Capodimonte. Qui bisognava lottare con più accanimento per impedire ai nazisti che erano in centro di potersi rifugiare presso i propri presidi collinari e d'altra parte era necessario impedire che da questi presidi arrivassero truppe fresche in aiuto di quelle che erano state attaccate. Infatti nel pomeriggio del 29 i teutonici decisero di dare una lezione ai napoletani, irrompendo da Capodimonte con dei carri armati "tigre"; si trattò di una mossa che non prese alla sprovvista i guerriglieri, i quali avevano già preparato su quella strada numerose barricate capovolgendo vetture tranviarie ed avevano piazzato numerose mitragliatrici sui balconi dei palazzi. Ma, nonostante l'affluenza di combattenti anche dalle zone limitrofe, i mezzi corazzati riuscirono ad oltrepassare gli sbarramenti ed a puntare verso via Roma, compiendo l'errore di passare attra-verso una zona caratterizzata da un dedalo di vie e viuzze, sovrastate da alti palazzi. È qui che divampò la vera resistenza: i tedeschi erano colpiti dall'alto, dai lati, dalla strada, dove manipoli di uomini gli si paravano davanti, colpivano e scomparivano coperti dalle donne in un labirinto di vicoli. Fu qui che gli oppressori si resero conto che la guerra a cui si erano tanto addestrati non era quella: nessuno gli aveva spiegato quello che poteva fare un popolo ridotto alla fame, nessuno gli aveva insegnato come comportarsi quando dei ragazzini di dodici-tredici anni, apparentemente innocui, si paravano davanti ai carri armati lanciando delle bombe a mano e tantomeno nessuno li aveva addestrati a combattere in quella moltitudine di vicoli, dove era facile ed allo stesso tempo impossibile ripararsi dai colpi nemici. Loro erano abituati alla battaglia condotta secondo rigidi schemi provati e riprovati, schemi che non prevedevano gli atti ardimentosi e spesso quasi folli dei napoletani, così furono costretti a ripiegare. I combattimenti però continuarono in tutta la città nei giorni 29 e 30, da Via Roma a Chiaia, fino a Posillipo, e si espansero anche alla periferia: a Ponticelli un gruppo di insorti combatté e venne sconfitto dai tedeschi, subendo una pesantissima repressione. Ma per loro oramai era troppo tardi, il 30 settembre iniziò il ripiegamento di tutte le truppe verso Nord ed il 1° ottobre la città era già libera. Durante l'allontanamento da Napoli compirono gli ultimi atti di odio sparando da lontano con i cannoni su case e persone e bruciando a S. Paolo Belsito,vicino Nola, quasi tutte le carte dell'Archivio Storico.
Abbiamo visto così come i tedeschi vennero cacciati da Napoli, ma l'insurrezione della città par-tenopea non fu un fatto isolato e si ebbero azioni contro i nazisti anche al di fuori della provin-cia, in Irpinia, nel Sannio, nella Terra del Lavoro (dove tra i contadini vi furono oltre cinquecento caduti), nel Salernitano e sulla strada che unisce Salerno a Napoli. Ma fu nella provincia di quest'ultima che si ebbero gli eventi più significativi, tutti repressi in un lago di sangue: a Mu-gnano, Giugliano, Afragola, Acerra, Nola,Santa Maria Capua Vetere, Capua,Garzano, Sparanise, Chiazzo, Bellona, Mondragone, Maddaloni, Grazianise, Orta di Atella, Teano, Piedimonte e migliaia di altri piccoli centri abitati, la popolazione insorse. In tutta la Campania si registrarono migliaia di caduti. Nella sola città partenopea in settantasei ore di combattimenti dal mattino del 28 settembre al pomeriggio del 1° ottobre perirono centosettantotto combattenti, centoquaranta civili e diciotto persone di origine sconosciuta, mentre risultarono feriti centosessantadue uomini. Furono però questi sacrifici che porteranno in novembre alla liberazione dell'intera Campania e al formarsi della linea Gustav a Cassino che produrrà ben trecentocinquantamilamila morti, un bilancio molto più grave delle duecentomila vittime causate a Hiroshima dalla bomba atomica, ma che sarà un passaggio necessario per la liberazione nazionale. "In quest'ora di rinascita e di riscossa, in quest'ora grave e decisiva, questo popolo ha da guardarsi da un pericolo: mortale pericolo. Niente di più facile e funesto che confondere, al bivio, il viottolo che porta al burrone, col sentiero che conduce alla vetta!…" Nel napoletano non si è verificata una vera e propria Resistenza, anche per il breve periodo di permanenza degli occupanti tedeschi, ma nonostante ciò la rivolta napoletana rappresenta un evento esemplare ed eccezionale, perché in queste ore di confusione, non conoscendo la lotta partigiana del CLN, i napoletani guidati dal proprio istinto e dal desiderio di riscattare la propria condizione di miseria scelsero subito la "strada giusta" quella filoalleata e non filotedesca, che portò nel Nord del Paese, il 27 settembre, alla costituzione della Repubblica Sociale di Salò, indicando la giusta direzione da seguire verso la Liberazione Nazionale.

CITTA' DI NAPOLI - MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE
(Motivazione) "Con superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto ed alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia.
Impegnata in un'impari lotta col secolare nemico, offriva alla Patria, nelle Quattro Giornate di fine settembre 1943, numerosi eletti figli.
Col suo glorioso esempio additava a tutti gli italiani la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria."
Napoli, settembre 1943

Prima dell'arrivo degli Alleati Napoli era libera non senza aver pagato il suo contributo di vite umane ben 4828 tra partigiani e civili.

IL REGNO DEL SUD E LA RESISTENZA A NAPOLI
Dopo la liberazione di Napoli l'interesse alleato si ridimensiona fortemente, il governo del Medi-terraneo (il Comando alleato si trasferisce da Algeri a Napoli dove arrivano capi politici, giorna-listi, ecc.) ed il controllo di SUEZ garantivano i rifornimenti per cui si concentrano gli sforzi sul fronte giapponese e russo dove si registrano notevoli successi, inoltre, lo sbarco in Italia rap-presentò la prova generale per quello in Normandia (2^fronte). La Resistenza italiana a-vrebbe provveduto ad impegnare i tedeschi e ridurre la loro presenza in Francia.
Da precisare che, dopo l'8 settembre '43, l'Italia si ritrova divisa in tre stati (le tre Italie):
- il Sud ove continua lo stato- macchina con la vecchia classe dirigente e gli Alleati;
- il Centro con i partigiani ;
- il Nord con Salò.
La riunificazione si realizzerà il 25 aprile '45 con la liberazione di Milano.
Per cui il MODERATISMO, prima solo al Sud poi in tutta Italia, era già attivo nel '44 prima del governo Parri ('45).

Parte il ciclo della Resistenza con i fatti di Porta S. Paolo a Roma e gli avvenimenti di Cefalonia (isola greca abbracciata a Itaca)
luogo dell'eccidio da parte dei tedeschi in violazione di tutte le leggi della guerra e dell'umani-tà, in 10 giorni di combattimenti furono bombardati e massacrati 7000 soldati, i cadaveri but-tati a mare per nascondere le tracce, altri 3000 furono fucilati (c'era quasi una gara per andare prima degli altri davanti al plotone di esecuzione) o naufragarono, tra il 23 e il 28 settembre, in tre navi cariche di prigionieri dirette ai lager nazisti e affondate in mare (solo con le ricerche degli anni Cinquanta si sono individuate e riportate in patria alcune salme). Il 1 marzo 2001 il presidente della Repubblica Italiana Carlo Azelio Ciampi ha commemorato sul posto l'avvenimento. Alcuni passi del suo discorso: "A voi, alla fin e del lungo travaglio causato dal colpevole abbandono (del Governo Badoglio), furono poste tre alternative: combattere coi tedeschi, cedere le armi, tenerle e combattere. Vi fu chiesto (con un inedito referendum), in circostanze del tutto eccezionali in cui mai un'unità dovrebbe trovarsi, di pronunciarvi e con orgoglioso passo avanti faceste la vostra scelta: unanime, concorde, plebiscitario: combattere. - Noi ricordiamo oggi la tragedia e la gloria della Divisione Aqui (12.000 uomini con due reggimenti di fanteria, uno di artiglieria e tre compagnie del Genio). Il cuore è gonfio di pena per la sorte di quelli che ci furono compagni della giovinezza; di orgoglio per la loro condotta. - la loro scelta consapevole fu il primo atto della Resistenza di un'Italia libera del Fascismo. - Decideste così, consapevolmente, il vostro destino. Dimostraste che la Patria non era morta. Anzi con la vostra decisione, ne riaffermaste l'esistenza. Su queste fondamenta risorse l'Italia" -
Seguono le Quattro Giornate (28 settembre - 1 ottobre) e la strage di Caiazzo (CE) del 10 e 11 ottobre '43.
Insomma dopo Napoli si conobbe il senso della lotta partigiana.
Il congresso dei partiti antifascisti di Bari (gennaio '44 - in precedenza, dicembre '43, vietato a Napoli dal Comando alleato) porta alla svolta di Salerno (marzo aprile '44), propiziata anche dal mutato atteggiamento di Togliatti verso il re (prima di chiusura: 3.3.44, unica soluzione un nuovo governo Sforza; poi, dopo l'incontro con Stalin del 4.3.44: più morbido), con l'ingresso di antifascisti nel governo e, appena liberata Roma, dimissioni del re e di Badoglio sostituito con il socialista Bonomi che, sostenuto dai sei partiti antifascisti, formò un governo di Unità Nazionale (ministri: il liberale Benedetto Croce, il democristiano Alcide De Gasperi, il comuni-sta Palmiro Togliatti, l'indipendente Sforza), il tutto significò un chiaro segnale democratico e antifascista. Gli anglo - americani favorirono le forze moderate al governo, preoccupati da una possibile crescita dell'influenza sovietica in Italia. Il 27.3.44, a Ravello, il re fu costretto da Mc Millard a dichiarare, appena liberata Roma, la LUOGOTENENZA formalizzata il 25.6.44.

LA POLITICA DEL REGNO DEL SUD
Nel Regno del Sud ci fu un concentramento forzato di forze politiche, i poteri forti (economici, istituzionali: i prefetti sono ex fascisti, ecc.) si saldano prima che altrove, la vita politica si svolge tra due moderatismi (forte produzione di POLITICANTI). L'occupazione alleata (100.000 americani) con Poletti abolisce la legge fascista, ripristina quella del '15 e produce, per la sopravvivenza, una immoralità (42.000 prostitute) e un'illegalità (contrabbando) diffuse; si cerca di restare fuori dal contrasto con la chiusura iniziale al CLN (si nega il congresso dei partiti antifascisti a Napoli nel dicembre '43); solo in una seconda fase inizia il dialogo con i partiti ed il CLN quali rappresentanti delle forze operaie e produttive, prologo dell'imminente democrazia di massa, i risultati sono scarsi per le poche risorse ed aiuti (si può pensare a Napoli come labo-ratorio della politica americana nei territori occupati). Nel Sud la Resistenza è solo antitedesca la Monarchia e le istituzioni vanno difese perché‚ appaiono, diversamente che al Nord, antitedesche e protettrici; convinzione suffragata successivamente dal REFERENDUM istituzionale e mantenuta in vita dal successivo LAURISMO (responsabile dell'appannamento della memoria delle "quattro giornate"). Sicuramente i valori resistenziali giungono forti a Napoli solo con i partiti di sinistra nella lotta repubblicana anche se la lettura della Resistenza non può avere una visione esclusivamente partiticentrica (i capi della Resistenza vengono tutti dall'Aventino, processo da rivalutare in quanto estremo tentativo di resistenza politica visto che li movimento operaio era stato già distrutto con il delitto Matteotti)

LA RESISTENZA NEL SUD (storiografia)
Un ragazzo napoletano di 17 anni, a pochi minuti dall'esecuzione capitale da parte dei tedeschi, scrisse: "E' PIU' FACILE MORIRE PER UN'IDEA CHE VIVERE PER REALIZZARLA".
La Resistenza, quale fondante dello stato repubblicano e nesso forte dell'identità collettiva dello stato ita-liano, è definita milanocentrica e permangono forti le difficoltà per delineare una Resistenza del Sud, a causa del breve tempo in cui si è palesata (25 luglio '43 - 28,29,30 settembre e 1 ottobre '43); inoltre, la si ritiene non del tutto veritiera (le 4 giornate rappresentano solo una sommossa d'istinto) o necessaria (gli Alleati erano in vista di Napoli). Per una corretta analisi è necessario verificare anche se ci furono, nel Sud, tendenze antifasciste e repubblicane nel periodo fascista, attraverso il dibattito storiografico. Le valutazioni si orienteranno sulla opposizione, la crucialità, la rilevanza e la peculiarità di Napoli, e considereranno se il vento democratico del Sud smosse le masse, fondendo il sociale con il politico, e si contrappose al vento del Nord.
Indubbiamente la difficoltà delle comunicazioni costringe le notizie alla sola lingua parlata, molto diversa tra nord e sud, ma Napoli insorge mentre Roma viene liberata.
Geograficamente il Mezzogiorno si diversificherà, per la durata: brevissima in Sicilia (entro il 3 settembre '43), veloce in Calabria (entro il 10 settembre '43) e a Napoli (entro il 1 ottobre '43), lunga in Abruzzo (nel '44).

Per lo storico CHABOD, le 4 giornate rappresentano un evento esemplare ed eccezionale, proprio perché nel "Regno del Sud" non si conobbe la lotta partigiana né i CLN.
Per lo storico Roberto BATTAGLIA, si devono legare gli episodi della Resistenza, la peculiari-tà del Sud si caratterizza da una limitata reazione per la brevità dello stato di guerra, ma è forte l'INERIRE nel corpo sociale della rivoluzione vista la spontaneità e la resistenza passiva: infatti si registra una esplosione di collera secolare prima con le LOTTE CONTADINE in provincia (vedi ad esempio opuscolo su Terzigno) e poi con le 4 giornate in città. Solo nel Sud l'urto elementare tra l'efficientissimo apparato militare nazista ed il popolo senza alcuna organizzazione predeterminata ma in grado di scegliere d'ISTINTO subito la STRADA GIUSTA (filoalleati e non filotedeschi) da nessuno indicata e senza disorientamenti altrove registrati.
Per Giampaolo Pansa, infatti, contrariamente alla vulgata resistenziale, nel Nord non ci fu al-cuna insurrezione delle città contro nazisti e fascisti, sia perché l'avanzata di aprile '45 degli Alleati si rivelò molto più rapida del previsto, sia perché le città settentrionali si ritrovarono liberate dal momento che, nelle ore finali della guerra, tedeschi e fascisti se ne andarono o, se si preferisce, scapparono: i tedeschi nel tentativo di arrivare in Austria e di lì in Germania, con un ripiegamento spesso disordinato e accompagnato da stragi di civili; i fascisti per raggiungere il fantomatico ridotto armato dalla Valtellina, ma soprattutto per disperdersi e non essere catturati dai partigiani. (…). A riprova di ciò è l'assenza quasi totale di morti in queste città, anche se si sono raccontate molte bugie come la leggenda dei 320 morti (articolo di Gravagnuolo apparso sull'Unità del 30 ottobre 2005, recensito come Sconosciuto 1945) da parte dei cecchini fascisti a Torino (in città non vi è alcuna lapide o monumento per tali numerosissime vittime).
Il testimone Pasquale SCHIANO, nel '65, parla della presenza a Napoli di intellettuali antifa-scisti e di un Fronte Napoletano di Liberazione, di tradimento di politici (politicantismo) che smorzò la spinta resistenziale; le Quattro Giornate furono un momento dell'intero processo an-tifascista come il compiersi di un processo lungamente incubato e non pura occasionalità, tanto che Mussolini affermava che Napoli era la meno fascista delle città italiane e Hitler ordinò di distruggerla.
RENDA e PAVONE nel loro "Movimento contadino" ('80) affermano che le spontanee lotte contadine del '43 sono una scelta strategica non armata che supportò il Nord, per le antitesi alle iniziative moderate dello stato monarchico. Si realizza una certa saldatura tra città e cam-pagna; nel Regno del Sud il ceto dirigente, per il ruolo cruciale sul piano interno ed internazio-nale, si allena alla politica interna ed internazionale.
PAVONE ('92): Le QUATTRO GIORNATE un MOTO TELLURICO poco analizzato dagli storici na-zionali, è utile ricercare i nessi e le equivalenze fra i partigiani del Nord ed il movimento conta-dino, la mobilitazione popolare e repubblicane del Sud. La gente comune (zona grigia) è forte-mente convinta del cambiamento, sostenuta dalla stessa Chiesa.
Per CORTESI ('75) il napoletano è un laboratorio e il processo è unico con tante specificità.
Non si deve ovviamente commettere l'errore di dividere sociale e politico, a causa della man-canza della struttura e organizzazione politica, ma considerarli tutt'uno. Nell'azione rivoltosa sono presenti tutti (docenti, studenti, operai, disoccupati, ecc.) e in tutti i luoghi (il signorile Vomero e il proletario Ponticelli), non è esclusiva la figura dello scugnizzo che va ridimensionata. La sconfitta in guerra è un grosso colpo all'identità nazionale per la classe media in quanto si perdono referenti e protezioni, anche l'ingresso nel fascismo a Napoli fu di tipo opportunistico, non certo politico.
Il fascismo per reati minori e dei fascisti stessi condannava con la semplice denuncia (anche nel privato) al CONFINO perché meno duro ma molto adatto in quanto enucleava anche il mi-nimo dissenso (bastava citare abbasso il re o il duce) e nello stesso tempo evitava i processi dove necessariamente doveva svolgersi un dibattimento pubblico sul fascismo.

***

Il laboratorio Napoli finirà per condizionare fortemente gli eventi.
Per una lettura scientifica: ricercare i collegamenti incrociati Nord- Sud: LA RESISTENZA FU UNITARIA? (possibile una conferma attraverso un'analisi geografica della sua evoluzione).
SAREBBE OPPORTUNO PROPORRE UN PERCORSO DAL TITOLO: "NAPOLI RIVOLUZIONARIA 1799: Repubblica partenopea - 1861/5: Il Brigantaggio - 1943: Le Quattro Giornate" con un prosie-guo nella attuale sfida che la Città, ferita a morte ed a rischio di toccare il punto di non ritorno, per una "rinascita" deve affrontare per l'emergenza delinquenziale e camorristica i "padroni" del malaffare.
Nel settembre 2006, ad esempio, in occasione della celebrazione delle Quattro Giornate, al motto:"Le quattro giornate di Napoli contro la camorra. Un invito alla resistenza che non puoi rifiutare." Si sono te-nuti convegni in quattro città simbolo: Casal di Principe, Afragola, Ottaviano, Marano.
Studenti e cittadini tutti, come i partigiani del '43, con un estremo sforzo devono organizzare, questa volta, la resistenza al sanguinario nemico della legalità e del vivere nel pieno rispetto delle regole. Lo sforzo consiste nel superare il colorito contrabbando, tollerato da tutti e spesso utilizzato dalle stesse forza dell'ordine; la politica, per fare la propria parte, non deve solo non avere rapporti con la camorra; lotta all'occupazione commerciale camorristica (bar, circoli, mercato carni, ecc.); non reprimere, ma prevenire; utilizzazione sociale immediata dei beni confiscati, altrimenti l'immagine è di sconfitta e di abbandono; distinzione tra ordine camorristico , più semplice e quindi più sconfiggibile, da quello mafioso.




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