Eduardo Ambrosio


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NAPOLI NEL '43

STORIA > NOVECENTO > LA II GUERRA MONDIALE


Napoli nel 1943

Quando la città di Napoli insorse erano oramai passati già tre anni dall'entrata in guerra dell'Italia, spinta dal Regime Fascista a partecipare ad un evento al quale era assolutamente impreparata, al fianco di un alleato potentissimo ed intenzionato sottomettere tutta l'Europa e cancellare dalla faccia della terra tutti i popoli non ariani. Fu inevitabile quindi, dopo le prime, effimere, vittorie, che il nostro esercito finisse allo sbando e che il nostro territorio, situato di una posizione strategica, venisse preso di mira dai poderosi bombardamenti degli alleati, ai quali non si avevano batterie di contraerea da opporre.
Una delle città più bersagliate fu Napoli, che aveva uno dei porti più grandi del Mediterraneo, dal quale partivano i rifornimenti per le truppe dell'Asse di stanza in Africa.

A partire dalla seconda metà del 1942 gli Alleati iniziarono il lancio aereo degli ordigni, nel 1943 il porto era ridotto ad un ammasso di rovine, gli impianti della stazione ferroviaria semidistrutti, così pure le industrie; ma le bombe non cadevano solo sugli obiettivi militari: gli aerei alleati le sganciavano a tappeto su tutta la città, senza tema di mietere vittime tra i civili, compresi donne e bambini
(le bombe sono democratiche: uccidono in modo uniforme!).
Il risultato fu un'ecatombe:
migliaia di morti, feriti, mutilati, ancora oggi in alcuni quartieri popolari si notano le cicatrici delle incursioni ed anche i danni al patrimonio artistico furono ingenti.
Anche i mezzi di trasporto erano stati danneggiati e non funzionavano e, per ripararsi dagli attacchi aerei, gli unici
rifugi degni di tale nome erano le gallerie della metropolitana, di Fuorigrotta e della Vittoria, dove migliaia di persone vivevano in condizioni igieniche orribili.
In città mancava tutto a partire da viveri ed acqua, e
molti preferirono allontanarsene cercando riparo nelle campagne e nei paesi della provincia, anche se furono moltissimi coloro che restarono a Napoli.

Il 2 dicembre 1942 Mussolini tenne un importante discorso alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel quale affrontava il problema delle distruzioni causate dai bombardamenti e il conseguente problema dello
sfollamento, cioè l'abbandono coatto di una città sempre più duramente colpita dagli incursori nemici, invitando i napoletani a sfollare la città soprattutto dalle donne e dai bambini in esodi serali, in modo che nella città ci fossero solo i combattenti.
Mussolini con questo discorso non fece altro che ufficializzare il fenomeno, che era già cominciato allo scoppio della guerra, della ricerca di una possibile sistemazione alla periferia di Napoli presso parenti, amici, di un tetto di fortuna:
due stanze pagate a caro prezzo, o una soffitta, o addirittura una cava tufacea.

Naturalmente le
vittime dello sfollamento furono principalmente i ceti più disagiati: i proletari e i sottoproletari.
Per non trasformare lo sfollamento in un esodo caotico le autorità attraverso una trama di disposizioni e di divieti cercarono di dare ordine a ciò che non poteva che essere disordinato: le strade che uscivano dalla città erano piene di carrette e di camion; per avere il "
libero transito" bisognava procurarsi un permesso da esibire e molti non ebbero il tempo o la calma di procurarselo; i treni della Circumvesuviana erano affollatissimi e procurarsi un biglietto era un'impresa non facile.
Lo sfollamento produsse il pendolarismo, che costrinse le autorità a garantire corse giornaliere di treni da e per la città e di corriere e di vaporetti che mettessero in comunicazione le innumerevoli località costiere e le isole. Molti furono gli uomini che intimoriti dal rischio di tornare in città si assentavano dal proprio lavoro rallentando il ritmo generale della produzione.
Sfollare significava anche sottoporsi alle speculazioni di alcuni proprietari, le quali non terminarono neanche dopo l'imposizione di un calmiere dei fitti, infatti erano molte le persone che nonostante avessero pattuito un fitto formale erano costrette a cedere la catenina d'oro o il portagioie di madreperla.

Lo sfollamento coincise con il cedimento del fronte interno, infatti i
cittadini sfollati presenti nella provincia fascista produssero i primi sentimenti provinciali antifascisti, anche grazie all'ignoranza dei contadini.

Oramai tutti erano stanchi della guerra e la odiavano, lo stesso valeva per il Regime che, dopo aver trascinato un'intera nazione sul baratro, non era più in grado neanche di adoperarsi affinché i cittadini avessero almeno l'indispensabile per sopravvivere.

Nel frattempo gli Alleati occuparono
Pantelleria e poi la Sicilia, il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo pose in minoranza Mussolini, oramai divenuto incapace di gestire la situazione, e Vittorio Emanuele III fece arrestare il duce ed affidò il governo al maresciallo Badoglio.
A Napoli, appena giunta la notizia, ci fu un'esplosione di gioia, tutti credevano che, finito il fascismo, la pace sarebbe stata imminente ed iniziarono i festeggiamenti nelle piazze e nelle strade. Ma la felicità durò poco: Badoglio dichiarò il prosieguo della guerra e gli Alleati, per spingerlo a staccarsi dalla Germania,
intensificarono la pioggia di bombe.
Napoli e la Campania divennero l'avamposto del nuovo fronte militare e le incursioni divenivano sempre più martellanti e violente: i
l 4 agosto ci furono centinaia di vittime, il crollo di numerosi fabbricati e la quasi completa distruzione della basilica di Santa Chiara, che fu un duro colpo al patrimonio artistico.
Il popolo, che già aveva dato segni di insofferenza dopo il discorso del 25 luglio, iniziò ad organizzare numerose manifestazioni di protesta, che furono represse dalle forze dell'ordine per espresso comando di Badoglio. A Napoli ed in numerosi paesi limitrofi, a Castellammare di Stabia, a Pozzuoli, a Torre Annunziata migliaia di cittadini, studenti, operai, donne, ricchi e poveri, si scontrarono con la polizia perché erano scesi in strada per la pace.
Nel giro dei quarantacinque giorni dal 25 luglio all'8 settembre il movimento pacifista ed antifascista si espanse a macchia d'olio, trovando sempre l'opposizione dell'autorità, come il 20 agosto a San Giacomo dei Capri ed il primo settembre a Napoli.

Arriva poi l'armistizio dell'8 settembre, e tale notizia provocò in città un fremito ribellione: provato da sofferenze e privazioni, dopo centocinque bombardamenti che avevano provocato ben ventiduemila morti e la distruzione di duecentotrentaduemila vani abitativi, il popolo napoletano non ci stette a rassegnarsi ed ebbe inizio quella resistenza ai tedeschi che sarebbe culminata con le Quattro Giornate, che diedero il via al cosiddetto "Nuovo Risorgimento".

Mentre i civili erano scesi in campo, al contrario, i militari, che erano stati tanto zelanti pochi mesi prima nel reprimere tutte le manifestazioni pacifiste, restavano completamente inerti. I reparti tedeschi presenti a Napoli ed in tutta la Campania erano meglio equipaggiati ma sicuramente meno numerosi di quelli italiani, ma i generali
Del Tetto e Pentimalli non se la sentirono né di intervenire direttamente né di accettare la richiesta del Comitato dei Partiti Antifascisti, che domandava di distribuire le armi al popolo napoletano; la loro unica preoccupazione fu quella di non irritare i tedeschi, dandogli così il tempo di organizzarsi.
Ci furono comunque dei militari che si distinsero dalla massa per i propri atti eroici: il generale Ferrante Gonzaga, comandante di una divisione stanziata a Salerno, il quale si rifiutò di ordinare ai suoi la resa venendo trucidato; il colonnello Ferraiolo, ucciso a Villa Literno; dieci ufficiali del 12° e 18° reggimento fucilati a Nola; infine ricordiamo i numerosi gruppi militari che a Napoli si oppongono ai tedeschi, tra i quali cade il tenente Farneti ed alcuni altri tra sottufficiali e soldati semplici.
Nel frattempo i civili prendono sempre più coraggio, addirittura fanno prigioniero un drappello di nemici, salvo poi liberarlo onde non scatenare rappresaglie che però avvengono lo stesso, come la cattura e la fucilazione l
'11 settembre di quattordici carabinieri i quali volevano salvare dalla distruzione il palazzo dei telefoni in Via Depretis. Il giorno dopo i tedeschi compiono l'atto di massimo furore verso un popolo che, pur disarmato, tenta di difendersi strenuamente: i nazisti credono che incendiando l'Università possano annientare i valori di libertà e civiltà che animano la gente, ma purtroppo per loro non era così.

La
Resistenza del territorio napoletano fu animata, tranne che in pochi casi, non dall'alto ideale della libertà o dall'amor patrio ma da un forte istinto di conservazione, di insofferenza alla fame e dal rifiuto dei giovani ai rastrellamenti, che indussero i napoletani a scagliarsi contro i tedeschi non come oppressori, ma come alleati dei fascisti che dovevano pagare per averli condotti in quel pietoso stato.
Con l'incendio del 12 settembre si chiuse il primo periodo dell'occupazione nazista: se fino ad ora i tedeschi erano indecisi sul da farsi e non avevano organizzato un governo stabile nel capoluogo, adesso,
vista l'ignavia dell'Esercito Italiano e constatato che i napoletani non rappresentavano una grossa minaccia (e qui sta l'errore di valutazione), avevano stabilito che Napoli sarebbe stata la loro roccaforte contro gli Alleati sbarcati a Salerno. Nel giorno stesso il colonnello Scholl assunse il comando assoluto della città partenopea e fece pubblicare da tutti i giornali un durissimo proclama.
Si può notare dalla rabbia delle sue parole e dalle minacce come sia spaventato ed insieme stupito dal modo in cui il popolo, nonostante le sue condizioni di disperazione, continui un'aspra resistenza.
La città doveva essere punita, Hitler stesso diede ordine che Napoli divenisse "fango e cenere": iniziò la distruzione programmatica di opere militari, ma anche produttive e civili, e venne dato il via libera al saccheggio dei depositi di viveri e vestiario ed alla deportazione di massa degli uomini.

A queste operazioni presero parte anche alcuni gruppi di fascisti, che erano scomparsi dalla scena il 25 luglio e vi tornavano solo adesso dando man forte agli occupanti oltre che con
le gesta anche con la delazione. L'ultimo federale fascista, Domenico Tilena, fece affiggere un manifesto col quale chiamava a raccolta tutti i camerata, infervorati anche dalla fondazione della Repubblica di Salò. Essi si distinsero anche durante le quattro giornate, piazzandosi un po' ovunque sui tetti di numerosi palazzi e sparando a vista.

Tutte le industrie, dall'Alfa Romeo alla Cellulosa Cloro Soda, passando per le Cotoniere Meridionali, i cantieri Vigliena, le Industrie Navali Aeronautiche Meridionali e tutti gli opifici minori vennero dapprima private di tutti i macchinari ed utensili smantellabili e trasportabili, per poi essere rase al suolo col fuoco. Poi fu la volta del porto, di cui si credeva di aver salvato almeno i macchinari più delicati della Navalmeccanica, che erano stati messi al sicuro, o almeno così si pensava, nelle capienti grotte di Villa Gallotti a Posillipo, ma a causa dei soliti delatori vennero scoperti e distrutti. Il pontile di Bacoli ed il ponte di S. Rocco a Capodimonte saltarono in aria il 20 settembre, seguiti da tanti altri luoghi di fondamentale importanza per la città.

Ma la dominazione tedesca non si mostrò oppressiva solo nei riguardi degli impianti produttivi o delle infrastrutture: la collera teutonica si scatenò anche sulla stessa popolazione. Il primo passo in questo senso fu il proclama nel quale si inoltrava l
a richiesta della consegna di tutti i militari alleati liberati dalla prigionia dopo l'armistizio, i quali erano tenuti nascosti nelle abitazioni. Tale ordine rimase inascoltato, ma non si poté fare lo stesso con quello di abbandonare tutti gli edifici della fascia costiera, i cui abitanti furono costretti a vivere in rifugi di fortuna oppure negli scantinati delle case abbattute.
Seguì poi il proclama col quale tutti
gli uomini appartenenti alle classi dal 1910 al 1925 venivano chiamati a presentarsi per il servizio obbligatorio del lavoro. Quest'ultimo decreto era firmato dal prefetto Soprano e, sulle stimate trentamila persone, se ne presentarono solo centocinquanta, scatenando così la rappresaglia nazista.
I soldati misero a ferro e fuoco la città alla ricerca dei disertori, ma in molti casi le donne riuscirono a salvarli circondandoli in massa, oppure riuscendo ad informarli in anticipo, altri ancora scapparono durante il trasporto.
Nonostante tutto ciò ben
ottomila napoletani furono catturati e deportati nei campi di con-centramento.
Come se non bastasse gli americani avanzavano e
la città era tra i due fuochi ma, nonostante le nuove privazioni ed i nuovi lutti, si continuava a rifiutare la consegna delle armi, a nascondere i giovani ai rastrellamenti, ad organizzare una riscossa che ora stava diventando l'unica possibilità di non morire di stenti.

I
l dato di fondo importante è la stretta unione che venne a crearsi tra i napoletani di tutte le classi sociali e tutti i censi. Fu proprio questa coesione totale che sopperì alla mancanza di organizzazione politica e militare che la Resistenza ebbe il tempo di darsi nel resto d'Italia: a combattere insieme per le strade c'erano comunisti, socialisti, cattolici, liberali, azionisti, operai, contadini, impiegati, nobili ed industriali, la liberazione della città era sentita come impegno civile per la libertà e l'indipendenza del Paese dallo straniero, ma soprattutto come liberazione dalle sofferenze, dall'orrore e dalla fame.




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