Eduardo Ambrosio


Vai ai contenuti

Menu principale:


FASCISMO

STORIA > NOVECENTO > FASCISMO E NAZISMO

FASCISMO

Per intendere le origini storiche del Fascismo è necessario rifarsi alla crisi profonda provocata in tutta l'Europa dal primo conflitto mondiale (1914- 1918) che portò radicali mutamenti nelle strutture politiche e sociali dei singoli paesi, nei rapporti tra le classi, nel costume.
La pace, che aveva segnato la fine del primo conflitto mondiale, non portò serenità nel nostro Paese, attraversato da una grave crisi economica. Il malessere delle classi popolari esplose sia nelle fabbriche, sia nelle campagne, con scioperi, occupazioni, agitazioni. Dovunque si richiedevano migliori condizioni di vita e maggior potere per i lavoratori, che avevano contribuito ad una vittoria, costata oltre 600 mila morti.

Industriali e proprietari terrieri, spaventati dalle richieste popolari (i rossi), cominciarono allora ad appoggiare e finanziare il movimento fascista, fondato il 23 marzo 1919 da Benito Mussolini.

Esso svolgeva un'opera di sistematica aggressione contro le organizzazioni sindacali e contro i partiti politici democratici. Mussolini conosceva l'opera di Machiavelli "Il Principe" e a questa si ispirò come modello da seguire; era un buon conoscitore anche della politica di Bismarck; favorevole e ripristinatore della pena di morte, abolita da Beccaria, e che era in vigore in Germania, Francia e Inghilterra. Mussolini sosteneva, appropriandosi delle parole di S. Tommaso:"...
non è meglio tagliare via un braccio in cancrena, se così si salva il corpo intero?...".
In tutta la sua politica non ha mai preso in esempio Napoleone, perché non italiano, accusandolo di nepotismo ed ignoranza in tema di finanza ed economia. Napoleone ha segnato la fine di una rivoluzione, Mussolini ne è l'iniziatore.
Contrariamente, come figura storica, ama Cesare il quale riuniva in sé la volontà del guerriero e la dottrina del saggio; amava la gloria ma l'ambizione non lo tagliava fuori dall'umanità.
La monarchia, il governo, l'organizzazione statale ne tolleravano i crimini, appoggiandolo più o meno apertamente.
Nel 1922 dopo la "
Marcia su Roma", organizzata da Mussolini come dimostrazione di forza, il re giunse ad offrire al capo del Fascismo l'incarico di formare il governo.
La "Marcia su Roma" è stata non la causa ma la conseguenza di una insostenibile situazione istituzionale e politica dell'Italia. L'Italia aveva vinto la guerra ma i suoi problemi erano simili ai paesi che l'avevano perduta. I superstiti di cinque milioni di contadini, operai, piccolo- borghesi che avevano combattuto volevano un riconoscimento sia economico che politico. In questo clima di grande instabilità, a causa di pressioni sul re Vittorio Emanuele III e di incomprensioni con l'armata e il generale Diaz, si sottovaluta Mussolini che a Roma, in un'adunata proclamò:"
Noi vogliamo governare l'Italia ".
In pochi anni il
Duce (come voleva essere chiamato Mussolini), ormai al potere, si liberò di tutti gli oppositori, sciolse i partiti e le organizzazioni sindacali, impose la censura sulla stampa, abolì i diritti democratici: instaurò una vera e propria dittatura. Il Fascismo metteva a tacere gli oppositori con intimidazioni e violenze. Mussolini stesso aveva scritto: " per quanto si possa condannare la violenza, è chiaro che per far entrare le nostre idee nella testa delle persone, bisognerà suonare sui crani... A suon di manganello" .
Dopo una rapida ascesa,
il Fascismo divenne partito caratterizzandosi come difensore dell'ordine e, nel suo espandersi, finì con l'identificarsi con lo Stato e tese a fascistizzare il paese, utilizzando la stampa, strumentalizzando la scuola, inquadrando fin dall'infanzia la gioventù in apposite organizzazioni fasciste.
Il Fascismo cominciò a permeare la vita quotidiana della nazione in ogni suo aspetto pubblico o privato. Perfino il calendario e la lingua furono fascistizzati: il 1922 divenne l' "anno primo" dell'E.F., cioè dell'era fascista; Mussolini coniava quasi ogni giorno parole nuove che immediatamente venivano accolte dai vocabolari; non ci si dava più del "
lei", ma del "voi", considerato più virile.

Il maestro Mussolini aveva molto a cuore la gioventù italiana; o meglio, fascista. Conquistato il potere incentivò le nascite: per avere più soldati. Poi, investì sulle scuole: per avere un futuro popolo di soli fascisti. I risultati furono tangibili: l'istruzione scolastica si fondò sullo slogan caro a Mussolini "
libro e moschetto, fascista perfetto "; l'assistenza sociale fu preda di rituali militari e soffocata dall'ossessiva invadenza dello Stato e dalla propaganda.
Il Duce fece della procreazione un mito, trattando le donne come macchine per la riproduzione, con un obiettivo: acquistare peso e forza davanti al mondo. Il regime infondeva nei bambini, che nascevano sempre più numerosi, l'idea di un futuro eroico di armi e di battaglia che le più giovani generazioni avrebbero dovuto affrontare in una guerra ormai prossima e a cui il fascismo intendeva prendere parte.
Il progetto veniva da lontano.
All'indomani della "Marcia su Roma", Mussolini con lo slogan "
Se le culle sono vuote, la Nazione invecchia e decade ", aveva iniziato una campagna di incentivazione demografica che, in poco più di un decennio, aveva incrementato la popolazione dai 38 milioni ai 47 milioni del 1936. Il primo provvedimento era stato l'istituzione dell'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, nel 1925, col compito di provvedere alle madri bisognose e all'infanzia abbandonata e di gestire una fitta rete di moderni nidi di infanzia. In tal modo, Mussolini creò il mito della famiglia numerosa: "il numero è potenza".
A partire dal 1928 gli
scapoli italiani furono obbligati a pagare la tassa più assurda, più stupida, più incredibile che uno stato avesse mai ideato, la tassa sul celibato.
Giunti ai 6 anni i bambini andavano a scuola, maschi e femmine in aule rigorosamente separate, prendendo posto su angusti banchi con lo
schienale disposto ad angolo retto e la tavoletta ribaltabile sotto la quale trovavano posto cartelle e merende. Una Cassa Scolastica regalava i quaderni a righi e a quadretti ai bambini delle famiglie meno abbienti, mentre l'Ente di Assistenza Scolastica assicurava, agli stessi, la refezione gratuita. Gli scolari venivano periodicamente visitati dai medici, assistiti da infermiere e da vigilatrici nell'ambulatorio scolastico e i più deperiti o inappetenti venivano messi in liste per soggiorni nelle colonie estive marine o nei campeggi estivi e invernali gestiti dalle organizzazioni giovanili fasciste.
In questo modo fin dall'età scolare i bambini furono permeati dall'immagine di
un Duce paterno, benefico, sollecito del bene del Paese.
In pochi anni, sotto la spinta della propaganda, nacque nelle scuole italiane il culto di Mussolini. Nelle ore libere, i bambini, accompagnati da madri o sorelle maggiori, andavano ai giardini pubblici o, nelle città più grandi, al parco. Il regime, però preferiva che i bambini frequentassero palestre, piscine e i campi delle organizzazioni sportive fasciste come l'
Opera Nazionale Balilla alla quale tuttavia non era obbligatorio, ma semplicemente opportuno, iscriversi.
Attorno al 1936- 1937 l'Opera Balilla contava quasi 7 milioni di iscritti. Nel pomeriggio del sabato i ragazzi, adunati nelle Case del Balilla, venivano impegnati nell'ordine chiuso, negli esercizi ginnici e nel funzionamento delle armi in vista degli imponenti saggi sportivo- militari che si tenevano ogni anno a Roma davanti al Duce nello Stadio dei Marmi.
Tutta l'organizzazione fascista mirava ad abituare i giovani alle regole militari, alla ferrea disciplina, all'ordine esasperato, mortificando il libero sviluppo della personalità. Non c'era spazio per nessuna forma di libertà personale, tutti omologati, tutti intrappolati in un gioco assurdo di oppressione e "violenza" addolcita dall'apparente forma di ordine e di saggia organizzazione.
A tutte le età l'educazione dei giovani era soprattutto militarista. Si cominciava nei sillabari a dare la preferenza alle parole che fossero in qualche modo legate alla guerra. Le materie storiche, in particolare, erano indirizzate ai fini che il regime fascista si proponeva. Tutti gli insegnamenti, poi, venivano impartiti secondo criteri particolari intesi a identificare il Fascismo con l'idea di civiltà.

Sin dal 1925 il regime capì l'importanza dello sport.
Esercizio fisico e ordine fu il binomio tanto caro alla retorica del regime. Nulla era lasciato al caso: nelle manifestazioni sportive la regìa del regime si occupava sia degli spettatori che degli atleti. Nulla doveva turbare l'immagine di un Paese sano e allineato. La parola d'ordine era: "
risanamento fisico e morale della razza. I campioni sono la nostra vetrina ". Il regime affrontava il problema di uno sviluppo dello sport con lo scopo di finalizzarlo all'addestramento paramilitare della gioventù; perciò dedicò particolare attenzione all'educazione fisica dei giovani, infatti lo stesso Duce ripeteva, "la palestra è l'anticamera della caserma".
Mussolini si poneva l'obiettivo di servirsi dello sport col fine ultimo di condurre i giovani alla pratica delle armi, cioè conferiva all'esercizio sportivo un preciso fine di preparazione militare e, più esplicitamente, tendeva, attraverso lo sport, al risanamento fisico e morale della razza italiana.
I successi sportivi conseguiti esprimevano principalmente il valore di un esiguo numero di atleti dietro i quali non esisteva un livello di base altrettanto elevato. Anche la scuola era nel cuore del fascismo e per incentivare l'interesse e la spinta allo studio, Mussolini
curò particolarmente l'edilizia scolastica.
Decine di sue gigantografie e una propaganda serrata "anima del regime" gli permettevano di andare incontro al popolo.
"
Mussolini ha sempre ragione", questo slogan inventato da un giornalista, apparve su tutti i giornali, sui libri, sui manifesti, scritto a grandi lettere sulle facciate delle case, ripetuto dagli altoparlanti e dalle radio. Dappertutto si potevano leggere anche le frasi salienti dei discorsi del duce:
"E' l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende"; ";
"Credere, obbedire, combattere";
"Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi".

Nelle grandi ricorrenze il regime trasformava i capannoni in mense, dove centinaia di persone erano invitate a mangiare all'ombra delle bandiere e di grandi scritte di " Viva il Duce ".
Mussolini in questi enormi banchetti, i cosiddetti "
Ranci d'onore ", dichiarava con convinzione che " La grandezza di un popolo si vede a tavola ".
In tutto ciò si rispecchiava un paese in apparenza tranquillo ed industre nella sua vita quotidiana, sovrastato sempre e dovunque dall'immagine che Mussolini aveva voluto dare di sé già subito dopo la conquista del potere, per sottolineare una certa continuità e rispettabilità di restauratore dell'ordine.
L'Italia, così come voleva il Fascismo, si atteggiava a forte, giovane, coraggiosa.

Il 10 giugno 1940 il Duce annunciava la guerra a fianco dell'alleata Germania e partivano le tradotte verso le Alpi e la Jugoslavia. Le prime sconfitte in Grecia e in Africa, i primi treni carichi di feriti e di mutilati, scossero Mussolini e lo indussero a gettare le responsabilità sugli italiani incapaci per razza di fare la guerra e quando una grande nevicata si abbatté su Roma, evento meteorologico rarissimo per la capitale, Mussolini guardando i fiocchi scendere lentamente, contento affermava: "
questa neve e questo freddo vanno benissimo; così muoiono le mezze cartucce e si migliora questa mediocre razza italiana...".
Alle sconfitte sui fronti di guerra (Etiopia, Taranto, Tripoli, Matapan, Don), seguiva il progressivo crollo dello spirito pubblico nel Paese.
Per gli italiani erano i peggiori anni della vita, fra bombardamenti e sfollamenti, lutti e rovine. Scarseggiava il cibo, non c'erano più scarpe (andavano tutte ai soldati, ma in realtà i fanti in Russia le ricevevano di cartone), mancava la benzina, trionfava la borsa nera.
Sono questi gli anni più duri per l'Italia e di conseguenza per il fascismo. È il periodo del pericoloso voltafaccia del Duce. Nei suoi discorsi si vede un uomo sempre più arrabbiato, insoddisfatto; tutto viene calcolato per la ricerca di nuovi consensi. Sono gli anni in cui Mussolini condividerà il fanatico e mostruoso disegno cominciato dall'alleato Hitler di sterminare gli ebrei.
Escluderà dalla società e dalla politica le stesse persone che lo appoggiavano e che costituivano in diversi casi il suo consenso.
Con i bombardamenti aerei dell'estate 1942 il Paese finì a terra, militarmente e politicamente, e il fascismo crollò col fallimento della guerra più sanguinosa, impopolare e inutile dell'Italia Unita.
Il 19 luglio 1943 fortezze volanti americane attaccarono a Roma due stazioni ferroviarie provocando numerosi morti. Di lì a pochi giorni,
il 25 luglio, Mussolini veniva defenestrato (cacciato via a malo modo) e l'Italia si avviava verso la nuova tragedia, dell'Armistizio, dello sfacelo dell'esercito abbandonato e dell'occupazione nazista.

Mussolini, da vero rivoluzionario, non aveva fatto altro che affermare il suo individualismo con una dittatura a carattere nazionalistico.
Il Duce racchiudeva in sé tutte le caratteristiche proprie del dittatore: rude, arcigno, ostile, folle; capace di innestare continue escalations di violenze per realizzare i suoi disegni di despota incallito.
Eppure il pubblico lo ha molto applaudito, tanto che viene oggi da chiedersi:
Qual era il vero volto dell'Italia fascista?
Com'era vissuta quell'avventura terribile che coinvolgerà nella disgrazia tutto il mondo?
Cosa pensava la gente sola di fronte a un sogno di espansione infranto e a una realtà devastante?
Certo appare chiaro che il popolo italiano, succube di tanta sopraffazione, sapientemente mescolava cautela e audacia, rispetto e insofferenza, indipendenza e sottomissione.

Nell'apparente quiete italiana, caratterizzata da esagerate manifestazioni e perfette organizzazioni fasciste, venivano a mancare completamente la libertà individuale, il riconoscimento dell'uomo come persona e il rispetto di sé e degli altri. Ma il popolo seppe andare al di là delle apparenze e diede vita ad una
Resistenza armata che, anche la più spietata repressione, non riuscirà a fermare. Dopo tante sofferenze, una dura lotta di liberazione conquistò libertà e democrazia per il popolo italiano martoriato da anni di rigida dittatura.

La critica storica ha definito il Duce come
il più grande statista vivente e, peggio ancora sostenne che il governo fascista era la guida più sicura per tutti quei paesi che si sentivano impegnati in un "corpo a corpo" con il Socialismo.
Emil Ludwig, nelle famose interviste che fece al Duce , gli chiese fra l'altro perché egli non si decideva a fondare una nuova Europa, visto che proprio in Europa, Mussolini poteva cogliere una larga messe di consensi e specchiarsi in un coro di lodi che avevano l'effetto di rafforzarlo nella sua convinzione di essere arbitro dei destini del mondo. E Mussolini rispose con voce bassa, che a questa idea si era già avvicinato, ma che aveva giudicato non ancora maturo il tempo dell'azione.
I colloqui con il Ludwig si svolsero nella primavera del 1932. Mussolini aveva detto che il tempo per la fondazione di una "Nuova Europa" sarebbe maturato attraverso nuove rivoluzioni. Gli avvenimenti del 1933 parvero inquadrarsi in questa previsione. Un movimento che ripeteva l'impostazione del Fascismo e un uomo che da tempo si era proclamato fervente ammiratore di Mussolini erano saliti al potere nel gennaio del 1933: il Partito Nazionalsocialista e Adolf Hitler.

Il regime si interessò di creare una efficiente linea ferroviaria."
Un treno anche ai proletari", diceva il Duce. Nacquero i treni popolari, a prezzo politico e "comodità d'orari".
Il mostro d'acciaio di futurista memoria ebbe poi case[le stazioni] che divennero templi del regime.

Il regime fascista rivaluta anche la figura della donna. La donna, sia studentessa che lavoratrice, é una figura tenuta apparentemente in considerazione dal fascismo.
In realtà, una circolare del 1937 predicava: "
La donna é stata creata per la maternità".




Torna ai contenuti | Torna al menu