Eduardo Ambrosio


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NAZ. E NAZION., JUGOS. (testo compl.)

STORIA > I TEMI DEL '900 > NAZIONALISMI, JUGOSLAVIA

NAZIONI E NAZIONALISMI DOPO LA GUERRA FREDDA



Nel 1989, con l'abbattimento del Muro e con il definitivo declino del bipolarismo (seguito all'ordine imposto ad Yalta nel 1945), sono finite le "regole" e la "pace imposta" dalla Guerra Fredda, l'ordine mondiale si è dileguato ancor prima di essere costituito, per cui si è assistito ad una frammentazione del sistema internazionale o meglio al disordine delle nazioni.
Dalla fine della Guerra Fredda appunto si ha la decomposizione dell'assetto geopolitico e la rilegittimazione (prima con l'atomica era impossibile guerreggiare in modo classico) della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
Un vero e proprio spartiacque per gli organismi internazionale è appunto il Sud - Est Europeo e la relativa Guerra dei Balcani è stata scatenata, utilizzando il feroce odio interetnico, allo scopo di cancellare quel crocevia di popoli ed erigere nette barriere di separazioni di Stati e di popoli.
In questo contesto, vero banco di prova per il continuo cambiamento di fronte, gli USA non hanno mai mostrato la "attenzione" come per altri conflitti e l'ONU ha rivelato tutti i suoi "limiti", mentre si andavano sviluppando:
NAZIONALISMO, ETNOPOLITICITA' e conseguente RAZZISMO.

Il NAZIONALISMO come identità sussidiaria emerge, in questi anni, prepotentemente ad Est perché a lungo compresso dai regimi totalitari. Esso assume connotati aggressivi e disgreganti, al contrario, il nazionalismo dell'Ottocento, con una funzione di propaganda, concentrava e aggregava politicamente per lo sviluppo della nazione: la Serbia grazie ad alcuni intellettuali, emulando Piemonte e Prussia, formerà nel 1918 il regno serbo - croato - slavo.

L'ETNICITA' (ETNOPOLITICITA'), e non la cittadinanza, come ancoraggio della rappresentanza politica: per i Croati, ad esempio, lo Stato non è la regione Croazia ma dove sono i croati, si comprendono così anche le forti spinte che vengono dalla numerosa comunità croata del Canada.

Il RAZZISMO è differenzialista con il ripudio della differenza (tratto, peraltro, dominante nel conflitto interjugoslavo):
-
commercio di armi internazionale sia da Est, sia da Ovest, con interessi nella droga;
- grossi aiuti tedeschi poi anche dagli USA per la Croazia;
- pulizia etnica.

I nuovi nazionalismi sono:
etnocentrici
(regionalismi, fondamentalismi),
orizzontali (aggregazioni di territori diversi),
disintegratori (anarcoidi),
esclusivisti (distruzione collegamenti simbolo come il ponte di Mostar - ponte ottomano sul fiume Neretva in Croazia, distrutto nel '93, ora c'è un ponte provvisorio, Unesco e Banca Mondiale, però, stanno finanziando la sua ricostruzione - e simboli di unione come monumenti ai caduti a causa del fascismo);
con essi riemerge il
nazionalismo primitivo che significa tribalismo, localismo e etnocentrismo.

IL CASO JUGOSLAVO

LA DISGREGAZIONE DELLA JUGOSLAVIA

Il conflitto di oggi è una ripetizione se non addirittura una ripresa dopo una tregua, i 45 anni di comunismo sono solo una sorta di glaciazione. La Jugoslavia è stata definita un'entità artificiale e prigione di popoli, si parla di fatalismo storico - religioso e, per il groviglio etnico in atto, occorre la pulizia etnica.
Ma proprio Serbi e Croati sono i più simili: non è il passato che condizione il presente, ma è il presente che ha manipolato il passato con una politicizzazione del passato e una storicizzazione del presente.
Per interpretare la crisi jugoslava si possono individuare due chiavi di lettura:
1) guerra contro le differenze, tra opposti nazionalismi;
2) guerra scatenata dalle élite dirigenti; quanto più sottile è la differenza etnica tanto più viene ingigantita da opportuni maestri, attraverso i media, per influire sull'immaginario collettivo.
Il conflitto crea difficoltà a schierarsi (250.000 morti, migliaia di stupri) ed è il portato del convergere di tre crisi:
1) un'acutissima crisi economica (l'inflazione arrivata sino al 2000%) che ha favorito, sovrapponendovisi, l'emergere dei movimenti nazionalisti, fallimento del modello di sviluppo per l'ammodernamento del comunismo; non vi sarà l'ammodernamento tecnologico - informatico per le restrizioni degli anni '80; - aumenta smisuratamente il debito estero (20 miliardi di dollari) e si farà un uso incontrollato delle risorse; - la grande trasformazione post '45 avviata da Tito tende alla trasformazione agricola, alla alfabetizzazione, allo stato sociale, all'urbanizzazione, ecc., con un sistema di totalitarismo pluricentrico (le 6 repubbliche iugoslave sostanzialmente uguali) al fine di ridurre le differenze (l'Europa ha snobbato la plurietnicità costruita, favorendo ad esempio matrimoni misti, da Tito in Bosnia e a Sarajevo - ottimo esempio di convivenza multietnica e teatro, tra l'altro, delle Olimpiadi invernale del 1984 ), segna il passo; - infine a questi fattori endogeni (interni) si aggiungono fattori esogeni (esterni): le diplomazie internazionali si affrettano a riconoscere Stati (come la Slovenia) con confini finora solo amministrativi e non di stato, la Slovenia (il Nord) preferisce essere l'ultima d'Europa e non la prima in Jugoslavia;
2) il deteriorarsi del tessuto dei rapporti sociali e la disintegrazione delle strutture politiche: - la Lega dei Comunisti ormai ha solo una funzione di mera rappresentanza;
3) il venir meno del ruolo internazionale della Jugoslavia: - finisce l'influenza diplomatica dei NON-ALLINEATI, di cui la Jugoslavia era leader, sia per la morte di Tito che per l'emergere della perestroika, che annulla il ruolo di cerniera della Jugoslavia fra Est ed Ovest.
In sintesi la guerra in Jugoslavia, nata da una crisi interna, è stata ingigantita da fattori esterni.
Le tappe della dissoluzione:
- Slovenia, dopo qualche colpo di fucile, il 25 giugno 1991 dichiara subito la sua indipendenza;
- Croazia, dichiarazione d'indipendenza 25 giugno 1991, segue dal luglio '91 la guerra serbo- croata e il relativo accordo del 12 novembre 1995;
- Macedonia con dichiarazione d'indipendenza del 7 aprile 1993;
- Bosnia - Erzegovina, con gli accordi di pace del 14 dicembre 1995 viene divisa in Repubblica serba di Bosnia e Federazione Croato- Musulmana;
- Federazione Jugoslava composta dalla Serbia, con le province autonome Vojovodina e Kosovo, e Montenegro;

Storia della Jugoslavia

L'origine delle lotte che ancora oggi tormentano la penisola balcanica è da ricercare in tempi remoti, tempi in cui il "grande malato" stava per essere definitivamente abbattuto. Stiamo parlando dell'impero Ottomano che, da diversi decenni, governato da una miope casta militare e da una rigida burocrazia, versava in uno stato di grave crisi politica ed economica e che, per questo motivo, si era meritato l'appellativo di "grande malato".
In quegli anni (fine '800), le mire espansionistiche dell'impero russo furono rivolte verso i possedimenti balcanici dell'impero Ottomano, che da secoli impediva alla Russia l'accesso al Mediterraneo. L'interesse russo a smembrare l'impero fu chiaro già con la guerra di Crimea e con il sostegno prestato all'indipendenza della Grecia; il suo obiettivo era quello di veder sorgere una catena di regni slavi alleati dello zar, ma le sue ambizioni si scontrarono con quelle dell'Austria-Ungheria che intendeva mantenere salda la propria influenza politica e militare sui Balcani. Anche Francia e Inghilterra ,che intendevano frenare l'espansione russa nel Mediterraneo, volevano la sopravvivenza del sultano di Costantinopoli, la massima autorità dell'impero che comprendeva quasi tutto il Vicino Oriente: Turchia, Siria, Mesopotamia, parte dell'Arabia e dell'Africa settentrionale.
A causa del nazionalismo slavo e della rivalità di Austria e Russia, la penisola balcanica era diventata una regione irrequieta e politicamente instabile. Nel 1878, pur garantendo la sopravvivenza formale dell'impero Ottomano, al congresso di Berlino, le potenze europee riconobbero l'indipendenza della Serbia, del Montenegro, della Romania e della Bulgaria. Questa frantumazione trascinò la penisola balcanica in uno stato cronico di guerra; dal 1885 al 1914 si ebbero le cosiddette guerre balcaniche, causate da feroci discordie territoriali, di cui l'impero Astro-Ungarico ne approfittò per annettersi la Bosnia-Erzegovina e trasformare così i Balcani nella polveriera d'Europa.

La formazione della Jugoslavia (1918)

Alla fine della Grande Guerra, in base alle leggi statali nell'ottobre del 1918, il Parlamento Croato ha troncato tutte le relazioni di diritto pubblico con l'Austro-ungheria. Dopo che il Consiglio popolare proclamò lo Stato degli Sloveni, Croati e Serbi croati con la capitale a Zagabria, la Croazia divenne una parte costituzionale di tale Stato.In quel momento cruciale in cui si poteva intuire la nuova carta d'Europa, una serie di circostanze spingeva il Consiglio Popolare ad ottenere l'unità dello Stato degli Sloveni, Croati e Serbi con gli altri popoli dei paesi slavo-meridionali, la Serbia e il Montenegro. Il Partito Rurale Croato, guidato da Radic, appoggiava il concetto dell'ordinamento federale repubblicano del futuro stato comune con la Serbia, mentre il blocco serbo, guidato da Pribicevic, appoggiava l'ordinamento unitario del futuro stato; fu quest'ultimo ad ottenere il predominio nel Consiglio Popolare. Il blocco di Pribicevic mantenne continuamente dei contatti segreti con Belgrado e intanto acquisì sempre più potere all'interno del Consiglio Popolare.Subito dopo la pace del 3 novembre, le truppe italiane, avvalendosi delle disposizioni del patto segreto di Londra(1915), occuparono la costa croata. Quando nel 1918 la Croazia entrò a far parte del regno di Jugoslavia, non solo risentiva dell'occupazione italiana, ma perse addirittura la sua individualità di diritti politici. Il Parlamento Croato però, non ratificò mai l'annessione della Croazia alla monarchia centralizzata della Jugoslavia perché la supremazia dello Stato Serbo non poteva soddisfare i desideri fondamentali di chi aspirava all'ordinamento federale repubblicano. L'unità non diede alcuna garanzia contro la supremazia della Serbia, il cui esercito aveva già occupato i paesi slavi meridionali precedentemente appartenuti alla monarchia asburgica e il Montenegro. Si realizza così il sogno secolare dell'unità serba. Durante la seconda guerra mondiale, poi, la Jugoslavia venne invasa dalle truppe nazi-fasciste, ma la resistenza partigiana, guidata dal comandante comunista Josip Broz, detto Tito, portò alla liberazione del paese. Nel 1945 si costituì la Repubblica Federale Socialista della Jugoslavia che comprendeva sei repubbliche autonome (Slovenia, Croazia, Bosnia- Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia) con Tito presidente. Tito riuscì a mantenere l'unità della stato e a garantire una sorta di serena convivenza tra i vari gruppi etnici. La grande trasformazione dopo il '45 avviata da Tito tende alla trasformazione agricola, all'alfabetizzazione, allo stato sociale, ecc., con un sistema di totalitarismo pluricentrico (le 6 repubbliche jugoslave sostanzialmente uguali) al fine di ridurre le differenze (l'Europa ha snobbato la plurietnicità costruita da Tito in Bosnia e Sarajevo), segna il passo; -infine a questi fattori endogeni(interni) si aggiungono fattori esogeni(esterni): le diplomazie internazionali si affrettano a riconoscere Stati (come la Slovenia) con confini finora solo amministrativi e non di Stato, la Slovenia preferisce essere l'ultima d'Europa e non la prima in Jugoslavia. Dalla morte di Tito (1980) sono riemersi i contrasti tra le varie repubbliche federate.
Col declino del bipolarismo, seguito all'ordine imposto ad Yalta, finiscono le regole (finita la "pace" imposta dalla guerra fredda, l'ordine mondiale si è dileguato ancor prima di essere costituito, per cui si assiste ad una frammentazione del sistema internazionale o meglio al disordine delle nazioni. Dal 1989/'91 (fine guerra fredda) si ha la decomposizione dell'assetto geopolitico del 1919 e la rilegittimazione della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Un vero e proprio spartiacque degli organismi internazionali è appunto il Sud-Est Europeo e la relativa Guerra dei Balcani è stata scatenata, utilizzando il feroce odio interetnico, allo scopo di cancellare quel crocevia di popoli ed erigere nette barriere di separazione di Stati e popoli. In questo contesto, vero banco di prova per il continuo cambiamento di fronte, gli USA mostrano "poca attenzione" e l'ONU rivela tutti i suoi "limiti", mentre si sviluppano il nazionalismo, l'etnopolitica ed il conseguente razzismo.
Il nazionalismo come identità sussidiaria emerge, in questi anni, prepotentemente ad Est perché a lungo compresso dai regimi totalitari.
L'etnicità, e non la cittadinanza, come ancoraggio della rappresentanza politica. Per i Croati, ad esempio, lo Stato non è la regione Croazia ma dove sono i Croati, si comprendono pure le forti spinte che vengono dalla forte comunità croata del Canada.
Il razzismo è differenzialista e ciò è un tratto dominante del conflitto interjugoslavo. Durante la guerra fredda l'impero sovietico aveva creato attorno a sé una cintura di "stati satelliti" e aveva portato ad un lungo periodo di progressiva erosione dei sistemi comunisti dell'Est europeo, una disgregazione che è stata sia di tipo economico che ideologico. Le economie dei paesi dell'Europa orientale, inclusa l'Unione Sovietica, non erano state capaci di rinnovarsi e di mettersi alla pari con il dinamismo dell'economia occidentale. Contrariamente a quanto ha creduto per lungo tempo la sinistra occidentale sedotta dal Marxismo, i popoli dell'Est Europa non hanno mai accettato veramente il Comunismo. Alcune opposizioni nazionali hanno mantenuto sempre vivo, nonostante le terribili repressioni, un minimo di dissenso. Le voci delle opposizioni all'Est si situavano molto a destra, in una linea di continuità con i regimi che presero potere nell'immediato anteguerra e fu per questo motivo che non trovarono appoggio presso gli ambienti progressisti occidentali. Negli anni '80 si ebbe un riavvicinamento dell'Est all'occidente, questo perché l'Europa centrale si proiettava verso una logica fine del comunismo. La situazione economica della maggior parte dei paesi della zona era diventata ormai non gestibile: i governi delle democrazie popolari si trovavano di fronte a gravi problemi d'inquinamento a causa di uno sviluppo industriale di stile ottocentesco, il debito presso le banche straniere toccava ormai le catastrofiche vette di decine di miliardi di dollari, gli apparati statali si trovavano sempre più a dover fronteggiare fenomeni incontrollabili di violenza sociale. E' in questa situazione che Gorbaciov diede segnali di allentamento che innescarono la destabilizzazione dei regimi dei paesi satelliti.
Tra il 1989 e il 1992, l'Europa è stata dunque lo scenario di una serie di avvenimenti destinati a rimettere in discussione non solo gli assetti geopolitici del mezzo secolo precedente, ma anche la stessa possibilità di procedere all'integrazione europea. La ex-Jugoslavia costituisce il caso più noto di disgregazione politica tra tutti quelli che hanno interessato i paesi dell'Est europeo. L'ideologia egualitaria professata dalla classe
dirigente copriva in Jugoslavia forti squilibri che vedevano i Serbi in netta preminenza politica. Inoltre i Serbi esercitavano al di fuori della loro repubblica, un ruolo di minoranza dominante, suscitando l'ostilità
delle altre repubbliche della federazione, come la Slovenia e la Croazia, che svolgevano invece una funzione trainante sul piano economico. Questo dissidio si inasprì drammaticamente dopo la morte di Tito, con il
sopraggiungere di una crisi economica di fronte alla quale la Serbia mostrò un'ulteriore volontà accentratrice e, al tempo stesso, una più decisa intenzione di svolgere un ruolo di netta supremazia all'interno della Jugoslavia. Con l'abbandono della Federazione da parte di Slovenia e Croazia (1991), la realizzazione di questa politica di dominio sul resto dell'ex-Jugoslavia restava affidata soprattutto alle armi. Il nazionalismo serbo riprese vigore e accadde che, nelle repubbliche in cui i Serbi erano una minoranza, si scatenarono movimenti separatisti miranti al ricongiungimento con la "madrepatria". La Serbia e l'Armata Popolare Jugoslava, che era di maggioranza serba, proponevano un regime centralizzato e unitario in cui non si tollerava alcuna diversità di ideologie o interessi, promettendo in cambio il risanamento economico e morale del paese. In un momento in cui la capacità di coesione del partito e del potere statale era minima scattò la protesta degli albanesi del Kosovo, provincia serba, che si sentivano discriminati rispetto alla minoranza serba della provincia, che si trovava schiacciata da gravi problemi quali la disoccupazione, lo analfabetismo, l'esplosiva crescita demografica… La rivolta degli albanesi fu un moto spontaneo nato da una tensione accumulatasi nei decenni a partire dal 1913, quando il Kosovo fu riannesso alla "madrepatria"; altrettanto spontanea fu la reazione violenta dei Serbi. Scattò a questo punto la pericolosa sindrome del "tutti contro di noi" accompagnata da una rabbiosa volontà di resistenza contro il mondo intero. Gli altri popoli della Federazione si allarmarono a ragione di fronte a queste espressioni esasperate di nazionalismo. Gli sloveni non tardarono ad approfittarne per rendersi indipendenti e i serbi, con l'assenso dell'esercito, dopo un tentativo più o meno simbolico di trattenerli, li lasciarono andare poiché i loro obiettivi erano spostati verso le zone serbe della Croazia, la Dalmazia meridionale, la Bosnia-Erzegovina, il Kosovo e la Macedonia. Iniziò così la lotta armata per il risorgimento della Grande Serbia con la benedizione della Chiesa Ortodossa.

L'ideologia della Grande Serbia e la questione Kosovo

Gan parte dei conflitti etnici che oggi travagliano l'Europa( ma anche altre zone del pianeta) è di solito dovuta al contrasto fra diversi gruppi, ciascuno dei quali è formato da individui di ascendenza comune ciò giustificherebbe l'esistenza di tradizioni culturali, religiose e linguistiche peculiari di ogni gruppo. Tuttavia la convivenza è tutt'altro che facile e spesso questo fatto viene sfruttato da coloro i quali hanno interesse (spesso politico) a esasperare le differenze tra i gruppi. L'identità etnica non è qualcosa di definibile con sicurezza sulla base dell'ascendenza comune, né è qualcosa di immutabile, perché le identità, essendo un fatto culturale, non si trasmettono per via genetica come per esempio il colore della pelle, ma cambiano al mutare delle circostanze storiche e culturali.
Il riferimento all'etnia esprime soprattutto l'esigenza di mantenere un'identità specifica: l'essere o no membro di un gruppo etnico corrisponde all'esigenza di tutelare o ricostruire la propria identità. L'etnicità perde ogni riferimento oggettivo e si installa in una dimensione simbolica; il riferimento al passato e al patrimonio etnico fornisce semplicemente i simboli per l'identificazione nella società. La conflittualità etnica che sembra essersi impossessata dell'Europa orientale post-sovietica, non può farci dimenticare che questi popoli sono stati capaci anche di convivere pacificamente: ciò potrebbe significare che la conflittualità etnica è qualcosa che può riesplodere quando viene chiamata a giustificare contrasti che con l'etnicità in quanto tale hanno poco a che vedere. Questo è ciò che è accaduto in Kosovo: con il crollo dell'Unione Sovietica e del Comunismo, la federazione degli Stati Jugoslavi si è sciolta poiché ciascuno stato sentiva l'esigenza di staccarsi da quell'unione fittizia e di essere autonomo. La Serbia, però, animata dal suo forte nazionalismo, mirava ad espandere il suo dominio per inglobare tutte quelle zone in cui ci fossero minoranze serbe, dunque non accettò la richiesta del Kosovo, provincia serba, di essere indipendente.

Le ricerche antropogeografiche di Jovan Cvijic, all'inizio del '900, vengono usate come principio teorico e tecnico per giustificare l'ideologia della "Grande Serbia". L'antropologia dei Balcani del Cvijic, servì come argomento per le conquiste che il regno di Serbia intraprese nei paesi vicini. L'argomento fondamentale razzista si Cvijic è che i Serbi, storicamente ed antropologicamente, sono la popolazione più privilegiata e unica sulla penisola balcanica e con ciò hanno il diritto di includere nel proprio stato tutti i paesi dove ci sono i Serbi e, naturalmente, di governarli: Nel ruolo di esperto dei popoli balcani Cvijic fu presente alla conferenza di Parigi nel 1918 quando si formò la carta d'Europa e si determinarono i confini della futura Jugoslavia. Verso la fine dell'Ottocento e inizio del Novecento prese piede la strumentalizzazione della stampa, delle istituzioni culturali, scientifiche e politiche per promuovere le idee della Grande Serbia. Ciò prese la forma di pragmatismo politico e lo dimostra un articolo di uno degli intellettuali militanti serbi, l'avvocato Nikola Stojadinovic, pubblicato sotto il titolo "fino alla vostra e nostra inchiesta". Si tratta di un libello pieno di offese contro i croati dove il loro linguaggio e nazionalità vengono negati e dove si annuncia il loro declino. Il libello provocò forti manifestazioni e malcontenti contro i serbi a Zagabria nel 1902.Lo Stojanovic scrisse: "i croati non hanno né lingua diversa, né costumi propri, né un'unione solida, né la consapevolezza della loro appartenenza etnica e perciò non possono essere una nazione singola…ma sono sulla buona strada di diventare una nazione serba". Spiegando la relazione tra croati e serbi, egli sostiene che questi sono parti avverse tra cui "non si parla affatto di concordia" concludendo che tra loro bisogna lottare fino allo sterminio finale. I serbi guardavano con molto sospetto il processo dell'integrazione nazionale in Croazia; erano suscettibili al tentativo di stabilire l'unione del territorio croato. Nel 1903,un gruppo di ufficiali dell'esercito serbo fondò l'organizzazione segreta "La Mano Nera". Nel 1911 questa organizzazione prese il nome di "Unione o Morto" e il suo compito principale fu l'unione serba. Gli scopi, le idee e i metodi dell'attività della Mano Nera influirono su molti avvenimenti come per esempio l'attentato all'erede al trono Francesco Ferdinando nel 1914 a Sarajevo, che fu la causa della prima guerra mondiale. In molte attività di oggi dei politici serbi e dei loro generali, si possono riconoscere i, metodi e la filosofia di questa organizzazione segreta. Così ad esempio uno dei leader contemporanei ,Milan Comnenic, Ha minacciato che la Serbia farà precipitare il mondo nell'abisso della terza guerra mondiale se il mondo dovesse contrastarla nella realizzazione dei suoi scopi dopo le guerre balcaniche, dove alla Serbia furono annessi il Kosovo e la Macedonia. Gli esperti della commissione internazionale americana della federazione Carnegy, con sede a Washington, dopo le guerre balcaniche stimarono che l'esercito eseguì il genocidio del popolo albanese, e abbiamo assistito a quello che l'esercito ha effettuato in Croazia sul popolo croato-
Il Kosovo conta fra i suoi abitanti una minoranza serba pari al 30% circa della popolazione mentre la restante parte è costituita da Albanesi. La conflittualità etnica fra Serbi e Albanesi è dovuta al fatto che la Serbia non vuole rinunciare a questa piccola provincia, mentre gli Albanesi mirano a ricongiungersi con la madrepatria. L'origine di questo attaccamento serbo al Kosovo risale al tempo delle guerre religiose che si tennero fra i Turchi Ottomani di religione Islamica e i Serbi di religione Ortodossa, proprio nelle zone dell'attuale Kosovo.
"Narra la leggenda che alla vigilia della battaglia del Kosovo, nel 1389, un falcone grigio volasse da Gerusalemme al campo di Lazar, condottiero degli eserciti Serbi, portando nel becco un'allodola; il falcone in realtà era S. Elia e l'allodola era un messaggio mandato dalla madre di Dio: nel momento in cui stava per scontrarsi con i Turchi, Lazar era invitato a scegliere fra la vittoria e il regno in terra, o la sconfitta e la gloria dei cieli, egli scelse quest'ultima alternativa, lasciando ai Serbi l'esaltante consapevolezza di aver testimoniato, col proprio sacrificio, la redenzione di Cristo, ma allo stesso tempo, un sottile, struggente rimpianto per il regno terreno e la determinazione di riconquistarlo per congiungere i due regni nello splendore di una sola vittoria".
La Serbia basa questo suo sentimentalismo nazionalistico sulla credenza di essere una diretta discendente del popolo Kosovaro; probabilmente però, dietro tutto ciò ci sono interessi (ben più rilevanti) soprattutto di natura economica, legati al fatto che nel suolo del Kosovo ci sia una lieve percentuale di petrolio. Nel marzo 1989 Milosevic privò di ogni autonomia il Kosovo e fomentò le discriminazioni anti-Albanesi, ponendo la egione sotto una vera e propria occupazione militare. Gli Albanesi si sono ribellati con un movimento di resistenza clandestina locale ed hanno fondato un partito politico armato (UCK) con lo scopo di allontanare i Serbi con la forza. In queste lotte, un ruolo importante è stato svolto dall'idea della " pulizia etnica", ossia da un progetto mirante a eliminare sistematicamente, con il massacro e il terrore, i membri di etnie differenti nei territori rivendicati come propri, in questo caso, dalla Serbia. Questo clima di terrore ha portato la popolazione albanese a rifugiarsi verso l'Europa. A questo punto le Nazioni Unite sono intervenute militarmente contro la Serbia per costringere Milosevic alla resa. Dopo una serie di bombardamenti NATO sulla città, la Serbia è scesa a patti con le Nazioni Unite e le truppe militari serbe hanno abbandonato il Kosovo. Attualmente, in Kosovo, ci sono ancora le forze armate europee, ciò per garantire l'ordine e scongiurare una possibile riapertura del conflitto, ma la tensione è alta e non mancano episodi sanguinosi…


DAL QUOTIDIANO "LA REPUBBLICA" DEL 29 SETTEMBRE 1999:
KOSOVO,TORNA LA PAURA.BOMBE SUL MERCATO SERBO

PRISTINA- Un altro mercato, un'altra esplosione, un'altra strage. Il fragile equilibrio sul quale poggia il Kosovo ha subito uno scossone ieri mattina, all'ora in cui la gente affollava il mercato di Bresje, frazione del Kosovo. Nella stessa giornata è stata trovata una fossa comune con i corpi di 28 Albanesi scomparsi durante i bombardamenti NATO. Le vittime, 27 uomini e una donna, erano state prelevate dalle loro case di Kosovska Mitrovica il 14 aprile dalle milizie serbe, mentre era in corso la campagna aerea della NATO contro la Jugoslavia.
Le due bombe di Bresje, lanciate sulle bancarelle come a Sarajevo, secondo una triste costanza dei conflitti dei Balcani, sono esplose alle 10:15, uccidendo e ferendo decine di innocenti che vivono in una zona a netta maggioranza serba.
L'amministratore ONU, Bernard Kouchner, ha subito condannato l'attentato: "Questo atto contro civili innocenti mette in pericolo tutti gli sforzi fatti per portare la democrazia in Kosovo". …
I due Albanesi arrestati sono stati caricati su un carro armato Inglese, una mossa che ha aumentato le tensioni. I Serbi non hanno voluto che i colpevoli fossero consegnati ai militari britannici, ma ai carabinieri di stanza a Pristina. Dopo una lunga ed estenuante trattativa, un blindato italiano si è avvicinato al carro inglese e gli arrestati sono stati trasferiti. La tensione è alta, e si attendono nuove iniziative di protesta da parte dei Serbi.

I L D R A M M A: L' ETNOCIDIO NEI BALCANI

Uno degli esempi più concreti di etnocidio è avvenuto proprio in Europa, tra i Balcani, dove la guerra ha sconvolto e messo in ginocchio l'ex-Jugoslavia. Questo conflitto, che ha eroso considerevolmente il capitale di pace e stabilità di cui beneficiava il vecchio continente, rimarrà nella memoria degli uomini come una delle più spaventose conseguenze addebitabili alle potenzialità del fanatismo nazionalista, rivelandosi in grado di far leva sulle differenze etniche, linguistiche e religiose per scatenare un vero e proprio genocidio perpetrato sotto gli occhi dell'umanità. Mezzo secolo fa la Jugoslavia si ribellava al proprio governo che l'aveva legata all'Asse firmando il patto tripartito durante la seconda guerra mondiale con Italia, Germania e Giappone. Alla ribellione seguì la punizione nazista con spietati bombardamenti e con l'invasione. Andava in pezzi lo stato Jugoslavo nato dopo la prima guerra mondiale come regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Era una formazione fragile, divisa da differenze storiche, religiose e linguistiche. Croati e sloveni sono cattolici, usano l'alfabeto latino e, avendo fatto parte dell'impero austro-ungarico, vantano una superiorità non solo in fatto di livello di vita. Serbi, macedoni e montenegrini sono ortodossi, scrivono in cirillico e sono stati a lungo soggetti alla dominazione turca con le relative conseguenze.
Con tutto ciò la Serbia, la regione più numerosa, pretendeva di essere il cuore dello stato. Nei primi vent'anni i contrasti non mancarono. Ci furono sparatorie e uccisioni anche nel parlamento. In ogni regione si diffusero i movimenti separatisti e la seconda guerra mondiale, ormai finita negli altri stati, continuò in Jugoslavia diventando una ferocissima guerra civile. Chi rese possibile l'unione delle forze della resistenza fu Tito.
Dopo la guerra TITO creò una repubblica "federativa" costituita da sei repubbliche (Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia e Montenegro), più due province autonome (Voivodina e Kossovo). Convinto di non avere eredi degno di lui, Tito lasciò alle sue spalle un complicato sistema di governo basato su una periodica rotazione delle cariche che ha retto solo pochi anni. Gli ha dato il primo colpo il tracollo economico , con un'inflazione andata alle stelle e con la crisi dell'autogestione. Alla fine la guerra civile è tornata a incombere sull'intero paese cosicché questa parte del mondo balcanico è di nuovo al punto di partenza della prima metà del secolo.

SLOVENIA
La geografia ha influito molto sulle vicende di questa regione. Se si eccettua un brevissimo tratto di costa adriatica, la Slovenia s'incunea tutta tra Italia, Austria e Ungheria. Non può sorprendere dunque se gli sloveni si sentono legati a quell'Europa di centro che si identificò a lungo politicamente con l'impero asburgico. Se non fosse stato per la loro lingua, che appartiene al ceppo degli idiomi slavi, gli sloveni ben difficilmente si sarebbero uniti alle altre nazionalità della Jugoslavia. Il caso della Slovenia è un esempio tipico in cui il fattore linguistico si confronta col fattore geografico. Quale di questi due fattori è il più forte ?
Quanto è avvenuto nel corso di questo secolo dimostra un continuo alternarsi. Ci sono stati momenti in cui gli sloveni hanno dato un contributo non indifferente al consolidamento dello stato Jugoslavo. Ci sono stati momenti in cui gli sloveni hanno dato un contributo non indifferente al consolidamento dello stato jugoslavo. Ma il ruolo svolto all'interno della federazione Jugoslava non ha impedito agli sloveni di fare i conti con lacome appunto quella geografica e quella economia in cui la prima condiziona per forza la seconda. Così quando gli sloveni hanno compreso che il naufragio de sistema comunista Jugoslavo avrebbe finito per trascinare il loro piccolo paese nei gorghi hanno deciso che era venuto il momento di voltare le spalle alla Jugoslavia per agganciarsi al carro europeo.
Grandi lavoratori, cittadini disciplinati e rispettosi delle leggi e delle autorità, gli sloveni sono convinti che hanno la possibilità di far rifulgere le loro doti in un'Europa che ha messo da parte le barriere ideologiche e che crede più in quei valori che essi ritengono possedere.

SERBIA
In Jugoslavia i serbi formano il gruppo nazionale più numeroso, sono fieri combattivi, hanno alle spalle un passato di lotte e di battaglie raramente fortunate che nella loro tradizione danno vita a un'ininterrotta epopea. Il popolo serbo ha una storia di sofferenze e di sacrifici, ha sempre ritenuto di avere un'eroica missione da svolgere. Proprio questa sorta di presunzione permise a Slobodan Milosevic di fomentare una rivolta. Egli promise alle folle infuocate di restituire alla Serbia il suo ruolo centrale in Jugoslavia. Con ciò riuscì dapprima ad imporsi a Belgrado, poi mobilitando la piazza sottomise la provincia della Voivodina dove vive una consistente minoranza ungherese. Infine Milosevic si lanciò alla riconquista dell'altra provincia autonoma del Kossovo popolata adesso da albanesi che tuttavia i serbi considerano la loro culla storica. Ma proprio questa strumentalizzazione del patriottismo serbo avrebbe innescato reazioni a catena in altre parti della Jugoslavia. Nella cartina sono rappresentate le zone con maggiore concentrazione serba nelle altre regioni della Jugoslavia.

BOSNIA - ERZEGOVINA
La prima impressione che un visitatore ricava arrivando a Sarajevo è che la Bosnia sia una piccola Svizzera, ma con in più i minareti. Il paesaggio è ricco e ondulato, con impetuosi corsi d'acqua. Ma ovunque spuntano le sagome bianche delle moschee per ricordarci che siamo nell'Islam europeo.
La Bosnia subì danni gravissimi durante la seconda guerra mondiale e inoltre fu anche il teatro di una sanguinosissima guerra civile. Infatti la composizione etnica di questa regione è molto complessa. La religione vi gioca una parte decisiva. Gli ortodossi si considerano serbi, i cattolici si professano croati. Accanto a questi due gruppi ce n'è uno maggioritario costituito dalla popolazione di fede musulmana. Alla fine della guerra si pose per il regime comunista il problema di come pacificare una regione dove praticamente non esisteva villaggio in cui non si era verificata una strage. Si poteva ancora lasciare che le due comunità dei serbo-ortodossi e dei croato-cattolici col rischio che ricominciassero dopo poco a darsi battaglia ? Fu qui che Tito ebbe un'idea decisamente brillante. Anche se può apparire strano per un regime che si professava ufficialmente ateo, si stabilì che l'appartenenza alla religione islamica era la prerogativa di una terza nazionalità. Così fra i due gruppi etnico-religiosi, che si erano selvaggiamente combattuti in tempo di guerra, fu inserita un'altra componente con lo scopo preciso di appianare i contrasti e d'impedire gli scoppi.
Attualmente nella repubblica della Bosnia-Erzegovina le proporzioni stanno in questi termini : i musulmani sono grossomodo la metà, i serbo-ortodossi sono un trenta per cento abbondante e i croato-cattolici sono uno scarso venti per cento. Questo equilibrio ha fatto sì che per tutti questi anni la Bosnia-Erzegovina ha potuto vivere in pace.

CROAZIA
Fu un vescovo cattolico croato a perorare per primo nel secolo nel secolo passato l'idea di unione tra gli slavi del Sud (Jugo vuol dire sud). Ma egli trovò adesioni solo in una parte dei croati. Un'altra parte non si sentiva affatto disposta all'unione con i serbi ortodossi che, pur parlando la stessa lingua, la scrivono con caratteri cirillici. Per circa un quarantennio il regime titoista (titoismo : linea politica di non allineamento tra due blocchi dominanti praticata dal presidente jugoslavo Tito) ha fatto il possibile per sanare le ferite dell'odio fra croati e serbi. Ma ci è riuscito solo nelle apparenze. Lo si capì all'inizio degli anni Settanta quando i croati videro nella nuova politica liberalizzatrice in materia economica uno strumento per affrancarsi da Belgrado. Fu allora che tutte le fazioni politiche croate esplosero in rivendicazioni nazionali contro il potere centrale. Davanti a ciò il regime reagì facendo intervenire in Croazia l'esercito. Si trattò di un'operazione che, per la sua brutalità, somigliò a un'occupazione straniera. Le stesse motivazioni nazionalistiche di vent'anni fa, sono state il motivo dell'entrata recente in guerra della Croazia contro la Serbia.

MACEDONIA
Si dice Macedonia e si pensa a scontri di etnie e di nazionalità. La questione macedone esplose fra la fine dell'altro secolo e l'inizio di questo. All'origine c'era il processo di disgregazione dell'impero turco-ottomano. Secondo molti la popolazione di questa parte dei Balcani, anche se poteva richiamarsi a gloriose reminiscenze delle antichità, non costituiva un nucleo omogeneo. Per alcuni i macedoni non si distinguevano dai bulgari, per altri essi non erano che "serbi del sud". A ciò si aggiungevano le mire dei greci su una parte della regione indicata con lo stesso nome. In altre parole la Macedonia non si presentava una bensì trina. Va pure detto che la Macedonia ha una collocazione strategicamente importante. Da un lato la sua valle porta all'Egeo ; dall'altro poche decine di chilometri la separano dall'Adriatico. Ciò spiega i conflitti d'interesse tra grandi potenze di cui la regione è stata oggetto e le guerre che si sono combattute in questo secolo per il suo controllo. Con lo scopo di porre fine a questi conflitti Tito diede alla Macedonia uno statuto di repubblica a se per quanto facente parte della federazione Jugoslava. Così il Maresciallo Tito concesse alla Macedonia propri istituti nominalmente autonomi, e soprattutto riconobbe il macedone come lingua particolare (poiché era considerata uguale al bulgaro). Ma tutto questo risolse solo in parte il problema.

KOSSOVO
I serbi hanno considerato da sempre il Kossovo culla della loro storia. Col passare del tempo però, della presenza serba in questa regione non restano che alcune isole etniche dove spiccano i monasteri ortodossi. Anno dopo anno la popolazione serba è stata progressivamente sostituita da una popolazione di lingua albanese, in gran parte di fede musulmana. Ora il rapporto tra serbi e albanofoni nella regione è in pratica di uno a nove. Nonostante tutto, le pretese dei serbi su questa regione sono state sempre molto forti, tanto forti da usare anche le armi. Infatti per tenere a freno le pressioni secessionistiche della maggioranza albanese il governo serbo vi ha inviato l'esercito con grande dispiegamento di mezzi blindati. Il Kossovo da regione sotto occupazione serba con forte riduzione dei diritti umani (prima del 1990 garantiti da una forte autonomia), nel 1999 ha vissuto una feroce guerra civile con l'apporto dei bombardamenti della N.A.T.O, crisi, allo stato, ancora in atto e ben lontana dall'essere risolta anzi si assiste ad un veloce capovolgimento di fronte con la popolazione indigena (maggioranza albanese) che, grazie alla protezione Nato, da vittima sta diventando carnefice nei confronti della minoranza serba ancora presente in Kossovo.




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