Eduardo Ambrosio


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DALLE ORIGINI AL '600

TERZIGNO



TERZIGNO dalle Origini al Seicento



Il territorio

Terzigno fa parte del territorio vesuviano che si delineò con la nascita, circa 17000 anni fa, del Vesuvio, conformatosi grazie all'attività vulcanica del Monte Somma, nato a sua volta (circa 350.000 anni fa) dal fondo sottomarino.
La pianura, infatti, che si estende a perdita d'occhio dal Monte Massico ai Monti Lattari, dal mare fino ai monti di Caserta e ai Picentini, in seguito a sprofondamento divenne un braccio di mare e successivamente teatro d'azione di numerosi vulcani. Le eruzioni si svolsero prima sotto il livello del mare e poi sulla terra ferma, costruendo con i materiali eruttivi edifici vulcanici ancora esistenti come i Campi Flegrei, Procida e Vivara, Ischia, Roccamonfina e le isole Pontine (2 milioni di anni). Ultimo a comparire al centro delle acque fu il piccolo cono del Somma-Vesuvio, che, poggiando su un basamento tra i 2 e i 5 km di profondità all'interno di rocce calcaree del Mesozoico e con incessante attività, colmò l'area circostante formando, retrocedendo il mare, la costa attuale.
La vita del Vesuvio, più specificamente, è stata interessata da cicli eruttivi principali con eruzioni esplosive denominati: Codola di 25.000 anni fa, qui i materiali eruttati poggiano sull'Ignimbrite Campana o Tufo Grigio Campano, a sua volta formatosi da eruzioni dei Campi Flegrei da 300000 a 36000 anni fa; Sarno di 17.000 anni fa: fine dell'attività del Somma con la formazione della caldera, testimoniata dall'attuale Punta Nasone alta 1131 metri e dall'assenza di colate laviche recenti su questo versante, al cui interno si formarono con il Gran Cono, che diede inizio a quella vera e propria del Vesuvio, nella parte piana meridionale, il Piano delle Ginestre o La Piana, e nei 5 km di valle che raccorda le pareti dell'antico cratere con la base del cono, la Valle del Gigante, a sua volta chiamata Atrio del Cavallo ad Ovest e Valle dell'Inferno dall'altra parte.; Novelle-Seggiari di 15.000 anni fa; Ottaviano di 8400 anni fa; Avellino di 3.500 anni fa; 79 d.C, la prima storicamente documentata.
Ogni ciclo è iniziato, dopo un lungo letargo (alcuni secoli), con un eruzione di pomici altamente esplosiva: l'ultimo ciclo è iniziato nel 79 d.C. e si è concluso nel 1944.

L'evento del 79 d.C. - preceduto da un terremoto del 5 febbraio del 63 d.C. così descritto da Seneca: "Abbiamo saputo che Pompei, celebre città della Campania verso cui da una parte converge il lido di Sorrento e di Stabia e dall'altra quello di Ercolano, mentre dinnanzi cinge un ameno seno marino, è stata devastata da forte terremoto insieme a paesi adiacenti. E per di più tale terremoto è avvenuto nei giorni invernali, quando, secondo le esperienze dei nostri maggiori, tali tempi sono esenti da questi pericoli. È avvenuto, infatti ai 5 febbraio, ed ha desolato la Campania, che, del resto, non è mai sicura da simile disastro. Porzione di Ercolano è caduta e le case rimaste in piedi sono pericolanti; anche Nocera, se non è rovinata, non è neppure salva. A Napoli sono cadute case private ed edifici pubblici. Moltissimi altri paesi ebbero a soffrire" - è datato 24 agosto del 79 d.C. e durò tre giorni; il 26 il cielo fu di nuovo chiaro. Pompei fu ricoperta da 7 metri di ceneri e lapilli, Ercolano da uno spessore di fango (lahar) alto dai 15 ai 25 m; vi furono più di 2000 vittime.
La cronaca degli eventi, da recenti studi, stabilisce che molti abitanti di Pompei, anche sciacalli, cessata la rima fase dell'eruzione, ritornarono in città ormai quasi sepolta. Ma, dopo una decina di ore, alle 6 del 25 agosto l'attività riprese violentissima con arretramento della linea di costa lungo l'intero Golfo ed emissione di vapore surriscaldato, i pompeiani e gli animali che non fuggirono morirono per soffocamento per l'alta temperatura e per le esalazioni tossiche, in meno di 24 ore l'eruzione terminò dopo aver completamente distrutto la città ed aver sconvolto interamente una campagna fertilissima, che, dove non fu coperta dal manto di cenere, fu bruciata dalle piogge fortemente acide.
Insieme a Pompei, furono distrutte Stabia, Ercolano, Oplonti - l'attuale Torre Annunziata; e altre cittadine non ancora localizzate del tutto come Leucopetra - Pietrarsa; Tora - forse l'attuale S. Valentino Torio; Sora o Sola - presso Torre del Greco, Cossa - ubicata tra Ercolano e Pompei - è ricordata da Patercolo, Floro e Stradone; Civita - situata fra Pompei e Boscoreale forse l'attuale Giuliana; Taurania, citata da Plinio - presso Palma Campania dove oggi vi è un casale chiamato Taurano; Veseri - sulle rive del fiume omonimo, forse le sorgenti dell'attuale Sebeto.
L'eruzione è ben descritta da un osservatore diretto: Plinio il Giovane, che, nelle sue lettere a Tacito (Epistole, Libro VI, 16° e 20°), scrive:
"Mio zio (Plinio il Vecchio) era a Misero, dove egli comandava la flotta. Il IX giorno innanzi l'ore VII (mezzogiorno), mia madre mi indicò un nembo che era apparso, di grandezza e di aspetto straordinario […] (non si capiva bene, guardando da lontano, da qual monte, e si si seppe poi che era il Vesuvio), del quale nessun altro albero meglio del pino avrebbe reso la forma e l'aspetto. Infatti, drizzandosi insù come un lunghissimo tronco, si allargava poi ramificando: credo perché, spinto prima in alto da un soffio impetuoso e poi dallo scemare di questo abbandonato a se stesso oppure anche vinto dal proprio peso, sfumava allargandosi: talora candido, talora morbido e chiazzato, secondo che avesse sollevato terra o cenere.
Nello stesso tempo, la cenere cominciò a cadere su di noi, non ancora fitta; rivolsi e vidi soprastarmi alle spalle una densa nube che ci incalzava come un torrente spargendosi sulla terra. Torniamo, dissi a mia madre, finché ci si vede; affinché sorpresi per via, no fossimo travolti dalla folla che ci veniva dietro. Appena seduti, si fece notte; non di quelle nuvolose e senza luna, ma come in una camera chiusa quando si sono spenti i lumi. Si udivano i lamenti delle donne, i gemiti dei bimbi; il gridare dei mariti; gli uni cercavano a voce di voler riconoscere i padri, gli altri i figli; gli altri i consorti; chi commiserava il suo caso; chi quello dei suoi; vi erano di coloro che, per timore della morte, la invocavano […]. Finalmente fece un po' chiaro; né questo ci pareva giorno; ma come foriero di un fuoco vicino; ma il fuoco non venne; invece nuova oscurità e nuovo nembo di fitta cenere. Noi alzandoci di tanto in tanto, la scuotevamo di dosso, altrimenti ne saremmo stati, nonché coperti, schiacciati. Ma il timore prevaleva, perché continuava il terremoto, e molti lunatici, con le loro malaugurate predizioni, si burlavano del proprio male e dell'altrui.
Già faceva giorno da un'ora; e pur la luce era tuttavia incerta e quasi languente."

Nella zona scorrevano, provenienti dai monti vicini, vari flussi d'acqua, poi riuniti in un fiume in seguito detto "Sarno", che inondavano disordinatamente il territorio rendendolo paludoso. Solo più tardi, circa 10.000 anni fa, i primi abitatori, imbrigliando le acque, resero fertile e coltivabile il territorio, che, nei secoli, è stato sempre meta di nuovi insediamenti umani perché rivelatosi straordinariamente fertile e caratterizzato da un ottimo clima, nonché da una felice posizione geografica.
I primi abitanti, siamo nella preistoria, attratti e atterriti dalle manifestazioni vulcaniche si spinsero ad adorare Giove-Vesuvio come divinità come si rileva da una lapide descritta dall'archeologo Mommsen : "Iovi Vesuvio Sacrum". I pompeiani invece, e siamo nella storia, avevano perso la memoria come vulcano e lo ricordano tranquillo e ricoperto completamente da vigneti, dai quali si produceva il "Vesvinum" e "Vesuvinum"

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La denominazione " Terzigno"


LE PRIME DENOMINAZIONI DELLA TERRA TERZIGNESE IN EPOCA ROMANA

Sicuramente la più antica denominazione che compare sul territorio terzignese, più ampiamente nomato "Terra di Ottajano", è MAURO (oscurare, nascondere nell'ombra).
In epoca romana (età di Augusto), questo territorio faceva parte del suburbio pompeiano ed è stato molto celebrato nella letteratura latina per la salubrità dell'aria, utile a molti malanni, per l'eccellente pozzolana, utile per la fabbricazione (usata da Costantino per costruire Bisanzio), per la fertilità delle balze e per i suoi fiorenti vigneti che producevano il Vesvinum vinum denominato "Lacrima Christi".
Diodoro di Sicilia (I sec. a.C.) rileva che "il monte conservava le tracce di antiche eruzioni.
Lo storico e geografo greco Strabone (di Amasia nel Ponto - 63 a.C.- 20 d.C.) nel 19 d.C. descrive il Vesuvio come "una montagna, rivestita di terra fertile, della quale sembra che abbiano tagliato orizzontalmente la cima: codesta cima forma una pianta quasi piatta, totalmente sterile, del colore della cenere, nella quale si incontrano, di tratto in tratto, caverne piene di fenditure formate da una pietra annerita come se avesse subito l'azione del fuoco; di modo che si può congetturare che lì vi fosse un vulcano il quale si è spento dopo aver consumato tutta la materia infiammabile che gli serviva da alimento. Forse questa è la causa alla quale dobbiamo attribuire la mirabile fertilità delle pendici della montagna". E, ancora, nel V libro della sua "Geografia" scrive: "Il Vesuvio è circondato da ottimi campi".
Il coevo Marco Vitruvio Pollione scrisse che "eravi ricordo che il Vesuvio anticamente avesse vomitato fiamme sulle campagne".
Marziale (40 - 104 d.C.) poco dopo annotava con una certa amarezza: "Questo è il Vesuvio, poco fa verdeggiante di pampini; qui l'uva dorata aveva premuto i bagnati tini. Questo è il monte che Bacco amò più dei colli di Nisa, sua patria; in questo monte or ora i satiri intrecciavano le loro danze … Tutto giace sepolto dalle fiamme e dal terribile incendio. Neppure gli dei avrebbero voluto ciò che fosse lecito ad essi".
Varrone: "Sul Vesuvio, le terre sono più belle , e perciò più salubri".
Plinio (23 d.C. - 79 d.C.) definisce il sito terra incantata.
Cicerone definisce le fertilissime terre vesuviane "Il più bel possedimento del popolo romano, l'ornamento della tranquillità e fonte di imposte".
Columella ( I° secolo) nel suo trattato sui campi e l'allevamento celebra le acque vesuviane.
La tradizione parla appunto di un fiume, il Véseri, alle falde del Vesuvio (nella sua "Storia e fenomeni del Vesuvio" del 1755, il Della Torre parla di un ruscello "verso il bosco d'Ottajano e scomparve sotto la lava"), il quale, dopo aver solcato il territorio di Ottaviano, S. Giuseppe e Terzigno, si dirigeva verso il mare, poi inghiottito dalla lava vulcanica.
Il territorio fu anche testimone nel 73-71 a.C. della ribellione di Spartaco che, fuggito con una settantina di compagni dalla scuola di gladiatori di Capua, si rifugiò sul Vesuvio dove, nel combattere i Romani (Clodio si diede alla fuga), razziò ville e castelli a Nocera e a Nola.
Augusto, di origine nolana, costruì una villa nella parte settentrionale del Vesuvio, poi si costruirono nei dintorni altre abitazioni tanto da formare un centro abitato: Ottaiano.

DAL VESUVIO, LA PRIMA DENOMINAZIONE: "TERZIGNO"


Lo sviluppo di questo territorio, anche dopo la totale distruzione del 79 d.C. continua, di conseguenza, ad essere legato a filo doppio alla storia vulcanica del Vesuvio.

Qui su l'arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra ….

(da "La Ginestra" di G. Leopardi)

Nell'alto Medioevo le pendici del Vesuvio (indicato con "BESUBIUS" dal latino: Vesuvius poi Vesvio, Besobio, Besvio, Besuvio, ecc.), l'ager pompeianus, si coprirono di una fitta, intricata e pericolosa boscaglia che si estese sia per la mancanza di abitanti (vi abbondavano cinghiali, lupi, volpi ed altri animali selvatici), sia per la ridotta attività vulcanica. La proprietà di questo territorio era, in massima parte, o di ordini monastici (Camaldolesi e Carmelitani) o di famiglie nobili (Gonzaga e Caracciolo).

Dopo la grande eruzione del 1306 (le precedenti conosciute sono del: 800 a.C., 79 d.C. (prima descritta), 203 con boati uditi fino a Capua, 472 e 512 precedute da forti terremoti e lancio di massi e ceneri fino a Costantinopoli, 685 con lava fino al mare, 787 molto tipica per il pino vulcanico, 993, 1036, 1049, 1138 con emissione, per circa un mese, di ceneri rosse che arrivarono fino a Salerno, Capua e Napoli e l'incerta apertura delle bocche eccentriche Viulo e Fosso della Monaca) il Vesuvio visse una fase di quiescenza di circa tre secoli con la ripresa della vegetazione fino in vetta e le pareti interne si ricoprirono di querce, lecci, olmi ed altre piante, esistevano coltivazioni e numerose abitazioni nell'Atrio del Cavallo, vi furono solo delle effusioni di modesta entità nel 1550 e nel 1568; ma, Il 16 dicembre 1631, si risvegliò in modo terribile, con centinaia di scosse telluriche, iniziate già da luglio, ed effusioni laviche dal cratere principale e da bocche secondarie.
Nel dicembre, si racconta, che l'acqua mancò nei pozzi e gli animali domestici urlavano nella notte. La mattina del 16 si vide una nuvola strana attraversare l'estremità del cratere, l'aria divenne buia, alle 11 la lava fuoriusciva a Nord invadendo l'Atrio del Cavallo e l'aria divenne, per i gas, irrespirabile: 40000 si rifugiarono a Napoli. Nella notte tra il 16 e il 17 forti scosse danneggiarono le abitazioni, alle 7 del 17 una forte esplosione decapitò la sommità del monte, alle 9 una colata di fango impressionante raggiunse il mare distruggendo tutto al suo passaggio, dalle 10 iniziarono le colate laviche che distrussero portici, Ercolano, Torre del Greco e Annunziata, a mezzogiorno, per la cenere, a Napoli sembrò notte. Il 18 il flusso si arrestò: il Vesuvio era più basso di 168 metri e si contarono 4000 vittime e 6000 animali domestici.
L'accumulo do cenere causò crolli a S. Anastasia, Somma ed Ottaviano, le colate di fango inghiottirono in parte Massa, Pollena e Ottaviano, a Napoli la cenere raggiunse i 30 cm, e le ceneri più sottili raggiunsero Istanbul. La sommità del vulcano raggiunse un diametro di 1600 m (era di 600) e la vegetazione scomparve. La topografia della zona rimase vistosamente mutata.

Le eruzioni successive sono del 12 novembre 1637, 1649, 3 luglio 1660, 12 agosto 1682, 1 luglio 1701, 28 luglio 1707, 15 giugno 1714, 14 maggio 1737, 25 ottobre 1751, 23 dicembre 1760, si aprirono 15 bocche, con grande attività sul versante sud del Somma, 10 aprile 1766, 15 luglio 1794, ore 22, con gran danni a Torre del Greco, 5 agosto 1799, 26 luglio 1805, 7 ottobre 1822, 23 luglio 1832, 1 gennaio 1839, 23 gennaio 1850, 28 maggio 1858 con continua attività fino al 25 agosto 1862.
Nei giorni 26-27 aprile 1872 riprese l'attività vulcanica con la distruzione di Massa e S. Sebastiano, in tale occasione, morirono 20 spettatori imprudenti (lapidi in loro memoria sono visibili sul muro di cinta dell'Osservatorio vulcanologico), il 1° maggio il cratere sprofondò dando luogo ad una caldera; poi i deboli periodi eruttivi: 1874, 1880-83, 1885-86,1891-94, 1895-99 con la nascita del colle Umberto di metri 888.
Delle attività eruttive novecentesche: 7/8 aprile 1906, 6/9 giugno 1929-33, 24/25 marzo 1944, si riferirà, per uniformità cronologica, nelle pagine successive.
L'altezza attuale del Vesuvio è di m. 1276, era di m. 1186 dopo il 1933 e di m. 1336 prima del 1906.

Su Ottajano, nel 1631, come già menzionato, si aprì un cratere che danneggiò molto il centro urbano, tale evento spinse gli abitanti a rifugiarsi nei rari e minuscoli insediamenti abitativi e religiosi
19 della campagna, risalenti al periodo che va dal 1306 al 1500, (riposo assoluto del Vesuvio) ove molti si stabilirono definitivamente aumentando vistosamente la popolazione di questi minuscoli insediamenti.

Si costituirono così dei nuclei abitativi, spesso completamente diversi da quelli originari, che presero la denominazione, talvolta cambiando quella precedente, dai nomi dei nuovi abitanti quali: Avini, Bifulchi, Miranda, Giugliani, ecc.; processi similari interessano anche la contigua San Giuseppe Vesuviano. Questa minuscole realtà urbane, per la comune provenienza, la vicinanza di ubicazioni e il comune destino, venivano costituendo una realtà alquanto omogenea e, dal 1633 circa, cominciarono a darsi una sola denominazione:

"TERZIGNO"



Sull'etimologia le interpretazioni non sono sempre unanimi, la più acclarata viene fatta derivare dal latino "Oppidum ter igne ustum" = Rione bruciato tre volte dal fuoco (il terzo incendio, quello del 1631, o fuoco = Tertius ignis), la tradizione orale, nel tempo, ha escluso la prima e l'ultima parola ed ha semplificato utilizzando solo "ter" e "igne", o" unite con l'aggiunta della "z" per congiungere e la trasformazione della "e" latina nella "o" volgare finale. Il tre, sempre ricorrente, sta ad indicare le suddette attività vulcaniche del 1550, del 1568 e, appunto, del 1631.
Altre interpretazioni fanno derivare il toponimo da "Tertium Miliarium" terzo miglio da Pompei o da "Torcigno"
20 luogo del torchio; infine, per una labile tradizione orale, da "terza zona" militare dove, per strategia, le truppe stanziavano prima di passare alla seconda (l'attuale Boscoreale) e sorprendere o respingere i predatori saraceni avvistasti dalle Torri (Annunciata e del Greco) della prima zona.

La storia del periodo è debolmente documentata, i rari documenti indicano la zona genericamente con "terre di Ottajano"; e per quella ancora precedente con "terre nolane".
Padrone di Ottajano, nel 1532, per dono di Carlo V, è il famigerato Fabrizio Maramaldo (lo stesso comprò anche il feudo rustico di Sancta Maria Jacobi, l'attuale Boscoreale, che, nel 1547, cedette, per debiti, a Mario Sasso), che impoverisce la popolazione per soddisfare le brame del suo esercito (circa 2000 uomini) mercenario; dopo circa venti anni, il Feudo ottajanese passerà nelle mani del mite Don Ferrante Gonzaga, principe di Molfetta, il cui figlio Cesare, per le difficoltà di controllo dovute alla lontananza, nel 1567, lo vendette a don Bernadetto de' Medici di Toscana, questa famiglia governerà saggiamente per circa 300 anni, assicurando un certo sviluppo all'intera Terra d'Ottajano.

19. Camaldoli, S. Felice, S. Maria Paterese del Mille (presenze monastiche favorite dall'espandersi del monachesimo dopo il X secolo, in seguito alla riforma cluniacense), S. Antonio, Chiesa di Lorena o S. Francesco).

20. Toponimo riportato nelle carte geografiche settecentesche.

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Nascita della cittadina

Dopo il 1631, faticosamente riprende la vita nelle campagne, ora Terzigno, una vita molto misera con precarie abitazioni, che cominciano a cambiare nella forma e nei materiali per renderle più resistenti alla furia del Vesuvio: da paglia e pozzolana si passa alla pietra lavica per i muri portanti e al lapillo battuto per le coperture, allo scopo di sopportare il peso dei lapilli, modellate, a volta (è riconoscibile una certa influenza arabo/saracena, popoli razziatori, presenti sul territorio tra l'828 e il 937).
Queste abitazioni di dimensioni più o meno standard misuravamo metri 6 x 6 x 6, senza finestre (per assicurare l'intimità familiare) ma solo un'ampia e funzionale porta con un lucernario nella parte superiore, spesso esse erano attrezzate con un ammezzato in rozze tavole di legno ('o mezzanino) per la conservazione dei viveri e per il riposo della prole. L' unico locale serviva per tutti i bisogni: mangiare, dormire, conservazione dei cibi, allevare figli e animali, ecc.
Tali costruzioni erano riunite in rioni composti da uno o più cortili di varie dimensioni ognuno dei quali era fornito dei servizi primari comuni (pozzo, pollaio, forno, torchio, ecc.); nei cortili, attrezzati come coorte, si conduceva una vita solidale, soprattutto in occasione della vendemmia, quando tutto il cortile partecipava alla raccolta e lavorazione dell'uva; le cantine, sempre presenti per la conservazione del vino (unica ricchezza), rimanevano rigorosamente private.
Una sequenza di eventi sfavorevoli condizionarono la vita di quegli anni: numerose, anche se meno devastanti, eruzioni; dal 1636, per circa quattro anni, un invasione di insetti devastatori per l'agricoltura (i moruli
21); nel 1640, in seguito all'invasione francese, molti abitanti costieri giunsero in zona in cerca di asilo; la peste del 1656 (2500 morti nella sola Terra d'Ottajano); nel 1660, per alimentare i mulini della costa (Scafati e Torre Annunziata), fu attuato uno sbarramento del Sarno che straripò e impaludì la zona rendendola malarica, gli abitanti si rifugiarono nella Terra d'Ottajano con forte aggravio demografico soprattutto per i rioni Campitello e Miranda, per l'occasione la Corte napoletana (stranamente sensibile, a Napoli, nel 1647, c'era stata la famosa rivolta delle gabelle - Masaniello, repressa a fatica nel sangue) concesse ad Ottajano la cessazione delle gabelle, lasciando solo quella sul vino a favore alla stessa amministrazione locale.
Nel 1683, in occasione della nascita della parrocchia di S. Giuseppe, si effettuò un censimento delle famiglie volto a definire le diverse giurisdizioni e, per Terzigno, si censirono 32 capifamiglia nel rione Campitello e 31 nel rione Miranda.

21. La Curia vescovile di Nola si interessò nel 1660, 1668 e 1672 per debellare il flagello dei "muroli et le campe" che devastarono le vigne tra Lauro ed il Vesuvio peggio di un biblico flagello e, divorando pampini e germogli, le riducevano a mere sterpaglie. Si decise ogni volta l'intervento del Vescovo che, dopo detto messa in S. Michele di Ottajano, maledicesse gli insetti voraci e, in quanto figli di Beelzebub signore delle mosche, intimasse loro di tornare all'Inferno attraverso le paludi della Longola, lungo il fiume Sarno, o l'Atrio del Cavallo. Nel 1668, poiché le vigne più devastate erano quelle dei Medici a Terzigno, il Vicario del Vescovo lanciò l'anatema contro i muroli anche dalla chiesa di S. Antonio "sita nella massaria di Tommaso Iovino allo Campitello".



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