Eduardo Ambrosio


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IL TOTALITARISMO (Hannah Arendt)

STORIA > NOVECENTO > FASCISMO E NAZISMO

IL TOTALITARISMO

Il Totalitarismo, per Hannah Arendt, rappresenta l'irruzione nella storia del radicamento nuovo ed impensato, ma insieme il luogo di cristallizzazione di elementi e dinamiche operanti all'interno della modernità liberale: punto culminante della modernità.


La Arendt è una delle più importanti e significative figure della cultura del nostro secolo. Ebrea, profuga e apolide si formò nell'università tedesca della Germania di Weimar. Studiò filo-sofia ed instaurò uno stretto rapporto con Karl Jaspers. Con l'avvento di Hitler al potere nel 1933 fu costretta ad emigrare, a causa della sua origine, con la madre in Svizzera e poi a Parigi dove sposò il politico Blucher e divenne amica di Benjamin. Dopo l'occupazione nazista della Francia Settentrionale, fu internata del governo di Vichy, perché straniera sospettata, venne poi liberata e riuscì a fuggire negli Stati Uniti, dove poté dedicarsi alla stesura delle principali opere di carattere politico atte ad analizzare i grandi eventi della società e della politica mon-diale del suo tempo.

Legata a tre culture, quella
americana, quella tedesca e quella ebraica, la A. è apolide e cosmopolita al tempo stesso. Ma che la Germania sia considerata sua patria, non può essere stimato come fondamento di un'identità nazionale, fattore che solo la Nostra al tempo percepì come inopinabile grazie alla sue conoscenze sull'antisemitismo. Visse, invece, in un rapporto conflittuale con la cultura ebraica, di cui sentì sempre una maggiore pressione nell'esperienza educativa e religiosa, quest'ultima vista, però, sempre criticamente.

Impegnata politicamente cercò di agevolare la fuga degli ebrei dal Reich durante la II guerra mondiale, si adoperò per la costituzione di una milizia ebrea per sostenere gli alleati e per il raggiungimento della pace in Medio Oriente, presupposto questo per la sopravvivenza dello Stato di Israele.

"
Eichman a Gerusalemme" è una delle opere politiche della A. in cui si delineano i caratteri dell'idealtipo del regime totalitario, individuo atomizzato dalla società di massa, incapace della partecipazione civile, ma soprattutto ingranaggio di una macchina di sterminio.
La sua attenzione è sempre stata rivolta ad ogni evento che fosse un prodromo dell'affermarsi di un regime totalitario e che potesse rappresentarne una tensione, alle condizioni dell'ebreo, alla tragedia dell'Olocausto nonché ai motivi e ai fattori che hanno determinato il progressivo disfattismo della libertà. Le rivoluzioni, infatti, a partire da quella francese, hanno solamente distrutto la tirannia e si sono mostrate del tutto incapaci di garantire e "costruire" uno spirito liberale.
Molto legata alla nascita dell'esistenzialismo, l'attività della A., tuttavia deve essere considerata estranea alla filosofia e consone invece ad un autentico lavoro di teorico della politica.

L'approccio all'aspetto giurisdizionale è dovuto, oltre alla concezione di una filosofia come premessa della politica reale, agli studi di suo marito che stimolarono il suo desiderio di comprendere il reale e la storia che aveva minacciato la fine del libero agire politico dell'uomo. "Le Ori-gini del totalitarismo" accanto alla "Vita activa" sono le principali opere storiche politiche in cui viene analizzata la genesi e lo sviluppo del totalitarismo e viene ripristinata la priorità dell'agire politico in uno spazio in cui sia possibile interagire con gli altri uomini. Una ripresa dunque dell'ideale costituzione della polis greca e una polemica verso la moderna concezione della politica volta esclusivamente all'attività amministrativa. Inoltre, la A. ha delineato con acume e attenzione i "mali" della modernità, che hanno minacciato la libertà, favorito la perdita dello spazio politico pubblico e la depoliticizzazione del mondo contemporaneo che ha consentito l'affermarsi del totalitarismo conseguenza anomala dell'avvento della società di massa.

In
"Le Origini del Totalitarismo" la A. delinea la genesi del totalitarismo, ed analizza la storia dal 1880 alla fine della II guerra mondiale soffermandosi sull'emergere dell'antisemitismo, sul declino dello stato nazionale con lo sviluppo del pangermanesimo e del panslavismo, nonché sull'ascesa della borghesia e la costituzione di un regime basato sul binomio ideologia e terrore.

L'opera consta di tre parti:
la prima è dedicata allo studio
dell'antisemitismo, elemento centrale dell'ideologia del regime totalitario,
la seconda si incentra sull'
età dell'imperialismo e l'ascesa della forza economica della borghesia,
la terza si sofferma s
ulla società di massa, senza classi e il binomio ideologia e terrore, come fondamento del regime totalitario.

Il
totalitarismo, sebbene basato su poteri forti e personalistici, è un regime autoritario che si differenzia dalle altre forme di governo come il dispotismo, la tirannide e la dittatura per la sua maggiore radicalità. Distruggendo le tradizioni sociali, politiche e giuridiche di un paese, tra-sforma la società classista in masse, sostituisce i partiti come i movimenti di massa, trasferisce il centro del potere dall'esercito alla polizia e segue una politica imperialistica subentrata in modo disastroso al romantico colonialismo. L'essenza di questo governo è il terrore, il suo principio di azione è il pensiero ideologico, le ideologie, o meglio gli ismi per la A. Esse non sono totalitarie ma trascendono l'esperienza e la realtà per poter svelare il significato celato dietro le apparenze, mutare la realtà, spiegare la storia e conoscerne i misteri nascosti, le certezze del passato, il presente e le incertezze del futuro. Scopo di questo è la scissione del pensiero dalla realtà, la creazione di un mondo fittizio conforme all'ideologia e di una società basata sulle leggi positive della natura e dell'evoluzione storica in linea con eurocentrismo culturale.

Il totalitarismo secondo A. non necessita di un consuensus iuris alla stregua degli antichi, non ha leggi, se non quella della storia e della natura, né i principi di giusto e ingiusto, anzi, al posto di tutto ciò subentra il terrore totale,
<strumento permanente di governo>. Quest'ultimo e l'ideologia intesa come principio permanente di azione sono le pietre miliari del totalitarismo, e trovano applicazione attraverso il partito unico quale politicizzante della società civile e la polizia segreta come sorveglianza continua del sistema sociale. Ma a prescindere dalla combinazione di ideologia e terrore si afferma incontrastata la volontà del capo, la legge del partito a cui nulla è superiore, il motore del regime intorno al quale si dispone la pluralità delle gerarchie concentriche preposte al potere.

L'estraniazione, la "loneliness" arentiana è la condizione in cui persistono gli individui, in un isolamento politico percepito maggiormente nella totalità umana, nel partito unico, nel controllo dei mezzi di informazione e nella mancanza di libertà in quel regime in cui il terrore è la legge. Dunque, non tutti i regimi autoritari possono considerarsi "totalitari", non basta una direzione centralizzata, un'ideologia e un controllo statale su ogni aspetto della vita, è necessario il coesistere di quell'ideologia, che è la legittimazione della legge incontrastata della violenza e del terrore. Sebbene sia valido il contenuto e l'analisi condotta da A. sul totalitarismo, molti sono stati i punti lasciati incompiuti, come la differenza tra movimento e regime e quei conflitti che, insiti nel primo, sfociano nel potere antiburocratico del totalitarismo.
Infatti il totalitarismo dà vita ad un apparato burocratico immenso basato sull'autorità di un capo che distrugge ogni forma di libertà. Rifiutato il concetto di "autorità carismatica", A. giustifica il consenso al regime con l'avvento delle masse, il dissolvimento della società classista, il conflitto ideologico e soprattutto al rapporto tra le masse e il capo per quel processo di mobilitazione permanente del terrore.

"Le Origini del totalitarismo" possono dunque essere considerate un importante studio politologico, soprattutto per la convinzione più volte ribadita della novità della forma totalitaria. Non elementi caratteristici di questo regime isolati, possono consentire di parlare di totalitarismo, bensì la stretta integrazione o anche una sorta di osmosi tra i caratteri della vita politica e so-ciale. Il regime del terrore non può affermarsi e consolidarsi se non in una società in cui l'ideologia semplice ha superato le dottrine politiche e i partiti si sono trasformati in masse, in una società industriale "moderna" basata sulla partecipazione politica e sull'estensione del suf-fragio. Quindi, si chiede A., quali sono le analogie tra totalitarismo e dispotismo quali quelle tra totalitarismo e autoritarismo, è possibile parlare del nazismo e dello stalinismo come re-gimi del terrore?
I regimi totalitari sono il prodotto di una degenerazione delle classi sociali e legittimano le loro azioni in base ad un inappellabile principio ideologico e non in dottrine religiose tradizionali come per il dispotismo, si fonda su una mobilitazione continua volta alla totale e rapida modi-ficazione sociale e non favorisce la "passività degli individui" nel mantenere un assetto preesi-stente come per l'autoritarismo.
Nazismo e stalinismo, invece, sebbene fondati su ideologie differenti convergono nella componente del terrore e nella volontà di escludere chi sia "dannoso" per la formazione di un "uomo nuovo". Il totalitarismo è immune dalle condizioni storiche e culturali, può nascere ovunque vi siano i presupposti e l'unica difesa contro di esso è la costante difesa della libertà e della de-mocrazia. Perché, in fondo, come pensa A., ci sono sempre uomini disposti a renderne altri schiavi in nome di astratte e utopiche ideologie.



L'ORIGINE STORICA DEL TOTALITARISMO

"Le origini del totalitarismo" è senza dubbio una delle massime testimonianze dell'instaurazione del regime totalitario che trova i prodromi del suo sviluppo a partire dalla I guerra mondiale.
In seguito alla Grande Guerra, infatti, l'Europa vessata da numerosi problemi politici e sociali, attua un'opera di risanamento secondo le clausole del trattato di Versailles del 1919-20. Bisognava ricostruire su quel cumulo di macerie delle distruzioni di guerra, risanare le industrie che erano volte soltanto alla produzione bellica e limitare lo scarto nel bilancio pubblico tra domanda e offerta che aggravava ulteriormente l'inflazione.
I confini territoriali si erano dissolti, era emersa la ricerca di sicurezza e stabilità, l'istituzione di nuovi rapporti che avrebbero consentito una equilibrata politica indirizzata alla costituzione di uno stato basato sulla collaborazione tra borghesia e socialismo. L'emergere del "nazionalismo", la spinta autonomista e indipendentista di molti stati da una parte, e la costruzione di imperi egemoni del mondo dall'altro, rendevano ancora più precaria la tutela degli interessi europei. Per la decadenza e la limitazione della libertà un maggiore controllo statale in ogni attività, posero fine al liberalismo e segnarono l'ingresso delle masse come soggetti attivi nell'organizzazione dello Stato.
Dunque, non più un élite al potere come era avvenuto nei secoli precedenti, ma la massa, l'intera popolazione senza alcuna distinzione o limitazione. Le classi operaie e contadine cominciarono ad affermarsi come entità politica, diventarono consapevoli della propria forza e propugnarono sempre maggiori richieste e necessità alle classi più agiate. Il progresso e l'industrializzazione del secolo precedente, avevano senza dubbio accelerato questo processo storico, le nuove sco-perte, e conquiste scientifiche avevano modificato lo stile di vita di molti, e anche di coloro che a contatto della "scienza" non potevano adeguarsi a soddisfare le nuove esigenze.
E' questo il secolo del Positivismo, del diffondersi di una ventata di ottimismo che investiva ogni campo culturale e tecnologico, che induceva gli uomini a riporre piena fiducia nella scienza e nel progresso tanto da considerarla come "antidoto" ad ogni male. Solo successivamente subentrò a questo il movimento neoidealista, un nuovo sentire che condusse alla crisi esistenzialista del Novecento.
In realtà i letterati e ancor più i filosofi si erano resi conto delle conseguenze a cui avrebbero condotto quei cambiamenti, e si mostrarono per questo scettici nei confronti di ogni tipo di "Stato". Le masse emersero dopo anni di asservimento al potere solo al principio del primo conflitto mondiale che creò in Europa quei presupposti per l'instaurarsi di un regime totalitario. Infatti nel 1789 con la Rivoluzione Francese il popolo e non più solo le élite mostrarono di possedere dei diritti a lungo negati, di essere una forza rivoluzionaria tanto forte da poter abbattere i sistemi.
Con la fine dell'ancien regime, la plebe cominciò ad emergere politicamente, a rivendicare una progressiva promozione sociale che segnò anche la nascita della moderna diplomazia con il Congresso di Vienna del 1815. Lo Stato era sempre stato diretto da un'oligarchia aristocratica, da un sovrano che nelle direttive di governo teneva conto soltanto delle classi dirigenti, e, rispondendo alle loro richieste, si garantiva un solido appoggio immune da qualsiasi movimento sovversivo.
E' stato con la fine del secolo scorso che le masse hanno fatto irruzione sulla scena politica, gli operai si riunirono nel partito socialista e segnarono la nascita delle Internazionali socialiste e il tentativo di istituire uno Stato di stampo marxista. Dal montare delle classi inferiori tramite azioni rivoluzionarie seguì la decadenza della classe media, decadenza aggravata dall'inflazione e dalla crisi del 1929 che determinò un peggioramento del tenore di vita. L'innalzarsi politico -sociale delle masse popolari segnarono una svolta nella produzione e nella gestione statale e i problemi sociali furono trasformati in problemi di massa. Così, mentre le classi meno agiate si affermarono attraverso le ideologie socialiste e rivoluzionarie, la borghesia cercava appoggio e sicurezza dando un forte contributo alle dittature nazionaliste.
I regimi totalitari si proponevano di controllare totalmente ogni aspetto della vita statale e della sua popolazione sostenendo una politica estera aggressiva atta ad un'egemonia mondiale e assicurandosi ampi appoggi tramite la propaganda politica. L'ideologia era una delle pietre miliari su cui poggiava lo stato totalitario, a cui si ag-giunsero l'antisemitismo attuato attraverso il genocidio di milioni di ebrei, l'imperialismo e il mito di uno Stato la cui forza sta nell'espansione, nel progresso e in un'economia autarchica.



IDEOLOGIA E TERRORE

Il totalitarismo è una forma di oppressione politica in cui lo Stato concentra ogni potere nelle sue mani ed attua un serrato controllo su ogni attività della vita politica e sociale. Crea istituzioni differenti da quelle esistenti, trasforma le classi in masse, sostituisce il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico ma con un movimento di massa, trasferisce il centro del potere dall'esercito alla polizia elaborando quanto già veniva affermandosi nella politica austriaca della Restaurazione (Metternich), attua una politica estera aggressiva e con richiami egemoni.
Questo tipo di governo può essere considerato, dati i suoi connotati, come una forma moderna di tirannide, un governo senza legge positiva in cui il potere è affidato nelle mani di un solo uomo, ed è basato sulla violenza e sulla coercizione.
La paura tra governanti e governati, l'eliminazione della distinzione tra governo legale e illegale, tra potere arbitrario e legittimo poi sono alcuni caratteri distintivi di questa forma di governo. Lungi dall'esser senza legge, pretende di obbedire alle leggi della natura e della storia, sacrifica il singolo per il tutto, e nega ogni forma di legalità perché ritiene di aver trovato il modo per instaurare la giustizia nella società. Non dunque leggi a cui dover sottostare passivamente, non il consuensus, ma un popolo che possa farne a meno, libero dall'adempimento della legge perché è l'umanità stessa che è l'incarnazione del diritto.
Nell'interpretazione del totalitarismo il concetto di storia e natura subiscono una metamorfosi, non sono più considerate eterne e permanenti ,ma movimenti e processi, le leggi non sono più stabilizzatrici di autorità per le azioni umane ma continua evoluzione.
Vi è alla base il concetto evoluzionistico di Darwin di uomo come prodotto di un processo di continua selezione naturale e la concezione marxista della lotta di classe in una società intesa come risultato di un vorticoso movimento storico. Infatti come il movimento naturale non è circolare ma rettilineo e orientato verso l'infinito, così anche la storia si impadronisce della vita naturale e trasforma le leggi biologiche in leggi storiche.
Il totalitarismo si propone di mostrare l'indefinitezza di questo processo umano e di rendere, in base ai risultati, la legge di eliminazione come strumento per l'acquisto e la detenzione del potere nel dominio sul mondo.
Per stato di diritto la Arendt intende un corpo politico in cui le leggi positive sono necessarie per attuare l'immutabile ius naturale e le leggi positive.
Aspetto mancante nel regime totalitario in quanto esso viene sostituito dal terrore totale inteso a tradurre in realtà la legge della storia e della natura. Il terrore è l'essenza del regime totalitario, la realizzazione della legge del movimento che addita nemici contro cui scatenarsi chi è di ostacolo al processo naturale e sto-rico trascendendo ogni senso di colpevolezza e innocenza.
"E' legalità se legge è la legge della natura e della storia", e si propone di eliminare tutti gli oppositori, evitare la continuità, in un mondo fatto di inizi, che trascende i singoli principi, e non interviene per imporre una volontà tirannica e un potere dispotico ma per costruire un " vincolo di ferro tra gli uomini". Essi dunque, strettamente uniti, lasciano sparire la pluralità fondendosi in un unico uomo gigantesco, una sorta di Leviatano di Hobbes. Ma differente è lo scopo, infatti mentre per quest'ultimo era un modo per garantire la libertà, il regime totalitario, se ne serviva per reprimere ogni forma di spazio che possa garantirne l'esistenza.
Il totalitarismo non solo distrugge la libertà, ma elimina ogni presupposto per il suo affermarsi, preclude ogni possibilità di movimento personale per accelerare il processo delle forze della natura e della storia. Il divenire trova ostacolo nella li-bertà, di cui è espressione ogni nuovo inizio, dunque compito del terrore è eliminare dalle fondamenta l'origine della democrazia, favorire con ogni mezzo coercitivo e dispotico l'affermarsi di quelle forze sovraumane che in tempi differenti avrebbero pronunciato le stesse sentenze di morte contro gli" inadatti a vivere" o contro "le classi morenti".
Nel corso della storia era la durata di un governo a testimonianze il grado di buona gestione statale, la qualità era distinta da un logoramento interno e da un processo di autodistruzione, che secondo Montesquie era pos-sibile superare grazie al" principio dell'azione". Questo estirpava governo e cittadini dalle loro attività pubbliche e serviva da criterio per giudicare le azioni politiche, ed era l'onore per la monarchia, la virtù per la repubblica e la paura per la tirannide. Dunque in un regime in cui tutti gli individui sono diventati un unico uomo, dove ogni azione mira all'esplicarsi dei piani della natura e della storia, dove il terrore garantisce la continuità del movimento, non è necessario alcun principio di comportamento.
Né la virtù, né la paura, né l'onore sono necessari in un regime in cui il terrore domina incontrastato e gli abitanti sono gettati "nel vortice del processo della natura e della storia", perché in senso stretto non esiste la capacità di agire, perché è lo Stato a decidere ogni cosa oggettivamente. Dunque né a simpatia né a convinzioni bisogna riferirsi nella gestione del governo, o anche per decidere arbitrariamente i carnefici e le vittime a loro volta precari nel ruolo sulla base della preparazione ambivalente che è l'ideologia.
E' un fenomeno recente quello del pensiero che si è affermato con Hitler e Stalin e sono divenute no-te per il carattere scientifico; si basano sull'unione tra l'approccio razionale con i risultati teoretici e metafisici della filosofia.
L'ideologia implica etimologicamente l'esistenza di idee come materie di studio e di "logoi", ovvero di affermazioni scientifiche, combinazione che porta quasi a definirla pseudoscienza o pseudofilosofia. Ma le idee degli ismi non sono l'argomento delle ideologie e non sempre il suf-fisso -logia- allude ad affermazioni scientifiche.
Un'ideologia è <la logica di un'idea> la cui materia è la storia, e si propone di svelare ogni mistero del processo storico, di individuare i continui cambiamenti, descrivere il divenire conoscendo il presente studiando il passato e pre-vedendo il futuro.
La logica dialettica è l'unica forma di ragionamento consentito, tutto è com-preso in un coerente processo di deduzione, in cui tutte le ideologie contengono elementi tota-litari anche se si affermano solo le più importanti. In particolare, spiegano il divenire e non la staticità storica, sono indipendenti da ogni esperienza e tendono a mutare la realtà in base ai postulati ideologici con strumenti di deduzione logica e dialettica priva di rapporti con la società.
L'essenza dell'ideologia è poi la logicità intrinseca e quel timore di contraddirsi insito nell'uomo che ha consentito la confessione di crimini mai connessi con le epurazioni staliniane. Eliminare la nozione di logica finale significa affermare la sua forza autocostruttiva che rende ognuno incapace di produrre idee e di fornire una distinzione tra vero e falso, realtà e funzione.
La base del terrore è l'isolamento, una fase pretotalitaria che preclude all'uomo la partecipazione alla vita politica, e l'estraniazione, l'essere avulso dal sistema sociale.
L'"homo faber" nell'isolamento dà sfogo alla propria creatività, ma si trasforma in "animal laborans" con l'attuazione del processo di esternazione. Si sente superfluo, non più appartenente al mondo, sradicato, non riconosciuto dagli altri, consapevole di non aver nessun appoggio sicuro.
L'uomo estraneato pensa "tutto il peggio" dice Lutero ,perché il totalitarismo contiene in sé i germi della distruzione in quanto la deduzione logico - ideologica dell'isolamento è un principio distruttivo per ogni convivenza umana che minaccia la distruzione del mondo.
Ogni fine implica un nuovo inizio che la promessa, la suprema capacità dell'uomo ovvero la libertà umana. Questo inizio è garantito da ogni nuova nascita ed è ogni uomo perché, come dice Agostino "initium ut esset creatus est homo".

Un esempio di ciò che può essere un sistema socialista basato sull'osservanza dei precetti arentiani, è il
romanzo di Orwell "1984" in cui è descritta la vicenda di Winston e Julia appartengono al partito. E quelli che come loro perdono la divisa del partito sono legati da una discipli-na inesorabile. E' negata loro una vita sentimentale e rappresentano quegli idealtipi che la A-rendt definiva "estraniati".
Anche nelle loro private abitazione un "teleschermo" ad ogni ora li stordisce di notizie di musica, di giaculatorie propagandistiche, e al medesimo tempo raccoglie e trasmette i loro gesti, le espressioni dei visi, le minime parole. Ogni atto è legato all'ideologia del partito, anche tenere un diario come la Winston è considerata deliberata manifestazione di volontà individualistica e di diserzione morale totalitaria. Un mondo in continua guerra, come la Germania nazista, una società che è l'ombra di sé stessa tanto è depressa e per sempre ingrigita dalla ideologia imperante del Socing, il socialismo inglese, unica dottrina ammessa in Oceania.
L'autorità è il capo carismatico teorico della Arendt si incarna qui nel grande Fratello, che appare in ogni luogo, sovrasta la vita pubblica e privata di ognuno, ma che in realtà nessuno conosce né ha mai visto di persona. Governano e controllano il paese attraverso il "partito", unico movimento per sottomettere le masse con i ministeri onnipotenti. Ogni pensiero, parole dei sudditi sono controllati da vari ministeri, preposti all'imbonimento ideologico e morale dei cittadini per renderli completamente succubi del sistema, pronti a tradire qualsiasi sentimento di affetto e di amore verso i propri cari per servire lo stato, per renderli feroci odiatori dei nemici interni ed esterni del paese e assolutamente incapaci di qualsiasi pensiero autonomo e forma critica.
E' questo ciò di cui parlava la Arendt, l'estraneazione e l'isolamento tra le masse, la compressione degli uomini nella pluralità del "grande uomo" e la fine dello "spazio vitale" necessario per la libertà. Come lei, Orwell esordisce con la descrizione di un regime in cui l'uomo è parvenza d'uomo, uno straccio fisico e morale, un elemento che favorisce il processo storico lasciato a vivere un'esistenza insulsa e insignificante ma conforme alla volontà del Partito.
Alla luce della II guerra mondiale Orwell come la Arendt non poteva che vivere nella consapevolezza di essere in un mondo insensato, in cui gli uomini vengono privati dell'anima e dove prevale soltanto la violenza autoritaria mentre tutt'intorno non c'è che tristezza squallore, diffidenza e odio. Non c'è nessun solido sostegno dice la Arendt per l'uomo nella ricerca di un mondo ideale in cui l'umanità possa appagare la sua sete di giustizia, di amore e di bellezza.
Anche Orwell riferendosi a queste idee afferma l'anti-utopia del "1984" in cui intendeva lanciare un monito contro gli abusi del potere manifestatisi in forme gravissime ed allarmanti negli anni della II guerra mondiale contro l'appiattimento della coscienza e di sentimento contro la sopraffazione mentale compiuta dalle ideologie.
Infatti, come ribadisce Arendt, il regime compie ogni genere di azione in nome dei postulati ideologici in cui si basava l'intera organizzazione statale, gerarchica e autoritaria. "1984" rappresenta dunque quella profezia sulla progressiva eliminazione dell'umanità dal linguaggio comune sostituito dalla Neolingua il cui fine non era fornire soltanto un "mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero.
Si ripropone quell'osmosi della logica dialettica arentiana, quell'unione fortissima che elimina ogni mezzo espressivo, perché il pensiero, estraneo dall'esperienza ed alla realtà, è riconducibile solo all'ideologia.

Il
totalitarismo descritto dalla Arendt e profetizzato da Orwell segna la facile estirpazione della pianta della civiltà che impiega secoli per ricrescere e la nascita di un'immagine di un popolo che ridotto allo stato vegetativo, nel subconscio pullula di linfa vitale nonché di un pensiero pertinente al reale.
Ed è questo processo che il mondo appare come insopportabile, l'uomo si sente sradicato dalla società ed estraniato, condizione repressa per evitare ogni elemento sovversivo al regime tramite la cancellazione di ogni pensiero operante, con in un irregimento educativo fin dall'età puerile, con una formazione psichica in perfetto accordo con lo Stato.
Orwell quindi indulge all'amara caduta di un pensiero autonomo, alla retorica del partito, non a quella della transazione e del provvisorio, e parla con serietà e originalità della natura della realtà e dei terrori del potere non in un futuro Stato socialista ma in una società dove il socialismo non trionferà sul capitalismo e sul comunismo.
Per il futuro egli non vedeva che un comunismo autoritario in cui, con una cruda onestà, rivelava il punto in cui le contraddizioni politiche e l'astrazione e l'isolamento in esse implicite coincidono con la mancanza di qualsiasi identità sociale indipendente nel produrre un terrore genuino. Ecco il punto in cui Orwell si fonde totalmente con le concezioni arentiane, e teorizza quello che la Arendt viveva nella contingenza storica della II guerra mondiale, in uno Stato in cui la legge è la violenza e l'essenza sono l'ideologia e il terrore.



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