Eduardo Ambrosio


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MULTICULTURALITA' testo comleto

CULTURE E RELIGIONI > MULTICULTURALITA'

M U L T I C U L T U R A L I T A'

ANTROPOLOGIA - IL TEMA DELL'ALTRO - ETNICITA' - RAZZA - CONCETTO DI CULTURA - RELIGIONE - DINAMICHE DEMOGRAFICHE - IMMIGRAZIONE
Vedi anche: "Storia delle donne" dal '900 - Legge italiana ed europea per il cons. com. aggiunto - Il dramma: l'etnocidio dei Balcani - Religioni: Islamismo - Moschea di Roma - Buddismo - Confucianesimo - Taoismo - Scintoismo, Induismo e Zoroastrismo - Dialogo fra le diverse religioni.
Materiale: testo "Il tema dell'altro" -congresso euromediterraneo - articoli vari

La nostra società, ormai globale, nel suo sviluppo non può più prescindere dalle culture non europee, visto il bilancio demografico decisamente a favore delle realtà extraeuropee. Da ciò necessita, nell'ambito didattico, affrontare i:

PARADIGMI DELLA DIFFERENZA attraverso il TEMA DELL'ALTRO.

L'Unione europea, allo scopo di salvaguardare tutte le culture, ha deciso, almeno per il momento in attesa di opportune soluzioni, di non adottare alcuna lingua ufficiale, sono cadute una dopo l'altra le tendenze per il francese, per l'inglese e per lo sperimentale esperanto (in Italia, ancora esiste un'Associazione pro Esperanto con oltre mille iscritti), emettendo tutti i suoi documenti nei diversi idiomi linguistici presenti nell'area comunitaria.

ANTROPOLOGIA

Allo scopo, risulta utile la disciplina antropologica che, delineando metodi, tecniche e oggetti specifici, studia l'ALTRO nel tempo e nello spazio: il suo oggetto è la conoscenza dello straniero volto a valutare modi di vita diversi (costruzione di una identità collettiva), inizialmente di quantità poi di specificità. Anche l'Etnologia, descrivendo soggetti di un'altra civiltà, offre uno studio comparato: la definizione avviene da parte di ognuno in base agli altri (l'Occidente cultura dominante e alterità per tutti gli altri, ha viziato la decodificazione dell'altro).

Nell'Antropologia fisica il dato fondamentale è la razza.

Nell'Antropologia culturale (urbana, delle società complesse, ecc.) la cultura influenza la razza e non viceversa.

La crisi del Colonialismo ha determinato la crisi dei modelli interpretativi negando come RADICE la pretesa razionale (il positivismo pretendeva di ridurre magia, religione, ecc. a scienza) di narrare il mito degli altri (il MITO E' COMUNE A TUTTE LE CULTURE) e la ricerca si è orientata verso: una valutazione dei tempi della storia (il primitivo preistorico è il noi di prima) tra uniformità e molteplicità (le alterità si riconoscono solo nell'altro); il relativismo culturale; il tema dell'ALTRO tra etnocentrismo ed esotismo; la disputa sulla natura e sulle convenzioni: uomo/uomini, cultura/culture.

Nella società improntata sulla caccia era necessaria solo l'abilità a cacciare non c'era bisogno del capo, pari opportunità, è con la società contadina che si delinea la dipendenza dalla natura, dal divino, dal capo: si delineano nessi potere/economia.

La religione crea modelli interpretativi in quanto svolge operazioni non giustificabili dalle necessità immediate, e con la magia è la scienza della nascita.

Come nasce l'anima: il primitivo dualizza sonno e veglia, il sonno è associato alla morte ed il sogno alla vita di tale stato e quindi diventa ALDILA', il percorso è culto dei morti e del sovrano =dio in terra.
Il primitivo, come lo scienziato, vuole agire sulla natura solo con metodi più rozzi deri-vati dalla somiglianza (ad es., danze rituali: per la pioggia si pratica una danza rit-mata in forma ossessiva che ripete la dinamica della pioggia), è necessario, in queste società PRELOGICHE che il rito sia rigorosamente ripetuto senza sbagliare per piegare la natura per cui sono necessarie l'ossessività e le caste (sacerdoti capaci, stregoni ecc.) preposte a questi uffici (Pitagora: la casta dei matematici).
L'antropologia coniuga l'altro con il noi, il punto di vista interagisce con l'oggetto. L'ipotesi comunista del matriarcato e della terminologia della parentela si basa sulla teoria che solo la donna aumenta la specie in quanto nella comunanza delle donne il padre è indefinito (alcune società primitive usano il termine padre per tutti i fratelli del padre).

La linea ereditaria è madrilinea (il maschio eredita dal fratello della madre) non padrilinea, il resto è congettura.

L'antropologia deve orientarsi nei luoghi tematici della proibizione dell'incesto, delle forme di organizzazione della famiglia con i suoi aspetti rituali: nascite, matrimoni, morti (molto rilevanti e celebrati in ogni società) perché solo questi accomunano e permettono la ricerca.
Gli etnografi di professione, indagando su riti e miti, forniscono agli storici il materiale di studio perché la storiografia, basandosi su elementi concreti (scrittura, architettu-re), non è in grado di andare oltre la storia e entrare nella preistoria, alla radice (società precolombiane utili come rilettura della grecità e dell'Occidente). L'evoluzionismo è stato demolito dalla scuola americana (influenzata da Freud) con alcune dimostrazioni antropologiche come la non sempre affermazione dell'eredità madrilinea.

Il
FUNZIONALISMO inglese e lo STRUTTURALISMO francese (il cui teorico, Lévi Strauss, nega apertamente la concezione antropocentrica dell'universo, superando anche la convinzione giudaico-cristiana e cartesiana secondo la quale la creatura umana è la sola ad essere stata creata ad immagine e somiglianza di Dio) affermano che per comprendere lo spirito umano è necessario astrarsi dal soggetto: arbitrarietà e convenzionalità dei segni (in alcune realtà l'agnello è uguale simbolicamente al nostro asino e il maiale all'agnello: il missionario cattolico come fa a dire:"...ecco il maiale di Cristo o ... ecco l'asino di Cristo") mettono in dubbio il soggetto, la lingua si pensa negli uomini a loro insaputa, essi fanno la storia ma non sanno di farla.
La società riflette se stessa e pone regole su cui si fonda: è sempre presente l'
INTERDETTO (non si può fare). Con lo studio della religione non si cerca l'entità originale ma i legami più interni di quelle particelle non più riducibili che, comune a tutte le religioni, sono la condizione dualista e di opposizione di sacro (l'interdetto, non si fa) e profano. Il rituale (espressione di memoria collettiva è sempre spiegato con un racconto e fondato sul sangue) non si caratterizza sull'oggetto sacrificato (che simboleggia il male da superare: Cristo) ma sull'azione.
Ciò, infine, che ci permette di comprendere è la valutazione dell'
IRRAZIONALE (rituali, miti), compito dello scienziato (logica) è solo di rilevare i meccanismi (strutture).


DINAMICHE DEMOGRAFICHE E MOVIMENTI MIGRATORI

La
Demografia si presenta come scienza ostica, limitata dal punto di vista metodologi-co per la sua forte dipendenza dalla statistica del numero difficilmente veritiero, per cui si appoggia alla economia, alla storia, alla sociologia, ecc. Il problema demografico, a livello mondiale, è analizzato in conferenze a scadenza decennale, in quella del 1994 a IL CAIRO, emerse la necessità di definire un EQUILIBRIO DINAMICO che collegasse lo sviluppo demografico a quello economico.

In antitesi alle contrastanti posizioni
(la cattolica contro ogni forma di intervento, la laica a favore di un deciso controllo delle nascite, la neomalthusiana - la forbice - cioè per regolare il rapporto intervengono eventi catastrofici: peste, carestie, guerre atomiche) la Conferenza ha sancito l'intangibilità della famiglia, ha permesso solo l'uso di metodi anticoncezionali classici (di difficile applicazione però in realtà ignoranti e arretrate del Terzo Mondo) ed ha ribadito il diritto di ogni paese a definire la strategia più idonea.

Per definire una
politica demografica bisogna avviare una seria indagine conoscitiva, molte esperienze hanno dimostrato che il risultato è migliore in un clima volontaristico anziché‚ coercitivo, infatti il benessere e la cultura sono i migliori anticoncezionali. Oggi il più alto tasso di natalità (6-7 figli per donna) si registra nelle realtà islamiche dove la donna è totalmente subalterna e ignorante. Per contro il tasso mondiale è di 3-4 figli per donna.
I movimenti migratori non sono dovuti a pressioni del Terzo Mondo ma alla capacità del Primo Mondo di attirare manodopera da quella realtà per il basso costo: infatti le migrazioni quasi sempre sono di tipo familiare o di clan (ricomposizione di cellule sociali originarie).
In Italia il fenomeno è in evoluzione nel '92 le presenze erano di circa 900.000 unità, nel 1995 intorno a 500.000, oggi è in vistosa crescita.
Nel 1650 la popolazione di Asia e Africa era il 78% di quella mondiale, nel 1950 era il 72%, si prevede solo nel 2030 che ritorni sul livello del 78%. Variazione dovuta al grande espansionismo europeo dell'Ottocento, evento giustificato dalla cultura domi-nante europea, ora l'espansione fisiologica di Asia-Africa crea problemi.
L'Occidente, infatti, negli ultimi anni (California contro i centroamericani, Germania e Austria contro extracomunitari) sta alzando steccati per difendere la propria identità culturale.
Le previsioni demografiche sono molto difficili se non impossibili per la forte complessità:
-
l'inquinamento occidentale e i gravissimi problemi ecologici di alcune megalopoli terzomondiste o bidonville (ricettacolo di affamati e non frutto di un processo di urbanizzazione - fra 50 anni conterranno l'intera popolazione) provocano la sterilità;
- si parla di esaurimento delle risorse ma osserviamo che la tecnologia aumenta la produzione e ne abbassa i costi per cui fornisce più alimento e aumenta la popolazione, anche le carestie non sono assoluta penuria di risorse alimentari bensì cattiva utilizzazione (accaparramento, scorte, ecc.) delle stesse.


La
politica di aiuti al Terzo Mondo (L'Italia con circa 20-25 miliardi) ha alimentato solo le oligarchie quasi sempre militari (che hanno anche determinato un enorme debito e-stero, attualmente congelato dalle banche occidentali, e rappresenta l'ipoteca dell'Occidente sulle risorse ecologiche terzomondiste come legno, fra non molto acqua, ecc.), che li hanno gestiti molto personalisticamente (tasso di corruzione occidentale 10%, tasso di corruzione nel Terzo Mondo dal 40 al 100% - sulle banche svizzere sono depositate fortune), si valuta che, se di colpo si sospendessero gli aiuti, la situazione migliorerebbe enormemente, inoltre gli aiuti, allungando la vita di una fetta di popolazione, hanno rotto il precedente equilibrio.
Per avere buoni risultati, i programmi per un organico sviluppo del Terzo Mondo de-vono essere seri (aderenti alla realtà) e applicati in loco (molti paesi, aldilà delle oggettive difficoltà di censire per le difficili condizioni culturali e ambientali, forniscono dati sul numero di abitanti gonfiati anche del 50% per avere più aiuti), caratterizzati soprattutto da una rigorosa politica igienico-sanitaria:
" in Africa vi sono 320/1000 morti tra i nati vivi nel primo anno di vita (in Italia 6-7/1000); - sui 20 milioni di abitanti in Uganda 4 milioni sono malati di AIDS (in Occidente è quasi sotto controllo grazie all'igiene), il paese rischia di scomparire (nel continente africano meno del 50% dei bambini sono registrati ed il 30% sotto i 5 anni soffre di ritardo nella crescita); - le febbri emorragiche (ebola, anta, ecc.) mietono un elevatissimo numero di vittime in gran parte non rivelate;
" le popolazioni reagiscono ai troppi morti con più figli per rimpiazzare, più igiene = meno morti = meno nascite come è accaduto per l'Occidente. una nascita non deve essere un obbligo, ma una scelta;
" la "speranza di vita" (la vita media) delle donne in Occidente è altissima ed è più ampia di quella degli uomini, il rapporto è totalmente rovesciato nel Terzo Mondo, le numerose gravidanze (spesso doppie del numero dei figli), debilitano il fisico.
In definitiva è chiaro che il problema non è affatto demografico (Islam donna ignorante = molti figli) ma esclusivamente culturale (igiene, politica, tecnologia, ecc.).

MULTICULTURALITA' E MULTIETNICITA'

L'adattamento fisico e la flessibilità offerti dal nostro smisurato cervello hanno fatto di noi uomini la specie più creativa nella storia del pianeta. L'Homo Sapiens si è insediato in tutti i continenti, divenendo la specie più diffusa. Come si spiega ciò? La risposta risiede in una sola parola:
CULTURA.
Abbiamo prodotto cultura ma, allo stesso tempo, siamo un prodotto della cultura. Creiamo il nostro ambiente sociale inventando e condividendo le regole e i modelli di comportamento che disciplinano la nostra vita e utilizzano la nostra conoscenza appresa per modificare, a nostro favore, l'ambiente naturale.
In questo modo, però, si sono delineate differenze nell'ambito della stessa specie: ogni popolo, infatti, ha sviluppato una propria dottrina nella quale si potesse ritrovare, com-piacere. Da ciò possiamo distinguere due principali filoni che comprendono tutte le culture minori: que1lo orientale e quello occidentale (divisione non necessariamente geografica).
Il primo, più esteso ed antico, si caratterizza per sistemi più originali, creativi, a volte anche estrosi, ma statici, incentivati da personaggi quali Cristo, Maometto, Averroè, per citarne solo alcuni. Differentemente l'occidentale, posteriore e più contenuto, si caratterizza per sistemi puramente razionali, evolutivi e dinamici. Esso ha prodotto lo sviluppo economico favorendo così il progresso, il consumismo e, quindi, il benessere diffuso. Tutto questo non è presente in Oriente dove il progresso è minimo e il benessere è limitato solo a pochi.
Gli Orientali, in ambito culturale, si caratterizzano in termini statici e irrazionali: per fare un esempio basti pensare che, secondo la religione islamica, le donne sono considerate "oggetti" impuri e per questo devono vivere nascondendo persino gli occhi. Quest'idea risale a circa 1300 anni fa, al tempo di Maometto, eppure, in alcune realtà, è ancora valida tutt'oggi (si pensi ai risorgenti integralismi e fondamentalismi).Così, nello stesso ambito cristiano, mentre quello storicizzatosi in Occidente si evolve attraverso i concili e le riforme, quell'Ortodosso, storicizzatosi in ambito orientale, resta fedele alla più rigida tradizione.
Anche se statica per ciò che concerne lo sviluppo, l'orientale è una cultura che attrae per le sue originalità spesso anche gli occidentali: i Beatles, all'apice del successo, si recarono in Oriente per avvicinarsi ai santoni indiani o, per non andare troppo in là con gli anni, attori quali R. Gere o calciatori come R. Baggio, si rivolti all' Oriente alla ricerca di una diversa interiorità.
Perché tutto questo? Semplicemente perché l'Occidente, essendo troppo razionale, manca di quel pizzico di fantasia culturale che è propria dell'Oriente.
Da quanto premesso e in considerazione dell'insopprimibile diversificazione della condizione umana che è al pari tanto razionale quanto irrazionale, scaturisce la necessità di un'integrazione delle due culture, entrambe portatrici di valori esemplari, necessità quanto mai evidente proprio nel Meridione d'Italia dove, anche per motivi geografici, convivono sia l'originale ma statica cultura orientale (arte dell'arrangiarsi, poesia, canzoni e ecc.), sia la sterile ma evolutiva cultura occidentale (industrie, anche se fallimentari!).
La storia, inoltre, è già stata testimone sia di un modello unico mediterraneo (Impero Romano), sia di un modello unico europeo (Sacro Romano Impero), perciò, in definiti-va, le divisioni sono solo culturali.
Queste brevi notazioni per significare un progetto mirante ad individuare un percorso possibile per la comprensione dell'altro, sicuramente il primo passo verso una reale in-tegrazione culturale.

CONCETTO DI CULTURA E MULTICULTURA

L'educazione interculturale è un filone di studi abbastanza recente, e questo lo si può notare grazie alla pluralità di termini con cui si designa tale filone (educazione multiculturale, transculturale ecc..) . Questa pluralità di termini rinvia ad una pluralità di significati che derivano dal diverso valore semantico delle parole.
Per quanto riguarda il concetto di cultura vari scrittori così definiscono:

Umberto Eco distingue tre modi di intendere la cultura:
a) Formazione del gusto estetico,
b)Atteggiamento superiore contro la bestialità, l'ignoranza, l'idolatria tipica delle masse ,
c) Insieme delle istituzioni, dei miti, dei riti, delle leggi, della credenza, dei comportamenti quotidiani, dei sistemi di valori e delle tecniche materiali elaborate da un gruppo umano.

Rossi, invece, ci dà tre accezioni diverse di intendere la pluralità delle culture:
a) Il "
Riduzionismo ", che considera le diverse culture come la manifestazione di principi comuni, dove vi sono valori universali e assoluti che però spesso si identificano con i valori universali della propria cultura;
b) Il "
Relativismo culturale " assoluto che valuta ogni realtà a se stante che non può avere nessun tipo di relazione con le altre culture; esso si basa su quattro principi della metafisica:
1) la cultura è una e non vi possono essere contraddizioni e differenze interne;
2) la cultura rappresenta un " sistema suscettibile di modificazioni soltanto dall'interno ",
3) la cultura ha una compiutezza dei sistemi di valori che rappresenta " un insieme di norme le quali dirigono infallibilmente la condotta degli individui che partecipano a tale cultura ";
4) la cultura è immutabile e i membri del gruppo sociale non possono " prendere posizioni " nei confronti dei valori della propria cultura, né contribuire alla correzione o alla trasformazione di questo sistema
;
c)
oltre al relativismo assoluto abbiamo anche il relativismo relativo, che ha la finalità di accettare una cultura diversa dalla nostra; esso si fonda su quattro presupposti, opposti a quelli del relativismo assoluto:
1) la cultura vista come una costellazione di elementi in rapporto tra loro;
2) l'apertura, cioè la concezione di cultura come sistema aperto a contatti esterni;
3) la modificabilità dei sistemi di valori, poiché questi possono mutare senza mettere in crisi una data cultura;
4) rapporto tra valori e gruppo sociale, in quanto appartenere ad una data cultura non comporta il riconoscimento degli stessi valori, ma consente ai membri della società di accettare o rifiutare i valori della propria società.

Ai tre modi di concepire la cultura di Rossi si contrappone quella di
Mauviel:
a) il "
multiculturalismo paternalista" che si basa sulla consapevolezza dell'esistenza di culture diverse;
b) l'
educazione relativa alla comprensione interculturale che identifica come destinatari gli studenti. Questa impostazione ha come obiettivi la percezione delle differenze culturali come risorse da salvaguardare, ma ha i seguenti limiti :
1) considera gruppi etnici come entità monolitiche;
2) accentua la somiglianza e la differenza tra le varie culture;
"
L'EDUCAZIONE INTERCULTURALE COME ESPERIENZA UMANA NORMALE " CHE SI BASA SU UNA SERIE DI DITINZIONI :
L'EDUCAZIONE NON VA CONFUSA CON LA SCOLARIZZAZIONE FORMALE;
LA CULTURA NON COINCIDE CON IL GRUPPO ETNICO;
L'IDENTITA' PERSONALE VA DISTINTA DALL'IDENTIFICAZIONE SOCIALE.


LA RELIGIONE

La religione è una delle componenti fondamentali della civiltà umana e individua nell'uomo l'aspirazione a sollevarsi al di sopra della materia e delle cose finite, dando nel contempo una spiegazione del proprio essere nel mondo.
Il processo dell'evoluzione d'una religione va dalla formulazione di ingenue o fantastiche storie intorno a oggetti, forze naturali, eventi, persone, quasi sempre connesse al tentativo di servirsi di tali elementi per ottenere beneficio o scacciare i mali (magia), alla credenza in divinità complesse, nelle quali sono identificati aspetti universali della coscienza.
Vi sono religioni politeistiche, che ammettono una molteplicità di divinità, e religioni monoteistiche, accentrate su un'unica divinità, per quanto spesso non manchino in esse minori enti, quali, per es., i santi. Inoltre, mentre in talune religioni predomina uno spirito materialistico, altre sono invece eminentemente spiritualistiche.
Nessun popolo è stato immune da credenze religiose e in genere dappertutto queste rispecchiano una determinata condizione culturale. Anche presso le società occidentali, oggi al culmine del progresso scientifico e economico, la religione resta un fenomeno di capitale importanza. Il sostituirla, come si tenta di fare nei paesi socialisti, con un'interpretazione scientifica del mondo e del destino umano non appare destinato ad avere successo, in quanto la scienza è per ora ancora molto lontana dall'avere spiegato il mistero dell'uomo.
La istintiva tendenza religiosa che si riscontra nelle società primitive dà luogo, in un periodo storico, alla cosiddetta religione positiva, cioè ad un organismo religioso socialmente articolato, che spesso finisce per allearsi col potere politico o essere esso stesso una forma di potere. In tal senso prima le rivoluzioni liberali, quindi quelle marxiste, queste ultime radicalmente, hanno combattuto, sia pure in modo diverso, la religione, ritenuta un ostacolo al progresso.
Lenin, come è noto, considerò la religione "oppio dei popoli".
In Europa, dal XVIII sec. in poi, vi è stata un'accanita lotta per dare alla religione positi-va un contenuto eminentemente spirituale e giungere così alla separazione dei poteri tra Chiesa e Stato. Tale linea viene oggi comunemente accettata da tutte le Chiese europee.
Circa l'origine delle religioni è da ricordare la spiegazione data dagli studiosi marxisti, secondo i quali la religione nacque quando la società si suddivise in classi, evento questo determinatosi con il costituirsi della proprietà privata. Fu allora che si sviluppò il concetto di divinità, corrispondente al capo o al re, o di forze misteriose che gli stregoni misero al servizio del principio di sovranità e di gerarchia sociale. Tale tesi trova sostegno dall'analisi della storia di numerosi popoli da un determinato stadio della loro civiltà in poi, ma l'indagine condotta sui culti dei primitivi mostra come anche in gruppi viventi praticamente secondo un'economia comunitaria esistano credenze in forze astratte e siano praticati riti magici.
Un'altra interpretazione del fenomeno religioso è quella psicologica, che tende a spiegare gli aspetti d'una religione come espressione dei sentimenti. In particolare è da ricordare la scuola psicoanalitica, con la sua teoria della proiezione del concetto di padre in quello di Dio.
Fondamentali in una religione progredita, come la Cristiana, sono la fede e la grazia. La prima si estrinseca nella devozione e nella ferma fiducia nella grazia (S. Agostino), cioè nella possibilità, concessa da Dio, di salvazione dal peccato e quindi di liberazione dalla miseria della carne e dagli altri mali della vita terrena. Il tema della salvezza si riscontra nelle religione spiritualistiche e in quelle mistiche dell'antichità classica. Altro concetto è quello della rivelazione (Cristo) attraverso cui la divinità si "è mostrata" all'umanità. Rivelazione e grazia sono dogmi assoluti e contengono implicitamente il concetto di punizione, cioè del castigo per quelli che rifiutano la salvezza.
Le principali religioni sono oggi il cristianesimo, l'islamismo, il giudaismo, il buddismo, il confucianesimo, il taoismo, lo shintoismo, l'induismo, lo zoroastrismo. Inoltre esistono una serie di religioni primitive osservate in Asia, in Africa e in America da popolazioni rimaste ad uno stadio primitivo.
Etimologicamente il termine religione deriva dal latino religio, a sua volta derivato da relegere, "trattare con cura" (Cicerone, De natura deorum, II, 28), o da religare, "unire con vincolo" (Lat-tanzio, Divinae institutiones, IV, 28).
Religio in latino significa però anche "superstizione" o "scrupolo".

Storia delle Religioni

La storia delle religioni è una disciplina sorta tra la fine del XVIII sec. e gli inizi del XIX, ma lo studio e la critica di esse risale all'antichità classica. I Greci e i Romani ebbero notizia degli antichi culti cretesi, pelasgici, etruschi, italici e conobbero le religioni dell'Asia Minore, dell'Egitto, della Babilonia, della Persia, della Scizia e della Sarmazia, specie attraverso Ecateo di Mileto ed Erodoto. La spedizione di Alessandro in India fornì altri dati, utilizzati da vari studiosi.
Nello studio delle religione da parte dei Greci si possono distinguere tre epoche: il periodo mitico-poetico, ossia l'epoca della raccolta ingenua dei miti da parte di Omero e di Esiodo; il periodo filosofico, quando cominciò la discussione sulla verità e falsità della religione; il periodo pramma-tico, con l'inizio della critica e dello scetticismo. Nel secondo periodo i filosofi Talete ed Eraclito identificarono le divinità con le forze della natura, mentre Pitagora, Senofane, Parmenide, Empe-docle, Democrito e anche Platone e Aristotele combatterono la mitologia e la superstizione popo-lare. Nel terzo prese il sopravvento lo scetticismo, che contribuì non poco a corrodere le basi del paganesimo. Allo scetticismo si oppose però Antioco di Ascalona con l'eclettismo, una filosofia che traeva origine dall'insegnamento stoico, vivamente interessato alla morale e portato ad elevare la religione dai comuni miti a forme più alte. La diffusione d'una molteplicità di culti a Roma durante il periodo imperiale sollevò problemi che ebbero spiegazioni diverse nei neopitagorici Plutarco e Massimo di Tiro e negli stoici Seneca, Epitteto e Marco Aurelio.
I primi considerarono gli dei inferi e i demoni come creature della divinità suprema, mentre i se-condi li ritennero emanazioni di tale divinità. Tale spiegazione venne favorita dall'interpretazione allegorica dei riti e dei miti, che ammetteva la pratica attiva di qualunque numero di culti e la tolleranza verso tutte le religioni.

Contro il sincretismo teorico e la tolleranza di tutte le religioni si schierò con la massima intransi-genza il cristianesimo, che sostenne risolutamente di essere la sola vera religione. Nel primo periodo, sul finire del II sec., gli scrittori cristiani Taziano, Ireneo, Ippolito e Teofilo di Antiochia polemizzarono più contro gli Ebrei e contro il sincretismo degli gnostici che contro il paganesimo. In un secondo periodo ebbe inizio la lotta contro i rappresentanti del paganesimo, i quali avevano considerato il cristianesimo con indifferenza e disprezzo. Rapidamente il cristianesimo guadagnò terreno, spiritualmente e materialmente. Agostino prese posizione contro la reazione pagana, che attribuiva la rovina dell'impero all'abbandono degli antichi culti politeistici. Nella sua De civitate Dei egli svolge la teoria dello sviluppo della religione. Dopo aver dimostrato la falsità del politei-smo, presenta il paganesimo come voluto da Dio stesso allo scopo di preparare in vari modi la strada alla diffusione del cristianesimo. L'opera di Agostino divenne un testo di capitale im-portanza per tutto il Medioevo (la patristica), quando molte sue idee riaffiorarono nelle condanne dei concili contro le superstizioni di origine pagana e nell'attività apologetica contro gli eretici, l'islamismo e il giudaismo.
Nel 622 d.C., nel Mediterraneo irruppe l'islamismo, un'altra religione monoteistica, mentre gra-dualmente i popoli germanici e slavi venivano sottoposti a un processo di cristianizzazione.
Successivamente, nei sec. XV, XVI e XVII, si ebbero una serie di avvenimenti che trasformarono le condizioni economiche e culturali dell'Europa e di altre vaste aree geografiche. Da un lato vi fu-rono infatti le grandi scoperte geografiche, dall'altro il Rinascimento, la Riforma e la Controrifor-ma.
Il Rinascimento, influenzato dall'età pagana, si interessò grandemente all'interpretazione dei miti, prima di quelli classici, poi anche dei miti relativi alle religioni osservate nelle nuove terre scoperte.
La Riforma e la Controriforma risultarono importanti per la storia delle religioni, perché nelle reciproche controversie furono chiariti molti concetti della conoscenza di essa ed ebbero incre-mento gli studi critici comparati, specie di archeologia cristiana.
Inoltre si studiarono la lingua ebraica e le altre lingue semitiche e si gettarono le basi dell'orienta-listica.
Le grandi scoperte dei nuovi continenti, grazie alle relazioni di missionari, viaggiatori e navi-gatori, ampliarono in misura notevolissima il campo delle ricerche della storia delle religioni, ab-bracciando sia quelle dei popoli di civiltà avanzata dell'Asia orientale e meridionale e dell'America centrale e meridionale, sia quelle dei popoli primitivi dell'Africa, dell'America e dell'Oceania.
In tal modo alla fine del sec. XVIII la storia delle religioni era una vera disciplina (scientifica). In questo periodo sorsero le prime scuole che affrontarono il problema dell'origine della religione.
La scuola più antica fu quella della mitologia della natura, che vide la fonte della religione nei miti naturistici, in particolare nei miti astrali, spiegati per lo più in senso simbolico. Verso la metà dell'Ottocento, sotto gli influssi del darwinismo e del positivismo, sorsero scuole che formularono le loro teorie sull'origine della religione secondo il metodo naturalista ed evoluzionista. Furono così delineate la teoria del feticismo, già formulata da De Brosses (1760) e poi ripresa e svi-luppata da A. Comte (1851) e J. Lubbock (1870), quella del manismo di H. Spencer (1876), quella dell'animismo di E. B. Tylor (1872), quella della magia di J. G. Frazer (1890) e quella del preanimismo di R. R. Marett (1895), di K. T. Preuss (1904) e di E. S. Hartland (1908).
Agli inizi del XX sec., in contrapposizione alle scuole evoluzioniste, sorse la scuola storico-culturale, che ebbe in Gräbner e Ankermann i fondatori e in W. Schmidt il continuatore e il teori-co.
Tale nuova scuola pose a base della sua indagine una serie di cicli culturali, corrispondenti ai vari stadi di civiltà dell'uomo, attualmente essa, anche se è stata sottoposta a critiche da parte di stu-diosi neo-evoluzionisti, domina ancora il campo della storia delle religioni.


NAZIONALISMO E XENOFOBIA
Alle soglie del terzo millennio la convivenza multietnica sembra la soluzione unica ed inderogabile del futuro del genere umano. Essa, purtroppo, è messa in pericolo dal fenomeno sempre crescente della xenofobia che, come risulta dalle ultime indagini effettuate, è in forte aumento, in particolare nel nostro continente e interessando anche il nostro Paese.Il fenomeno xenofobo non va confuso col nazionalismo, anche se a volte sembra così. Il nazionalismo è una dottrina politica, in cui la politica e la cultura sono in stretta relazione. La xenofobia è l'avversione verso l'altro, che è diverso per cultura, per organizzazione sociale. In tutti i Paesi, queste differenze hanno generato e generano ostilità e tensioni. Questo è un fatto quasi " normale " e generale che non desta eccessiva preoccupazione.
Quando invece, il nazionalismo per circostanze varie trasforma ed usa la xenofobia nazionalistica in una forza distruttrice, tutto il sistema sociale è in pericolo. Una di queste circostanze emerse con il processo di industrializzazione, quando nacque una distanza incolmabile tra le nuove classi operaie sempre più povere e le classi degli imprenditori, che beneficia del nuovo benessere. Come reazione la " destra" politica affermò il ritorno ai valori rurali tradizionali ( territorialità; gerarchia; coesione; ordine; ) e li mescolò al nazionalismo. L'Europa centro- orientale, nella prima metà del XX secolo, attuò quella scelta, ma, dopo, la fine del secondo conflitto mondiale si comprese bene la che la crescita industriale da più ricchezza e potere delle imprese militari.
Negli ultimi tempi l'industrializzazione ha provocato un altro fenomeno : la massiccia emigrazione di forza- lavoro. I cittadini dei paesi tecnologicamente più avanzati rifiutano lavoro di grado inferiore, non cambiano residenza per cercarsi lavoro. Gli abitanti dei paesi più poveri, invece, sono pronti a tutto, anche a migrare, pur di occupare i posti rimasti " vuoti". Essi cercano di integrarsi faticosamente con le popolazioni che li ospitano, poi, se sono fortunati, si uniscono ad altri loro concittadini, creando delle vere e proprie comunità subalterne che, a causa delle mancanza dei diritti e delle discriminazioni, a volte svolgono attività illegali.
In questo modo la divisione etnica è in conflitto con il bisogno di una cultura omoge-nea di cui la nostra società necessita, per funzionare con ordine e sicurezza. Qualsiasi società liberale non può proibire l'emigrazione di massa, anche se non è ancora in possesso di leggi e provvedimenti capaci di affrontare e risolvere questo problema e le sue conseguenze.
Un ' altra circostanza politica capace di far esplodere la xenofobia nazionalista è stato il crollo dei sistemi totalitari dei Paesi dell'Europa dell'Est. Si sa che il comunismo pianifica tutte le strutture sociali che non fanno parte della sua ideologia politico- economica e quando ciò è avvenuto si è creato il vuoto e il disordine. Allora si è cercato di promuovere la solidarietà tra le masse etnicamente diverse facendo appello ai loro strumenti. Ancora oggi esiste il pericolo, che nel tentativo di aver maggiore ordine e sicurezza, queste popolazioni possono cercare risvolti nazionalistici, ri-tenendoli l'unica soluzione, tuttavia sono consapevoli che questa via porta all'auto distruzione.

IDENTITA' PERSONALE E SOCIALE

Si può definire identità personale " un nucleo intrapsichico dinamico che agisce come principio attivo di integrazione funzionale nella vita psichica ". In altre parole siamo coscienti del nostro IO dalla nascita e con il tempo questa identità viene a svilupparsi e ad integrarsi in un determinato contesto socioculturale. La nostra personalità viene a consolidarsi dapprima attraverso la famiglia e poi attraverso la scuola. E PROPRIO LA SCUOLA, TEMPIO DI CULTURA, DOVREBBE PORTARE OGNI INDIVIDUO AD ACCETTARE LE DIVERSITA' PROPRIE E QUELLE ALTRUI, ANCHE PERCHE' AVERE UNA IDENTITA' SIGNIFICA ESSERE "DIVERSI" DAGLI ALTRI, intendendo la diversità come fattore positivo che rende piacevole la vita di ogni individuo.
La scuola è attenta solo al lato multiculturale del discorso sull'identità personale, proprio per l'introduzione nelle scuole di individui provenienti da altri paesi con cultura e tradizioni differenti. Purtroppo, invece di intendere queste caratteristiche come punto di incontro tra individui che la pensano allo stesso modo, fin dall'antichità ciò è stato motivo di forti differenze sociali e di emarginazioni.
Infatti le tradizioni, ad esempio, sono elementi integranti della personalità di un indivi-duo, il quale fin dalla nascita ha imparato a convivere, di conseguenza essi sono diventati parte integrante della sua esistenza. Se a ciò viene dato il giusto peso, ecco che dalla diversa personalità si passa ad un concetto di etnia o razza e attraverso questi stereotipi si classificano individui che sono accomunati dagli stessi caratteri psicosomatici, ma che forse non hanno le stesse tradizioni.
Poiché é è facile dire che chi ha la pelle scura e vive in America è della stessa razza di un individuo che vive in Congo anche se il primo non fruisce di tutte le comodità di una società tecnologicamente avanzata, mentre l'altro vive ancora nelle capanne. Ciò nonostante, non si può eliminare definitivamente dai vocabolari le parole quali razza e etnia proprio per le diversità che intercorrono tra i vari individui che non sono solo sociali e somatiche, ma anche religiose.
In effetti la multietnia tende alla realizzazione di un progetto di convivenza globale anche perché, se così non fosse, le diversità tra i vari uomini non avrebbero permesso neanche la formazione di città e paesi abitati da persone che, come diceva Confucio, " in natura sono simili, in pratica si trovano diversi ".
Le società semplici, preindustriali del passato erano generalmente piccole ed omogenee. Al loro interno tutti parlavano la stessa lingua, condividevano gli stessi valori, adoravano gli stessi dei ed avevano tratti somatici simili.
Invece nel mondo moderno molte società sono grandi ed eterogenee. In seguito ad insediamenti coloniali, ad attività missionarie, a migrazioni e all'arrivo di rifugiati spinti dalla carestia, dalla povertà e dalle persecuzioni, in queste società esistono spesso delle minoranze che hanno sembianze fisiche e abitudini culturali diverse da quelle del gruppo dominante.
Accade allora che il gruppo dominante operi delle differenziazioni tra i suoi membri e la minoranza. Tratta coloro che compongono quest'ultima in modo ineguale, cioè nega loro di solito la possibilità di avere uguale accesso al potere, alla ricchezza e al prestigio di cui godono i membri del gruppo dominante.
Una minoranza viene identificata attraverso le caratteristiche del gruppo socialmente visibili. Le caratteristiche e i confini di un gruppo minoritario sono definiti socialmente in base ad elementi arbitrari. Tutti gli individui che hanno in comune qualche caratteristica visibile o riconoscibile, come il colore della pelle, la religione o la lingua, vengono messi nel mucchio di una singola categoria. Indipendentemente da quale sia la caratteristica usata per fare questa distinzione, ad essa viene attribuita una grande importanza. Le caratteristiche degli individui che appartengono a una minoranza sono considerate meno importanti di quelle, presunte, che contraddistinguono il gruppo al quale l'individuo appartiene. Coloro che appartengono a una minoranza, come gli ebrei, i negri americani o i palestinesi tendono a provare un forte senso di affinità gli uni con gli altri. La loro "coscienza di specie", o "senso di un'identità comune", è spesso tanto forte da mettere in ombra le differenze interne al gruppo di fronte alla comune lealtà al "popolo". La comune esperienza delle sofferenze del gruppo minoritario accresce questi sentimenti e quanto più i suoi membri sono oggetto di persecuzione, tanto più intensa è probabile che diventi la loro solidarietà di gruppo. Il senso di comune identità deriva dalla consapevolezza di avere una discendenza e delle tradizioni comuni. Spesso è difficile per il membro di una minoranza abbandonare il gruppo, perché il gruppo dominante considera chiunque discenda da un ceppo di minoranza come un membro permanente di essa. Per libera scelta o per necessità i membri di un gruppo minoritario si sposano generalmente all'interno del gruppo. Questa pratica (detta endogamia) viene incoraggiata dal gruppo dominante, dal gruppo minoritario o da entrambi. I membri del gruppo dominante sono restii a sposarsi con i membri della minoranza stigmatizzata, mentre la "coscienza di specie" del gruppo minoritario predispone i membri di questo a cercare il proprio coniuge nell'ambito del gruppo. Di conseguenza, lo status di minoranza all'interno di una so-cietà tende a trasmettersi da una generazione all'altra.

ETNICITA'

I DOMINI ETNICI NELLA STORIA
Nel vasto campo di interazione tra organizzazione sta-tale e tradizione regionale, si sono venuti costituendo gli attuali gruppi etnici, alcuni, come abbiamo già detto, consolidati in maggioranze nazionali e in nazioni, altri presenti solo in forma di minoranza. Complessivamente, dall'Islanda agli Urali, si contano circa 200 etnie tra maggiori e minori. Le popolazioni neolatine, testimoniano l'espansione politica e culturale dell'Impero Romano in Europa. Dopo il declino della potenza romana, queste popolazioni svilupparono meglio la propria identità nazionale di italiani, francesi, spagnoli, portoghesi, rumeni. Alcune minoranze che si costituirono allora sussistono ancora oggi : è questo il caso dei baschi, che rappresentano una vera e propria isola etnica ; infatti questo popolo collocato su entrambi i lati dei Pirenei, parla una lingua preindoeuropea presumibilmente di derivazione caucasica. Gli eterogenei gruppi etnici germanici dell'Europa centrosettentrionale, subirono sia l'influenza dei Celti sia dei Romani. Nel II e III secolo d.C. si unirono però in tribù numerose, le quali penetrarono nel territorio romano e vi fondarono regni.
Nel Medioevo questi regni si fusero consolidandosi e riformulando i rapporti politici ; iniziò così lo sviluppo delle attuali maggioranze etniche.
Altri gruppi germanici si stabilirono tra il X e il XIV secolo a est del confine Elba-Saale, e fin da quell'epoca gruppi di colonizzatori tedeschi si stanziarono nell'Europa sudorientale e orientale. Le tribù germaniche nordoccidentali migrate sulle isole britanniche, posero fine al dominio romano in questi territori a metà del V secolo. Dalla loro fusione con una parte dei bretoni celti autoctoni si costituì l'attuale popolazione inglese, che estese il proprio dominio e la propria lingua sull'intero territorio insulare. Nel X secolo, invece, ebbe inizio il processo di formazione degli attuali popoli danesi, norvegesi e svedesi. La storia degli insediamenti nell'Europa orientale, dopo la prima ondata di migrazioni, fu fortemente influenzata dagli Slavi. Questi, dopo essersi stabiliti lungo il fiume Bug, penetrarono lungo la linea Elba-Saale e nella penisola balcanica. Con queste migrazioni e con la successiva invasione dell'Ungheria da parte dei magiari (progenitori degli attuali ungheresi), l'unità degli Slavi si spezzò ed ebbe in questo modo inizio la differenziazione tra Slavi orientali, occidentali e meridionali. Tra gli Slavi orientali si produsse una tripartizione, condizionata da fattori non tanto etnici quanto storico-politici.
Con russi si designano gli abitanti dell'antico stato moscovita, con ucraini gli Slavi dell'antico principato di Kiev e bielorussi quegli Slavi orientali che furono incorporati nello stato russo-lituano. Una posizione del tutto particolare nell'Europa sudorientale è quella dei rumeni, che, in conseguenza dell'occupazione romana hanno assunto lingua romanza, ma in seguito hanno assimilato nella propria cultura elementi slavi. Nel sud della penisola balcanica, invece, si costituì la popolazione dei greci che raggiunse l'unità nazionale nel XIX secolo. Praticamente impossibile da esplorare è la varietà etnica del Caucaso, poiché accanto a popolazioni turche, l'area accoglie anche gruppi di origine iraniana e addirittura un gruppo linguisticamente autonomo, quello degli armeni.

I MODELLI DEI RAPPORTI RAZZIALI ED ETNICI
I rapporti razziali ed etnici possono se-guire modelli assai diversi che vanno da un'armoniosa coesistenza al conflitto aperto.
Assimilazione In taluni casi un gruppo minoritario viene semplicemente eliminato per assimilazione nel gruppo dominante. Questo processo può comportare l'assimilazione culturale e si verifica quando il gruppo di minoranza abbandona i propri tratti culturali specifici e adotta quelli della cultura dominante ; l'assimilazione razziale si verifica quando le differenze somatiche tra i gruppi spariscono in conseguenza degli accoppia-menti incrociati. L'assimilazione si è verificata ad esempio in Svizzera, dove Tedeschi e Francesi hanno potere e collocazione sociale uguali. In alcuni casi i gruppi etnici, evitando i matrimoni incrociati, sono in grado di mantenere tratti culturali e fisici distinti. Questo stato di cose è detto pluralista.
Sterminio L'eliminazione fisica di gruppi etnici o di minoranze culturali in nome dell'unità nazionale, è una politica di distruzione dell'entità culturale di un gruppo etnico ; non va perciò confuso con i normali processi di acculturazione e di scambio culturale presenti in tutto il mondo. Molti paesi hanno praticato e praticano l'etnocidio come una politica di stato : lo hanno fatto la Francia sino a poco tempo fa nei confronti della Bretagna, della Corsica e della Provenza ; il governo franchista in Spagna nei riguardi di Baschi e Catalani ; l'Inghilterra nei confronti di Irlandesi e Scozzesi ; l'Unione Sovietica e la Polonia nei confronti degli Ebrei ; i vari paesi arabi verso le minoranze non arabe ; i paesi latinoamericani verso le popolazioni indigene ; gli Stati Uniti nei confronti delle popolazioni sopravvissute al genocidio originario.

LE MINORANZE ETNICHE IN ITALIA E LA COSCIENZA DELL'ALTRO
Dopo l'unità d'Italia una circolare del governo ordinava agli insegnanti elementari di cominciare ogni giorno la lezione facendo esclamare ad alta voce nelle classi : "Chi siamo ? Siamo I-TA-LIA-NI". Da allora ad oggi, un secolo di vita unitaria ha favorito il sorgere di una coscienze nazionale, ha cioè portato alla formazione di un "popolo italiano". Il comune confine politico, le guerre combattute dopo l'unità hanno portato a una società nuova. La consapevolezza di essere italiani, di appartenere a una "nazione" a sé, ha via via raggiunto la coscienza di tutti i cittadini. In particolare, negli ultimi decenni, i moderni mezzi di comunicazione del pensiero hanno esercitato una forte azione unificatrice, specie per l'uso della lingua. Anche se la radio e la televisione hanno livellato e condizionato molti caratteri delle culture locali, hanno contribuito a rafforzare l'italianità degli italiani. Questo non significa che l'Italia di oggi possa considerarsi, sotto l'aspetto culturale e civile, uniforme e compatta ;le differenze da luogo a luogo sono sempre esistite e ancora oggi persistono. Appartenere ad una comunità, ad un'etnia, vuol dire avere si un fondamento di valori unitari, ma non per questo essere uguali per modi di vita, per comportamenti, per costumi. Il primo fattore unificante degli italiani è senza dubbio, l'uso di una lingua comune, che si è avuto nel corso dell'800, grazie a Manzoni. L'italiano è compreso da tutti e viene parlato dalla grande maggioranza della popolazione. Le vicende linguistiche italiane hanno seguito quelle storico-politiche attraverso lunghi periodi di separazione. Al di sopra del latino si erano venuti a formare molti dialetti diversi : mentre il latino rimaneva negli atti pubblici, la maggior parte del popolo usava le lingue del volgo (il "volgare") e, tra queste, la parlata fiorentina che divenne simbolo delle classi colte. Solo dopo l'unità nazionale l'italiano divenne lingua imposta dal potere a tutti i cittadini. Tra le isole etniche all'interno dell'area culturale italiana hanno particolare rilievo gli albanesi, sparsi in numerosi comuni del sud. Nuclei più compatti e coscienti della propria etnia si trovano in Sicilia. Esistono in Italia anche lingue che si distinguono sia dall'italiano che dai dialetti come le lingue italo-romanze che si parlano in Friuli (il "friulano"), sulle Dolomiti (il "ladino"), in Sardegna (il "sardo"), in Molise (il "croato") ed in Valle d'Aosta (il "franco-provenzale" e l'"altoatesino"). In Italia, c'è un grande esercito pacifico con lingua, religione e cultura diversa ; tre milioni di persone che convivono da secoli con i propri idiomi da salvaguardare e proteggere perché patrimonio nazionale. Stirpi diversissime che hanno lasciato memorie, opere, patrimoni e che hanno dato vita a questo mosaico ineguagliabile. Ma in questa "Babele" siamo in grado di apprezzare l'infinita ricchezza della diversità nell'unità ?
Siamo capaci di apprezzare la multiculturalità come valore e di assumerla come ricchezza e patrimonio comune ? E' difficile dirlo, se dall'altra parte c'è l'orrenda pulizia etnica, le piccole patrie ribelli, deliri di secessione. Anche noi italiani dobbiamo convincerci che siamo stati formati da culture diverse e che a queste minoranze va data sempre maggior attenzione, anche da parte dei media, indaghino su di esse, anziché corteggiare un'evanescente "razza padana". La questione delle minoranze linguistiche sarà all'attenzione dei lavori parlamentari, guidati dal prefetto Pietro Giacco.
Dopo aver effettuato un'analisi del problema possiamo dire che l'altro che è fuori di noi, di cui noi abbiamo paura e dal quale ci difendiamo emarginandolo o annientandolo, non è che il riflesso dell'altro che è in noi. La paura dell'estraneo e del diverso è segno essenziale dell'incapacità di accettare le differenze che segnano la nostra interiorità : tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra ciò che eravamo e ciò che saremo, tra ciò che sappiamo e ciò che ignoriamo di noi stessi.
L'estraneità di ciò che è diverso è sempre qualcosa di affascinante e di inquietante contemporaneamente, che tendiamo a rimuovere, in quanto in noi genera un senso di angoscia.
L'abisso tra noi e l'altro ci lascia separati, incoerenti e per questo tendiamo a dissimulare le differenze, eliminandole il più possibile dal nostro raggio di esperienze.
Esempio emblematico: "La Montagna Sacra" Nella ripresa di antiche spiritualità, un'eredità millenaria è quella greco-ortodossa, rivitalizzata nell'ascetica vallata bizantina dello Stilaro (Locride - CZ). Qui padre Cosmos, insieme a padre Nilo, ha ristabilito un dialogo tra presente e passato sepolto all'inizio del millennio. Tutto è iniziato quasi quattro anni fa, quando il comune concesse a padre Cosmos e padre Nilo il monastero di San Giovanni e da quel momento sono rimasti lì, vivendo in fredde celle e cibandosi di ciò che dà la natura. Essi vogliono far rivivere l'ascetismo greco - ortodosso in un monastero legato da sempre all'Athos., tra le icone e i ruderi millenari, dove erano vissuti tre santi: S. Giovanni, S. Ambrogio e S. Nicola. La zona è così tornata a nuova vita: vi affluiscono comitive di religiosi, studenti, ambasciatori e gruppi cattolici. In fondo i monaci sono qui come mille anni fa, proprio per dare una mano ad una "terra" che emana storia, la Calabria, a liberarsi del proprio fatalismo perché, citando un'espressione di Dostoevsky, "se un popolo non ha orgoglio, non ha futuro".

E T N I C I T A' E R A Z Z A
Gli uomini recano in sé non soltanto la loro individualità, ma anche l'intera umanità con tutte le possibilità .
( W.Goethe)

Lo strano è dentro di me e quindi siamo tutti stranier
i. ( J. Kristeva).
Io non incorro mai in quell'errore comune di giudicare un altro secondo la mia misura. Mi è facile credere che ci siano cose diverse da me. Per il fatto che mi sento portato ad una certa maniera, non vi obbligo gli altri, come fanno tutti ; e credo e concepisco mille maniere diverse di vivere e, al contrario della gente, considero in noi più la differenza che la somiglianza. Libero più che è possibile un altro essere dalle condizioni e dai principi che sono miei, e lo considero semplicemente per se stesso, senza paragoni, formandolo sul suo proprio modello ( M. Montaigne)

LE DISUGUAGLIANZE RAZZIALI ED ETNICHE
Uno degli aspetti più affascinanti della specie umana è costituito dalla straordinaria diversità fisica e culturale degli individui che la compongono. Ma spesso questa diversità è all'origine di conflitti e di disuguaglianze: troppo spesso i rapporti umani sono stabiliti in base alle differenze non alle somiglianze.
Tutte le società operano delle distinzioni tra i loro membri, e tali distinzioni generalmente si traducono in disuguaglianze sociali. Uno dei modi più comuni per differenziare tra loro gli individui consiste nel distinguerli in base alle caratteristiche somatiche o ai tratti culturali . La conseguenza di queste differenziazioni sociali è che i diversi gruppi finiscono per considerare se stessi e per essere considerati dagli altri come "diversi". I rapporti razziali ed etnici sono i modelli di interazione tra gruppi i cui membri hanno delle caratteristiche somatiche o dei tratti culturali particolari.
Razza: gruppi di individui con comuni caratteristiche somatiche.
Etnia: gruppi di individui con comuni tratti culturali.
Per tutto il corso della storia i rapporti tra gruppi razziali ed etnici sono stati contrasse-gnati dal pregiudizio, dall'antagonismo, dalla guerra e dalla disuguaglianza sociale. Persino nell'ultimo decennio, centinaia di persone sono state massacrate e milioni di persone sono state sottoposte a crudeltà e ad ingiustizie per la sola ragione di appartenere a dei gruppi disprezzati. Negli Stati Uniti, che pure sono un paese formalmente impegnato nella promozione dell'uguaglianza umana, le differenze somatiche e culturali esistenti tra i vari gruppi influenzano ancora profondamente lo status sociale degli individui che ad essi appartengono.
Intesa come concetto biologico, la parola <<razza>> è pressoché priva di qualsiasi si-gnificato. I 5 miliardi di individui che popolano la terra presentano una grande varietà di caratteristiche, quali il colore della pelle, la struttura dei capelli, il rapporto tra gli arti e il tronco, la conformazione del naso, delle labbra, delle palpebre. Anche se la presenza dell'animale uomo risale a più di due milioni di anni fa, le differenze razziali che vediamo oggi sono un fenomeno relativamente recente, visto che la loro origine non si spinge oltre i 50.000 anni fa. Stando alle nostre conoscenze, queste differenze evolutive influenzano solo i tratti somatici. Non ci sono dati attendibili che mostrino l'esistenza di una trasmissione ereditaria di caratteristiche psichiche nei diversi gruppi, sia che si tratti di caratteri generali come l'intelligenza, sia di caratteri specifici come il talento artistico. Di fronte a questo ampio spettro di tipi fisici, gli antropologi hanno tentato per decenni di formulare un qualche tipo di ordine concettuale dividendo la specie umana in razze e sottorazze. Il numero delle razze scoperte dipende tuttavia in larga misura dal singolo antropologo che ha fatto la scoperta, cosicché lo spettro va da tre razze a oltre cento. La causa di tanta confusione sta nel fatto che non esiste una "razza" pura.
Gruppi di popolazione diversi si sono incrociati per decine di migliaia di annidando luogo ad un continuum di tipi umani. Le categorie della "razza" sono il prodotto dell'osservazione, non della natura.
La classificazione che in passato ha goduto del maggior consenso divide la specie umana in tre categorie principali : i caucasici dalla pelle chiara e dai capelli lisci o ondulati ; i mongolidi dalla pelle giallastra e dalla tipica piega sulla palpebra ; i negroidi dalla pelle nera e dai capelli lanosi.
Però esistono molte popolazioni alle quali questa classificazione non si adatta convenientemente. Le popolazioni dell'India, ad esempio, hanno lineamenti caucasici, ma la loro pelle è scura ; gli aborigeni australiani hanno la pelle scura, ma i capelli ondulati e spesso biondi. Esistono molti milioni di persone i cui progenitori sono a tal punto mischiati che non è possibile assegnarli a una delle principali categorie. Oggi molti antropologi, forse la maggior parte di essi, hanno messo da parte ogni tentativo di classificare la specie umana secondo la razza e non attribuiscono a questo termine alcun significato scientifico.
Mentre la razza si riferisce esclusivamente alle caratteristiche somatiche, il concetto di etnia ri-guarda i tratti culturali. Questi comprendono la lingua, la religione, l'origine nazionale, le consue-tudini alimentari, il senso di un'eredità storica comune ed ogni altra specificità culturale. Molti gruppi, come i negri e gli indiani d'America, hanno una connotazione sia razziale che etnica. Per-tanto la loro "diversità" è duplice. In altri casi, i gruppi etnici non si distinguono dal resto della popolazione per le loro caratteristiche somatiche. Gli americani di origine tedesca e polacca, per esempio, non si distinguono gli uni dagli altri, ma gli appartenenti ai due gruppi formano delle subculture distinte basate sul loro diverso retroterra culturale.
Un gruppo etnico è costituito da un rilevante numero di persone che, in conseguenza dei tratti culturali comuni e dell'alto livello di interazione reciproca, considerano se stessi e vengono consi-derati dagli altri come un'unità culturale. Contrariamente a ciò che avviene per le differenze raz-ziali, le differenze etniche non vengono ereditate per via genetica, apprese attraverso la cultura. La cosa è meno ovvia di quanto sembri se si pensa quanto spesso la gente presume che le prete-se caratteristiche dell'"intelligenza", della "industriosità", delle "attitudini militari", della "pigrizia" o di altre ancora attribuite a un gruppo etnico siano delle qualità innate dei suoi membri. Nessun gruppo etnico possiede dei tratti culturali innati, li acquisisce invece dal proprio ambiente. I giap-ponesi che vivono in Giappone e gli americani di origine giapponese hanno lo stesso patrimonio genetico, tuttavia mostrano di avere norme e valori culturali assai diversi.

L'ANTISEMITISMO
(semita: discendente Sem, figlio di Noè)

Se un uomo attribuisce tutte o parte delle disgrazie del paese e delle sue proprie disgrazie alla presenza di elementi ebraici della comunità, se egli propone di rimediare a questo stato di cose privando gli ebrei di alcuni dei loro diritti o escludendoli da certe funzioni economiche e sociali o espellendoli dal territorio o sterminandoli tutti, si dice che egli è di opinione antisemita (J. P. Sartre).

DALLE ORIGINI ALLA II GUERRA MONDIALE
A partire dal III secolo a. C. , gli ebrei avevano cominciato ad emigrare dalla Palestina, per stabilirsi soprattutto in Egitto, in Grecia e in Italia. L'emigrazione continuò fin verso il 70 d. C. , quando gli ebrei di Palestina si ribellarono ai Romani. La reazione di Roma fu dura: moltissimi furono gli ebrei uccisi e fatti schiavi e il loro tempio, rico-struito dopo il ritorno da Babilonia, fu dato alle fiamme. Più violenta fu la rivolta del 132 ed ancora più dura, anzi tremenda e definitiva, la repressione romana: almeno 600mila ebrei furono trucidati e i sopravvissuti si dispersero per l'impero romano.
E' questa la cosiddetta Diaspora, cioè la definitiva dispersione degli ebrei; ed è a partire da questo momento che essi cominciano ad essere ritenuti un popolo privo di patria. Il vero e proprio antisemitismo nasce più tardi verso il IV sec.
Il Cristianesimo, divenuto religione di stato, è intollerante verso le altre religioni. Pur considerando gli ebrei come testimoni viventi delle Scritture, la Chiesa ritiene doveroso punirli in eterno attribuendo loro la colpa dell'atroce imperdonabile peccato, di aver fatto subire al Messia l'estremo supplizio: "Popolo deicida". E tale impedimento dà presto i suoi frutti: è al IV sec. che risalgono i primi incendi di sinagoghe ed è al IV sec. che risalgono i primi divieti fatti agli ebrei: di sposare donne cristiane, di accedere ai pubblici uffici, di costruire nuove sinagoghe, ecc. Fu però ventura nella sventura che verso la fine del VI sec. ascendesse al trono pontificio un personaggio - Gregorio I Magno - veramente eccezionale per altezza di ingegno e cultura. Egli affermò che, mentre non si sarebbe dovuto risparmiare alcuno sforzo pur di convertirli alla fede cristiana, si sarebbero però dovute evitare le conversioni forzate.
Non sempre i Pontefici successivi ed i pur ferventi principi cristiani si attennero a questa regola, ma certo è che la parola di Gregorio I Magno costituì almeno una remora alla degradazione degli ebrei. E' dunque a partire dai primi secoli del Cristianesimo trionfante che comincia l'antisemitismo. Le vicende successive sono quanto mai varie, complesse e alterne: a seconda dei tempi e dei luoghi, periodi di relativa tolleranza seguono o precedono periodi di persecuzione, momenti di serenità e di speranza si alternano a momenti di terrore e di disperazione. In linea generale si può dire che la motivazione religiosa tende a perdere terreno, con il trascorrere dei secoli, con raffronti di quella socioeconomica. Quale ultima grande persecuzione esaminiamo gli sviluppi di tale fenomeno nella Germania dal XVIII al XX sec.

L'ANTISEMITISMO IN GERMANIA
Per molti secoli la Germania è rimasta un espressione geografica. Il frazionamento, co-minciato all'età medioevale, si è andato aggravando fino a giungere, nel XVIII sec., ad uno spezzettamento in circa 350 fra principati, ducati, elettorati, città libere e vescovati, tra i quali l'imperatore, investito di un potere puramente onorifico, non crea alcun legame. L'unità che i tedeschi colti desiderano, alla fine del XVIII sec., è prima di tutto un'unità dello spirito; ha un carattere morale, se non mistico e poco si preoccupa delle contingenze istituzionali. Essa potrebbe benissimo realizzarsi sotto forma di federazione, gli stati conserverebbero così la loro originalità e, senza fondersi in una matrice uniforme, costituirebbero insieme una sorta di ente spirituale avente come comune denominatore lo spirito tedesco. L'impero, finalmente realizzato sotto l'egida della Prussia, è assai diverso da questo sogno, la delusione degli intellettuali influirà pesantemente sulla nascita del risentimento nazionale.
Ora bisogna vedere quale collocazione la Germania colta dà alla questione ebraica. Se da una parte i pensatori tedeschi auspicano che ogni gruppo umano conservi i propri valori, dall'altra intendono conciliare questo particolarismo con la loro visione universalistica. Quindi si propongono il problema ebraico: come considerare questi ebrei che si cristallizzano nelle tradizioni e proteggono gelosamente il loro passato. La questione ebraica diventa una delle pietre di paragone della filosofia e delle dottrine politiche tedesche, tanto che lo Stato decide di occuparsene attivamente: in Prussia e in Austria i sovrani nominano numerose commissioni di studio. La mentalità del 1750 ritiene che le religioni si equivalgano e che solo il modo di praticarle produca differenze. Ora gli ebrei in questa materia non sono liberi: sono stati relegati nel ghetto, sottoposte a restrizioni che li hanno indotti a praticare il commercio del denaro, a divenire cioè usurai. In altri termini la condizione degli ebrei sarebbe un sottoprodotto del risentimento cristiano.
Questa visione perderà credito, però, intorno al 1790 con gli albori del romanticismo e con la divisione della Polonia. La situazione degli ebrei in Polonia non giustificava questo modello comportamentale in quanto questi godevano, a differenza dei loro fratelli tedeschi, di reale libertà.
Intanto i governi tengono conto di questa situazione: in Prussia e in Austria i sovrani considerano il "giudaismo" una sopravvivenza dei tempi antichi che sarebbe ridicolo perseguitare e di cui comunque bisogna favorirne il declino. Così i sovrani progettano di assimilarli organizzando una "Commissione di riforma dello statuto degli ebrei". Negli anni a venire alcuni ebrei si sono integrati nell'alta società tedesca, ma essi rappresentano l'1,3% dell'ebraismo. L'ebreo, per i tedeschi, rappresenta comunque l'uomo del ghetto, per cui l'assimilazione di fatto non avvenne.

LA CRISI NAZIONALE
L'opinione pubblica tedesca assiste dapprima senza emozione alla Rivoluzione Francese. La conquista da parte della Francia dei territori a sinistra del Reno non tocca minimamente i tedeschi, che non hanno ancora interiorizzato il sentimento della loro unità. Ma poco dopo la classe dirigente si rende conto che l'ordine sociale tradizionale è minacciato. In un tale clima il problema ebraico assume un rilievo particolare. Gli ebrei, che sono a conoscenza dei vantaggi ottenuti dai loro fratelli d'oltre Reno, iniziano a protestare in nome dei diritti riconosciuti a questi ultimi in Francia. I soldati della rivoluzione, in attesa del regolamento diplomatico, si stanziano sulla riva destra del Reno e impongono la legislazione in vigore in Francia. I reclami ebraici si fanno sempre più forti; l'emancipazione dell'ebreo diviene il simbolo del disordine e del caos.
Infatti si sente un senso di profondo smarrimento tra i giuristi tedeschi che propongo-no soluzioni prive di buon senso, poiché se gli ebrei diventano uguali agli altri uomini, che cosa resterà della gerarchia naturale, come verranno mantenute le barrire tra le classi? In Austria il governo assume la guida della resistenza e finge di accedere alle misure francesi. Da quest'epoca appaiono alcuni stretti legami tra conservatorismo sociale e antisemitismo. La politica napoleonica scuote la Germania molto più di quella della Rivoluzione Francese; l'imperatore fa a pezzi la geografia politica del paese e pretende di imporre l'imitazione dell'impero francese. I tedeschi si persuadono così che per far sopravvivere la loro politica devono fondare un'unità durevole basata sulla lingua e sulla storia. La fedeltà al passato medioevale, la protezione dei valori peculiari del pangermanesimo, esigono l'allontanamento degli ebrei poiché, un ebreo ha storia e lingue diverse dal tedesco e quindi non può far parte della Germania. In conclusione il vero ebreo non è assimilabile, conviene rifiutargli l'uguaglianza dei diritti. A questo punto vengono presentate due soluzioni di cui una è riservata allo Stato: la "de-ebraizzazione" come estirpazione del culto e dei costumi ebraici.
L'altra soluzione è l'isolamento per mezzo di barriere sociali. Dopo il 1820 l'antisemitismo infiamma molti circoli intellettuali. Gli ebrei sono motivo di timore per i tedeschi poiché costituiscono una nazione in un'altra che sta per nascere. In Germania si tenta anche un antiebraismo economico, ma non ha un ruolo significativo.
Verso il 1840 la Germania entra in un periodo di ascesa economica.
Gli ebrei intuiscono le altre barriere liberali sono loro precluse, così cominciano a spo-starsi verso i centri urbani. Gli ebrei lavorano ovunque sono bene accetti. La mentalità degli uomini d'affari è cambiata ben poco: essi fanno affidamento sugli ebrei che non hanno niente da perdere, purché si lancino per primi nelle imprese rischiose.
Infatti gli ebrei saranno all'origine delle prime speculazioni; il commercio e la banca sono i loro settori preferiti anche se fanno investimenti nel teatro, nel giornalismo e nella politica, settori che godono di cattiva fama.
L'entrata massiccia degli ebrei nella società favorisce l'ascesa economica e la conseguente realizzazione dell'unità della Germania tanto che gli ebrei liberali reclamano a gran voce l'abolizione delle misure di discriminazione e la ottengono. I tedeschi, infatti, trascinati dalla crescita della prosperità accettano il cambiamento. L'assimilazione degli ebrei sembra di nuovo possibile.
Ma dopo la sconfitta delle rivoluzioni del 1848 la Germania attraversa un periodo di freddo realismo. Il romanticismo è morto. Il solo grande problema è l'unità, Sembra essere un periodo grigio e meschino di cui tutte le colpe si attribuiscono agli ebrei, che erano stati la causa di quel capitalismo egoista e senza patria che tanto disgustava gli intellettuali del periodo. La diffusione di questa idea accende gli animi antisemiti; questo fenomeno diventa di un'ampiezza sorprendente. Certo, gli antisemiti non sono per niente uniti, ma si riesce comunque a raggiungere un accordo. Infatti, nelle elezioni del 1881, questi presentano una lista di candidati e ottengono il secondo posto che permette l'inaugurazione dell'antisemitismo parlamentare. Si radica così l'idea di razzismo. Durante la prima metà del XIX sec., la nozione di razza diventa d'uso corrente, si precisa e si arricchisce di giudizi di valore: ci sono razze forti, inventive, e altre che lo sono meno, che cioè possono essere considerate inferiori. Le teorie razziste si inseriscono nei sogni che accompagnano la realizzazione dell'unità. A metà del XIX sec., Wagner e Legarte sviluppano una specie di biologia razziale: "La vita è una lotta in cui i potenti trionfano".
La prima ondata antisemita, quella che dilaga a partire dal 1873 e non fa appello al razzismo. Le teorie razziali cominciano a radicarsi nella letteratura antiebraica alla fine del XIX sec., e costituiscono una specie di argomento in più, invocato soprattutto quando antisemiti di destra e di sinistra non riescono a mettersi d'accordo. In Germania, aristocratici, alta borghesia, ceti medi hanno tutti paura del proletariato, ma diffidano gli uni dagli altri, così il razzismo diventa l'aition per una certa convergenza. Si comprende chiaramente che i tedeschi, fieri della loro potenza economica e militare, irritati con gli altri popoli, si sono consolati col sentimento nazista della loro superiorità.
Nel caos del XX sec. d'un tratto, appare un'idea chiara: gli ebrei non valgono niente perché sono semiti, perché provengono da un ramo dell'umanità di cui la scienza può dimostrare il carattere inferiore. L'antisemitismo, dunque, è sempre vivo in Germania. L'apparente integrazione degli ebrei, in un certo senso, non fa che aggravarlo; le reazioni sono più violente di quanto non lo siano state alla fine del XIX sec.: nel marzo del 1920, un alto funzionario, Kapp, tenta un colpo di stato; occupa la capitale per alcune ore ed espone un programma che prevede l'espulsione degli ebrei entrati in Germania dopo la guerra.
Nell'autunno 1923, a Berlino, negozi ebrei sono saccheggiati e molti israeliti dell'Europa sono malmenati. Durante la repubblica di Weimar, ogni movimento di estrema destra proclamatosi nazionale è obbligatoriamente antiebraico. Hitler, di origine austriaca, in gioventù aveva seguito la campagna di Schönerer e di Lueger; ammirava il nazionalismo esclusivista del primo, comprendeva la demagogia "socialisteggiante" del secondo e si teneva pronto ad utilizzare l'antisemitismo sia per accattivarsi i conservatori sia per accontentare i ceti medi. La sua prima relazione politica del settembre 1919, mostra una convinzione antiebraica già ben affermata: gli ebrei, scrive, sono una razza diversa; le loro preoccupazioni volgarmente materiali e puramente interessate li rendono inassimilabili e quindi conviene trattarli come stranieri. Quando, nel 1929, scoppiò la rovinosa crisi economica, Hitler e il nazismo non costituivano ancora, come forza politica, una minaccia mortale per la fragile democrazia "Weirmariana". Nell'elezione del 20 maggio 1928, i nazisti infatti, raccolsero poco più di 800mila voti su 31milioni di elettori, entrando in parlamento con soli 12 seggi su 491. I socialdemocratici conseguirono, invece, ben 9 milioni di voti: era veramente il partito - chiave della Germania. Ma già nelle elezioni del luglio del 1930, quando i tedeschi subirono i terribili contraccolpi del crollo della borsa di Wall Street, il partito di Hitler aumentò incredibilmente i suoi voti: da 800mila passò a 6.400.000, diventando, dopo i socialdemocratici, il secondo partito tedesco. Come si spiega lo sbalorditivo successo del partito nazista? La seconda crisi economica fu certamente la circostanza che favorì l'aumento dei voti nazisti, ma questo aveva profonde radici nella cultura nazionalistica e patriottica della piccola e media borghesia tedesca; in un senso profondo di frustrazione del popolo tedesco che aveva subìto la sconfitta come un tradimento dei partiti democratici; nella debolezza strutturale della repubblica di Weimar; nella sete di rivincita della carta militare; nei rimpianti e nei maneggi di generali avventurieri, come Suddendorf. Più profondamente Hitler riuscì ad utilizzare ed incanalare nel suo partito tutte le diverse aspirazioni nazionalpatriottiche di coloro i quali vedevano le proprie radici spirituali scalzate dall'industrializzazione e dall'atomizzazione dell'uomo moderno.
Hitler, figlio di un doganiere austriaco, nacque il 20 aprile 1889 a Braunau nell'Inn, sul confine austro - tedesco. Sognava di diventare un artista, un pittore. Visse gli anni della sua giovinezza a Vienna, in grande miseria, conducendo una vita da bohèmen. Nel 1913 abbandonò Vienna, non trovandosi in uno stato che aveva carattere plurinazionale e che a lui sembrava un assurdo agglomerato di razze, e passò a Mo-naco, in Baviera.
L'1 aprile del 1920 fondò il partito nazista (NSDAP) che aveva un programma nazionalista e antiebraico. Organizzò gruppi di ex combattenti in squadre d'assalto con uniforme bruna che "raccoglievano" gente considerata "diversa" come omosessuali ed ebrei. Nel novembre 1923 con l'aiuto di Rohm, che comandava i reparti d'assalto, e con l'adesione del generale Suddendorf, cercò di rovesciare il governo della Baviera ma per questo fu processato e condannato a cinque anni di reclusione, dei quali scontò solo nove mesi. Durante la prigionia scrisse il Mein Kampft, una farraginosa esposizione delle idee e del programma naziste. Qui egli sostenne la necessità per la Germania di uno "sforzo vitale", da realizzarsi attraverso l'espansione ad est, nei territori abitati da popolazioni slave. Sostenne l'instaurazione di un nuovo Reich, impersonato dalla dittatura di un Füher, espressione dello spirito del Volk (popolo). Stato razzista e fondamentalmente antiebraico: in antitesi alla concezione borghese ed ebraico-marxsista - si legge nel Mein Kampft - la filosofia del Volk ritiene che l'importanza dell'umanità è legata agli elementi fondamentali della razza. Essa vede nello Stato solo un mezzo per raggiungere un fine: la conservazione dell'uomo. Pertanto essa non crede affatto nell'uguaglianza delle razze, ma, insieme alle loro differenze, riconosce una gerarchia di valori e si sente tenuta a favorire la vittoria del migliore e del più forte, ad esigere la subordinazione dell'inferiore e del più debole in conformità dell'eterna volontà che domina l'universo(…). Abbiamo tutti il presentimento che in un lontano futuro l'umanità dovrà affrontare problemi che solo una razza superiore, divenuta padrona degli altri popoli e avente a disposizione i mezzi e le possibilità dell'intero pianeta, potrà essere in grado di risolverla (…). Lo stato nazionale (…) deve collocare la razza al centro della sua vita, deve preoccuparsi di preservarne la purezza (…).
Rimesso in libertà, Hitler riprese i suoi programmi con maggior decisione. Si dedicò ani-ma e corpo al rafforzamento del partito nazista, che vide accrescere i suoi adepti anno per anno. Il 30 gennaio 1933 Hitler prestava il giuramento di cancelliere nelle mani del vecchio generale Hindenburg, presidente della repubblica, anche se aveva bisogno di una maggioranza assoluta per governare. Infatti, nelle elezioni del 1932, il partito nazista ottenne 230 seggi al Reichstag (parlamento) su 608. Non era la maggioranza assoluta, ma ormai era impossibile governare senza i nazisti, tanto più che i socialdemocratici subirono una forte flessione perdendo dieci seggi. Quindi Hitler indisse le elezioni per il 5 marzo 1933, ma il 27 febbraio fu data alle fiamme la sede del parlamento. I nazisti accusarono dell'incendio i comunisti e si scatenò quindi la persecuzione contro questi ultimi che furono arrestati, gettati nelle prigioni e, molte volte, torturati. In questo clima di violenze e arbitri, i nazisti raccolsero 17 milioni di voti che rappresentavano il 48% dell'elettorato: non era l'attesa maggioranza assoluta, che Hitler riuscì però a raggiungere con l'appoggio dei seggi del partito conservatore. Così, Hitler, raggiunto un compromesso con l'esercito, stabilizzò il suo regime mirando a realizzare il programma espansionista e totalitario già delineato nel Mein Kompft. Dopo la conquista del potere, i nazisti diedero subito inizio al programma di discriminazione e persecuzione degli ebrei, portando, nel giro di un decennio, a divenire un piano "razionale" e "scientifico" di annientamenti di milioni di esseri umani mediante maltrattamenti, lavoro coatto, denutrizione, fucilazioni, camere a gas e forni crematori. Si trattò di un disegno tracciato con lucido fanatismo e di un processo inarrestabile punteggiato da mille episodi di razza e raffinata disumanità, tendenti alla più totale distruzione dell'uomo sia fisica che psichica. Siamo perciò costretti, in questa sede, a ricordare solo pochi episodi e dati essenziali per poter dare almeno un'idea difficilmente immaginabile e per alcuni aspetti nuovo rispetto alla pur deprimente tradizione di genocidi disseminati nel corso della storia umana.
Il primo attacco fu il boicottaggio per una giornata contro i negozi degli ebrei, fatto passare dal potere nazista, il 1 aprile 1933, come legittima reazione dei tedeschi al boicottaggio e alla campagna di istigazione degli ebrei. La fase successiva che segnò un primo salto qualitativo, si ebbe con le leggi di Norimberga, decise per acclamazione del congresso generale del partito nazionalsocialista (partito nazista) nel novembre del 1935. In base alla legge sulla cittadinanza del Reich, i tedeschi furono distinti in "cittadini del Reich" e "semplici appartenenti allo stato"; come dire cittadini di livello inferiore. La legge della salvaguardia del sangue proibì i matrimoni tra ebrei e ariani. I rapporti sessuali tra individui delle due razze furono considerati lesivi della purezza ariana e puniti severamente, perfino con la condanna a morte. Con il decreto del 14 novembre dello stesso anno, tutti gli ebrei vennero espulsi dagli uffici statali e si sentenziò che dovevano essere considerati ebrei "tutti coloro che avessero almeno tre avi di pura razza ebraica". Ma già nel novembre del 1938 si era verificato un nuovo salto qualitativo: nella cosiddetta "notte dei cristalli", erano state prese d'assalto abitazioni, scuole tenute da ebrei e soprattutto sinagoghe, ed erano stati malmenati e percossi migliaia di ebrei in tutta la Germania. Con una serie di provvedimenti nel piano economico, questi furono letteralmente spogliati delle loro sostanze e ridotti alla miseria. L'entrata in guerra diede nuovo impulso al progetto di annientamento. Con l'occupazione della Polonia, gli ebrei polacchi furono sottoposti al lavoro coatto fin dall'ottobre del 1939. A questo si diede mano all'istituzione dei ghetti recintati e sorvegliati dalle sentinelle nei quali sarebbero stati ammassati prima gli ebrei polacchi e poi quelli provenienti da ogni altra parte dell'Europa. Il primo sorse a Lods nell'aprile del 1940, e con l'aggressione all'Unione Sovietica la persecuzione degli ebrei entra in una nuova ed ultima fase: vengono costituiti dei commandos speciali delle SS e della polizia incaricati di sterminare nei territori conquistati tutti gli ebrei, i zingari e i commissari politici (comunisti). Nell'autunno del 1941 si ebbero i primi esperimenti delle camere a gas ad Auschwitz. Alla fine del dicembre del 1941 fu istituito un campo con camere a gas costantemente in funzione a Chiemno, presso Posen. Furono così eliminati ad Auschwitz da tre a quattro milioni di uomini. Questi avvenimenti sorpas-sano tanto ogni forza umana di immaginazione, dietro queste cifre scarne si nasconde una tale quantità di dolore e sofferenza, di paura e di disperazione, che ogni frase sarebbe inadeguata ad esprimere l'inesprimibile. Auschwitz era solo uno dei tanti campi di sterminio.
Occorre aggiungere ancora Belzec, Lobibor, Treblinka e Maidanek, dove saranno uccisi altri due milioni di ebrei che trovarono la morte per lo più nelle camere a gas, e il gran numero di campi di concentramento comuni, nei quali furono racchiusi uomini di tutti i paesi d'Europa e nei quali gli internati morirono a migliaia per la prigionia, per la sotto-nutrizione, per malattie e per suicidio. Il tutto venne alla luce con l'avanzamento in Germania delle truppe alleate che scoprirono i campi di concentramento con le loro attrezzature per la tortura, e i forni crematori e le camere a gas, il nome della Germania fu allora macchiato e infamato, come non era mai accaduto per nessuna nazione. Bisogna del resto ricordare che gli orrori commessi dal 1942 al 1944 sono stati perpetrati da alcune decine di migliaia di individui, e pertanto non si può attribuirne la colpa ad un popolo intero.

NOTE CONCLUSIVE: ANTISEMITISMO TRA NAZISMO E FASCISMO
Fascismo e Nazismo: due movimenti di massa ma con profonde differenze. Secondo Croce, il fascismo è una "parentesi", l'effetto di un'ubriacatura, addebitabile in gran parte alla guerra, una "malattia morale", uno "smarrimento di coscienza".
In senso stretto il Fascismo è il regime politico italiano nel periodo compreso tra il 1922 e il 1943 e nonostante le somiglianze con il nazismo tedesco, le differenze tra nazismo e fascismo sono profonde. Il nazismo, anzitutto, nacque razzista e antisemita, e della persecuzione contro gli ebrei e contro il comunismo fece uno dei cardini della sua politica. Il fascismo italiano non nacque antisemita, tanto è vero che molti ebrei aderirono ad esso e lo sostennero sin dalle origini. Né il fascismo italiano fu condizionato ad esaltare una razza. Antisemitismo e razzismo divennero attributi successivi del fascismo italiano, furono il tributo pagato dalla dissennata politica di Mussolini quando, dopo la guerra contro l'Etiopia, rotta l'amicizia con gli alleati e, in particolare, con l'Inghilterra, strinse la sua tragica alleanza con Hitler. Il nazismo ebbe un'ideologia coerente che affondava le sue radici culturali nella mistica del Volk, il fascismo invece non ebbe un'ideologia specifica, utilizzò brani di correnti ideologiche volontaristiche, dal nazionalismo al corporativismo, al sindacalismo rivoluzionario. Per questo il fascismo ebbe più il carattere negativo di una controrivoluzione sociale a sfondo agrario ed anti - industrialista, che quello di una reazione integrata in un'ideologia neo - romantica e razzista, come fu il nazismo. Non rifiutò, almeno fino al rovesciamento delle alleanze, i rapporti con gli alleati, in funzione anche antitedesca; si mosse per lo più nella scia delle preoccupazioni di ordine e di conservazione dei moderati. Tutti e due i movimenti però, il fascismo e il nazismo, furono movimenti di massa: mentre il primo tentò di rendere demagogicamente popolare la conservazione, come sistema dall'alto per tutelare la tranquillità sociale e le virtù tradizionali delle buone famiglie borghesi, il secondo mirò a concentrare le nazional-patriottiche in una prospettiva ideologica misticheggiante, che alla fine ruppe con la stessa tradizione conservatrice tedesca, gettando la Germania nel baratro di una guerra antieuropea e antiumanitaria.
L'antisemitista, infine, reclama il diritto di predicare ovunque la crociata antiebraica. Così, l'opinione antisemita ci appare come una molecola suscettibile di combinarsi, senza subire alterazioni, con qualsiasi altra molecola. Un uomo può essere un buon padre, un buon marito, cittadino zelante, fine letterato, filantropo e , d'altra parte, antisemita. Può amare la pesca e i piaceri dell'amore, essere tollerante in materia di religioni e, d'altra parte, detestare gli ebrei.
L'antisemitismo, anche nelle sue forme più temperate, più evolute, rimane una totalità sincretica che si esprime con discorsi di andamento ragionevole, ma esso può trascinare fino a portare delle modificazioni dello stato corporeo. Certi uomini sono colpiti repentinamente da impotenza se sanno che la donna con la quale fanno all'amore è ebrea. E non è dal corpo che nasce questa repulsione, perché tu puoi benissimo amare un'ebrea se ignori la sua razza, ma proviene al corpo dallo spirito; è una presa di posizione dell'animo, ma così profonda e totale che si estende al campo fisiologico, come nell'isterismo.
Questa presa di posizione non è provocata dall'esperienza ma dai difetti che la tradizione attribuisce all'ebreo. L'esperienza non fa sorgere la nozione di ebreo, al contrario è questa che chiarisce l'esperienza; se l'ebreo non esistesse, l'antisemita lo inventerebbe.


I M M I G R A Z I O N E

L'immigrazione ha permesso il popolamento di diverse regioni del globo. Nel secolo scorso, Paesi extraeuropei, ricchi di terre fertili e di risorse naturali, ma scarsamente popolati, hanno incoraggiato con ogni mezzo l'afflusso di manodopera dal Vecchio Mondo sovrappopolato. È il caso degli Stati Uniti d'America, che dal 1850 al 1921 (anno in cui, con il Quota Act, modificato nel 1924, veniva attuata una politica anti-immigratoria tesa a difendere il mercato nazionale del lavoro), accolsero più di 31 milioni di immigrati, oltre 27 milioni dei quali europei. Nello stesso periodo affluirono in Canada ca. 3,6 milioni di persone (nel 1920 i residenti erano 8,4 milioni di persone, 3 milioni di origine inglese e 1,6 milioni di origine francese). L'Oceania, nei primi decenni del sec. XIX destinazione forzata dei criminali britannici, contava nel 1861 ca. 1,2 milioni di abitanti, il 75% dei quali immigrati. Ancora Argentina e Brasile, dal 1850 al 1950, accolsero complessivamente 11,8 milioni di immigrati. In Europa sono stati meta degli immigrati i Paesi più industrializzati: Francia negli anni precedenti la II guerra mondiale, Svizzera e Germania negli anni più recenti cui si è aggiunta l'Italia nel corso degli anni Ottanta.

LA LEGISLAZIONE
Le norme sull'immigrazione sono norme speciali ella più generale legislazione sull'ingresso, la cir-colazione e il soggiorno degli stranieri in un Paese. Ogni Stato stabilisce liberamente quali sono le condizioni per cui gli stranieri possono entrare nel territorio nazionale per periodi limitati e per scopi vari. Se poi uno Stato ha un'immigrazione accentuata, allora subentra la necessità di regolamentare più specificamente l'ingresso degli stranieri a scopo di lavoro, talora limitandolo ad alcune categorie di lavoratori o condizionandolo.

IMMIGRAZIONE IN ITALIA

La legislazione italiana prevede un regime differenziato tra area comunitaria (UE) ed extracomunitaria, garantendo la prima una posizione di favore se si considera che, p. es., solo per la seconda viene definita annualmente la programmazione del flusso d'ingresso per ragioni di lavoro. I cittadini extracomunitari possono entrare in Italia per motivi di turismo, studio, lavoro subordinato o autonomo, cura, familiari e di culto (art. 2 legge 28 febbraio 1990, n. 39). Essi devono presentarsi alla frontiera italiana forniti di passaporto valido o documento equipollente, riconosciuto dalle autorità italiane, nonché di visto ove prescritto. Gli uffici di polizia devono respingere dalla frontiera gli stranieri sprovvisti di mezzi di sostentamento in Italia. Non è considerato sprovvisto di mezzi, anche se privo di denaro sufficiente, chi esibisce una documentazione comprovante la disponibilità in Italia di beni o di una occupazione regolarmente retribuita, ovvero l'impegno di un ente o di un'associazione o di un privato che diano idonea garanzia ad assumersi l'onere dell'alloggio e del sostentamento, nonché del rientro in patria dell'immigrato. Può soggiornare nel territorio italiano chi sia munito, dopo essere entrato regolarmente, di un permesso di soggiorno. Questo ha una durata massima di tre mesi se rilasciato per scopo di turismo e di due anni se concesso per altri motivi; è rinnovabile e la durata successiva alla prima concessione è di norma doppia al primo periodo. Il permesso deve essere richiesto dal cittadino straniero entro otto giorni dalla data di ingresso nel territorio italiano. Gli stranieri coniugati con cittadino italiano e residenti in stato di coniugio da più di tre anni in Italia hanno diritto a un permesso di soggiorno a tempo illimitato. La legge n. 39 del 1990 regola i ricorsi contro i provvedimenti di espulsione dal territorio e contro il diniego e la revoca del permesso di soggiorno è ammesso il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del luogo del domicilio eletto dallo straniero. Il ricorso sospende gli effetti del provvedimento fino all'adozione della decisione definitiva. Infine, l'accesso degli extracomunitari in Italia è regolamentato da appositi trattati stipulati con le singole nazioni di provenienza degli immigrati stessi, che in vario modo ne risultano più o meno avvantaggiati.



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