Eduardo Ambrosio


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FASCISMO e NAZISMO (testo completo)

STORIA > NOVECENTO > FASCISMO E NAZISMO

FASCISMO E NAZISMO. TOTALITARISMO

FASCISMO
Per intendere le origini storiche del Fascismo è necessario rifarsi alla crisi profonda provocata in tutta l'Europa dal primo conflitto mondiale (1914- 1918) che portò radicali mutamenti nelle strutture politiche e sociali dei singoli paesi, nei rapporti tra le classi, nel costume. La pace, che aveva segnato la fine del primo conflitto mondiale, non portò serenità nel nostro Paese, attraversato da una grave crisi economica. Il malessere delle classi popolari esplose sia nelle fabbriche, sia nelle campagne, con scioperi, occupazioni, agitazioni. Dovunque si richiedevano migliori condizioni di vita e maggior potere per i lavoratori, che avevano contribuito ad una vittoria, costata oltre 600 mila morti. Industriali e proprietari terrieri, spaventati dalle richieste popolari (i rossi), cominciarono allora ad appoggiare e finanziare il movimento fascista, fondato il 23 marzo 1919 da Benito Mussolini. Esso svolgeva un'opera di sistematica aggressione contro le organizzazioni sindacali e contro i partiti politici democratici. Mussolini conosceva l'opera di Machiavelli "Il Principe" e a questa si ispirò come modello da seguire; era un buon conoscitore anche della politica di Bismarck; favorevole e ripristinatore della pena di morte, abolita da Beccaria, e che era in vigore in Germania, Francia e Inghilterra. Mussolini sosteneva, appropriandosi delle parole di S. Tommaso: <<... non è meglio tagliare via un braccio in cancrena, se così si salva il corpo intero?...>>. In tutta la sua politica non ha mai preso in esempio Napoleone, perché non italiano, accusandolo di nepotismo ed ignoranza in tema di finanza ed economia. Napoleone ha segnato la fine di una rivoluzione, Mussolini ne è l'iniziatore. Contrariamente, come figura storica, ama Cesare il quale riuniva in sé la volontà del guerriero e la dottrina del saggio; amava la gloria ma l'ambizione non lo tagliava fuori dall'umanità. La monarchia, il governo, l'organizzazione statale ne tolleravano i crimini, appoggiandolo più o meno apertamente. Nel 1922 dopo la "Marcia su Roma", organizzata da Mussolini come dimostrazione di forza, il re giunse ad offrire al capo del Fascismo l'incarico di for-mare il governo. La "Marcia su Roma" è stata non la causa ma la conseguenza di una insostenibile situazione istituzionale e politica dell'Italia. L'Italia aveva vinto la guerra ma i suoi problemi erano simili ai paesi che l'avevano perduta. I superstiti di cinque milioni di contadini, operai, piccolo- borghesi che avevano combattuto volevano un riconoscimento sia economico che politico. In questo clima di grande instabilità, a causa di pressioni sul re Vittorio Emanuele III e di incomprensioni con l'armata e il generale Diaz, si sottovaluta Mussolini che a Roma, in un'adunata proclamò: << Noi vogliamo governare l'Italia >>. In pochi anni il Duce (come voleva essere chiamato Mussolini), ormai al potere, si liberò di tutti gli oppositori, sciolse i partiti e le organizzazioni sindacali, impose la censura sulla stampa, abolì i diritti democratici: instaurò una vera e propria dittatura. Il Fascismo metteva a tacere gli oppositori con intimidazioni e violenze. Mussolini stesso aveva scritto: << per quanto si possa condannare la violenza, è chiaro che per far entrare le nostre idee nella testa delle persone, bisognerà suonare sui crani... A suon di manganello >>. Dopo una rapida ascesa, il Fascismo divenne partito caratterizzandosi come difensore dell'ordine e, nel suo espandersi, finì con l'identificarsi con lo Stato e tese a fascistizzare il paese, utilizzando la stampa, strumentalizzando la scuola, inquadrando fin dall'infanzia la gioventù in apposite organizzazioni fasciste. Il Fascismo cominciò a permeare la vita quotidiana della nazione in ogni suo aspetto pubblico o privato. Perfino il calendario e la lingua furono fascistizzati: il 1922 divenne l' "anno primo" dell'E.F., cioè dell'era fascista; Mussolini coniava quasi ogni giorno parole nuove che immediatamente venivano accolte dai vocabolari; non ci si dava più del "lei", ma del "voi", considerato più virile.
Il maestro Mussolini aveva molto a cuore la gioventù italiana; o meglio, fascista. Conquistato il potere incentivò le nascite: per avere più soldati. Poi, investì sulle scuole: per avere un futuro popolo di soli fascisti. I risultati furono tangibili: l'istruzione scolastica si fondò sullo slogan caro a Mussolini << libro e moschetto, fascista perfetto >>; l'assistenza sociale fu preda di rituali militari e soffocata dall'ossessiva invadenza dello Stato e dalla propaganda. Il Duce fece della procreazione un mito, trattando le donne come macchine per la riproduzione, con un obiettivo: acquistare peso e forza davanti al mondo. Il regime infondeva nei bambini, che nascevano sempre più numerosi, l'idea di un futuro eroico di armi e di battaglia che le più giovani generazioni avrebbero dovuto affrontare in una guerra ormai prossima e a cui il fascismo intendeva prendere parte. Il progetto veniva da lontano. All'indomani della "Marcia su Roma", Mussolini con lo slogan << Se le culle sono vuote, la Nazione invecchia e decade >>, aveva iniziato una campagna di incentivazione demografica che, in poco più di un decennio, aveva incrementato la popolazione dai 38 milioni ai 47 milioni del 1936. Il primo provvedimento era stato l'istituzione dell'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, nel 1925, col compito di provvedere alle madri bisognose e all'infanzia abbandonata e di gestire una fitta rete di moderni nidi di infanzia. In tal modo, Mussolini creò il mito della famiglia numerosa: <<il numero è potenza>>. A partire dal 1928 gli scapoli italiani furono obbligati a pagare la tassa più assurda, più stupida, più incredibile che uno stato avesse mai ideato, la tassa sul celibato. Giunti ai 6 anni i bambini andavano a scuola, maschi e femmine in aule rigorosamente separate, prendendo posto su angusti banchi con lo schienale disposto ad angolo retto e la tavoletta ribaltabile sotto la quale trovavano posto cartelle e merende. Una Cassa Scolastica regalava i quaderni a righi e a quadretti ai bambini delle famiglie meno abbienti, mentre l'Ente di Assistenza Scolastica assicurava, agli stessi, la refezione gratuita. Gli scolari venivano periodicamente visitati dai medici, assistiti da infermiere e da vigilatrici nell'ambulatorio scolastico e i più deperiti o inappetenti venivano messi in liste per soggiorni nelle colonie estive marine o nei campeggi estivi e invernali gestiti dalle organizzazioni giovanili fasciste. In questo modo fin dall'età scolare i bambini furono permeati dall'immagine di un Duce paterno, benefico, sollecito del bene del Paese. In pochi anni, sotto la spinta della propaganda, nacque nelle scuole italiane il culto di Mussolini. Nelle ore libere, i bambini, accompagnati da madri o sorelle maggiori, andavano ai giardini pubblici o, nelle città più grandi, al parco. Il regime, però preferiva che i bambini frequentassero palestre, piscine e i campi delle organizzazioni sportive fasciste come l'Opera Nazionale Balilla alla quale tuttavia non era obbligatorio, ma semplicemente opportuno, iscriversi. Attorno al 1936- 1937 l'Opera Balilla contava quasi 7 milioni di iscritti. Nel pomeriggio del sabato i ragazzi, adunati nelle Case del Balilla, venivano impegnati nell'ordine chiuso, negli esercizi ginnici e nel funzionamento delle armi in vista degli imponenti saggi sportivo- militari che si tenevano ogni anno a Roma davanti al Duce nello Stadio dei Marmi. Tutta l'organizzazione fascista mirava ad abituare i giovani alle regole militari, alla ferrea disciplina, all'ordine esasperato, mortificando il libero sviluppo della personalità. Non c'era spazio per nessuna forma di libertà personale, tutti omologati, tutti intrappolati in un gioco assurdo di oppressione e "violenza" addolcita dall'appa-rente forma di ordine e di saggia organizzazione. A tutte le età l'educazione dei giovani era soprattutto militarista. Si cominciava nei sillabari a dare la preferenza alle parole che fossero in qualche modo legate alla guerra. Le materie storiche, in particolare, erano indirizzate ai fini che il regime fascista si proponeva. Tutti gli insegnamenti, poi, venivano impartiti secondo criteri particolari intesi a identificare il Fascismo con l'idea di civiltà.
Sin dal 1925 il regime capì l'importanza dello sport. Esercizio fisico e ordine fu il binomio tanto caro alla retorica del regime. Nulla era lasciato al caso: nelle manifestazioni sportive la regìa del regime si occupava sia degli spettatori che degli atleti. Nulla doveva turbare l'immagine di un Paese sano e allineato. La parola d'ordine era: << risanamento fisico e morale della razza. I campioni sono la nostra vetrina >>. Il regime affrontava il problema di uno sviluppo dello sport con lo scopo di finalizzarlo all'addestramento paramilitare della gioventù; perciò dedicò particolare attenzione all'educazione fisica dei giovani, infatti lo stesso Duce ripeteva, <<la palestra è l'anticamera della caserma>>. Mussolini si poneva l'obiettivo di servirsi dello sport col fine ultimo di condurre i giovani alla pratica delle armi, cioè conferiva all'esercizio sportivo un preciso fine di preparazione militare e, più esplicitamente, tendeva, attraverso lo sport, al risanamento fisico e morale della razza italiana. I successi sportivi conseguiti esprimevano principalmente il valore di un esiguo numero di atleti dietro i quali non esisteva un livello di base altrettanto elevato. Anche la scuola era nel cuore del fascismo e per incentivare l'interesse e la spinta allo studio, Mussolini curò particolarmente l'edilizia scolastica. Decine di sue gigantografie e una propaganda serrata "anima del regime" gli permettevano di andare incontro al popolo. <<Mussolini ha sempre ragione>>, questo slogan inventato da un giornalista, apparve su tutti i giornali, sui libri, sui manifesti, scritto a grandi lettere sulle facciate delle case, ripetuto dagli altoparlanti e dalle radio. Dappertutto si potevano leggere anche le frasi salienti dei discorsi del duce: <<E' l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende>>; <<Noi tireremo diritto.>>; <<Credere, obbedire, combattere,>>; <<Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi.>>.
Nelle grandi ricorrenze il regime trasformava i capannoni in mense, dove centinaia di persone erano invitate a mangiare all'ombra delle bandiere e di grandi scritte di << Viva il Duce >>. Mussolini in questi enormi banchetti, i cosiddetti << Ranci d'onore >>, dichiarava con convinzione che << La grandezza di un popolo si vede a tavola >>. In tutto ciò si rispecchiava un paese in apparenza tranquillo ed industre nella sua vita quotidiana, sovrastato sempre e dovunque dall'immagine che Mussolini aveva voluto dare di sé già subito dopo la conquista del potere, per sottolineare una certa continuità e rispettabilità di restauratore dell'ordine. L'Italia, così come voleva il Fascismo, si atteggiava a forte, giovane, coraggiosa.
Il 10 giugno 1940 il Duce annunciava la guerra a fianco dell'alleata Germania e partivano le tradotte verso le Alpi e la Jugoslavia. Le prime sconfitte in Grecia e in Africa, i primi treni carichi di feriti e di mutilati, scossero Mussolini e lo indussero a gettare le responsabilità sugli italiani incapaci per razza di fare la guerra e quando una grande nevicata si abbatté su Roma, evento meteorologico rarissimo per la capitale, Mussolini guardando i fiocchi scendere lentamente, contento affermava: <<questa neve e questo freddo vanno benissimo; così muoiono le mezze cartucce e si migliora questa mediocre razza italiana...>>. Alle sconfitte sui fronti di guerra (Etiopia, Taranto, Tripoli, Matapan, Don), seguiva il progressivo crollo dello spirito pubblico nel Paese. Per gli italiani erano i peggiori anni della vita, fra bombardamenti e sfollamenti, lutti e rovine. Scarseggiava il cibo, non c'erano più scarpe (andavano tutte ai soldati, ma in realtà i fanti in Russia le ricevevano di cartone), mancava la benzina, trionfava la borsa nera. Sono questi gli anni più duri per l'Italia e di conseguenza per il fascismo. È il periodo del pericoloso voltafaccia del Duce. Nei suoi discorsi si vede un uomo sempre più arrabbiato, insoddisfatto; tutto viene calcolato per la ricerca di nuovi consensi. Sono gli anni in cui Mussolini condividerà il fanatico e mostruoso disegno cominciato dall'alleato Hitler di sterminare gli ebrei. Escluderà dalla società e dalla politica le stesse persone che lo appoggiavano e che costituivano in diversi casi il suo consenso. Con i bombardamenti aerei dell'estate 1942 il Paese finì a terra, militarmente e politicamente, e il fascismo crollò col fallimento della guerra più sanguinosa, impopolare e inutile dell'Italia Unita. Il 19 luglio 1943 fortezze volanti americane attaccarono a Roma due stazioni ferroviarie provocando numerosi morti. Di lì a pochi giorni, il 25 luglio, Mussolini veniva defenestrato (cacciato via a malo modo) e l'Italia si avviava verso la nuova tragedia, dell'Armistizio, dello sfacelo dell'esercito abbandonato e dell'occupazione nazista.
Mussolini, da vero rivoluzionario, non aveva fatto altro che affermare il suo individualismo con una dittatura a carattere nazionalistico. Il Duce racchiudeva in sé tutte le caratteristiche proprie del dittatore: rude, arcigno, ostile, folle; capace di innestare continue escalations di violenze per realizzare i suoi disegni di despota incallito. Eppure il pubblico lo ha molto applaudito, tanto che viene oggi da chiedersi: Qual era il vero volto dell'Italia fascista? Com'era vissuta quell'avventura terribile che coinvolgerà nella disgrazia tutto il mondo? Cosa pensava la gente sola di fronte a un sogno di espansione infranto e a una realtà devastante? Certo appare chiaro che il popolo italiano, succube di tanta sopraffazione, sapientemente mescolava cautela e audacia, rispetto e insofferenza, indipendenza e sottomissione.
Nell'apparente quiete italiana, caratterizzata da esagerate manifestazioni e perfette organizzazioni fasciste, venivano a mancare completamente la libertà individuale, il riconoscimento dell'uomo come persona e il rispetto di sé e degli altri. Ma il popolo seppe andare al di là delle apparenze e diede vita ad una resistenza armata che, anche la più spietata repressione, non riuscirà a fermare. Dopo tante sofferenze, una dura lotta di liberazione conquistò libertà e democrazia per il popolo italiano martoriato da anni di rigida dittatura.
La critica storica ha definito il Duce come il più grande statista vivente e, peggio ancora sostenne che il governo fascista era la guida più sicura per tutti quei paesi che si sentivano impegnati in un "corpo a corpo" con il Socialismo. Emil Ludwig, nelle famose interviste che fece al Duce , gli chiese fra l'altro perché egli non si decideva a fondare una nuova Europa, visto che proprio in Europa, Mussolini poteva cogliere una larga messe di consensi e specchiarsi in un coro di lodi che avevano l'effetto di rafforzarlo nella sua convinzione di essere arbitro dei destini del mondo. E Mussolini rispose con voce bassa, che a questa idea si era già avvicinato, ma che aveva giudicato non ancora maturo il tempo dell'azione.
I colloqui con il Ludwig si svolsero nella primavera del 1932. Mussolini aveva detto che il tempo per la fondazione di una "Nuova Europa" sarebbe maturato attraverso nuove rivoluzioni. Gli avvenimenti del 1933 parvero inquadrarsi in questa previsione. Un movimento che ripeteva l'impostazione del Fascismo e un uomo che da tempo si era proclamato fervente ammiratore di Mussolini erano saliti al potere nel gennaio del 1933: il Partito Nazionalsocialista e Adolf Hitler.

Il regime si interessò di creare una efficiente linea ferroviaria.<<Un treno anche ai proletari>>, diceva il Duce. Nacquero i treni popolari, a prezzo politico e "comodità d'orari". Il mostro d'acciaio di futurista memoria ebbe poi case[le stazioni] che divennero templi del regime.

Il regime fascista rivaluta anche la figura della donna. La donna, sia studentessa che lavoratrice, é una figura tenuta apparentemente in considerazione dal fascismo. In realtà, una circolare del 1937 predicava: <<La donna é stata creata per la maternità>>.

Salò, 1945: il clan dei Mussolini intorno al Duce per una foto di gruppo. Pochi giorni dopo, il 28 aprile, Mussolini é catturato a Dongo.


NAZISMO
Profonda crisi economica, disordini sociali, confuse speranze di rivincita furono le premesse che portarono anche in Germania all'instaurarsi di una dittatura con caratteri ancora più brutali del Fascismo italiano: il Nazismo, di Adolf Hitler, arrivato al potere nel 1933 con un programma che mirava alla ricostituzione di una << Grande Germania >>. Fu un movimento politico e sociale che ebbe come suoi capisaldi dottrinali: il concetto di popolo (o nazione, o Volk) inteso come unità etnico- naturale, il razzismo con il connesso antisemitismo, l'imperialismo (il <<Grande Reich>>), l'autoritarismo, il culto della forza. Le idee e la storia del movimento nazista, pur incarnandosi essenzialmente nelle idee e nella biografia del suo capo, Hitler, furono però anche la risultante di tradizioni, dottrine, aspirazioni storiche dei popoli e dei paesi di lingua germanica. Così l'apologia della guerra e della violenza e il culto della forza si ritrovano già, per certi aspetti, in Hegel e in Fichte sul piano teorico e, nella prassi politica, nell'azione di governo di Bismarck. Quanto alla formulazione naturalistica del concetto di Nazione, che poneva il suo legame nella comunanza biologica del sangue e della stirpe, essa aveva il suo antecedente più immediato nell'opera di Georg Von Schonerer. Per quel che concerne infine l'antisemitismo, vecchia tradizione tedesca rafforzata dalla falsificazione dei Protocolli dei savi di Sion, Hitler derivò da Karl Lueger (borgomastro di Vienna prima del 1914) il suo collegamento con i motivi antiliberali, antisocialisti e antinternazionalisti. Con Hitler il concetto di popolo è interpretato in chiave etnico- razzista e non storico- culturale, e cioè come un portato della razza (unità biologica e comunanza di sangue). La superiorità tra le razze (la cui condizione stava nella purezza) era attribuita a quella ariano- nordica, alla quale sarebbero state dovute le conquiste più grandi della civiltà; di contro impura veniva giudicata la razza ebraica, che cercava di contaminare la purezza dei biondi ariani del Nord e che diffondeva i-deologie nocive come il marxismo, l'internazionalismo, il liberalismo. Hitler incarnava in sé il potere del popolo, un potere assoluto che respingeva esplicitamente ogni im-plicazione democratica, dal momento che egli non esercitava un potere appartenente al popolo e a lui delegato, ma era il popolo guidato da lui. Hitler conquistò il potere il 30 gennaio 1933 quando il vecchio presidente Hindenburg lo nominò cancelliere del Reich. Guidava un governo di coalizione con governi alleati ma in pochi anni di governo impose la sua dittatura personale sulla Germania, emarginando gli alleati e debellando le idee di chi, come Hindenburg, pensava di averlo in pugno. Il Fuhrer, ossia il capo, come Hitler si faceva chiamare, dimostrò subito di essere ancora più deciso e violento del <<grande uomo che governa a Sud delle Alpi>>. Nel giro di non molti mesi, infatti, eliminò dalla vita politica i Comunisti, che pur avevano ottenuto nelle ultime elezioni 12 milioni di voti contro i 17 milioni del Partito Nazista, quindi abolì tutti gli altri partiti per rivolgersi infine contro gli stessi avversari all'interno del proprio movimento, che il 30 giugno del 1934 (rimasto famoso come "la giornata di sangue") fece uccidere a Monaco e a Berlino. Poco dopo, alla morte del presidente Hindenburg, Hitler diventò il padrone assoluto e indiscusso della Germania.
Quello di Hitler è stato un governo totalitario, in cui l'ideologia era solo una maschera che celava la sete di potere assoluto. Hitler riuscì a nazzificare il paese con un saggio piano di armonia per il popolo tedesco. Infatti egli sapeva bene che quella tedesca era una società divisa in classi e cercò di avvicinarle; basti pensare alla "festa del primo maggio", una rivendicazione del movimento operaio imposta per la prima volta da Hitler; in tale occasione operai, imprenditori, impiegati sfilavano insieme per le strade, celebrando così una sorta di riconciliazione sociale. Questa necessità di "comunità di popolo", molto apprezzata dalla gente, fu ben capita da Hitler. Con lui cambiò anche la figura della donna in modo radicale, ad essa fu dato non solo il compito di educare i figli e di badare al focolare domestico, come predicava l'ideologia nazista, ma le donne erano sempre più presenti anche nelle industrie comprese quelle belliche, tanto da non aver mai registrato un valore di attività femminile così alto come in questo periodo.
Nel suo proposito di guadagnare il popolo tedesco all'ideologia nazionalsocialista, Hitler dedicò una particolare attenzione all'inquadramento della gioventù, realizzato attraverso la Gioventù hitleriana, fondata nel 1926. La dottrina nazionalsocialista investì anche la concezione e l'organizzazione del lavoro; il lavoro, intellettuale o materiale, era infatti considerato come il primo dovere del cittadino, come il modo di partecipare attivamente alla comunione con il popolo, con questo si dichiarava abolita in teoria la differenza tra lavoratore e datore di lavoro; in questa cornice ideologica di stampo cooperativo il Fronte tedesco del lavoro sostituì le vecchie organizzazioni operaie affermando il superamento della lotta di classe. Altri organismi di massa raggruppavano infine le casalinghe, gli agricoltori ecc. Hitler propagandò l'idea dei Tedeschi come razza superiore e ad essa tenne fede per tutta la sua vita; di qui l'esclusione dei non tedeschi dalle pubbliche funzioni, la proibizione dei matrimoni misti, la sterilizzazione dei degenerati e dei malati incurabili e, in un crescendo di aberrazioni irrazionali, le persecuzioni generalizzate contro gli Ebrei. Egli li riteneva la fonte di tutti i mali, una sciagura, una tragedia, l'unico fattore che, come una legge naturale, spiegava il logorio dell'universo, l'esercito nemico che egli aveva la divina missione di distruggere. Crollato con la sconfitta della seconda guerra mondiale il regime hitleriano (maggio 1945), la scoperta dei campi di concentramento da parte degli alleati rivelò al mondo le di-mensioni aberranti dei delitti del nazismo. Il tribunale di Norimberga, incaricato di giudicare i crimini di guerra, nella sua sentenza del primo ottobre 1946 condannò i capi hitleriani, non tutti hanno scontato la pena perché riuscirono a dileguarsi, e dichiarò criminose varie organizzazioni nazionalsocialiste.

Agli inizi del terzo millennio, l'uomo che da cinquant'anni insegue i criminali di guerra nazisti, Simon Wiesenthal, nella convinzione che è ormai controproducente portare in tribunale imputati troppo vecchi, afferma che la caccia continua finché vittime e carnefici saranno vivi e ricorda successi e insuccessi della ricerca:
Adolf Eichmann, il supervisore del vasto apparato che ha portato a termine l'Olocausto nazista, fu catturato dagli agenti segreti israeliani in Argentina nel 1960, fu trasferito segretamente in Israele e giudicato, condannato a morte e impiccato nel 1962 a Gerusalemme (unica esecuzione capitale verificatasi in Israele).
Michael Seifert, ufficiale nazista noto come il "boia di Bolzano", è stato giudicato col-pevole nel 2000 dalla magistratura di Verona di nove capi di imputazione che vanno dallo stupro all'uccisione di civili internati nel campo di prigionia da lui comandato a Bolzano. Ora vive a Vancouver, in Canada. Le autorità italiane ne hanno chiesto l'e-stradizione.
Wolfgang Emdem, ufficiale della Wehrmmacht nella Seconda guerra mondiale, ordinò il 13 ottobre 1943 il massacro di 22 fra donne e bambini a Caiazzo (vi è un dossier) in provincia di Caserta. Giudicato e condannato dal Tribunale militare di Santa Maria Capua Vetere nel 1994, vive a Coblenza dove si occupa delle feste cittadine. Prima della condanna passava le vacanze in Romagna.
Herbert Kappler, condannato all'ergastolo il 20 luglio 1948 (definitiva dal 19 dicembre 1953) dal Tribunale militare di Roma per la strage delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944, 335 morti). Evade con l'aiuto della moglie dall'ospedale militare del Celio il 15 agosto 1977 e muore l'anno dopo a Saltau, in Germania.
Erich Priebke, maggiore dell'esercito tedesco scovato ed estradato dall'Argentina, in-sieme a Karl Hass, ritenuti colpevoli di omicidio plurimo per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, vengono condannati il 7 marzo 1998 (definitiva nel dicembre 1998) dalla Corte di Appello militare di Roma all'ergastolo.
Walter Reder, ex maggiore delle SS, colpevole della strage di Marzabotto (Bologna, 29 settembre - 3 ottobre 1944, 1830 morti) voluta quale feroce rappresaglia per le azioni partigiane, viene condannato all'ergastolo il 31 ottobre 1951 dal tribunale militare di Bologna. Sarà liberato il 24 gennaio 1985 e morirà a Vienna il 2 maggio 1991.
Josef Mengele, autore di tremendi esperimenti di medicina su gemelli ad Auschwitz, cacciato in tutto il mondo, sembra abbia trovato rifugio in Brasile, ma nessuno è in grado di dire se vive ancora.
Alois Brunner , braccio destro di Eichmann, vive attualmente in Siria sotto il nome di Georg Fisher, dove si è rifugiato dopo la guerra e qui ha attivamente collaborato per l'organizzazione del servizio segreto di Damsco. Già condannato a morte in Francia, ha oggi 89 anni. Due attentati con lettere-bomba (1961 e nel 1980) lo hanno privato di un occhio e di una mano.

FASCISMO E NAZISMO UNITA' D'INTENTI E DI VOLERI
Fasci e Nazismo, affini nelle ostilità verso le forme democratiche, si trovarono alleati in una politica espansionistica, e in una comune volontà di potere e di forza che annientava tutto e tutti che si contrapponevano a tale disegno. Angherie, rappresaglie, terrore, stragi caratterizzarono il governo delle due menti folli che segnarono il XX secolo, scrivendo pagine orribili di storia. Nazismo e Fascismo erano regimi fraterni. La loro intesa era ineluttabile e sia Hitler che Mussolini in più occasioni sottolineavano la comunanza di dottrina e di obiettivi, comunanza che si consolidò con la proclamazione dell'alleanza tra i due regimi, conosciuta col termine destinato a rimanere famoso, "Asse Roma- Berlino". Svariate visite e incontri alimentavano tale alleanza tanto da dare la certezza ad entrambi che le due più grandi ed autentiche democrazie del mondo erano la Germania e l'Italia. Spesso però l'equilibrio fra i due regimi totalitari si alterava per alterne vicende che ora vedevano il Fascismo seguire il Nazismo, ora il Nazismo diventare il modello da imitare. Tra tutte, l'imitazione più grave e irragionevole fu la promulgazione anche in Italia nel'38 delle leggi razziali. Il nostro paese non aveva mai conosciuto la follia razzista. Gli Ebrei erano sempre stati rispettati e avevano potuto accedere anche alle più alte cariche civili. Per nostra fortuna, al contrario di quel che avvenne in Germania, il popolo italiano sentì sempre un'invincibile repulsione verso le barbarie razziste. Oggi viene da chiedersi se quella di Mussolini e Hitler fu vera gloria. E qui nasce una riflessione, l'uomo non va giudicato per le grandi opere buone o cattive che siano, ma per quello che con la sua vita riesce a dare e a fare per gli altri, e i due dittatori, nella loro fatua grandiosità hanno fatto davvero poco, se sono oggi ricordati per aver segnato col sangue un ventennio di storia che è la vergogna del nostro secolo. Rileviamo però un risvolto positivo nel periodo post nazista di sicuro non premeditato da Hitler. Con la caduta di Hitler e del nazismo venne eliminato il potere aristocratico- ereditario delle tradizionali classi dirigenti tedesche portando alla formazione di una Repubblica Federale. Chiaramente questo processo di moder-nizzazione e di livellamento sociale fu il frutto di tragedie dolorose; ma esso fu anche alla radice della rinascita democratica della Germania Occidentale dopo il 1945. In questo senso si può dire che nella sua perversione Hitler ha offerto alla Germania contemporanea una buona base di partenza per la sua crescita democratica.

Giugno: Il cancelliere tedesco Adolf Hitler visita l'Italia e incontra per la prima volta Benito Mussolini.

Gli angeli della fabbrica
Giovani tedesche cuciono le bandiere con la croce uncinata. Secondo Fest, con Hitler la condizione femminile cambiò radicalmente. Mentre l'ideologia Nazista assegnava alla donna il compito di badare ai bambini e di badare al focolare domestico, nella pratica le cose andarono in modo totalmente diverso. Non si erano mai viste tante donne nelle fabbriche - anche nelle industrie belliche - come durante il nazismo.

L' "ORDINE" del NAZIFASCISMO
Per diffondere l'ideologia nazionalsocialista, Hitler curò in modo esasperato l'inqua-dramento della gioventù con la "Gioventù Hitleriana" fondata nel 1926 da Von Schirach e così articolata:
" Jungvolk: ragazzi dai 10 ai 14 anni;
" Hitler- Jugend: ragazzi dai 14 ai 18 anni;
" Bund Deutscher Madchen: ragazze dai 10 ai 21 anni.

Per diffondere l'ideologia fascista si utilizzarono manifesti del tipo: Dal Decalogo del Milite:
" SAPPI che il fascista, è in specie il Milite, non deve credere alla pace perpetua...
I giorni di prigione sono meritati. La patria si serve anche facendo la sentinella ad un bidone di benzina...
Un compagno deve essere un fratello: 1 perché vive con te, 2 perché la pensa come te... Il moschetto, le giberne ecc. ti sono stati affidati non per sciuparli nell'ozio, ma per conservarli per la guerra...
Non dire mai: "Tanto paga il Governo!" perché sei tu stesso che paghi, e il governo è quello che tu hai voluto e per il quale indossi la divisa... la disciplina è il sole degli eserciti: senza di essa non si hanno soldati, ma confusione e disfatta... MUSSOLINI ha sempre ragione! Il vo-lontario non ha attenuanti quando disobbedisce!...
Una cosa deve esserti chiara soprattutto, la vita del DUCE".

Mussolini oltremodo teneva prima che ai giovani, ai giovanissimi perché, debitamente addestrati, costituiscono la futura forza del Paese. I bambini d'Italia così erano inquadrati:
" Figli della lupa, fino a 8 anni. Nel' 39 erano 1.546.389 .
" Balilla, 8- 11 anni. Camicia nera, pantaloni corti grigio- verdi, fez alla bersagliera, foulard nero. Nel' 30 erano 981.774; 1.746.560 nel' 39.
" Balilla moschettieri, a 12 anni.
" Avanguardisti, 14- 15 anni. Pantaloni grigio- verdi alla zuava con fasce, giacca di panno verde, camicia nera, medaglione <<DUX>> e cappello alpino. Nel' 30 erano 371.529; 906.785 nel' 39.
" Avanguardisti moschettieri, a 16- 17 anni.
" Avanguardisti mitraglieri, a 18 anni.
" Giovani fascisti, dai 19 anni. Nel' 39 erano 1.176.798 .
Le bambine d'Italia così erano inquadrate:
" Figlie della lupa, fino a 8 anni.
" Piccole italiane, 8- 14 anni. Nel' 30 erano 370.183; 1.622.766 nel' 39. La divisa: gonna nera, camicetta bianca, cravatta, calze bianche, scarpe nere, baschetto nero.
" Giovani italiane, 15- 21 anni. Nel' 30 erano 98.002; 441.254 nel' 39.
" Giovani fasciste, da 22 anni. Nel' 39 erano 450.995.

Dal diario (1937- 1943) di Galeazzo Ciano:
1 febbraio 1938. " Cerimonia della Milizia: il passo di parata è apparso al pubblico, che lo ha molto applaudito. Il Duce ha fatto un discorso alla Milizia di fronte al Colosseo. Ha parlato militarescamente: ha sferzato i mormoratori, che ha qualificato di sedentari, pancioni, deficienti e mezze cartucce. "
7 maggio 1938. (durante la visita di Hitler in Italia.) " Il Fuhrer ha avuto più successo personale di quanto io non credessi. Giunto tra l'ostilità generale ed imposto dalla volontà di Mussolini, è riuscito ab-bastanza a fondere il ghiaccio intorno a lui. Il discorso di ieri ha molto contribuito. Ed anche i contatti personali, gli hanno procurato simpatie. Specialmente tra le signore. Il re gli rimane sempre ostile e tende a farlo passare per una specie di degenerato psico- fisiologico. "

L'auto celebrazione dell'Italia fascista implicava una rottura drastica con la "mentalità borghese" considerata la causa dell'incapacità degli italiani a "sentire " il loro "dovere" e a compiere la "missione" . Da ciò la considerazione del "popolo minuto" come il depositario delle "più belle virtù sociali", da ciò la campagna contro il "lei", la "stretta di mano", la "raffinatezza decadente nel vestire". Il fascista doveva prediligere gli abiti semplici e le fogge sportive o guerresche: "la sagoma del milite - diceva Mussolini - dev'essere rozza".

Una scheda elettorale proposta nel 1929, in pieno regime fascista: al centro è stampato il quesito agli elettori: "Approvate voi la lista dei deputati approvata dal Gran Consiglio del Fascismo?". Essa non offriva alcuna possibilità di scelta.

LA SVASTICA
Il termine "svastica" deriva dall'unione di due voci sanscrite:
"AWAR" = sole e figuratamente = felicità, salute, bene;
"STHIK" = giro, rotazione, rivoluzione, circuito.
Pertanto svastica significa giro, rotazione del sole intorno alla terra, apportatore di felicità, di salute e di ogni bene. La forma più antica è costituita da una croce con bracci uguali che terminano con appendici ad angolo retto, ora rivolte a destra, ora rivolte a sinistra, secondo il modo usato da un popolo o da un altro. Le prime figura-zioni di tale simbolo risalgono a tempi antichissimi e si trovano nella Villa Arbusto di Lacco Ameno (Ischia) e nel museo di Paestum e di Ercolano come segno della sua presenza già nell'epoca preistorica.
Nel mondo antico la svastica era un segno religioso universale che sottolineava l'im-portanza del Sole come fonte di vita e di felicità, invece il nazismo, storpiandone il vero significato, ne fece un emblema politico tutto proprio.
La prima volta che la svastica apparve come segno politico razziale fu durante la do-minazione longobarda: era il simbolo dell'antica razza ariana. Dopo oltre quindici secoli circa, essa riapparve nel medesimo significato longobardo. Dopo la vittoria dell'esercito prussiano sulla Francia nel 1870, la croce gammata, in tedesco "Hakenkreuzi", divenne il simbolo della superbia teutonica. La Germania fece della svastica l'emblema nazionale e cominciò a diffondersi la teoria del pangermanesimo, il cosiddetto "Kulturkamff", cioè il sistema politico che aveva come meta la riunione in un unico stato di tutti i popoli di razza germanica. Questa concezione politica rimase pura utopia con la sconfitta subita nella prima guerra mondiale 1914- 1918.
Dopo circa un decennio, ecco di nuovo alla ribalta la svastica, come simbolo della razza germanica (ariana). Adolf Hitler nel 1933 adottò la svastica come emblema del nazionalsocialismo e la pose nella banda centrale della bandiera nazionale. Sulla bandoliera di alcune truppe specializzate c'era la svastica con intorno queste tre parole: "Gott Mit Uns" (Dio è con noi).


IL TOTALITARISMO
Il Totalitarismo, per Hannah Arendt, rappresenta l'irruzione nella storia del radicamento nuovo ed impensato, ma insieme il luogo di cristallizzazione di elementi e dinamiche operanti all'interno della modernità liberale: punto culminante della modernità.
La Arendt è una delle più importanti e significative figure della cultura del nostro secolo. E-brea, profuga e apolide si formò nell'università tedesca della Germania di Weimar. Studiò filo-sofia ed instaurò uno stretto rapporto con Karl Jaspers. Con l'avvento di Hitler al potere nel 1933 fu costretta ad emigrare, a causa della sua origine, con la madre in Svizzera e poi a Pari-gi dove sposò il politico Blucher e divenne amica di Benjamin. Dopo l'occupazione nazista della Francia Settentrionale, fu internata del governo di Vichy, perché straniera sospettata, venne poi liberata e riuscì a fuggire negli Stati Uniti, dove poté dedicarsi alla stesura delle principali opere di carattere politico atte ad analizzare i grandi eventi della società e della politica mon-diale del suo tempo.
Legata a tre culture, quella americana, quella tedesca e quella ebraica, la A. è apolide e co-smopolita al tempo stesso. Ma che la Germania sia considerata sua patria, non può essere sti-mato come fondamento di un'identità nazionale, fattore che solo la Nostra al tempo percepì come inopinabile grazie alla sue conoscenze sull'antisemitismo. Visse, invece, in un rapporto conflittuale con la cultura ebraica, di cui sentì sempre una maggiore pressione nell'esperienza educativa e religiosa, quest'ultima vista, però, sempre criticamente.
Impegnata politicamente cercò di agevolare la fuga degli ebrei dal Reich durante la II guerra mondiale, si adoperò per la costituzione di una milizia ebrea per sostenere gli alleati e per il raggiungimento della pace in Medio Oriente, presupposto questo per la sopravvivenza dello Stato di Israele.
"Eichman a Gerusalemme" è una delle opere politiche della A. in cui si delineano i caratteri dell'idealtipo del regime totalitario, individuo atomizzato dalla società di massa, incapace della partecipazione civile, ma soprattutto ingranaggio di una macchina di sterminio. La sua attenzione è sempre stata rivolta ad ogni evento che fosse un prodromo dell'affermarsi di un regime totalitario e che potesse rappresentarne una tensione, alle condizioni dell'ebreo, alla tragedia dell'Olocausto nonché ai motivi e ai fattori che hanno determinato il progressivo disfattismo della libertà. Le rivoluzioni, infatti, a partire da quella francese, hanno solamente distrutto la tirannia e si sono mostrate del tutto incapaci di garantire e "costruire" uno spirito liberale. Molto legata alla nascita dell'esistenzialismo, l'attività della A., tuttavia deve essere considerata estranea alla filosofia e consone invece ad un autentico lavoro di teorico della politica.
L'approccio all'aspetto giurisdizionale è dovuto, oltre alla concezione di una filosofia come pre-messa della politica reale, agli studi di suo marito che stimolarono il suo desiderio di compren-dere il reale e la storia che aveva minacciato la fine del libero agire politico dell'uomo. "Le Ori-gini del totalitarismo" accanto alla "Vita activa" sono le principali opere storiche politiche in cui viene analizzata la genesi e lo sviluppo del totalitarismo e viene ripristinata la priorità dell'agire politico in uno spazio in cui sia possibile interagire con gli altri uomini. Una ripresa dunque dell'ideale costituzione della polis greca e una polemica verso la moderna concezione della poli-tica volta esclusivamente all'attività amministrativa. Inoltre, la A. ha delineato con acume e attenzione i "mali" della modernità, che hanno minacciato la libertà, favorito la perdita dello spazio politico pubblico e la depoliticizzazione del mondo contemporaneo che ha consentito l'affermarsi del totalitarismo conseguenza anomala dell'avvento della società di massa.
In "Le Origini del Totalitarismo" la A. delinea la genesi del totalitarismo, ed analizza la storia dal 1880 alla fine della II guerra mondiale soffermandosi sull'emergere dell'antisemitismo, sul declino dello stato nazionale con lo sviluppo del pangermanesimo e del panslavismo, nonché sull'ascesa della borghesia e la costituzione di un regime basato sul binomio ideologia e terrore. L'opera consta di tre parti: la prima è dedicata allo studio dell'antisemitismo, elemento cen-trale dell'ideologia del regime totalitario, la seconda si incentra sull'età dell'imperialismo e l'ascesa della forza economica della borghesia, la terza si sofferma sulla società di massa, senza classi e il binomio ideologia e terrore, come fondamento del regime totalitario.
Il totalitarismo, sebbene basato su poteri forti e personalistici, è un regime autoritario che si differenzia dalle altre forme di governo come il dispotismo, la tirannide e la dittatura per la sua maggiore radicalità. Distruggendo le tradizioni sociali, politiche e giuridiche di un paese, tra-sforma la società classista in masse, sostituisce i partiti come i movimenti di massa, trasferisce il centro del potere dall'esercito alla polizia e segue una politica imperialistica subentrata in modo disastroso al romantico colonialismo. L'essenza di questo governo è il terrore, il suo principio di azione è il pensiero ideologico, le ideologie, o meglio gli ismi per la A. Esse non sono totalitarie ma trascendono l'esperienza e la realtà per poter svelare il significato celato dietro le apparenze, mutare la realtà, spiegare la storia e conoscerne i misteri nascosti, le certezze del passato, il presente e le incertezze del futuro. Scopo di questo è la scissione del pensiero dalla realtà, la creazione di un mondo fittizio conforme all'ideologia e di una società basata sulle leggi positive della natura e dell'evoluzione storica in linea con eurocentrismo culturale.
Il totalitarismo secondo A. non necessita di un consuensus iuris alla stregua degli antichi, non ha leggi, se non quella della storia e della natura, né i principi di giusto e ingiusto, anzi, al po-sto di tutto ciò subentra il terrore totale, <strumento permanente di governo>. Quest'ultimo e l'ideologia intesa come principio permanente di azione sono le pietre miliari del totalitarismo, e trovano applicazione attraverso il partito unico quale politicizzante della società civile e la polizia segreta come sorveglianza continua del sistema sociale. Ma a prescindere dalla combinazione di ideologia e terrore si afferma incontrastata la volontà del capo, la legge del partito a cui nulla è superiore, il motore del regime intorno al quale si dispone la pluralità delle gerarchie concentriche preposte al potere.
L'estraniazione, la "loneliness" arentiana è la condizione in cui persistono gli individui, in un isolamento politico percepito maggiormente nella totalità umana, nel partito unico, nel control-lo dei mezzi di informazione e nella mancanza di libertà in quel regime in cui il terrore è la legge. Dunque, non tutti i regimi autoritari possono considerarsi "totalitari", non basta una direzione centralizzata, un'ideologia e un controllo statale su ogni aspetto della vita, è necessario il coesistere di quell'ideologia, che è la legittimazione della legge incontrastata della violenza e del terrore. Sebbene sia valido il contenuto e l'analisi condotta da A. sul totalitarismo, molti sono stati i punti lasciati incompiuti, come la differenza tra movimento e regime e quei conflitti che, insiti nel primo, sfociano nel potere antiburocratico del totalitarismo.
Infatti il totalitarismo dà vita ad un apparato burocratico immenso basato sull'autorità di un capo che distrugge ogni forma di libertà. Rifiutato il concetto di "autorità carismatica", A. giu-stifica il consenso al regime con l'avvento delle masse, il dissolvimento della società classista, il conflitto ideologico e soprattutto al rapporto tra le masse e il capo per quel processo di mobilitazione permanente del terrore.
"Le Origini del totalitarismo" possono dunque essere considerate un importante studio politolo-gico, soprattutto per la convinzione più volte ribadita della novità della forma totalitaria. Non elementi caratteristici di questo regime isolati, possono consentire di parlare di totalitarismo, bensì la stretta integrazione o anche una sorta di osmosi tra i caratteri della vita politica e so-ciale. Il regime del terrore non può affermarsi e consolidarsi se non in una società in cui l'ideologia semplice ha superato le dottrine politiche e i partiti si sono trasformati in masse, in una società industriale "moderna" basata sulla partecipazione politica e sull'estensione del suf-fragio. Quindi, si chiede A., quali sono le analogie tra totalitarismo e dispotismo quali quelle tra totalitarismo e autoritarismo, è possibile parlare del nazismo e dello stalinismo come re-gimi del terrore?
I regimi totalitari sono il prodotto di una degenerazione delle classi sociali e legittimano le loro azioni in base ad un inappellabile principio ideologico e non in dottrine religiose tradizionali come per il dispotismo, si fonda su una mobilitazione continua volta alla totale e rapida modi-ficazione sociale e non favorisce la "passività degli individui" nel mantenere un assetto preesi-stente come per l'autoritarismo.
Nazismo e stalinismo, invece, sebbene fondati su ideologie differenti convergono nella compo-nente del terrore e nella volontà di escludere chi sia "dannoso" per la formazione di un "uomo nuovo". Il totalitarismo è immune dalle condizioni storiche e culturali, può nascere ovunque vi siano i presupposti e l'unica difesa contro di esso è la costante difesa della libertà e della de-mocrazia. Perché, in fondo, come pensa A., ci sono sempre uomini disposti a renderne altri schiavi in nome di astratte e utopiche ideologie.

L'ORIGINE STORICA DEL TOTALITARISMO
"Le origini del totalitarismo" è senza dubbio una delle massime testimonianze dell'instaurazione del regime totalitario che trova i prodromi del suo sviluppo a partire dalla I guerra mondiale. In seguito alla Grande Guerra, infatti, l'Europa vessata da numerosi problemi politici e sociali, attua un'opera di risanamento secondo le clausole del trattato di Versailles del 1919-20. Bisognava ricostruire su quel cumulo di macerie delle distruzioni di guerra, risanare le industrie che erano volte soltanto alla produzione bellica e limitare lo scarto nel bilancio pubblico tra domanda e offerta che aggravava ulteriormente l'inflazione. I confini territoriali si erano dissolti, era emersa la ricerca di sicurezza e stabilità, l'istituzione di nuovi rapporti che avrebbero consentito una equilibrata politica indirizzata alla costituzione di uno stato basato sulla collaborazione tra borghesia e socialismo. L'emergere del "nazionalismo", la spinta autonomista e indipendentista di molti stati da una parte, e la costruzione di imperi egemoni del mondo dall'altro, rendevano ancora più precaria la tutela degli interessi europei. Per la decadenza e la limitazione della libertà un maggiore controllo statale in ogni attività, posero fine al liberalismo e segnarono l'ingresso delle masse come soggetti attivi nell'organizzazione dello Stato. Dunque, non più un élite al potere come era avvenuto nei secoli precedenti, ma la massa, l'intera popolazione senza alcuna distinzione o limitazione. Le classi operaie e contadine cominciarono ad affermarsi come entità politica, diventarono consapevoli della propria forza e propugnarono sempre maggiori richieste e necessità alle classi più agiate. Il progresso e l'industrializzazione del secolo precedente, avevano senza dubbio accelerato questo processo storico, le nuove sco-perte, e conquiste scientifiche avevano modificato lo stile di vita di molti, e anche di coloro che a contatto della "scienza" non potevano adeguarsi a soddisfare le nuove esigenze. E' questo il secolo del Positivismo, del diffondersi di una ventata di ottimismo che investiva ogni campo culturale e tecnologico, che induceva gli uomini a riporre piena fiducia nella scienza e nel progresso tanto da considerarla come "antidoto" ad ogni male. Solo successivamente subentrò a questo il movimento neoidealista, un nuovo sentire che condusse alla crisi esistenzialista del nostro secolo. In realtà i letterati e ancor più i filosofi si erano resi conto delle conseguenze a cui avrebbero condotto quei cambiamenti, e si mostrarono per questo scettici nei confronti di ogni tipo di "Stato". Le masse emersero dopo anni di asservimento al potere solo al principio del primo conflitto mondiale che creò in Europa quei presupposti per l'instaurarsi di un regime totalitario. Infatti nel 1789 con la Rivoluzione Francese il popolo e non più solo le élite mostrarono di possedere dei diritti a lungo negati, di essere una forza rivoluzionaria tanto forte da poter abbattere i sistemi. Con la fine dell'ancien regime, la plebe cominciò ad emergere politicamente, a rivendicare una progressiva promozione sociale che segnò anche la nascita della moderna diplomazia con il Congresso di Vienna del 1815. Lo Stato era sempre stato diretto da un'oligarchia aristocratica, da un sovrano che nelle direttive di governo teneva conto soltanto delle classi dirigenti, e, rispondendo alle loro richieste, si garantiva un solido appoggio immune da qualsiasi movimento sovversivo. E' stato con la fine del secolo scorso che le masse hanno fatto irruzione sulla scena politica, gli operai si riunirono nel partito socialista e segnarono la nascita delle Internazionali socialiste e il tentativo di istituire uno Stato di stampo marxista. Dal montare delle classi inferiori tramite azioni rivoluzionarie seguì la decadenza della classe media, decadenza aggravata dall'inflazione e dalla crisi del 1929 che determinò un peggioramento del tenore di vita. L'innalzarsi politico -sociale delle masse popolari segnarono una svolta nella produzione e nella gestione statale e i problemi sociali furono trasformati in problemi di massa. Così, mentre le classi meno agiate si affermarono attraverso le ideologie socialiste e rivoluzionarie, la borghesia cercava appoggio e sicurezza dando un forte contributo alle dittature nazionaliste. I regimi totalitari si proponevano di controllare totalmente ogni aspetto della vita statale e della sua popolazione sostenendo una politica estera aggressiva atta ad un'egemonia mondiale e assicurandosi ampi appoggi tramite la propaganda politica. L'ideologia era una delle pietre miliari su cui poggiava lo stato totalitario, a cui si ag-giunsero l'antisemitismo attuato attraverso il genocidio di milioni di ebrei, l'imperialismo e il mito di uno Stato la cui forza sta nell'espansione, nel progresso e in un'economia autarchica.

IDEOLOGIA E TERRORE
Il totalitarismo è una forma di oppressione politica in cui lo Stato concentra ogni potere nelle sue mani ed attua un serrato controllo su ogni attività della vita politica e sociale. Crea istituzioni differenti da quelle esistenti, trasforma le classi in masse, sostituisce il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico ma con un movimento di massa, trasferisce il centro del potere dall'esercito alla polizia elaborando quanto già veniva affermandosi nella politica austriaca della Restaurazione (Metternich), attua una politica estera aggressiva e con richiami egemoni. Questo tipo di governo può essere considerato, dati i suoi connotati, come una forma moderna di tirannide, un governo senza legge positiva in cui il potere è affidato nelle mani di un solo uomo, ed è basato sulla violenza e sulla coercizione. La paura tra governanti e governati, l'eliminazione della distinzione tra governo legale e illegale, tra potere arbitrario e legittimo poi sono alcuni caratteri distintivi di questa forma di governo. Lungi dall'esser senza legge, pretende di obbedire alle leggi della natura e della storia, sacrifica il singolo per il tutto, e nega ogni forma di legalità perché ritiene di aver trovato il modo per instaurare la giustizia nella società. Non dunque leggi a cui dover sottostare passivamente, non il consuensus, ma un popolo che possa farne a meno, libero dall'adempimento della legge perché è l'umanità stessa che è l'incarnazione del diritto. Nell'interpretazione del totalitarismo il concetto di storia e natura subiscono una metamorfosi, non sono più considerate eterne e permanenti ,ma movimenti e processi, le leggi non sono più stabilizzatrici di autorità per le azioni umane ma continua evoluzione. Vi è alla base il concetto evoluzionistico di Darwin di uomo come prodotto di un processo di continua selezione naturale e la concezione marxista della lotta di classe in una società intesa come risultato di un vorticoso movimento storico. Infatti come il movimento naturale non è circolare ma rettilineo e orientato verso l'infinito, così anche la storia si impadronisce della vita naturale e trasforma le leggi biologiche in leggi storiche. Il totalitarismo si propone di mostrare l'indefinitezza di questo processo umano e di rendere, in base ai risultati, la legge di eliminazione come strumento per l'acquisto e la detenzione del potere nel dominio sul mondo.
Per stato di diritto la Arendt intende un corpo politico in cui le leggi positive sono necessarie per attuare l'immutabile ius naturale e le leggi positive. Aspetto mancante nel regime totalitario in quanto esso viene sostituito dal terrore totale inteso a tradurre in realtà la legge della storia e della natura. Il terrore è l'essenza del regime totalitario, la realizzazione della legge del movimento che addita nemici contro cui scatenarsi chi è di ostacolo al processo naturale e sto-rico trascendendo ogni senso di colpevolezza e innocenza. "E' legalità se legge è la legge della natura e della storia", e si propone di eliminare tutti gli oppositori, evitare la continuità, in un mondo fatto di inizi, che trascende i singoli principi, e non interviene per imporre una volontà tirannica e un potere dispotico ma per costruire un " vincolo di ferro tra gli uomini". Essi dunque, strettamente uniti, lasciano sparire la pluralità fondendosi in un unico uomo gigantesco, una sorta di Leviatano di Hobbes. Ma differente è lo scopo, infatti mentre per quest'ultimo era un modo per garantire la libertà, il regime totalitario, se ne serviva per reprimere ogni forma di spazio che possa garantirne l'esistenza. Il totalitarismo non solo distrugge la libertà, ma elimina ogni presupposto per il suo affermarsi, preclude ogni possibilità di movimento personale per accelerare il processo delle forze della natura e della storia. Il divenire trova ostacolo nella li-bertà, di cui è espressione ogni nuovo inizio, dunque compito del terrore è eliminare dalle fon-damenta l'origine della democrazia, favorire con ogni mezzo coercitivo e dispotico l'affermarsi di quelle forze sovraumane che in tempi differenti avrebbero pronunciato le stesse sentenze di morte contro gli" inadatti a vivere" o contro "le classi morenti". Nel corso della storia era la du-rata di un governo a testimonianze il grado di buona gestione statale, la qualità era distinta da un logoramento interno e da un processo di autodistruzione, che secondo Montesquie era pos-sibile superare grazie al" principio dell'azione". Questo estirpava governo e cittadini dalle loro attività pubbliche e serviva da criterio per giudicare le azioni politiche, ed era l'onore per la monarchia, la virtù per la repubblica e la paura per la tirannide. Dunque in un regime in cui tutti gli individui sono diventati un unico uomo, dove ogni azione mira all'esplicarsi dei piani della natura e della storia, dove il terrore garantisce la continuità del movimento, non è necessario alcun principio di comportamento. Né la virtù, né la paura, né l'onore sono necessari in un regime in cui il terrore domina incontrastato e gli abitanti sono gettati "nel vortice del processo della natura e della storia", perché in senso stretto non esiste la capacità di agire, perché è lo Stato a decidere ogni cosa oggettivamente. Dunque né a simpatia né a convinzioni bisogna riferirsi nella gestione del governo, o anche per decidere arbitrariamente i carnefici e le vittime a loro volta precari nel ruolo sulla base della preparazione ambivalente che è l'ideologia. E' un fenomeno recente quello del pensiero che si è affermato con Hitler e Stalin e sono divenute no-te per il carattere scientifico; si basano sull'unione tra l'approccio razionale con i risultati teoretici e metafisici della filosofia.
L'ideologia implica etimologicamente l'esistenza di idee come materie di studio e di "logoi", ovvero di affermazioni scientifiche, combinazione che porta quasi a definirla pseudoscienza o pseudofilosofia. Ma le idee degli ismi non sono l'argomento delle ideologie e non sempre il suf-fisso -logia- allude ad affermazioni scientifiche. Un'ideologia è <la logica di un'idea> la cui materia è la storia, e si propone di svelare ogni mistero del processo storico, di individuare i continui cambiamenti, descrivere il divenire conoscendo il presente studiando il passato e pre-vedendo il futuro. La logica dialettica è l'unica forma di ragionamento consentito, tutto è com-preso in un coerente processo di deduzione, in cui tutte le ideologie contengono elementi tota-litari anche se si affermano solo le più importanti. In particolare, spiegano il divenire e non la staticità storica, sono indipendenti da ogni esperienza e tendono a mutare la realtà in base ai postulati ideologici con strumenti di deduzione logica e dialettica priva di rapporti con la società. L'essenza dell'ideologia è poi la logicità intrinseca e quel timore di contraddirsi insito nell'uomo che ha consentito la confessione di crimini mai connessi con le epurazioni staliniane. Eliminare la nozione di logica finale significa affermare la sua forza autocostruttiva che rende ognuno incapace di produrre idee e di fornire una distinzione tra vero e falso, realtà e funzione. La base del terrore è l'isolamento, una fase pretotalitaria che preclude all'uomo la partecipazione alla vita politica, e l'estraniazione, l'essere avulso dal sistema sociale. L'"homo faber" nell'isolamento dà sfogo alla propria creatività, ma si trasforma in "animal laborans" con l'attuazione del processo di esternazione. Si sente superfluo ,non più appartenente al mondo, sradicato, non riconosciuto dagli altri, consapevole di non aver nessun appoggio sicuro. L'uomo estraneato pensa "tutto il peggio" dice Lutero ,perché il totalitarismo contiene in sé i germi della distruzione in quanto la deduzione logico - ideologica dell'isolamento è un principio distruttivo per ogni convivenza umana che minaccia la distruzione del mondo. Ogni fine implica un nuovo inizio che la promessa, la suprema capacità dell'uomo ovvero la libertà umana. Questo inizio è garantito da ogni nuova nascita ed è ogni uomo perché, come dice Agostino "initium ut esset creatus est homo".
Un esempio di ciò che può essere un sistema socialista basato sull'osservanza dei precetti a-rentiani, è il romanzo di Orwell "1984" in cui è descritta la vicenda di Winston e Julia apparten-gono al partito. E quelli che come loro perdono la divisa del partito sono legati da una discipli-na inesorabile. E' negata loro una vita sentimentale e rappresentano quegli idealtipi che la A-rendt definiva "estraniati". Anche nelle loro private abitazione un "teleschermo" ad ogni ora li stordisce di notizie di musica, di giaculatorie propagandistiche, e al medesimo tempo raccoglie e trasmette i loro gesti, le espressioni dei visi, le minime parole. Ogni atto è legato all'ideologia del partito, anche tenere un diario come la Winston è considerata deliberata manifestazione di volontà individualistica e di diserzione morale totalitaria. Un mondo in continua guerra, come la Germania nazista, una società che è l'ombra di sé stessa tanto è depressa e per sempre ingrigita dalla ideologia imperante del Socing, il socialismo inglese, unica dottrina ammessa in Oceania. L'autorità è il capo carismatico teorico della Arendt si incarna qui nel grande Fratello, che appare in ogni luogo, sovrasta la vita pubblica e privata di ognuno, ma che in realtà nessuno conosce né ha mai visto di persona. Governano e controllano il paese attraverso il "partito", unico movimento per sottomettere le masse con i ministeri onnipotenti. Ogni pensiero, parole dei sudditi sono controllati da vari ministeri, preposti all'imbonimento ideologico e morale dei cittadini per renderli completamente succubi del sistema, pronti a tradire qualsiasi sentimento di affetto e di amore verso i propri cari per servire lo stato, per renderli feroci odiatori dei nemici interni ed esterni del paese e assolutamente incapaci di qualsiasi pensiero autonomo e forma critica. E' questo ciò di cui parlava la Arendt, l'estraneazione e l'isolamento tra le masse, la compressione degli uomini nella pluralità del "grande uomo" e la fine dello "spazio vitale" necessario per la libertà. Come lei, Orwell esordisce con la descrizione di un regime in cui l'uomo è parvenza d'uomo, uno straccio fisico e morale, un elemento che favorisce il processo storico lasciato a vivere un'esistenza insulsa e insignificante ma conforme alla volontà del Partito. Alla luce della II guerra mondiale Orwell come la Arendt non poteva che vivere nella consapevolezza di essere in un mondo insensato, in cui gli uomini vengono privati dell'anima e dove prevale soltanto la violenza autoritaria mentre tutt'intorno non c'è che tristezza squallore, diffidenza e odio. Non c'è nessun solido sostegno dice la Arendt per l'uomo nella ricerca di un mondo ideale in cui l'umanità possa appagare la sua sete di giustizia, di amore e di bellezza. Anche Orwell riferendosi a queste idee afferma l'anti-utopia del "1984" in cui intendeva lanciare un monito contro gli abusi del potere manifestatisi in forme gravissime ed allarmanti negli anni della II guerra mondiale contro l'appiattimento della coscienza e di sentimento contro la sopraffazione mentale compiuta dalle ideologie. Infatti, come ribadisce Arendt, il regime compie ogni genere di azione in nome dei postulati ideologici in cui si basava l'intera organizzazione statale, gerarchica e autoritaria. "1984" rappresenta dunque quella profezia sulla progressiva eliminazione dell'umanità dal linguaggio comune sostituito dalla Neolingua il cui fine non era fornire soltanto un "mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini men-tali del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Si ri-propone quell'osmosi della logica dialettica arentiana, quell'unione fortissima che elimina ogni mezzo espressivo, perché il pensiero, estraneo dall'esperienza ed alla realtà, è riconducibile solo all'ideologia.
Il totalitarismo descritto dalla Arendt e profetizzato da Orwell segna la facile estirpazione della pianta della civiltà che impiega secoli per ricrescere e la nascita di un'immagine di un popolo che ridotto allo stato vegetativo, nel subconscio pullula di linfa vitale nonché di un pensiero pertinente al reale. Ed è questo processo che il mondo appare come insopportabile, l'uomo si sente sradicato dalla società ed estraniato, condizione repressa per evitare ogni elemento sov-versivo al regime tramite la cancellazione di ogni pensiero operante, con in un irregimento e-ducativo fin dall'età puerile, con una formazione psichica in perfetto accordo con lo Stato. Or-well quindi indulge all'amara caduta di un pensiero autonomo, alla retorica del partito, non a quella della transazione e del provvisorio, e parla con serietà e originalità della natura della realtà e dei terrori del potere non in un futuro Stato socialista ma in una società dove il socialismo non trionferà sul capitalismo e sul comunismo. Per il futuro egli non vedeva che un comunismo autoritario in cui, con una cruda onestà, rivelava il punto in cui le contraddizioni politiche e l'astrazione e l'isolamento in esse implicite coincidono con la mancanza di qualsiasi identità sociale indipendente nel produrre un terrore genuino. Ecco il punto in cui Orwell si fonde totalmente con le concezioni arentiane, e teorizza quello che la Arendt viveva nella con-tingenza storica della II guerra mondiale, in uno Stato in cui la legge è la violenza e l'essenza sono l'ideologia e il terrore.



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